wooden
Una gamba di legno di nome Smith
La mano del demone si allungò furtiva
sull'altro lato del letto e lo trovò vuoto, ma il proprietario non
si scompose minimamente: Aziraphale, quando non passava la notte a
dormire, gli faceva compagnia fino alle prime luci del giorno, quando
lo svegliava con un lieve tocco sulla parte del corpo più vicina a
lui e gli comunicava che sarebbe andato da qualche parte o a leggere
alle piante. Crowley impiegò qualche istante prima di ricordare che
l'aveva fatto anche quel giorno: gli aveva annunciato che sarebbe
uscito per un po' e che sarebbe stato di ritorno in tempo per
trovarlo di nuovo sveglio. Ricordò anche di avergli sorriso,
completamente vinto dalla delicatezza che l'altro gli riservava
sempre quando lo lasciava tornare al suo amato sonno. Quei sorrisi
erano rari e dettati esclusivamente dal poco autocontrollo che il
demone esercitava sui suoi muscoli appena apriva gli occhi dopo una
bella dormita. Aveva cominciato a sospettare che Aziraphale
approfittasse di quei momenti per rubargli delle reazioni poco
gestibili, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo ad
alta voce: finché l'angelo non avesse rivelato ad anima viva quelle
sue piccole debolezze, sarebbe andato tutto bene.
Dal chiarore della stanza dovevano
essere all'incirca le dieci del mattino. Crowley sbuffò un sospiro
annoiato prima di sistemarsi meglio sul materasso per cercare di far
scivolare le coperte più in alto sul suo corpo, ma capì ben presto
che stare sdraiato sulla pancia non era l'ideale per un'operazione
del genere. Rinunciò poco dopo accontentandosi di aggrapparsi al
cuscino con entrambe le braccia.
Non passarono più di cinque minuti che
venne interpellato dalla soglia della stanza.
«Crowley?» bisbigliò Aziraphale
pianissimo. Se fosse stato ancora addormentato, il demone non
l'avrebbe sentito.
«Mmm» fu l'unico suono che Crowley
riuscì ad emettere: tanto bastò per far alzare il tono di voce
all'altro.
«Posso entrare, caro?»
La richiesta fu così assurda per il
demone che dovette aprire gli occhi del tutto prima di aggrottare la
fronte, improvvisamente più sveglio di prima. Che razza di domanda
gli aveva posto l'angelo? Quella era la loro camera,
Aziraphale non aveva alcun bisogno di permessi speciali per
avvicinarsi al letto o a qualsiasi altro punto della stanza.
«Vieni». Avrebbe voluto fargli notare
la cosa, ma il sonno pesava ancora traditore sulle sue palpebre
perché potesse anche solo pensare di formulare a parole quella che
era stata più una sensazione che il frutto di un vero e proprio atto
di intelligenza. Si spostò automaticamente verso il centro
dell'enorme letto per dare la possibilità ad Aziraphale di sedersi e
si sforzò di voltare la testa per guardarlo negli occhi.
«Ti ho svegliato?»
Crowley scosse il capo come poté: si
stava solo godendo gli ultimi attimi di relax prima di alzarsi.
L'angelo sorrise e avvicinò lentamente due dita alla guancia del
demone in una lieve carezza che fece sussultare appena il rosso. Non
si sarebbe mai abituato a quelle tenerezze, lo sapeva, e, a giudicare
dal guizzo negli occhi di Aziraphale, lo sapeva pure il suo bastardo
aguzzino.
«Che c'è?» chiese, cercando di
suonare brusco o quantomeno annoiato dalle moine dell'angelo. Capì
di aver fallito miseramente nell'incrociare lo sguardo del biondo per
la seconda volta.
«Ho pensato che potremmo fare
colazione» cinguettò Aziraphale.
«Una vera
novità. Complimenti, angelo»
commentò Crowley, maledicendo i suoi tempi di recupero che non
gli
permettevano di suonare sarcastico al punto giusto – non che il
biondo fosse proprio un campione nell'individuarlo, ma per il
demone rimaneva comunque un vanto personale.
«Dove?» chiese, cominciando davvero a
riprendere coscienza del mondo e voltandosi finalmente a pancia in su
cercando di non avvilupparsi goffamente nelle coperte.
«Qui» rispose Aziraphale. «In casa»
precisò poi di fronte alla faccia stupita del demone. Ecco, quella
era una novità: in casa o in libreria bevevano e basta.
Probabilmente la più impegnativa sfida culinaria in cui si erano
lanciati era consistita nel mettere a bollire l'acqua per il tè o
nel preparare manualmente una cioccolata calda senza bruciarla nel
processo. In più, il palato di Aziraphale era fin troppo delicato
perché le banali confetture di Tesco1 potessero suscitare
in lui il benché minimo interesse, e la stessa cosa valeva per tutti
i prodotti dozzinali che la colazione poteva prevedere nel reparto
dedicato del supermercato.
«Sei sicuro?» chiese Crowley, più
sveglio che mai.
L'angelo annuì con vigore prima di
battere la mano sul materasso in modo definitivo. «Ti aspetto di là,
caro». Uscì prima che il demone potesse replicare alcunché e a
Crowley non rimase che alzarsi.
Non ci mise molto a rendersi
presentabile e a rinfrescarsi il viso per scacciare via le ultime
tracce di sonno, compreso il solco che il cuscino gli aveva
generosamente lasciato proprio sulla guancia che Aziraphale aveva
accarezzato – Crowley si disse che sicuramente l'aveva trovata
buffa.
La curiosità di vedere cosa l'angelo
si fosse fatto venire in mente superava l'odio per le sorprese alle
quali non sapeva reagire. Immaginava che Aziraphale avesse fatto un
giro in qualche forno squisito di sua conoscenza e avesse solo
apparecchiato una tavola invitante per sperimentare un po' di quella
domesticità con cui nessuno dei due aveva mai fatto i conti in
seimila anni. L'idea scaldava il petto di Crowley più di quanto
fosse disposto ad ammettere persino a sé stesso e si odiava non poco
ogni volta che sentiva una strana e fastidiosa fitta allo stomaco che
lo coglieva ad ogni santa nuova trovata di Aziraphale, ma
ormai aveva capito di non poter fare niente in proposito. Non si
stupì affatto, di conseguenza, di avvertire quella stessa tensione
una volta pronto ad unirsi all'angelo in sala o in qualunque altra
stanza dell'appartamento avesse scelto per allestire quel tavolo. Né
fece alcunché per reprimere lo stupido sorriso che gli era spuntato
davanti allo specchio mentre sistemava la collana: anche quello
faceva parte del pacchetto completo.
Stanza non era propriamente la
parola adatta per descrivere il luogo in cui Aziraphale si era
ingegnato a piazzare un tavolo per due: Crowley dovette aggrapparsi
al muro del soggiorno delle piante per non crollare a terra in preda
ad un mancamento.
«Che diavolo...?» sussurrò più a sé
stesso che ad Aziraphale, che lo guardava dall'altro lato della sala
godendosi ogni sua singola reazione.
«Non è possibile» disse Crowley a
voce più alta senza riuscire ad abbassare lo sguardo dal folle
prodigio che la sua mente faticava a comprendere. Perché sì,
Aziraphale aveva allestito un tavolo, ma aveva deciso di farlo nel
posto più improbabile di tutti: il soffitto. Le sedie fluttuavano
compostamente intorno alla sua circonferenza e, anche se Crowley non
riusciva a vederle, era certo che sulla tovaglia lilla vi fossero
tazzine e teiere e... cose, qualunque cosa fosse utile per una
stramaledetta colazione.
Fissò quella composizione assurda per
almeno tre minuti interi senza chiudere la bocca prima che la voce di
Aziraphale lo riportasse alla realtà.
«Lo so che non approvi,» ammise
l'angelo, trattenendo a stento il sorriso, «però mi è sembrato
infelice non provare nemmeno una volta una cosa divertente
come questa»
Crowley capì e si disse che
avrebbe dovuto prevederlo con largo anticipo. Quando aveva fatto
vedere Mary Poppins ad Aziraphale per la prima volta qualche
giorno prima, in effetti, l'angelo era stato così entusiasta durante
la sequenza del tè sul soffitto che il demone avrebbe davvero
dovuto immaginare che prima o poi avrebbero mangiato lì anche loro.
O quello, o saltare da un tetto di Londra all'altro, di notte,
ricoperti di fuliggine. Doveva ammettere che se il biondo lo avesse
posto di fronte alla scelta, non avrebbe davvero esitato a optare per
il pasto sospeso a mezz'aria.
«Non posso farti vedere un film che tu
fai questo?!» esclamò allibito Crowley.
Aziraphale piegò leggermente la testa
di lato e assunse un cipiglio vagamente altezzoso: il demone seppe
all'istante di avergli dato uno spunto per una replica che non
avrebbe ammesso obiezioni.
«Non credo di essere stato l'unico ad
aver tratto ispirazione dagli straordinari metodi di Julie Andrews. O
sbaglio, caro?»
Crowley arrossì di botto, ma non seppe
bene per quale ragione: sicuramente l'imbarazzo di essere stato messo
all'angolo influiva sul suo colorito, ma c'era anche una punta di
sfacciato orgoglio in quel rossore. Aveva insistito per vedere quel
film perché Aziraphale potesse notare le evidenti somiglianze tra la
tata della famiglia Banks e quella in casa Dowling. Si era ritenuto
un po' offeso quando l'angelo non si era degnato di fare nemmeno un
commento in tal senso, ma alla fine aveva scelto di non puntualizzare
e di discolpare Aziraphale dalla terribile onta di non averlo spiato
abbastanza quando aveva vestito i panni di Tata Ashtoreth. Quella
provocazione, però, cambiava tutto.
«Tu... Tu l'hai capito» dedusse,
incredulo e dimentico dell'ombra del tavolo sul
pavimento.
L'angelo sorrise teneramente. «Oh,
Crowley. Ma certo»
«E perché non l'hai detto prima?!»
indagò, suonando più acuto di quanto avesse voluto. Dal modo in cui
Aziraphale intrecciò le mani in grembo la risposta gli sembrò
ovvia: per tirare fuori l'argomento alla prima occasione utile per
ottenere qualche vantaggio personale, come quello di fargli mangiare
un toast con burro e marmellata sul lato sbagliato della stanza.
Crowley rilassò le spalle: riconosceva
una certa genialità perversa in quel comportamento e di sicuro gli
piaceva, anche quando a rimetterci la dignità era lui.
Gli si mozzò il respiro in gola quando
l'angelo riprese a parlare senza rispondere alla domanda.
«Credo che saresti stato una tata
perfetta se non avessi avuto il compito di indirizzare il giovane
Warlock verso il Male»
Lo sguardo che Aziraphale gli stava
rivolgendo era così dolce e amorevole che Crowley nemmeno si accorse
della portata del complimento, né si ricordò di inveire perché lui
era un demone e “tata perfetta” non figurava nella
descrizione dell'incarico. Deglutì cercando di far sparire la fitta
allo stomaco che era tornata a farsi sentire, ma il risultato fu così
scarso che decise di lasciar perdere subito.
«Ci accomodiamo? Vuoi?» continuò
Aziraphale, sporgendosi in avanti per richiamare una sedia dal
soffitto e indicare a Crowley di sedersi. «Potremmo volare fino a
lì, ma non credo che la stanza ci permetta di aprire e sbattere le
ali, perciò...»
Il demone recuperò l'uso delle gambe e
della parola. «Non aspettarti che mi metta a cantare, angelo, perché
non ne ho veramente intenzione»
Aziraphale rise. «Me ne farò una
ragione, caro»
Il demone fece per sedersi, ma il mezzo
giro su sé stesso gli fece notare per la prima volta le piante
intorno a loro. Storse il naso con disgusto e le indicò con la testa. «Devono proprio
stare con noi?»
Vide chiaramente il corpo dell'angelo
scosso da un improvviso tremito per il pronome che aveva usato e
Crowley ne fu spietatamente felice: non era giusto che fosse solo lui
ad avere ripercussioni fisiche quando si trattava della loro
relazione. Quella era la sua personale rivincita dopo tutto quello
che subiva giornalmente in presenza del biondo.
«È la stanza più bella» spiegò
Aziraphale dopo essersi ripreso. «E lo è grazie a loro»
Il demone aveva i suoi dubbi su quell'asserzione: soltanto
il giorno prima aveva trovato una foglia troppo mogia rispetto alle
altre e, senza farsi vedere dall'angelo, l'aveva sgridata a dovere.
Meritavano di rimanere sole per comprendere il rimprovero, altrimenti
così non avrebbero mai imparato, ne era certo, ma Aziraphale aveva usato il tono
impositivo con cui lo rimetteva in riga: a Crowley non rimase che
sibilare in direzione delle foglie più vicine e prendere posto sulla sedia
perché Aziraphale lo portasse a un passo dal soffitto con un
miracolo.
Alzò gli occhi al cielo nel vedere la
tavola per la prima volta: pasticcini, biscotti, pancake, muffin,
bacon, uova, caffè, tè e latte, più qualche sciroppo che Crowley
non perse tempo a identificare. La fitta non accennò a sparire
nemmeno quando si disse che tutto quello era una follia ridicola: se
possibile si intensificò quando Aziraphale lo raggiunse e cominciò
a servirsi delle varie prelibatezze.
Contro ogni previsione, il demone si abituò ben
presto alla sensazione di non avere la terra sotto ai piedi, e dopo
qualche minuto anche l'ondeggiare del tavolo passò dall'essere un
ostacolo per qualsiasi operazione che richiedesse l'uso delle posate
all'essere una piacevole culla per i movimenti di entrambi, nonché
un perfetto mescolatore automatico per il tè. Crowley smangiucchiò
qui e là sia i piatti dolci che quelli salati, ma il suo vero
godimento era un altro: il sorriso smagliante di Aziraphale ogni volta
che si guardava intorno e confermava a sé stesso di essere riuscito
a replicare una delle sue scene preferite di un film.
«Per scendere dobbiamo pensare a
qualcosa di triste?» chiese con sarcasmo Crowley quando furono
entrambi sazi e appagati.
Aziraphale rise. «Oh no, non credo che si debba arrivare a tanto»
Il demone scosse il capo sconvolto dal
fatto di aver davvero ricevuto risposta a una domanda retorica come
quella. Fece schioccare le dita e gentilmente persero quota fino a
toccare il pavimento senza alcun danno nemmeno per le porcellane.
L'angelo pose la mano su quella di
Crowley e lo guardò negli occhi con intensità.
«Grazie» fornì semplicemente, ma fu
abbastanza per mandare il demone in confusione.
Non gli venne niente di perfido da dire,
né di tenero. Con le parole non andava d'accordo: per lui sarebbe
stato tutto molto più semplice se fosse stato in grado di
trasmettere per via cutanea il caos di sensazioni ed emozioni che gli albergava
dentro ogni volta che Aziraphale agiva nei suoi confronti con quella
morbidezza. Questo gli avrebbe risparmiato i silenzi goffi con cui
generalmente cercava di mascherare i suoi sentimenti, ma purtroppo il
suo involucro mortale non gli permetteva di arrivare a tanto. Si
limitò, dunque, a catturare gentilmente la mano dell'angelo nella
sua, sperando che quello fosse sufficiente a dargli
un'idea di quello che provava.
«La prossima volta avvisami, però»
disse, sperando di apparire burbero. «Ho quasi avuto un infarto»
«Che esagerazione!» lo canzonò
l'altro. «E comunque... La prossima volta?». Aziraphale
strinse a sua volta la mano del demone e sorrise.
Sospirò e alzò gli occhi al cielo per
tenere alta la sua dignità di creatura malvagia prima di annuire:
purtroppo l'avrebbe davvero rifatto se fosse servito a vedere
Aziraphale così felice. Il tentativo di sembrare scocciato,
tuttavia, andò completamente in frantumi quando l'angelo si sporse
sul tavolino per portarsi le nocche di Crowley alle labbra e
depositarvi un bacio.
Prima o poi, il demone ne era
certissimo, sarebbe morto discorporato e sarebbe stata tutta colpa di
Aziraphale e delle sue smancerie. Quella mattina, però, Crowley si
limitò a stringere più forte la mano dell'angelo: non era ancora
giunta la sua ora di morire.
Note:
[1]: Tesco è una linea di supermercati
britannici.
Il titolo è una citazione a Mary
Poppins, nello specifico alla battuta: “Conosco un uomo con una gamba di legno di nome Smith”, “E come si chiama l'altra gamba?”.
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