Tutto questo per una mela dorata

di Picci_picci
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Le tre dee si trovavano in una radura vicino Troia, impazienti. Zeus era al centro delle tre dee, seduto sul tronco di un albero caduto, imponente nella sua tunica grigia e i capelli neri, con qualche filo bianco, perfettamente intonati alla barba. Con i suoi occhi celesti guardava impassibile ciò che si svolgeva davanti a lui. Sua moglie, Era, si era seduta lì accanto perfettamente composta. Chi l'avesse vista a primo impatto l'avrebbe potuta definire con una sola parola: regale. Il mantello di piume di pavone scendeva dolcemente dalle sue spalle e si apriva a ventaglio intorno a lei, i suoi capelli neri come pece erano raccolti in una morbida treccia ornata da numerosi fermagli dorati e la tunica bianca faceva risplendere la sua carnagione leggermente abbronzata. Gli occhi scuri e profondi guardavano le sue avversarie senza mostrare alcuna espressione. Chi però la conosceva bene, poteva notare una vena sul suo collo leggermente ingrossata, segno del suo nervosismo o della sua rabbia, e i suoi occhi nascondevano alacremente la sua paura. Eh sì, per la prima volta la grande e potente Era aveva paura che qualcuna sarebbe riuscita a rimpiazzarla definitivamente. Finché si trattavano delle amanti di suo marito, non temeva di essere sconfitta. Lei era una dea, una delle originali, figlia di Crono e Rea...nessuno la poteva sconfiggere. Ma Atena e Afrodite erano delle rivali da temere. La dea della saggezza, non solo era bella e intelligente, ma era la figlia preferita di suo marito...e ovviamente non era nata dal suo grembo, ma da quello di una delle amanti di Zeus. Diciamo che la storia è leggermente più complicata di così, ma il fatto principale era che Atena era figlia di Zeus, però non di Era. Atena era astuta e sapeva ciò che faceva. Secondo gli antichi oracoli, se un giorno Zeus non sarebbe più potuto stare al potere, lei sarebbe stata l'erede perfetta. Poi c'era Afrodite. Era non lo negava, Afrodite era molto bella...così bella che suo marito le aveva chiesto di sposarlo anche se lui era già sposato. La regina degli dei era ha conoscenza del suo bel l'aspetto e del suo potere, ma non per questo temeva le sue rivali. Atena si trovava alla destra di suo padre, appoggiata al tronco di un albero. Il suo sguardo era intimidatorio e tagliante, ma non per questo meno affascinante, e i suoi occhi grigi come la tempesta guardavano dritti di fronte a se. I suoi capelli, neri come quelli del padre, erano dei morbidi boccoli acconciati in modo tale che le lasciassero il viso scoperto. La sua armatura argentata e decorata con le incisioni di rami d'ulivo risplendeva nel calar del sole, mentre la leggera brezza apriva gli spacchi laterali della sua tunica grigia, mostrando i pugnali legati ai suoi sandali alti. Sembrava una guerriera pronta a scendere sul campo di battaglia, ed in realtà era proprio così. Ma Atena non avrebbe vinto con le spade e i coltelli, no. Atena avrebbe vinto con la sua migliore arma: la strategia. E ciò sarebbe stato più doloroso di qualsiasi altro modo. La dea della saggezza e della strategia militare non sbagliava mai, non si arrendeva mai e vinceva, vinceva sempre. Ecco perché non era preoccupata per questa piccola sfida tra dee, sapeva che sarebbe stata la migliore come sempre. Se ci sarebbe stato da lottare, lo avrebbe fatto con astuzia...era pronta a tutto. Ma, se doveva essere sincera, non si fidava di lasciare la scelta ad un semplice mortale, nato principe ma cresciuto come un pastore. Il suo istinto le diceva che quel ragazzo avrebbe portato solo guai, ma in quel momento non sapeva quanto avesse ragione. D'altronde il suo istinto non sbagliava mai. Afrodite era la più spensierata fra le tre. Sedeva sul ceppo di ciò che rimaneva di un albero ed i suoi occhi dai mille colori guardavano il panorama intorno a lei. I capelli biondi come il grano erano lasciati sciolti in morbide onde, come decoro solo un cerchietto in filigrana d'oro che le ornava il capo. Le labbra erano piene e tinte di rosso, mentre la tunica rossa andava ad evidenziare il seno e le gambe della dea, giocando con delle trasparenze. Mentre Atena si poteva definire potente, Era regale, Afrodite si poteva definire naturale. Ognuna di queste dee era di una bellezza diversa, impossibile scegliere quale delle tre era più bella. Non era bastato nemmeno il fatto che gli altri dei si fossero rifiutati categoricamente di scegliere, anche temendo la furia delle due dee perdenti. La sfida era stata lanciata e una delle tre l'avrebbe vinta, costi quel che costi. 

«Siete sicure di voler andare fino in fondo?» 

Una voce parlò dall'ombra dell'albero dietro di Atena.

«Certo fratello, è durata fin troppo questa disputa» affermò la dea saggezza voltata verso suo fratello.

«Hermes, figlio mio, hai portato ciò che ti ho chiesto?»

«Certo padre.»

Il messaggero degli dei uscì alla luce del sole che tramontava e si diresse verso Zeus, consegnandogli la mela d'oro. Hermes, nonostante la sua voglia di ridere e di commettere scherzi, era stato abbastanza serio e deciso sulla questione: era una grande sciocchezza che non avrebbe portato a niente di buono. Nonostante ciò, le tre dee lo avevano ignorato e fatto di testa loro. Fu Zeus, che dopo settimane di litigi e urla su l'Olimpo, decise che un mortale avrebbe scelto a chi donare la mela. Hermes in quelle tre settimane aveva deciso di stare il più lontano possibile dalle tre dee e, nonostante ci fosse riuscito, era riuscito a prendere un piatto d'argento in testa, tirato da Era contro Afrodite, si era trovato al centro di uno stormo di gufi comandato da Atena e, per finire, una freccia di Cupido lo aveva colpito ad una gamba. Tre settimane davvero disastrose. Almeno dopo oggi, la pace sarebbe tornata sul monte Olimpo. O meglio lo sperava. Zeus con il pomo d'oro in mano si diresse al centro della radura, fece comparire una teca e pose al suo interno la mela. Sei paia di occhi erano ora, fissi sull'oggetto in questione. Solo dopo che Zeus fu tornato al suo posto, ordinò al figlio di portare al suo cospetto Paride.

«Certo divino Zeus», e con questa frase Hermes si inoltrò negli alberi, fino a che la folta chioma castana non si vide più. Il silenzio che ora regnava nella radura era sovrannaturale. Non c'era più il vento che passava tra gli alberi e faceva aprire la tunica di Atena, gli uccellini che Afrodite fino a un minuto fa guardava, tacevano e gli occhi di Era non guardavano più le sue rivali. Solo Zeus sembrava l'unico rilassato in quel insolito gruppo. Per quanto un re degli dei possa esserlo. Fu quando sentirono le foglie scricchiolare che i loro occhi lasciarono la figura della mela. 

«Sta arrivando» affermò Hermes che stava in piedi dietro il padre. 

Quando Paride comparve, la sorpresa nel suo sguardo era evidente. Il principe perduto di Troia non era brutto, ma nemmeno una gran bellezza a causa di tutta quella sporcizia. Aveva ereditato gli occhi celesti da suo padre Priamo, aveva un bel fisico dovuto al lavoro di pastore, ma il suo volto era affaticato e creava delle brutte rughe di espressione sul suo viso giovane. "Che peccato" pensò Afrodite "se gli fosse data una bella pulita, probabilmente sarebbe così bello che potrebbe diventare un mio amante". 

Hermes si avvicinò al giovane, cauto e senza la sua solita espressione divertita. 

«Sei stato scelto per risolvere un dilemma» esordì il messaggero degli dei «queste tre dee che vedi al tuo cospetto, sono qui perché tu scelga fra di esse quale di loro è la più bella. So che è decisione difficile, ma quando avrai fatto la tua scelta dovrai donare alla fortunata quel pomo d'oro» concluse indicando la mela.

«La teca si aprirà solo con il tuo tocco giovane Paride, prendi una saggia decisione» dichiarò Zeus con voce profonda.

«Io, io non posso prendere una decisione di questo genere.»

«Dovrai farlo» lo interruppe Era con voce dura.

Paride spostò lo sguardo veloce tra gli dei presenti, pensando a come sarebbe potuto uscire da quella situazione.

«Lascia almeno che ci presentiamo» disse la dea della saggezza facendo un passo avanti.

«Io sono Atena, dea della saggezza, delle arti manuali e della strategia militare. Sono la figlia prediletta di Zeus e sua consigliera.»

Chi prese la parola dopo Atena fu Era, che si alzò dal suo posto e si diresse vicino a Paride. Quando fu a pochi metri da lui si fermò, si sistemò il mantello alla sue spalle ed iniziò a parlare.

«Io sono Era, dea dei matrimoni e del parto. Sono la figlia dei titani Crono e Rea, moglie di Zeus e regina dell'Olimpo. Sappi, inoltre, che sono una dea vendicativa.»

All'ultima frase Zeus con un sorrisetto sulle labbra, alzò gli occhi al cielo, ricordando cosa era successo alla sua ultima amante.

«Io sono Afrodite» disse la dea che, silenziosamente, si era avvicinata a Paride e che ora stava posando la mano sulla sua spalla «sono la dea della bellezza e dell'amore, nata dalla spuma del mare. Se mi donerai quel pomo d'oro, farò si che la donna più bella al mondo sia tua.»

«Afrodite!» tuonò Zeus, lasciando che un fulmine squarciasse il cielo.

«Non erano questi i patti.»

«Già, ma ora lo sono diventati.»

«Come vuoi tu Afrodite. Paride, in quanto dea della saggezza ti dono la saggezza e la strategia militare, in questo modo sarai invincibile e nessun guerriero ti potrà mai sconfiggere.»

«Queste sono solo sciocchezze rispetto a ciò che ti offrirò io. Ti offro ricchezza e potere, ogni popolo si inchinerà al tuo cospetto. Pensaci Paride. Non capita tutti giorni che la regina degli dei elargisca un dono simile.» 

Il povero Paride era accerchiato dalle tre e tutti in quella radura pendevano dalle sue labbra, non aspettavano altro che lui pronunciasse un nome.

«Dimmi Paride» riprese parola Afrodite «il potere e la saggezza sono doni incredibili e di grande valore, ma cosa ne farai di essi se non avrai amore nella tua vita? Se non avrai una donna con cui condividere le gioie e i dolori? Ecco che ti dico, che quei doni non ti serviranno a nulla se non avrai l'amore dalla tua parte che ti porterà gioia ad usare quei doni.»

«Afrodite basta così» interruppe Atena furiosa «stai rendendo ancora più complicata la scelta del mortale.»

«Ma io posso scegliere solo uno di questi doni?» chiese con sguardo basso il giovane.

«Sì, mio caro. Puoi scegliere solo un dono. Solo una di noi: o Atena o Afrodite o me.»

«Posso avere del tempo per pensarci?»

«Per lo Stige,  assolutamente no! Questa disputa va avanti da più di tre settimane e il palazzo su l'Olimpo sta diventando un luogo per gli incontri di lotta libera. Padre» disse Hermes voltando lo sguardo verso Zeus «questa scelta deve essere presa ora.»

«Hermes ha ragione. Non possiamo lasciare che l'Olimpo e i suoi dei cadano nel caos per questo litigio.»

«Hai sentito mio marito. Paride, è ora che tu prenda una scelta.»

Il sole era quasi completamente sparito all'orizzonte, pronto a lasciare il posto alla luna quando Paride parlò. Si inginocchiò di fronte alle tre dee e con la testa abbassata iniziò a parlare: «Mie dee, voglio che sappiate che tutte e tre siete estremamente belle, ma mi è stato chiesto di scegliere una sola di voi. La decisione per me è alquanto difficile, ma c'è un dono che una di voi mi ha promesso e che ho sempre desiderato. Afrodite, io scelgo lei. Per me è lei la più bella delle dee.»

Con un sorriso mieloso, Afrodite disse soddisfatta «Giovane Paride, non te ne pentirai.»

«Se ne pentirà eccome!»

«Era ti prego.»

«Non ci provare Zeus» disse rivolta verso il marito «avevo avvertito il mortale. Io sono molto vendicativa e ti pentirai amaramente della decisione che hai preso.»

E con un sorriso che non arrivava agli occhi, e che ricordava quello di una bestia che sta per mangiare la sua preda, Era se ne andò.

Paride si avviò verso la teca e al tocco della sua mano, quella si distrusse. Prese il pomo d'oro e lo consegnò ad Afrodite, che giuliva lo prese e lo strinse al petto come si fa con i bambini.

«Complimenti Afrodite» disse Atena con un cenno del capo.

«Ma come sorella, non sei arrabbiata per aver perso?» la canzonò il messaggero degli dei.

«Sono indignata per ciò che è successo, ma accetto la scelta del mortale. Sappi però, Paride, che un giorno avrai bisogno di aiuto e che due delle dee più potenti del l'Olimpo faranno in modo che quel l'aiuto non arrivi mai. Oggi hai fatto una scelta e nel futuro dovrai accettare le conseguenze di ciò che hai deciso.»

Finito il suo discorso, Atena si girò e si mise alla destra di Zeus.

Il padre prese la mano della figlia e, dopo essere guardati per una frazione di secondo, scomparvero con un lampo.

«Giovane Paride, non temere l'ira di Era ed Atena. Ci occuperemo dei problemi quando li avremo.»

«Come vuole, divina Afrodite. Quando riceverò il mio dono?»

«Tutto a tempo debito» e con quelle parole si allontanò da lui.

«Vogliamo andare mia cara?» chiese Hermes porgendo il braccio.

«Noto con piacere che il tuo sorrisetto è tornato sul tuo viso.»

«In caso contrario, sarebbe stata un'ingiustizia nei confronti dell'umanità.»

«Adesso non iniziare a parlare come Apollo», e con quelle parole Afrodite prese per il braccio il messaggero degli dei e, insieme, si avviarono verso gli alberi, sparendo. Adesso Paride era rimasto da solo al centro della radura. Ancora stentava a credere a ciò che era appena successo. E in futuro avrebbe continuato a stentare a credere che la rovina della sua città sarebbe stata causata da una maledetta mela dorata. Fu quando iniziò a lasciarsi la radura alle sue spalle che notò il cielo scuro, la notte era venuta e la luna ne era la regina. E mentre il povero Paride tornava nella sua capanna, una dea guardava felice la sua mela d'oro, mentre altre due aspettavano la giusta occasione per farla pagare a quel insulso e sciocco mortale. Solo non sapevano che una tale occasione si sarebbe presentata così presto.

 

 

 

 

 

 

 

Grazie mille a tutti quelli che sono arrivati fin qui! Se avete voglia o tempo, fatemi sapere cosa ne pensate. Adoro l'epica e mi ronzava nella testa l'idea di questa storia da già da un po', quindi mi sono detta: "perché no?". Ed ora mi ritrovo qui.   

 

Cassie.





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