Distracting Memories
Severus amava guardare sua madre sminuzzare radici o sbucciare semi,
assemblare piccole città di ampolle di vetro per distillare un filtro,
rimestare nel calderone contando sottovoce, aggiungere alle sue misture
gocce d’essenza e polvere fina, petali essiccati e ali traslucenti di
insetto.
Aveva sempre amato osservare sua madre preparare pozioni, da prima
ancora di imparare a parlare. Ma era da qualche tempo che aveva notato la magia, che
accompagnava tutti quei gesti: quella sottile e trasparente degli
ingredienti, che si mischiava al loro odore, e quella più forte degli
incantesimi veri e propri che sua madre usava di tanto in tanto.
Ultimamente per Severus era particolarmente eccitante vedere tirare
fuori il calderone, perché a volte sua madre lo faceva levitare dallo
scaffale in alto fino in centro al tavolo della cucina; poi accendeva
un piccolo fuoco magico sotto di esso, che scaldava il peltro ma non
anneriva il ripiano di formica, perché non si fidava del fornelletto a
gas del cucinino. O almeno così diceva al padre di Severus, quando lui
si lamentava che con tutto quel preparare di intrugli uno si sarebbe
aspettato che lei sapesse cucinare almeno un po’.
(“Ammettilo, che non hai mai imparato perché c’era qualcuno a farlo per
te. Dovevi essere una bambina terribilmente viziata,” rispondeva lui
con un sorriso storto.)
Una volta che la pozione era pronta, sua madre la raccoglieva in
ampolle o vecchi barattoli per conservarla o per trasportarla, spegneva
il fuoco e faceva scomparire i rimasugli sul fondo del calderone con un
Evanesco
pronunciato con decisione, e Severus sentiva un brivido dietro la nuca
come quando lei gli scostava i capelli dalla fronte e gli dava il bacio
della buonanotte.
Non si ricordava se era sempre stato così: aveva sempre osservato
rapito gli incantesimi di sua madre? Forse anche lui prima di compiere
cinque anni batteva le mani e rideva come il figlio dei vicini dal suo
passeggino quando vedeva un cane?
Be’, era troppo grande, ora, per fare smorfie e puntare il dito, e
sapeva che bisognava concentrarsi, quando si distillava una pozione,
quindi stava ben attento a non disturbare sua madre; ma non perdeva di
vista la sua bacchetta, durante le sue rare apparizioni.
Dopo aver assistito a qualche magia andava a rintanarsi in qualche
angolo tranquillo per pensare bene a quello che aveva visto e sentito e
provato.
“Quando avrò anch’io una bacchetta magica?” chiese a sua madre quella
mattina.
Lei si girò a guardarlo, abbassando per un attimo il lenzuolo che
teneva tra le braccia tese, facendolo strusciare sui resti di mattoni e
ghiaia del cortile posteriore. Lo risollevò di scatto con un ‘Oh!’
aspirato.
“Quando compirai undici anni e riceverai la lettera per Hogwarts,”
rispose continuando a stendere. “Andremo a Diagon Alley a comperarne
una.”
Severus sorrise al pensiero della grande scuola di Magia e Stregoneria
di cui ogni tanto sua madre gli raccontava quando erano a casa da soli.
(Una volte quelle erano le loro chiacchiere prima di andare a letto. Ma
poi una sera suo padre, appoggiato allo stipite della porta della
cameretta di Severus, aveva detto: “Giuro che non capisco se gli
racconti favole o la verità. A volte mi dà i brividi.”)
Severus stava ancora assaporando il pensiero di andare a scuola in un
castello magico e di tutto quello che avrebbe potuto imparare, quando
lo colpì un terribile dubbio: “Ma allora non potrò fare magie prima di
compiere undici anni?”
Era bello sentire la magia di sua madre, come scorreva simile al
fiumiciattolo in fondo alla strada e come gli formicolava sulla pelle,
ma Severus cominciava a sperare di poter fare lui stesso qualche
incantesimo!
“Certo che farai magie prima degli undici anni,” lo rassicurò
distrattamente sua madre. “I bambini lo fanno continuamente, si
chiamano magie accidentali. É il potere magico che si risveglia e si
manifesta. Ormai potrebbe accadere da un momento all’altro, hai quasi
l’età giusta. Qualche magia l’hai anche già fatta, quando eri molto
piccolo: stavi mettendo i dentini, eri così arrabbiato e piangevi tanto
da far spegnere e accendere le luci. Papà ha litigato con l’elettricista,”
raccontò, pronunciando con cautela la parola, come se non le fosse
troppo familiare. “Non è stato tanto contento. Ma io ne sono stata
felicissima, Severus,” concluse, sorridendogli.
Severus sapeva quindi ora con certezza che la magia era a portata di
mano e che avrebbe reso sua madre felice e, anche se aveva solo ‘quasi’
l’età giusta, era deciso a fare la prima magia di cui si sarebbe
ricordato.
Quel pomeriggio, dopo aver osservato la magia della bacchetta di sua
madre (che gli aveva persino permesso di toccarla e gli aveva spiegato
di cosa era fatta: “Olmo e crine di Unicorno. Il signor Ollivander me
l’ha passata al secondo tentativo e la scelta è stata fatta.”), si
nascose tra le siepi dei vicini per stare in pace e non rischiare che i
babbani lo vedessero (‘Niente magie davanti ai babbani’ era la REGOLA),
e si mise a riflettere su quale
sarebbe stata a sua prima magia.
Doveva essere qualcosa di bello e interessante: in fin dei conti, che
c’era di speciale nel far saltare la luce? Succedeva quasi ad ogni
temporale.
Severus studiò i cespugli di rose nel piccolo giardino dei vicini da un
punto in cui la siepe era più rada. Erano rosa pallido, quasi sfiorite:
di lì a poco la vecchia mamma della signora Reyes avrebbe reciso i
fiori appassiti.
Severus esitò: l’incantesimo del fuoco gli piaceva tanto e quasi gli
sembrava di sentirsi scaldare le dita a pensarci, ma dare fuoco alle
siepi e ai fiori dei vicini l’avrebbe solo messo nei guai.
(‘Niente magie davanti ai babbani’ era una regola, e ‘Non fare
arrabbiare papà’ era un’altra.)
Forse avrebbe potuto far tornare boccioli le rose, ma avrebbe fatto
piacere a sua madre? Non c’erano mai fiori freschi, in casa loro, solo
essiccati da usare come ingredienti per le pozioni.
O forse, al contrario, avrebbe potuto congelarli!
Allungò la manina per toccare una delle rose, ripensando a quando lui e
sua madre erano stati a Diagon Alley l’inverno precedente per far
visita a Mastro Loveley, lo speziale, per prendere dei nuovi
ingredienti e portargli le pozioni in barattolo.
Le feste erano appena passate e le strade e le insegne erano ancora
addobbate di ghirlande di stelle di Natale e fiori di ghiaccio, pigne
dorate e neve che brillava come il cristallo.
Nel negozio, dopo aver parlato con sua madre, Mastro Loveley gli aveva
offerto un biscotto con su un fiocco di neve di glassa scintillante.
Severus lo aveva mangiato curiosando attorno, perché sua madre aveva
incontrato delle streghe che conosceva.
(“Eileen, carissima! Che sorpresa, è così raro vederti a Diagon Alley,
o in un qualunque altro posto magico, di questi tempi! Con chi hai
lasciato il bambino? Spero che tu abbia qualcuno ad aiutarti, hai
l’aria stanca. Non è sfiancante quando non dormono?”
“Severus
compie cinque anni la prossima settimana, dorme da un pezzo. Ed è qui
con me, adora venire a Diagon Alley.”
“Oh, pensavo fosse rimasto con tuo marito, tra i babbani. Non sarebbe
più…prudente? Esporlo a tutto questo, quando non hai ancora la
certezza…”
“La certezza di cosa?”
“Be’, cara, che sia come noi.”
“È un Prince! Certo che lo è!”)
Severus aveva finito il suo biscotto ed era tornato accanto a sua madre
in tempo per lanciare un’occhiata alle altre due streghe, con i loro
mantelli vaporosi e i cappelli decorati quasi quanto le insegne delle
vie, prima che lei lo prendesse per mano e uscisse a passo svelto dal
negozio.
Severus sbuffò in mezzo alle siepi: la rosa non si stava congelando,
anzi si intiepidiva col calore della sua mano. La lasciò e si alzò in
piedi, dimenticandola all’istante. In fin dei conti i fiori l’avevano
sempre annoiato.
Alle sue spalle, la rosa tremolò e schiarì fino a diventare bianca: il
colore dello zucchero glassato.
Severus saltellò per lo squallido cortile posteriore calciando
ciottoli.
Quella giornata a Diagon Alley era proprio da ricordare, anche perché
non ce n’erano state altre, dopo. Quando lui implorava una visita nel
mondo magico sua madre tentennava.
“Tra qualche tempo, magari il mese prossimo, va bene?” rispondeva alla
fine e si affrettava a trovargli qualcosa da fare o un libro da
sfogliare.
Quel giorno di inizio gennaio sua madre aveva marciato con le labbra
strette e le guance rosse per qualche centinaio di metri, una volta
fuori dal negozio dello speziale, poi gli aveva gettato uno sguardo e
aveva sospirato, rallentando. Aveva lasciato la mano di Severus e gli
aveva messo un braccio intorno alle spalle.
“Non ci pensare,” aveva detto e lui aveva scrollato la testa, perché
non sapeva a cosa non avrebbe dovuto pensare.
Ma forse sua madre non parlava con lui.
Avevano continuato a camminare guardando le vetrine e la folla
indaffarata, fino a che sua madre non si era illuminata e lo aveva
trascinato in avanti: “Guarda, Severus! Un set di Gobbiglie natalizio!”
Lui aveva guardato la miriade di biglie colorate di rosso e verde con
piccoli abeti e pacchi regalo e pupazzi di neve disegnati sopra.
“Vieni, entriamo a vederlo da vicino,” aveva proposto sua madre con un
sorriso. “Guardalo, è stupendo! A casa da qualche parte devo avere
ancora il mio vecchio set dei tempi della scuola: bisogna che ti
insegni a giocare, prima o poi…”
“Temo non sia un gioco troppo adatto a un bambino,” si era immischiato
un commesso con un vago sorrisetto contrito.
Sua madre si era raddrizzata e allontanata dell’espositore: “No, certo.
Il liquido puzzolente…Ma è sicuramente più facile degli scacchi e molto
più divertente, secondo me.”
“Mi riferivo al rischio di soffocamento. Sa, sfere colorate, la tipica
cosa che un bambino piccolo potrebbe pensare di mettersi in bocca. E
questo ometto ha tutta l’aria di chi non direbbe di no a qualcosa da
mettere nello stomaco, eh?” aveva risposto l’uomo facendo apparire una
ciotola di caramelle e cioccolatini, studiando Severus, con la faccia
lunga di sua madre e le braccia e le gambe magre e sottili di suo padre.
Sua madre aveva stretto di nuovo le labbra, perdendo il sorriso.
Severus l’aveva imitata, ignorando i dolci che gli venivano offerti: “Io non sono mica
stupido. Forse sei tu che non dovresti tenere le tue caramelle vicino
alle biglie, per non sbagliarti.”
Sua madre aveva sgranato gli occhi, gli aveva piantato una mano in
mezzo alla schiena e lo aveva sospinto fuori dal negozio, prima che il
commesso potesse rispondere.
Subito si era coperta la bocca con la mano, ma gli aveva detto: “Non
sei affatto stupido. Sei il bambino più intelligente del mondo.”
Severus fece scivolare via il resto del pomeriggio impilando ciottoli e
facendoli cadere lanciandone un altro da lontano, dopo aver cercato
invano di farli levitare.
Il cielo era tanto azzurro da far male agli occhi e faceva troppo caldo
per scendere al fiume, fino all’albero mezzo morto coi rami che
sembravano gradini, quando lui aveva voglia di arrampicarsi, oppure
un’amaca, quando preferiva starsene comodo a guardare l’acqua sotto di
sé. Preferiva restare all’ombra della casa a cercare di fare magie.
Alla fine sua madre non gli aveva insegnato a giocare a Gobbiglie: gli
aveva raccontato le regole, ma non era riuscita a trovare il suo set
per farglielo vedere, così Severus non aveva mai visto una partita dal
vero, al massimo qualche foto sulla Gazzetta del Profeta quando c’erano
i tornei tra scuole. Ma di solito quelle foto erano piccole piccole,
non come quelle delle partite di Quidditch o i primi piani del Ministro
della Magia o quelle del Preside Silente.
(Le copie del Profeta erano rare e preziose, in casa. Sua madre lo
comprava solo ogni tanto, perché l’abbonamento era caro, e lo leggeva
quando lei e Severus erano soli. Lo divorava da cima a fondo, poi lo
rileggeva. Quando finalmente Severus poteva averlo era tutto
spiegazzato, tanto lo aveva stretto. Prima che suo padre rientrasse lui
doveva restituirlo e sua madre lo nascondeva dietro il mobile del
soggiorno.)
Abbandonò il suo gioco (e una torre di ciottoli che sfidava ogni legge
della fisica) al suono della sirena della fabbrica: era quasi ora di
cena e suo padre sarebbe arrivato presto. Rientrò in casa prima che sua
madre dovesse chiamarlo.
Mise i piatti e le posate sul tavolo, mentre lei finiva di cucinare.
Severus pensava che ci fosse un po’ odore di bruciato, ma sua madre
sembrava impegnata e lui non disse niente.
“Vai a salutare papà,” gli ordinò quando sentì la porta d’ingresso.
Severus ubbidì.
Suo padre si stava levando gli scarponi.
“Ehi, Sev,” lo salutò raddrizzandosi.
Sollevò una mano come se volesse scompigliargli i capelli, ma poi
sembrò cambiare idea e gli diede una stretta dietro la nuca.
Lui incassò la testa tra le spalle per il solletico.
“La mamma sta bruciando la cena?” gli chiese suo padre.
Lui annuì.
Suo padre alzò gli occhi al cielo: “Ma quanto diavolo sarà mai
difficile…Vieni, andiamo a fermarla. Eileen, per dio, qualunque cosa
sia, spegnila. Forse la salvi.”
Severus si sedette a tavola, mentre i suoi si salutavano sottovoce, poi
suo padre si sedette anche lui con il suo sorriso storto.
Sua madre aveva l’aria accaldata, quando li raggiunse con la cena.
“Forse ho un po’ esagerato la cottura,” mormorò posando la pentola in
mezzo al tavolo.
Severus allungò il collo, curioso.
Polpette! Decine di polpette di carne, lavorata in palline delle
dimensioni di grosse biglie. Erano un po’ grandi e po’ piccole e alcune
non erano neanche tanto rotonde, a dir la verità…Ma mentre Severus le
guardava divennero tutte uguali, colorate e scintillanti, rosse e
verdi, bianche e rosa pallido e qualcuna anche viola e oro.
La pentola scomparve e le polpette presero a rotolare per tutto il
tavolo come dotate di vita propria, mentre sua madre esclamava ‘Oh!’ e
suo padre imprecava spingendo la sedia lontano dal tavolo.
Poi una delle palline, questa azzurro cielo, rotolò fino a fermarsi
davanti a sua madre ed esplose schizzando dappertutto un liquido
verdognolo che puzzava di uova marce (l’odore più terribile del mondo,
secondo Severus).
Sua madre, che era riuscita in qualche modo a farsi scudo con un
tovagliolo, schizzò in piedi premendosi le mani sulla bocca: “Severus!”
Severus rimase a fissarla ad occhi sgranati, mentre suo padre tossiva e
cercava di scacciare quell’odoraccio agitando le mani.
“Si può sapere cosa diavolo hai combinato?!” ruggì.
Severus cominciava ad aspettarsi di essere sgridato e punito, finché si
accorse che sua madre si teneva le mani sulla bocca per trattenere le
risate, senza grande successo. Arrischiò un’occhiata a suo padre, che
sembrava completamente basito alla vista della moglie in preda a un
accesso di risa.
“Oh, Severus,” ripeté sua madre senza fiato.
“Bah, fumi mefitici e megere sghignazzanti! Halloween dev’essere
arrivato in anticipo!” esclamò suo padre, alzandosi e aprendo la
finestra.
Sua madre rise ancora più forte, lasciandosi ripiombare sulla sedia.
Severus la osservò stupito e felice, prima di rendersi conto che aveva
fatto una magia, la prima che fosse abbastanza grande da ricordare, e
quasi non se n’era accorto! Era successo troppo in fretta e lui non era
concentrato, in quel momento.
“Qualcosa non va?” chiese sua madre e lui mormorò il suo rammarico.
“Sei stato tu? L’hai…fatto apposta?” domandò suo padre avvicinandosi di
nuovo.
“È stato un incidente, Tobias, non può controllarlo,” rispose sua madre
a bassa voce. “Magie accidentali, Severus, ricordi?” aggiunse, ancora
più piano con un piccolo sorriso. Poi sollevò lo sguardo sul marito: “È
normale. È una cosa bella.”
“Be’, non proprio ‘normale’. E questo incidente ha ucciso la cena,”
rispose suo padre con un’occhiata contrariata a Severus.
Lui si fece più piccolo: era riuscito a infrangere entrambe le regole
in un colpo solo. Suo padre sembrava arrabbiato, o meglio, diffidente e
circospetto, come lo era Severus con i bambini più grandi del quartiere.
Ma sua madre si alzò ed esclamò, con tono che cercava di suonare
convincente: “Non era comunque un granché. Posso rimediare, posso fare
della pasta, quella di solito non riesco a rovinarla, non è vero? C’è
ancora del burro, persino…”
Scostò i capelli dalla fronte di Severus e gli diede un bacio.
Passando, si accostò al marito, posandogli una mano sulle braccia
conserte.
“Una cosa bella,” ripeté in un soffio, tanto che Severus la sentì
appena.
Suo padre la fissò per qualche secondo, poi alzò gli occhi al cielo col
suo solito sorriso storto: “Se lo dici tu. Sei tu la strega. Vado a
lavarmi. Vedete di non far scomparire i mobili, nel frattempo.”
Severus e sua madre rimasero soli.
Lei estrasse con cautela la sua bacchetta magica da un cassetto: “Penso
che barerò un poco. Resta tra noi?”
Severus annuì con occhi attenti.
“Vuoi aiutarmi a cucinare?” aggiunse lei sollevando un sopracciglio.
Severus saltò giù dalla sedia.
Non si sarebbe fatto sfuggire niente e la sua prossima magia, anche se
solo una scintilla, non lo avrebbe più colto di sorpresa!
Questo primo capitolo è stato scritto per il contest 'La
prima volta non si scorda mai' indetto da
blackjessamine sul forum di EFP:)
|