Vengo fuori
Diversità.
Imbarazzo.
Ti
trovi di fronte a una
situazione, reagiresti in un certo modo o diresti una certa cosa: le
gote infiammate,
non lo fai, perché sai chi hai intorno a te. Gente che si
crede tanto aperta,
magari, ma che – in buona parte – quelli come te li
considera sciocchi a prescindere,
ignoranti, indegni di essere considerati:
all’università, quantomeno, non dovreste
esserci. Si stupiscono nello scoprire che non è proprio
così.
Isolata
tra i tuoi
coetanei, non sei abituata ad esprimerti liberamente, oppressa dal
giudizio
impendente degli altri.
Sai
perché la parola con
cui ti definisci è associata all’ignoranza. Ne sei
tristemente consapevole, e
in parte capisci anche: come in qualsiasi
altro gruppo, ci sono estremisti che si allontanano anche di
molto dal
nucleo originale, persone che purtroppo sono quelle su cui
più cade la luce dei
riflettori. Persone che fanno perdere il rispetto dell’intera
categoria,
identificandosi nell’immaginario di chi non si preoccupa di
andare un minimo a
fondo con l’intero insieme, ben più variegato di
così. In ogni gruppo ci sono
persone che si ostinano a definirsi aderenti, fraintendendo
completamente quel
che dovrebbe essere il reale significato di esso.
Sei
abituata, comunque.
Vent’anni di vita ti hanno decisamente vaccinata, quasi resa
immune al diffuso
disprezzo per quelli come te: guardi e passi, se riesci neanche guardi
più. Fa
male, ma non importa – puoi capire.
Quando
la ferita viene da
persone amiche, però, fa molto peggio.
A
volte ti chiedi se ai
tuoi amici sia chiara la tua identità. Dovrebbero saperlo,
no? Forse non tutti.
Forse con alcuni non l’hai “sottolineato”
abbastanza – perché dovresti? –,
forse sono anche piuttosto distratti loro, sei certa di averlo
menzionato in
almeno un’occasione. Non è un segreto, anche se
non lo gridi al mondo.
La
ferita in questione viene da post
condivisi sui media: sciocchezze,
in pratica. Lo sai benissimo, che non li hanno condivisi pensando a te,
che non
si sono neanche sognati che una cosa del genere avrebbe potuto ferirti.
L’hanno
fatto “ingenuamente”, non è contro di te.
Eppure
fa male, fa così
tanto male vederti screditata da persone a cui vuoi bene. Da persone che sai che ti vogliono bene a loro
volta. Persone che però, evidentemente, non ti hanno mai
capita davvero.
Fa
male
che nel tuo paese, fra i tuoi coetanei soprattutto, si scherzi su e si
sminuisca
una parte così importante della tua identità,
quasi più per abitudine che per
altro.
Fa
male che anche persone
generalmente sensibili, attente a rispettare tutti –
com’è giusto che sia –,
nei confronti di persone come te non si pongano il minimo problema:
siete voi a
sbagliare, chi vi ha detto di essere così?
Inezie
del genere fanno
male, rendono più difficile mostrare chi si è
davvero.
Tuttavia
tu sai chi sei,
e non te ne vergogni. Non più. Sei più forte
delle maldicenze, non ti interessa
cosa pensa il mondo. Se vogliono etichettarti come folle, va bene.
Non
vuoi più doverti
vergognare di chi sei, di ciò in cui credi.
Perché non è giusto.
Ti
alzi, una nuova luce
negli occhi, decisa a non lasciare più che i pregiudizi
degli altri ti opprimano,
neanche se sono – o dovrebbero essere – tuoi amici.
Ti
affacci alla finestra,
la luce invade le strade. È bello.
«Io
sono cristiana».
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