A luci spente

di Zena
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È buio.
La notte ha baciato quel corpo come un’antica amante, cingendolo nella gelida oscurità che avvolge quella camera.
È buio, e Ginevra vorrebbe urlare. Ma non un soffio – non uno – abbandona le sue labbra, mentre sfrega braccia e gambe contro le candide lenzuola dall’odore di cannella.
È buio. I suoi passi scricchiolano contro il pavimento di foglie, in una massacrante corsa che implora di non essere fermata. Le ombre color pece la stanno inseguendo, dispotiche, allungando le loro mostruose mani sulle sue caviglie ambrate nel tentativo di farla inciampare, di farla cadere: Andate via, le implora, Vi prego, andate via...
È buio, e anche questa volta il viso di Ginevra si scontra contro il terreno. Non importa quanto tenti opporre resistenza, non importa quanto si agiti, non importa se il suo cuore sembri sul punto di esplodere e non importa se implora pietà: loro, la pietà, non sanno nemmeno cosa sia.
È buio, e Ginevra si risveglia di soprassalto. Ma non un soffio – non uno – abbandona le sue labbra, mentre porta la mano ad asciugarsi un rivolo di sudore che rotola placido sulla guancia, pur non avendo mai abbandonato quelle candide lenzuola dall’odore di viltà.
O magari è solo una lacrima.





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