Матрёшка
La
neve imperversa sulla pista di atterraggio di un piccolo aeroporto
secondario, non molto distante da San Pietroburgo. Le turbine del
velivolo immettono nell’aria gelida un rumore metallico,
mentre quei grossi fiocchi continuano a volare nell’aria,
imperterriti, saettando in ogni direzione.
Tre uomini si affollano attorno ad una grossa cassa di legno, mentre
una quarta persona si limita ad osservare la scena, a pochi passi di
distanza, stringendosi per bene nella propria giacca pesante.
Uno degli uomini affaccendati vicino alla cassa di legno solleva lo
sguardo con fare interrogativo, in attesa di delucidazioni.
«Allora? Che ne facciamo di questa?» domanda, a
voce alta, per sovrastare il ruggito del vento.
La quarta persona solleva le spalle, infilando le mani nelle tasche
della giacca. Non si meraviglierebbe se, da un momento
all’altro, finisse per morire di ipotermia.
«Portatela nell’hangar, assieme alle
altre» sentenzia la voce giovane della quarta persona, in un
inglese così perfetto da far sfigurare in pochi secondi
quello maccheronico dei tre addetti ai lavori.
Gli uomini annuiscono, dopo un primo momento di spaesamento, per poi
avviarsi a passo spedito verso la meta che è stata loro
indicata. Fortuna che quello è l’ultimo carico
della partita di merce arrivata, anche perché difficilmente
avrebbero potuto continuare le loro attività con delle
condizioni climatiche così avverse.
Kidou si sistema nuovamente la sciarpa di lana calda attorno al collo,
con tutto quel vento ha finito per sciogliersi. Le due
estremità del tessuto candido restano sospese a
mezz’aria ancora per pochi istanti, vibrando come se quello
fosse il loro ultimo respiro prima di morire. “Certo che fa
veramente freddo”, valuta tra sé il ragazzo.
Teme che, per quel giorno, i suoi compiti siano finiti, per cui si
appresta a raggiungere la macchina che lo attende,
all’entrata della pista, per riportarlo in hotel.
Non sa che, nascosta nel buio, c’è una quinta
figura che non smette di tenerlo sotto controllo.
Non era stato Kidou a scegliere di recarsi a San Pietroburgo. Suo
padre, convinto che il ragazzo dovesse cominciare ad acquisire maggiori
responsabilità all’interno dell’azienda
di famiglia, lo aveva spedito lì, al fine di seguire
l’andamento di quella partita di merce, oltre che ad
occuparsi di altre questioni più puramente burocratiche, una
volta ritrovatosi in ufficio.
Adesso, tuttavia, è sera inoltrata, e al ragazzo non resta
altro da fare che tornarsene nella sua triste e vuota stanza
d’albergo.
Yuuto si sfila la sciarpa, mentre l’elegante berlina nera che
suo padre ha messo a sua completa disposizione scivola tra le strade
del centro di San Pietroburgo. La neve, adesso, è meno
densa, e sembra essersi mischiata a una pioggia leggera. Il ragazzo si
ritrova a chiedersi distrattamente quanti gradi ci siano, là
fuori. Nell’auto, grazie a Dio, la temperatura è
ben più gradevole, tanto che per un momento è
tentato persino di togliersi la giacca. Alla fine però
decide di desistere da quell’idea, quella giornata
l’ha talmente prosciugato di ogni energia che anche un
semplice gesto come quello gli sembra un’impresa titanica.
Non vede l’ora di arrivare in albergo per farsi una bella
doccia calda, nella speranza che almeno quella riesca a restituirgli un
po’ di energie.
Kidou si volta di lato, mettendosi ad osservare il paesaggio che scorre
oltre il suo finestrino. Le vetrine sono illuminate a festa, mentre i
negozi traboccano di addobbi natalizi. Mancano ancora due settimane al
venticinque dicembre, eppure la corsa per i regali sembra essere
già iniziata. Per la strada una bambina stringe la mano
della madre, avvolta in un guanto pesante, nella propria, indicandole
una bancarella che vende bastoncini di zucchero, mentre un uomo vestito
da Santa Claus fa risuonare la campana che ha tra le mani e augura buon
Natale ai passanti.
In tutto ciò, Kidou fissa le decorazioni e la gioia dei
passanti con una certa apatia. Pensa al proprio, di Natale, e
d’improvviso gli viene una gran voglia di addormentarsi, per
risvegliarsi solo una volta che le festività saranno
definitivamente concluse. Ricorda a malapena i primi sei anni della sua
vita, trascorsi con la propria vera
famiglia, eppure tutte le memorie
che ha in merito sono sorprendentemente felici: lui e
Haruna che
addobbano la casa insieme ai loro genitori, l’apertura dei
regali, il giorno di Natale, ai piedi del loro modesto abete
sintetico…
Yuuto scuote la testa, ricacciando in fretta quei ricordi – e
le lacrime che avevano già cominciato a formarsi agli angoli
dei suoi occhi, maledette
– e tornando prepotentemente alla
realtà. Da dieci anni a quella parte, infatti –
vale a dire da quando era entrato a far parte della famiglia Kidou
– il Natale aveva perso sempre più il significato
che i suoi genitori gli avevano insegnato fin dalla più
tenera età. Il Natale era la festa in cui ci si ritrovava,
il momento giusto da passare con i propri cari per dimostrare
l’affetto che si prova nei loro confronti; per la famiglia
Kidou, invece, non era altro che un ennesimo pretesto per organizzare
cene di lavoro presso la loro abitazione, cogliendo al balzo
l’occasione delle festività. Gli addobbi erano
solo un modo come un altro per abbellire la villa, mentre il clima di
festa faceva in fretta posto ad un’atmosfera più
cupa e seria, perfetta per discutere i dettagli di qualche nuovo
investimento finanziario. Capitò addirittura, un paio di
anni, che Yuuto restasse da solo a casa, mentre entrambi i suoi
genitori erano fuori per lavoro. Le poche volte che erano riusciti a
sedersi attorno ad un tavolo, solo loro tre, l’unico rumore
che il ragazzo era riuscito a sentire era il cozzare del cucchiaio
d’argento contro la superficie del piatto in ceramica.
In fondo, Kidou non è poi così disperato al
pensiero di trascorrere quei giorni che precedono le
festività natalizie fuori città. Il ragazzo si
lascia sfuggire un sospiro pesante, nell’istante esatto in
cui la vettura su cui viaggia accosta nei pressi di un marciapiede.
Dalla parte opposta della strada, maestoso e sfavillante nel suo
candido lucore, un hotel dall’imponente ingresso in marmo lo
attende, il grande candelabro pieno di cristalli della hall che
s’intravede fin da lì.
Nel frattempo, lo chauffeur è sceso dalla vettura e, prima
che Kidou possa accorgersene, gli ha già aperto la portiera.
Yuuto trattiene tra le labbra uno sbuffo infastidito, quindi recupera
la sciarpa sul sedile accanto al proprio e si affretta a scendere
dall’auto, ringraziando velocemente l’uomo, per poi
allontanarsi in direzione dell’hotel.
Mentre sale su per i grandi scalini di marmo, il ragazzo intravede uno
dei facchini dell’hotel in cui alloggia andargli incontro per
tenergli aperta la porta a vetri dell’ingresso e deve di
nuovo trattenersi per non lasciarsi sfuggire qualche espressione fin
troppo colorita – e che ben poco si addice alla sua figura,
sempre così elegante e composta. Sfila in fretta attraverso
l’ingresso, ignorando il saluto che gli viene rivolto.
Non appena lo vede arrivare, l’uomo alla reception si
è già premurato di recuperare la card magnetica
della sua stanza.
«Ben tornato, signorino Kidou. È andato bene il
suo giro in città?» gli domanda il receptionist,
allungandogli la card.
«Sì, grazie, anche se mi è toccato
patire un po’ il freddo» ammette Yuuto, inarcando
appena le sopracciglia.
«Oh, in tal caso gradisce che le faccia preparare della
cioccolata calda?» propone l’uomo, con aria bonaria.
Kidou sembra rifletterci rapidamente su, mentre continua a rigirarsi la
card della sua camera tra le dita.
«Uhm, e va bene» acconsente infine, con un sospiro
esausto.
«Ottimo» sentenzia allora l’uomo dai
capelli bianchi come la neve che sta cadendo fuori di lì.
«Gliela faccio portare subito, allora. Lei nel frattempo
può accomodarsi tranquillamente qui nella hall.»
Kidou annuisce, per poi voltarsi e lasciarsi sfuggire un sospiro
sommesso. Inutile dirlo, avrebbe preferito di gran lunga poter
già salire nella sua stanza, tuttavia la prospettiva di
avere qualcosa di caldo da bere lo alletta fin più del
previsto, dopo aver trascorso tutte quelle ore al freddo e al gelo
– inoltre il buon sapore della cioccolata è un
peccato a cui la sua gola non riesce proprio a resistere.
Così, il ragazzo si sistema su un salottino poco distante, i
morbidi cuscini rivestiti da un tessuto scuro, un verde decorato da
ampi e ricchi arabeschi, tipici dei motivi damascati. A contatto con
quella stoffa, Yuuto sente i palmi delle mani screpolati quasi dolere
– non credeva di aver preso così tanto freddo.
Ripensa a come dovevano essere arrossate le sue guance, prima, alla
pista di atterraggio, punte dal freddo gelido dell’inverno
russo e dalla lana ruvida della sua sciarpa. Per non parlare dei
fiocchi di neve che gli si erano posati tra i capelli, sciogliendosi
solo una volta che si era infilato all’interno
dell’auto. Paradossalmente, apprezza ben più quel
clima rigido piuttosto del sole caldo dell’estate. In fin dei
conti, non è poi così dispiaciuto al pensiero di
trovarsi in Russia.
Yuuto getta uno sguardo di lato, perdendosi nel panorama che riesce ad
intravedere dalle ampie vetrate di quell’hotel situato nel
centro della città. Le luci dei lampioni stanno cominciando
ad accendersi proprio in quel momento, mentre centinaia di passanti
continuano ad affollarsi sui marciapiedi. Ormai è tardi, per
cui Yuuto immagina che siano quasi tutti diretti verso casa, dopo un
intenso pomeriggio di shopping e passeggiate.
Nel frattempo sente qualcuno avvicinarsi a lui con un leggero
tintinnio, segno che deve avere in mano qualcosa – il vassoio
con la sua cioccolata calda, presumibilmente.
«La sua ordinazione, signorino» lo richiama alla
realtà la voce di un cameriere, calma, pacata.
Yuuto sta giusto per voltarsi, ringraziare e recuperare la tazza con la
sua dolce bevanda calda, così lungamente agognata, quando
d’improvviso avverte comparire un altro peso accanto a
sé sul divanetto, mentre un braccio gli circonda in fretta
le spalle.
«La ringrazio! Già che ci sono, posso approfittare
per chiederle anche un bicchiere di brandy?» sente domandare
dalla voce accanto a sé.
Kidou s’irrigidisce di colpo.
Quella voce…
no, non può essere…
Yuuto si volta lentamente, attonito; teme che la sua mente
l’abbia ingannato – impossibile, sono passati sei
anni, sei lunghi, dannatissimi anni, eppure…
Eppure non potrebbe mai
confondere quella voce con
nessun’altra al mondo.
Eppure…
Come diavolo
è possibile che sia lì?
Lui… non sarebbe dovuto essere… non
era…
… morto?
Kageyama Reiji si volta ad osservarlo, quel ghigno affabile
onnipresente sul suo volto.
Kidou sobbalza appena, sbarrando gli occhi. Come diavolo è
possibile? Sente le lacrime sul punto di scivolare lungo le sue guance
candide, mentre combatte con tutto sé stesso contro
l’impulso di boccheggiare.
«Signorino, va tutto bene?»
Ancora una volta, la voce del cameriere lo distoglie dai suoi
impenetrabili pensieri. Yuuto allora si volta nella sua direzione,
dischiudendo appena le labbra – eppure sembra quasi che
nessun suono voglia uscire da queste ultime.
Kageyama si china in fretta verso il suo orecchio, mormorando con fare
seducente parole che finiscono per mandare ancor più in
confusione il ragazzo, anche a causa del modo in cui le labbra
dell’uomo gli sfiorano la pelle morbida.
«Fai finta che non stia succedendo niente, ragazzo»
gli consiglia infatti, con voce melliflua. «Dopotutto,
nessuno qui sa chi io sia.»
Yuuto deglutisce a vuoto, l’ossigeno che sembra essere di
colpo scomparso dai suoi polmoni. Si rende tuttavia conto che
l’ultima cosa che desidera è mettere in allarme il
personale dell’hotel, perciò suo malgrado
dovrà assecondare le parole di Kageyama.
«Tutto a posto, la ringrazio» risponde allora il
ragazzo, ostentando il miglior sorriso rassicurante che riesca a tirare
fuori in quel momento, le mani poggiate in grembo.
Il cameriere annuisce lievemente, per poi avviarsi subito dopo verso il
piano bar.
Con l’allontanarsi del giovane, Kidou si lascia sfuggire un
sospiro di sollievo. Kageyama, invece, continua a sogghignare,
sistemandosi meglio sul divano.
«E bravo il mio ragazzo» commenta di lì
a breve, senza spostare il braccio dalle spalle di Yuuto.
«Sei perspicace – come sempre,
d’altronde. Suppongo che non dovrei più stupirmi,
ormai.»
«Kageyama.» Un brivido attraversa la schiena del
ragazzo in maniera rapida, fugace, selvaggia quasi. «Che
diavolo ci fai qui? Tu… avevano detto che
eri…»
Kageyama soffoca una lieve risata, lasciando un paio di pacche su una
spalla del ragazzo, per poi lasciare definitivamente la presa sul corpo
di Yuuto.
«Con calma, ragazzo. Ci sarà tempo per ogni
risposta. In fondo, non sempre quel che si dice in giro è
vero, no?» Reiji continua ad osservare il ragazzo, incapace
di togliergli gli occhi di dosso. «Dovresti bere quella
cioccolata calda, comunque, non vorrei mai che il rigido inverno russo
la facesse raffreddare.»
Kidou abbassa lo sguardo sulla tazza di ceramica candida, abbandonata
sopra al tavolino che si ritrova davanti. Quando l’aveva
ordinata gli era sembrata un buon modo per combattere il freddo; ora,
invece, il sangue ha iniziato a pulsargli nelle vene a una tale
velocità che un discreto calore si è diffuso
all’interno del suo corpo.
Paradossalmente, non è arrabbiato con Kageyama. Certo, sa di
aver a lungo odiato quell’uomo, nel corso della sua vita, a
causa degli illeciti che aveva commesso. Spesso, purtroppo, perfino i
suoi amici avevano rischiato di divenire delle vittime innocenti lungo
il corso di quegli sporchi giochi. Eppure, alla fine, Yuuto era
riuscito a perdonarlo, con la consapevolezza che gli anni che avrebbe
dovuto scontare in prigione sarebbero stati la giusta punizione per le
sue pene. Peccato che, poco prima di raggiungere il carcere, un grosso
incidente aveva coinvolto il suo ex allenatore, che era stato
dichiarato morto.
Ora però era lì, che lo osservava con quel ghigno
onnipresente sul suo volto, pochi centimetri di distanza a separarli.
Yuuto afferra lentamente la tazza davanti a sé, lo sguardo
fisso e fiero che osserva qualunque cosa – la reception, il
tavolino, il vuoto
– pur di non posarsi su
quell’uomo.
Kidou non gli porta rancore – d’altronde sarebbe
sciocco, da parte sua – eppure non riesce a capire
perché sia ricomparso così d’improvviso
nella sua vita, dopo due anni in cui si era lasciato passare per morto,
né perché, tra tutti i momenti in cui avrebbero
potuto rincontrarsi, aveva scelto proprio quello della sua permanenza
in Russia.
Il ragazzo si porta la tazza alle labbra; prima di iniziare a
sorseggiare la sua bevanda, tuttavia, decide che è ancora il
momento per porre un’altra domanda all’uomo.
«Come facevi a sapere che mi trovavo qui?» mormora,
lasciando scivolare il liquido bollente e dal sapore di cacao
giù per la sua gola.
Reiji sorride, colpito dalla caparbietà dei suo ragazzo.
“Certo che non cambierai mai, eh, Kidou?” si trova
a domandarsi. In realtà è fin ammirato dal
comportamento della sua migliore creazione, per cui decide di stare al
gioco. Gli deve almeno un briciolo di spiegazioni, probabilmente.
«Oh, Kidou, dovresti conoscermi, ormai. Per me rintracciare
qualcuno è un giochetto da ragazzi, specie se quel qualcuno
sei tu.» Nel frattempo il cameriere li raggiunge nuovamente;
porge a Reiji un bicchiere di vetro gelido, contenente del liquido
ambrato e liquoroso, per poi tornare a sparire lungo la grande hall dal
pavimento marmoreo e circolare dell’hotel. Reiji prende un
piccolo sorso di brandy, poi continua a parlare. «Mi
è bastato fare un paio di telefonate, a dir la
verità. Certo, dichiarando determinate cose, sei anni fa, mi
sono fatto terra bruciata intorno, e dove non sono arrivato io ci hanno
pensato quelli per cui un tempo collaboravo. Fortunatamente, tuttavia,
sono ancora inserito in qualche giro – anche se non ne faccio
più parte. Ho degli amici che mi sono fedeli,
perché un tempo sono stato magnanimo nei loro confronti,
così mi è bastato rivolgere loro qualche domanda.
Non ci è voluto molto prima di scoprire che ti trovavi in
Russia per conto di tuo padre, al fine di seguire un carico di merce
giunto qui dal Giappone. A quel punto mi è bastato seguirti,
e così eccomi qua.»
Kidou si allontana per un momento la tazza dal volto, pensieroso. Sono
ancora troppe le cose che non capisce, e sa bene quanta influenza
abbiano ancora le parole di Kageyama su di lui. Anche solo trovarsi
così vicino a quell’uomo lo manda nella confusione
più totale, per cui sa bene che deve essere molto cauto.
«Continuo a non capire che bisogno avessi di venirmi a
cercare» si limita ad ammettere, scrollando le spalle con
quella che cerca di far passare come un’aria del tutto
casuale.
«Sono qui per parlarti, ovviamente. Dopotutto, ho sempre
trovato estremamente piacevole la tua compagnia, e di questo ne siamo
consapevoli entrambi. Insieme abbiamo fatto grandi cose, anche se tu ti
ostini a negarlo» gli rammenta Reiji, assumendo
nell’ultima parte della frase un tono quasi affranto.
«Però, se sei qui per seguire le indicazioni di
tuo padre, significa che, in fin dei conti, continui a proseguire lungo
la strada che un tempo avevo disegnato per te. Stai mentendo ancora una
volta, Kidou, in primo luogo a te stesso; si dà il caso,
tuttavia, che sia stato io a crescerti. Ti conosco meglio delle mie
tasche, ragazzo, non c’è modo in cui tu possa
ingannarmi.»
Yuuto solleva lo sguardo in direzione del soffitto, soffermandosi ad
osservare l’enorme e ricco lampadario che pende sopra le loro
teste. Doveva aspettarselo, come al solito Kageyama sta tentando di
confonderlo con le sue stesse parole.
«Potevi tranquillamente aspettare che tornassi in Giappone
per parlarmi. Inoltre, se sono qui è per restare il
più possibile lontano da casa mia. Diciamo che ultimamente
il rapporto con i miei genitori non sia poi così
idilliaco» si ritrova ad ammettere, suo malgrado. Eppure, sa
bene che, se vuole convincere Kageyama, sarà sfortunatamente
costretto a metterlo a parte di dettagli che preferirebbe nascondere
perfino a se stesso.
«Non essere sciocco, Kidou, non ti si addice. In Giappone mi
daranno anche per morto, tuttavia se qualcuno mi riconoscesse non
esiterebbero un secondo a scatenare contro di me una vera e propria
caccia alle streghe. Qui, invece, nessuno ha la più pallida
idea della mia vera identità, per cui non avrei potuto far
altro che cogliere la palla al balzo e seguirti fin qui. Se qualcuno ci
vedesse assieme, nessuno si insospettirebbe, cosa che invece accadrebbe
senza ombra di dubbio in Giappone, dove ci separerebbero
all’istante. Qui possiamo parlare nella
tranquillità più totale.» Kageyama
sorride, perdendosi ad accarezzare un lembo di pelle di Kidou, nella
parte subito retrostante l’orecchio, in cui la cute incontra
l’attaccatura dei capelli – è
così morbida, fin vellutata. «E poi
la Russia
è un luogo così affascinante, non trovi? Ora
però, se permetti, vorrei essere io a farti una domanda: se
il pensiero di parlare con me t’infastidisce così
tanto come stai vanamente cercando di dare a vedere, perché
sei ancora qui e non sei già corso a rifugiarti nella tua
stanza?»
Al tocco di Kageyama, Kidou finisce per trasalire, rabbrividendo
visibilmente. Ha ragione, non ha motivo di trattenersi lì
oltre, eppure…
«Perché anche io, a modo mio, avevo bisogno di
alcune risposte» ammette, facendo schioccare morbidamente la
lingua contro il palato. «E poi perché dovevo
ancora finire la mia cioccolata calda.»
Kageyama ridacchia – com’è
buffo, il suo
ragazzo, quando cerca di raccontargli scuse campate per aria.
«Andiamo, Kidou, se la tua irritazione nei miei confronti
fosse stata tale da impedirti di sostenere una conversazione con me te
ne saresti andato a gambe levate già da un bel
po’, preferendo rintanartene al sicuro nella tua camera da
letto piuttosto che sopperire alla tua necessità di sostanze
afrodisiache» lo provoca Kageyama, sogghignando –
se possibile – ancor più di prima.
A quell’ennesima frecciatina, Kidou reagisce in maniera
stizzita, alzandosi in piedi con uno scatto fulmineo, così
improvviso che finisce per far tremare il tavolino. Il ragazzo poggia
la tazza, in cui ormai è rimasta cioccolata calda per meno
della metà, su quella superficie vitrea tremolante, per poi
avviarsi con delle grandi falcate in direzione degli ascensori.
Kageyama ride, sempre più divertito dal comportamento
altezzoso di Kidou – non pensava che una velata allusione
agli appetiti sessuali del ragazzo potesse smuoverlo così
tanto, o forse sì. Si limita, ad ogni modo, a buttare
giù anche l’ultimo sorso del suo brandy, per poi
abbandonare il bicchiere accanto alla tazza di cioccolata calda e
seguire Kidou via dalla hall.
Lo ritrova poco distante da lì, in piedi davanti alle porte
di un ascensore, in attesa che arrivi al pianterreno. Reiji
può seguire benissimo fin da lì il percorso della
cabina, che si muove all’interno di una sorta di gabbia
dorata. È piuttosto lenta, ci metterà ancora un
po’ prima di arrivare.
«Saresti dovuto andare a piedi, avresti fatto prima, se la
tua intenzione è davvero quella di liberarti di
me» gli fa notare, un sogghigno divertito che gli spunta sul
volto, mentre s’infila le mani nelle tasche del lungo
cappotto che indossa, così da poterle tenere al caldo.
«È stata una giornata stancante, non ho le forze
necessarie per recuperare tutti quei piani di scale a piedi»
sbotta il ragazzo, con voce irritata.
«Cosa? Un giocatore di calcio a livello agonistico che non
riesce a fare qualche piano di scale a piedi?» Kageyama
poggia i palmi ampi delle mani sulle spalle di Kidou, ignorando il modo
in cui il ragazzo subito si irrigidisce. «Dovresti imparare a
raccontare balle migliori, Kidou.»
«Dovresti imparare a farti gli affari tuoi,
Kageyama» replica Yuuto, stille d’ira che danzano
nei suoi occhi.
«Oh, siamo aggressivi, stasera? Mi piace, mi piace davvero un
sacco» commenta Reiji, leccandosi le labbra, pieno di
aspettative.
In quel momento, l’ascensore li raggiunge, con uno
scampanellio vibrante. Le porte si aprono e Kidou si lascia scivolare
all’interno, senza cercare di affrettarsi. Sa infatti che
Kageyama troverebbe comunque, in un modo o nell’altro, uno
stratagemma, pur di seguirlo.
Yuuto preme il pulsante del suo piano, dopodiché
l’ascensore si chiude e comincia a salire. Il ragazzo
sospinge la schiena contro la parete vermiglia della cabina,
lasciandosi sfuggire un sospiro arrendevole.
«Non cerchi più di scappare?» Kageyama
lo osserva attentamente, dalla parte opposta, le braccia incrociate al
petto. Si trovano in uno spazio estremamente ristretto, e la tensione
tra di loro diviene sempre più palpabile ad ogni istante che
passa.
«Sarebbe inutile, non trovi?» Kidou abbassa lo
sguardo, un senso di consapevolezza che inizia a farsi strada dentro di
lui.
Ora che non ha gli occhi del ragazzo puntati addosso, Kageyama ne
approfitta per sogghignare, sempre più divertito da quella
situazione. Si avvicina a Kidou con pochi passi, una mano che subito
corre ad accarezzare il volto del giovane.
Yuuto asseconda morbidamente quel movimento, così, pochi
secondi dopo, si ritrova a sollevarsi in punta di piedi, le labbra
colpevoli che cercano quelle di Kageyama.
Non si sorprende di trovarle, di lì a poco. Reiji non perde
altro tempo per gustare quel sapore acerbo di gioventù,
mentre Yuuto, man mano che i secondi passano, diventa sempre
più irruento, affamato, non si era reso conto di aver
così bisogno di lui. Per due lunghi anni lo aveva creduto
morto, trovandosi d’improvviso costretto a dover rimpiazzare
una persona che da sempre era stata una colonna portante della sua
intera esistenza. Una presenza nociva, senza ombra di dubbio,
ciononostante sarebbe stato assolutamente impossibile negare
l’importanza che quell’uomo aveva da sempre
rivestito all’interno della vita di Kidou.
Ora però, finalmente, è di nuovo lì.
Ha così tante cose da chiedergli – ma, prima di
tutto, c’è quel bisogno irrefrenabile che implora
di essere soddisfatto con un’inarrestabile
necessità. Per questo affonda le dita tra i capelli
dell’uomo, stringendolo ancor più a sé,
approfondendo maggiormente il bacio di cui erano entrambi caduti
vittime.
Kageyama sogghigna impaziente contro le labbra del ragazzo, separandosi
appena da lui. Yuuto lo ha tormentato fino a quel momento, con tutta la
sua renitenza, per cui adesso può anche permettersi lo
sfizio di essere lui ad avere in mano le redini del gioco.
Reiji sorride, accarezzando il volto del ragazzo. «Che ne
dici di continuare questo discorso in camera da letto?»
domanda, mentre l’ascensore giunge finalmente a destinazione,
con un secondo trillo.
Kidou sorride a sua volta, di colpo sente una scarica di adrenalina
correre lungo tutto il corpo.
«Certamente, Comandante» acconsente, questa volta
con tono docile.
Il ragazzo si avvia fuori dall’ascensore, tenendogli la mano,
e Kageyama sa di aver vinto ancora una volta.
Furono baci, e furono
carezze, dolci come il miele, pronte a
rincorrersi lungo corpi nudi.
Furono lenzuola
attorcigliate alle membra stanche, per poi essere
rifugi sicuri, una volta che tutto si concluse. Furono ansimi e
sospiri, lasciati sulla pelle tremante di gole arcuate.
Kidou espira debolmente, lo sguardo puntato sul soffitto della sua
camera. Non riesce a prendere sonno, al contrario di Kageyama, che, al
suo fianco, è crollato addormentato, esausto.
Il lenzuolo purpureo gli copre parte del torace e arriva fin quasi alle
ginocchia, tuttavia Yuuto non ha voglia di sistemarlo meglio, troppo
esausto per darci peso.
Silenziosamente si rimette in piedi, stringendosi al petto quel mero
vessillo pur di coprire, seppur non del tutto, il proprio corpo.
Tutto sommato, non riesce a sentirsi in colpa per quanto è
appena accaduto, anzi, non può nascondere a sé
stesso di aver tratto un’abbondante dose di piacere
dall’intera situazione. C’è una parte di
lui, tuttavia, che continua a tornare con la mente alle scene che ha
vissuto fino a pochi minuti prima: non riesce a togliersi dalla testa
il modo in cui le mani di Kageyama hanno accarezzato temerariamente la
sua pelle, come l’hanno sfiorata, le dita pervase da un misto
di dolcezza e bramosia. Come quando finalmente ottieni qualcosa che hai
a lungo desiderato, eppure cerchi di non essere troppo brutale, per
paura che quest’ultima possa andare in frantumi da un momento
all’altro, per quanto è fragile e delicata, al
pari di una scultura di cristallo.
Al tempo stesso, tuttavia, Kidou riconosce anche a sé stesso
quel medesimo tocco affamato, con cui ha stretto a sé
Kageyama, inducendolo ad approfondire ogni singolo bacio. Riesce quasi
a sentire ancora la morbidezza setosa di quella chioma castana
ingrigita dal tempo contro il palmo della sua mano, i capelli finissimi
dell’uomo tra le sue dita – una sensazione cieca di
appagamento che gli martella le ossa al solo pensiero.
Nel silenzio e nella penombra della camera da letto, mentre Reiji
continua a riposare – un guerriero che trova finalmente la
pace che ha a lungo agognato, dopo tanto lottare – Yuuto
raggiunge la finestra della sua camera da letto. Il ragazzo si
attorciglia uno scampolo delle tende cremisi tra le dita, con aria
pensierosa.
Nella notte, tra la
quiete e l’indifferenza, la neve continua
a cadere.
▬
notes
Aehm. Salve. Probabilmente nessuno si
ricorderà di me – o meglio, io me lo auguro
fortemente, sia perché non sono affatto una persona
memorabile e sia perché oh, andiamo, cosa diavolo
bisognerebbe ricordare di me? –, in ogni caso hi,
sono sempre Aria, quella che fino a due anni fa rompeva le uova nel
paniere a tutto il fandom con la sua otp brutta e immorale. No, non
sono qui per rimanere, sono solo di passaggio anche
perché
visti i flame che girano su twitter non credo di essere la benvenuta
qui. Sì, li shippo ancora, btw. Ho allegramente
imparato a
fregarmene della maggior parte delle cose che dice la gente, so here I
am, a scrivere storie che poi non pubblico. Questo abominio
era nell’archivio del mio pc da anni, tra
parentesi, e mi sto decidendo a pubblicarlo solo adesso
perché da un periodo a questa parte sono in
blocco. Ahah, faccio schif.
Ah, già, parliamo al volo della ff. credo si intuisca, ma
è ambientata sei anni dopo la fine del FFI. Kidou ha deciso
di prendere in mano le redini dell’azienda di famiglia, e sta
cercando di immettersi nel business occupandosi di alcuni piccoli
incarichi che suo padre gli offre. Peccato che Kags si metta in mezzo a
rovinare le feste.
Oh, la Russia non era voluta, btw, ma adesso con Orion ci casca a
pennello. Sì, sto seguendo Orion. Sì, sono in
hype per l’episodio di oggi.
Buh, non credo di avere altro da dire – anzi, sì,
due cose. La prima è che probabilmente questa ff assomiglia
a Haunting come
se qualcuno la conoscesse ma la cosa non era
intenzionale, più che altro è la mia fantasia che
evidentemente, a un certo punto, deve aver raggiunto il suo limite. La
seconda cosa riguarda Dark Necessities again, so che non
avete idea di
cosa io stia parlando, ma fate finta che sia
così: non sono
più andata avanti con il seguito sì,
c’era un seguito. Non so se ci
riuscirò mai, ma
onestamente non ho molte speranze in merito.
Bene, adesso dovrebbe essere finalmente tutto, per cui fatemi scappare da questo posto che ho solo
brutti ricordi pls.
{okay, non è vero, su twitter ho incontrato gente carina
appartenente a questo fandom}
Grazie a chiunque leggerà e tutto il resto, anche se
onestamente spero che questa storia venga ignorata e finisca presto nel
dimenticatoio
Aria
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