Amata
immortale
Il soffio
del vento e il canto degli uccelli che provenivano dalla porta
scorrevole aperta erano suoni troppo dolci per potersi accompagnare
al suo stato d'ansia.
Aki si
alzò in piedi con gesti nervosi, provocando un fruscio del
suo
kimono blu che per un istante si confuse con i movimenti cadenzati
del braccio di suo padre mentre pacatamente srotolava l'ennesima
pergamena. Le sue orecchie sopraffine colsero questo connubio di
suoni impercettibile, e ne sarebbe rimasta piacevolmente estasiata se
quello scemo di suo fratello non si fosse avventurato chissà
dove -
e se lei non si fosse data pena per lui.
"Dove
si sarà cacciato, quello stupido?" mormorò -
più a se stessa,
a dirla tutta - e dato che sapeva perfettamente che la sua voce
poteva risultare alquanto indistinta per un essere umano, di certo
non lo era per suo padre.
Aki si
volse a guardarlo, come faceva sempre nel tentativo di trovare in lui
quella amata figura che le infondesse sicurezza e che condividesse le
sue ansie. Sesshomaru appariva così altero e tranquillo, ma
Aki
sapeva che quella calma estrema che suo padre indossava aveva un
significato opposto. Per quanto fosse in pena e per quanto la sua
aura lo dimostrasse, non avrebbe mai esternato le sue emozioni in un
atteggiamento colmo di tensione.
Lui
non lo farà mai. Non per Ryuu.
Aki
abbassò gli occhi ritornando sui suoi passi, alla tazza di
tè
precedentemente lasciata a metà su un tavolino semplice,
come
piacevano a lei. La afferrò con impeto, quasi scottandosi la
pelle
delle dita - perché avrebbe dovuto comunque esserci qualcuno
che
riuscisse a sfogarsi in quelle ore così critiche - e si
addossò
allo stipite della porta della villetta con la schiena: l'etichetta
di corte l'avrebbe irreprensibilmente costretta ad assumere una
posizione eretta, ma fortunatamente poteva concedersi il lusso di
assumerne una decisamente più sfacciata ed irriverente.
Principessa.
Quel
titolo nobiliare quasi la fece sogghignare. Per quanto effettivamente
lo fosse - sebbene per vie traverse a causa di una nobiltà
che li
voleva in loro pugno - in quei luoghi Aki non era una principessa, e
suo padre e suo fratello non erano né signore, né
principe.
Almeno
apparentemente.
Bevve un
sorso che la ristorò dall'agitazione soltanto in parte, e si
scoprì
grata nonostante tutto. Era contenta che suo padre si fosse
ritagliato un angolo al limitar del cielo per poter stare da solo con
la sua famiglia, in pace, in una magione interamente in stile
giapponese, attendendo che sua madre - era troppo strano chiamare
quella demone nonna - lo richiamasse alle armi in
caso di
attacco.
Si voltò,
ancora, guardandolo di sottecchi al tavolo, seduto di spalle su un
cuscino - una nuvola bianca e azzurra del colore degli hakama
sormontata dalla soffice coda sulla spalla nel mezzo di un cielo di
legno - intento a scrivere qualcosa che doveva essere una lettera di
risposta.
Ne aveva
ricevute più di una nell'arco di qualche giorno, e questo
traffico
spesso era indice di una guerra in corso, o che stava inevitabilmente
cominciando, e che presto o tardi lo avrebbe portato lontano da lei e
da suo fratello ancora una volta lasciandoli soli per anni. Forse per
decenni.
Aki non
era preoccupata del fatto che suo padre potesse rimanere ucciso in
battaglia - la sua enorme potenza innata e le sue abilità
acquisite
nel corso del tempo escludevano quella possibilità a priori
- ma
aveva paura che cercasse la morte con avido impegno senza porsi il
benché minimo ripensamento e la benché minima
domanda su come gli
altri avrebbero preso una faccenda così orribile.
Aki
ricordava
ogni singolo giorno di quella sera di venti anni prima.
Quella
battaglia
si era conclusa ormai da giorni, e dal momento che suo padre non
accennava a ritornare nonostante le avesse promesso di farlo il prima
possibile Aki era andata alla sua ricerca senza dire niente a zio
Inuyasha e a Ryuu.
Ne
aveva seguito
l'odore, addentrandosi laddove non avrebbe dovuto secondo i dettami
di Sesshomaru. Infine lo aveva trovato, solo, con
gli
abiti e l'armatura laceri, i capelli e la coda pregni del suo stesso
veleno e del suo stesso sangue, abbandonato addosso ad un albero con
sul viso accenni del suo aspetto demoniaco che testimoniavano
l'approssimarsi della morte.
Era stata
lei dunque a sorprenderlo, a riportarlo a casa con le sue sole forze,
ed era sempre stata lei ad aiutarlo a sganciare ciò che
rimaneva
della sua armatura, a preparargli un bagno e a liberare i lunghi
capelli dal sangue rappreso con le lacrime agli occhi e il cuore
gonfio di angoscia.
Era stata
lei, quella volta, a maledirlo mille volte per la sua espressione
pacata, disturbata probabilmente solo dal fatto di non aver raggiunto
il suo scopo. Ed era sempre lei quella costretta a mantenere quel
segreto tanto opprimente per non tradirlo in alcun modo.
“Non
dire niente a Ryuu.”
“E
tu promettimi che non ci riproverai.”
"Siediti,
e aspetta con calma."
Le parole
lente della voce grave di suo padre la riscossero immediatamente.
Probabilmente aveva intuito che si era lasciata andare
dall'agitazione: di sicuro aveva sentito il suo battito aumentare e
il fiume del suo sangue farsi più impetuoso; e aveva
ovviamente
attribuito quella tempesta di sensazioni a quella che oramai era
diventata una perenne rincorsa verso un fratello che spesso
Sesshomaru definiva idiota.
Non che
avesse tutti i torti...
"Ma
Ryuu..."
"Non
darti pena per quel mezzodemone" disse lui con una punta di
fastidio.
Aki
detestava quella parola, perché sapeva che suo padre la
utilizzava
in modo dispregiativo nei confronti di suo figlio, così come
un
tempo la utilizzava per il proprio fratello.
Ma ora
era diverso - doveva esserlo - perché
Sesshomaru dai
mezzodemoni ora ne era completamente circondato. E lei faceva parte,
di quella compagnia di mezzodemoni.
"Lo
sono anche io, mi sembra" replicò, assumendo il tono
più
piatto che poteva.
Amava suo
padre come amava respirare, ma non sopportava il fatto che lui
chiamasse suo fratello mezzodemone, soprattutto perché Aki
ricordava
- come poteva non farlo? - che c'era stato un tempo in cui lui e Ryuu
andavano d'accordo, in cui si allenavano insieme duramente: l'uno per
cercare di dimenticare che la sua compagna fosse morta, l'altro per
cercare di andare incontro alle aspettative paterne. Tutto questo
prima che Ryuu un giorno rifiutasse di partire con lui per una serie
di guerre senza speranza, preferendo andare in giro per il Giappone -
se non per il mondo - a sconfiggere demoni per poter rivaleggiare e
superare la forza di suo padre.
"Perdonami,
Aki" sospirò Sesshomaru, posando la penna nel calamaio.
La sua
preghiera semplice, quasi supplicata, fece sciogliere la rabbia
velata di Aki come neve al sole e le diede l'irrefrenabile impulso di
posare la tazza e abbracciarlo stretto. E lo fece, beandosi della
piacevole differenza fra la morbidezza della sua coda e la durezza
del suo petto.
Era bello
rifugiarsi nelle sue braccia quando era privo di armatura, ed ancora
più dolce percepire il suo naso insinuarsi fra i capelli
insieme
alle sue dita, perché lì c'erano i gesti che il
Grande Generale
Cane non riservava a nessuno e che non aveva mai riservato a nessuno
in passato, tranne che alla sua compagna perduta.
"Non
sopporto che tu ti dia così tanto pensiero."
Che
strana ironia, quella di sentirsi dire una cosa simile proprio da
lui, che si cibava di pensieri e ricordi come se fossero l'unica cosa
che potesse tenerlo ancora in piedi. Neanche questo le confidava, ma
Aki non si faceva di certo illusioni: Sesshomaru non sarebbe mai
riuscito a chiudere il suo capitolo di affetto e amore che lo legava
alla loro madre, anche se quotidianamente affrontava la vita con
quella serenità apparente di cui si era vestito.
Rivestito,
per essere chiari.
Inuyasha
e Shippo le avevano raccontato quanto Sesshmaru fosse crudele,
spietato, implacabile, folle, quando era alimentato dal fuoco
dell'ossessione prima che sua madre ancora bambina muovesse dentro di
lui un calore differente. E comunque, avevano precisato che era stato
un processo lento, che non aveva smosso del tutto l'atteggiamento di
sfida e superiorità che ancora esternava davanti a molti.
"Come
va con quel gioco indiano?"
La
distrasse, ancora una volta, ripescandola dal suo mare di empatia -
"Fin troppa", diceva lui - e riportandola sana e
salva in superficie.
Aki non
sapeva se ringraziarlo o rimproverarlo.
"Gli
scacchi? Sto imparando" osservò la ragazza, sciogliendo
l'abbraccio e portando gli occhi grandi e dorati verso la scacchiera
con una partita rimasta inconclusa. Non aveva più fatto una
partita
seria da quando Shippo se ne era andato, qualche anno prima. "Ma
Shippo è sempre in viaggio di allenamento, e se non
c'è lui a farmi
da valido avversario non posso chiedere a nessun altro."
Lo disse
alludendo esplicitamente a suo padre, ma avrebbe tanto voluto che
Shippo si fosse fatto vivo più spesso.
Era
sempre alle prese con i suoi esami per diventare un grande demone
volpe, ma Aki spesso aveva il sentore che si scordasse di lei. Non le
faceva mai recapitare neanche una lettera, eppure quella stupida
volpe sapeva che lei era lì ad attenderla solo per poterla
vedere e
giocare insieme, fosse anche una volta ogni tanto.
"Io
non ne sono in grado" disse lapidario, arrotolando la lettera e
riponendola in un astuccio di cuoio.
Non ne
hai voglia, più che altro.
Dopo la
morte della mamma ed in mancanza di Ryuu - lui era sempre fuori a
fare chissà cosa - Aki gli chiedeva spesso di prendere parte
ai suoi
giochi. Ma lui aveva sempre rifiutato, relegando le sue attenzioni
per lei verso una dimensione meno equivoca per la sua posizione.
Peccato che la corazza con lei non funzionasse granché, non
quando
le dedicava minuti interi anche solo per sentirsi vicini l'uno
all'altra.
"Ma
io non te l'ho chiesto!"
Gli fece
una linguaccia in segno di ironico dispetto, sapendo bene che il
padre in fondo apprezzasse il fatto che lei riuscisse sempre a
svincolarsi astutamente dai fraintendimenti che talvolta si creavano;
e lui in risposta le scompigliò i capelli bianchi con una
mano,
sorridendo leggermente.
"Saresti
un'ottima stratega."
"Detesto
la guerra, lo sai."
"Già,
proprio come tua madre."
Il cuore
di Aki perse di un battito, quasi ferocemente, come faceva sempre
ogni volta che dalle labbra di suo padre usciva un qualsiasi
riferimento alla mamma. Non perché non fosse felice che
Sesshomaru
non avesse dimenticato Rin neanche per un solo istante, ma
perché si
sentiva in qualche modo chiamata in causa per la sua forte
somiglianza con la madre al di là dei tratti demoniaci, come
le
orecchie da cane ad esempio.
Zio
Inuyasha lo diceva spesso.
"Mi
dispiace" mugugnò imbarazzata, mentre sentì delle
lacrime
pizzicargli gli angoli degli occhi.
"Per
cosa?"
"La
mia presenza ti ricorda troppo quella della mamma e ho paura che
questo ti faccia del male..."
"Quando
la smetterai di dire stupidaggini?"
Benché
visibilmente irritato dalla piega che aveva preso quella breve
conversazione, il suo tono non ricordava neanche vagamente un
rimprovero; e come a volere rimarcare il fatto che non fosse
arrabbiato le cinse le spalle con un braccio, accompagnandola
nuovamente sul suo petto. Aki stavolta si rannicchiò,
fiduciosa,
come faceva sempre da bambina.
"Era
da tanto tempo che non mi abbracciavi di tua iniziativa"
osservò
lei, cullata dall'odore caldo del padre.
Sesshomaru
non rispose - come sempre - ma replicò posandole un bacio
fra i
capelli e solleticandole piano il retro delle sue orecchie come era
solito fare quando era di ritorno dai suoi interminabili viaggi.
"Cos'era
quella lettera?"
"Una
risposta a mia madre" biascicò lui, evidentemente
contrariato
all'idea di avere a che fare con Inukimi, seppure per via epistolare.
"Una
nuova guerra?"
Aki lo
chiese con riverente timore, perché aveva passato tanto,
troppo
tempo in attesa di suo padre. Va bene, aveva anche sangue demoniaco,
perciò la sua vita era lunga e l'attesa non era tanto un
problema.
Ma quelle attese erano una delle più grandi sopportazioni a
cui era
costretta la sua giovane vita.
"No", ma ad Aki non sfuggì una
incrinatura nervosa nella solita cadenza
piatta - e non ci volle molto tempo per comprenderne la motivazione.
Improvvisamente
Aki sentì l'odore di Ryuu insieme a quello dello zio; ed
anche il
padre doveva averlo sentito, perché spezzò
bruscamente il contatto
con la figlia esattamente nel momento in cui lei si mosse per alzarsi
ed andare incontro ai nuovi arrivati.
Prima che
la ragazza potesse aprire la porta, una mano artigliata la
spalancò
con violenza mentre l'altra teneva suo fratello per la collottola
come un qualsiasi cucciolo di cane, senza contare che Ryuu sembrava
uggiolasse - come un qualsiasi cucciolo di cane.
Ma il
sollievo provato da Aki tenne poco conto di questi dettagli.
"Torna
dentro, idiota!" gridò la voce di Inuyasha.
Lo zio
scaraventò letteralmente Ryuu dentro casa, mentre al suo
fianco
Kirara si ritrasformava per poter entrare dentro l'abitazione
agevolmente.
"Sesshomaru,
un consiglio:
da' una calmata a tuo figlio, o
dovrò farlo io!" disse lo zio, e benché non fosse
nuova a
quella veemenza da parte sua, Aki trasalì ancora una volta.
Anche
Inuyasha aveva assunto un atteggiamento più duro da quando
zia
Kagome era morta.
Era
diventato freddo, scostante, e trattava i figli che gli restavano con
severo ma calibrato distacco; e se non ci fosse stata lei, l'unica
femmina di quel che restava della loro famiglia, avrebbe abbandonato
quel po' di gentilezza che ancora serbava nel cuore e che spesso era
ben disposto a donarle.
"Ryuu,
ma dove sei stato? Papà era molto preoccupato"
commentò la
ragazza rialzando il fratello in piedi. Nel sorreggerlo per un
braccio si rese conto che Ryuu aveva un graffio all'altezza dello
zigomo, ma non se ne preoccupò più di tanto:
sarebbe guarito nel
giro di pochi minuti.
"Davvero?"
Tagliente
come un rasoio, la voce tonante del fratello si propagò
nella stanza
con tutta la forza del suo timbro marcato. Aveva praticamente la
stessa voce di Sesshomaru, come se gliel'avesse sottratta con la
forza, anche se era piuttosto sfumata a causa della sua giovane
età.
"Da
quando lui si preoccupa per me?" proseguì sarcastico.
Aki
rimase interdetta dalle sue parole, ma non appena si voltò
in
direzione di suo padre percependo una sfumatura infastidita
aleggiargli intorno, si arrabbiò al punto da tirare al
fratello un
sonoro schiaffo sulla guancia, e fu un gesto così plateale
che
perfino Sesshomaru si voltò.
"Perché
parli così?" esclamò inferocita Aki.
"Sì, si preoccupa.
Per te, per me, per tutti quanti!"
Per
quanto volesse sembrare arrabbiata, non pensava che Ryuu ne sarebbe
rimasto impressionato. E difatti, l'unica cosa che fece Ryuu fu di
voltarsi in una direzione indefinita per non guardare in faccia a
nessuno.
Sesshomaru
aveva finito per diventare il demone più forte del mondo;
dunque i
suoi figli erano diventati delle prede ambite per chiunque volesse
piegarlo ai suoi favori. Questo significava vivere nel costante
pericolo di essere attaccati e rapiti, nel peggiore dei casi uccisi.
Certo,
suo padre non avrebbe mai permesso tutto ciò, e lei e Ryuu
erano in
grado di difendersi da soli con una sola sferzata delle loro unghie
affilate, senza scorte o cose del genere. Purtroppo però, le
assenze
prolungate di Ryuu finivano per impensierire lei e Sesshomaru,
soprattutto nei giorni in cui perdeva i suoi poteri demoniaci, e
spesso Inuyasha andava alla sua ricerca senza che il fratellastro gli
dicesse niente - per affetto o gratitudine nei suoi confronti,
pensava Aki - talvolta trascinando Kirara con sé.
Per
quanto riguardava i figli di Inuyasha, loro erano rimasti al
villaggio di Musashi, dove la loro madre era cresciuta insieme alla
zia Kagome e a tutti gli altri.
Loro
apparivano più grandi di lei, ragazzina poco meno che
centenaria -
essendo la loro vita più veloce a scorrere - ed erano adulti
ormai,
al pari di Inuyasha che compariva agli occhi come un giovane uomo.
Ma padre
e figli avevano finito con il dividersi anche a causa del clima di
ostilità degli abitanti nei confronti di Inuyasha. Invece di
vagare
da solo come aveva fatto dopo la morte di sua madre, suo zio aveva
deciso di dedicarsi a loro e a quel fratellastro maggiore con cui non
avrebbe mai avuto una intesa completa.
E non
c'era niente di strano, in tutto questo. Gli umani avrebbero definito
quella disparità qualcosa contro natura, che avrebbe portato
chissà
quali conflitti o digrazie. Ma Aki sapeva che le disgrazie erano ben
altre.
La loro
vita lunga, ad esempio, contro quelle dei propri cari destinate a
finire presto.
Ryuu
rimase in silenzio, incamminandosi nelle stanze più interne
della
magione cercando di fare più rumore possibile. Aki riusciva
a
percepire tutta la sua rabbia e l'imbarazzo dell'avere tutti quanti
contro, così lo seguì per potergli parlare con
più calma.
Udì
Inuyasha informare Sesshomaru di qualcosa riguardo a Shippo - forse
stava tornando, pensò contenta, ma non riuscì a
stare attenta - poi
i suoi passi e quelli dei suoi figli uscirono dalla porta.
NDA
Perché
mi devo
impelagare pubblicando quel che non dovrei pubblicare?
Perché
non
pubblico la roba ancora in corso?
Ma
soprattutto,
perché scrivo cose da “depression time”?
Boh.
Ah,
no. Aspè.
Perché
questa
idea è abbozzata nella pennetta della memoria da
più di un anno.
Piccolo esperimento, tutto qui. Volevo
capire cosa
sarebbe uscito dopo un secolo circa dal finale di Inuyasha dalla mia
mente malata.
Vi
dirò fin da
ora che sarà una sorta di mini-long (3 capitoli al massimo)
e
probabilmente non aggiornerò molto presto. Quindi non
preoccupatevi,
vi basterà uscire da questa pagina per ritornare con il
buonumore.
Non ho
ricontrollato, sennò non pubblicavo proprio. Sorry.
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