Undead World

di Lupoide
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La Tana era il loro rifugio, il loro posto sicuro, l’unico angolo di purgatorio in un mondo che attualmente bruciava come l’inferno. Per questo Freki ci teneva veramente tanto a mantenere un clima disteso e felice all’interno del centro commerciale. Più volte aveva fatto presente a tutti gli altri che ormai costituivano una piccola comunità, seppur formata da solo undici elementi e che pertanto erano tenuti tutti a creare un ambiente sereno evitando discussioni o liti per motivi banali. Non aveva mai imposto a nessuno di loro le sue scelte o le sue regole, eppure tutti lo trattavano come fosse il loro capo, probabilmente per via della sua attitudine da leader silenzioso e amichevole. Aveva sempre la battuta pronta per stemperare gli animi durante una discussione e appena riusciva a liberarsi da tutti gli impegni che la gestione della Tana, mutualmente assegnatagli, gli riservava, dedicava sempre del tempo agli altri, anche solo per rinfrancare l’umore dei suoi coinquilini visto che la situazione in cui vivevano portava molte volte sull’orlo del baratro della depressione.

 

Per quanto ne sapevano, potevano essere gli ultimi superstiti della razza umana in circolo, braccati ogni volta che uscivano dal loro rifugio dov’erano continuamente sotto assedio. Lo stress derivante da una condizione del genere esercitava una pressione tale sul sistema nervoso umano da portare molto spesso tutti ai limiti di una crisi di nervi, e lui lo sapeva bene.

Aveva visto tante persone negli ultimi anni entrare e uscire da quel rifugio sicuro, persone che lui aveva trovato durante le sue ronde di caccia, persone che erano riuscite a fargli pervenire un messaggio di aiuto tramite i mezzi più disparati, persone sfuggite alla follia che dilagava per le strade e che volevano sentirsi meno sole.

 

Ma lo stato di cattività non è adatto all’uomo, pertanto capitava spesso che le stesse persone poi decidessero di lasciare la Tana in cerca di una cura o di un posto migliore dove piantare la tenda, senza contare quelli che aveva visto morire durante i turni di caccia o quelli di guardia. Non gli sarebbero bastate le dita di tutti i presenti per contare gli amici che aveva dovuto seppellire.

 

Questa era solo una parte delle cicatrici che nascondeva dietro al suo sorriso il Malincomico.

 

Così lo aveva soprannominato Muninn quando erano lontani da orecchie indiscrete. Aveva sempre avuto il talento di riuscire a leggergli dentro, di captare quella malinconia che costantemente lo accompagnava in ogni suo gesto e che agli altri riusciva a nascondere dietro battute e alle moine che riservava per ognuno dei suoi.

 

Poteva darla a bere a tutti ma non a Mun la Cinica, quello invece era il soprannome che lui le aveva affibbiato così da poterle rispondere quando, raramente, si ritrovavano soli. Le aveva sempre tenuto nascosto il fatto che lui riuscisse a sua volta a vedere il velo della malinconia della rossa, come se gli spettri del loro vissuto potessero guardarsi vicendevolmente negli occhi e talvolta arrivare persino a tenersi per mano.

 

Scrollò la testa prima di alzarsi dal letto così da riuscire a togliersi quel momento di dosso.

 

Era ora di raggiungere gli altri sul tetto e finalmente dar loro il cambio.

 

Aveva organizzato tutto meticolosamente suddividendo la giornata in sei parti da quattro ore ciascuna e, ad ognuna, aveva assegnato tre persone per monitorare la situazione dal tetto e tenere d’occhio le immediate vicinanze del centro commerciale così da poter garantire sempre la sicurezza della Tana e tenere l’attenzione dei suoi compagni sempre alta.

 

La Caccia invece era un altro paio di maniche.

 

Era stato accusato più volte da Muninn di sessismo e cameratismo per questo ma lui non transigeva sul fatto che a uscire in cerca di scorte fossero soltanto gli uomini del gruppo. Fosse dipeso da lui in realtà se ne sarebbe occupato sempre da solo ma gli altri lo avevano più volte messo in mezzo e, a turno, avevano cercato di arginare la sua mania del controllo.

Così si erano spartiti i giorni da passar fuori in cerca di provviste di qualsiasi tipo, specialmente quelle alimentari che non bastavano mai.

 

Insediarsi nel centro commerciale era stata un’idea di Freki che sin da piccolo aveva avuto una vera e propria fissa per la sopravvivenza, tanto da predisporre un accurato piano in caso di situazioni analoghe a quella che stavano vivendo.

Il primo step prevedeva un isolamento completo a mo di quarantena nel box auto interrato di proprietà dei genitori, la spessa serranda metallica e il fatto che fosse due piani sotto strada lo rendevano il miglior luogo dove passare i primi giorni dell’epidemia e lui aveva sapientemente nascosto all’interno dell’armadio alcune provviste così da poterci trascorrere all’interno almeno un paio di settimane, senza tralasciare un fornelletto a gas da campeggio così da poter scaldare le razioni.

Una volta passato il periodo di isolamento il suo primo pensiero era stato quello di procurarsi un mezzo per spostarsi agilmente tra le varie automobili ferme in mezzo alla strada e da qui l’idea della moto, faceva troppo rumore e attirava l’attenzione dei dormienti per i suoi gusti ma era molto utile per tagliare la corda velocemente passando tra i vari rottami dei veicoli abbandonati.

Grazie al suo elaborato piano per la sopravvivenza era riuscito a organizzarsi subito dopo aver avuto la notizia del contagio così da mettersi in salvo e barricarsi all’interno del centro commerciale.

 

Ad oggi potevano vantare una situazione ai limiti dell’agio nella Tana ed era una cosa di cui Freki andava molto fiero essendone stato il principale fautore.

 

Scrollò nuovamente la testa come a ribadire ai suoi pensieri di lasciarlo in pace, non era il momento di auto-celebrarsi.

 

Si portò le mani alle tempie massaggiandole lentamente, era un gesto rituale prima di qualsiasi mansione che dovesse svolgere, aumentava la sua concentrazione focalizzandola su quello che doveva fare piuttosto che fare voli pindarici nei ricordi che spesso lo tormentavano.

 

Scattò in piedi battendo le mani così da darsi la carica necessaria per il turno di guardia che lo attendeva.

 

Si infilò nuovamente il giubbotto di pelle, cominciava a fare fresco, la primavera tardava il suo consueto appuntamento e il freddo ancora pizzicava la pelle e il cuore di ognuno di loro.

 

 

 

Prima di salire sul tetto e incontrare Muninn e Pitbull lì, Freki fece un giro di ricognizione tra tutti i negozi per sincerarsi delle condizioni di ogni singolo elemento del gruppo. Passando davanti il vecchio negozio di elettronica vide Axel seduto ad un tavolino con la testa tra le mani sicuramente intento nella progettazione di chissà che cosa per migliorare la qualità della vita nella Tana. Passò avanti senza fermarsi ma limitandosi a scuotere la testa sorridendogli seppure fosse passato inosservato.

Proseguendo passò davanti alla vetrina del negozio di videogiochi dove vide Pencil, in canottiera e mutande nel bel mezzo di una partita a Guitar Hero, indossava delle cuffie bluetooth e si muoveva a tempo con la canzone che stava eseguendo con la chitarra/controller mentre una sigaretta accesa in bocca rischiava di far cadere la propria cenere da un secondo all’altro rimanendo miracolosamente attaccata.

Freki si portò una mano alle tempie massaggiandosele leggermente per cercare di togliersi di dosso la rabbia che gli stava montando dentro. Come al solito Pencil stava dando fondo alle loro riserve di energia elettrica incurante dei bisogni degli altri, ormai aveva perso il conto di tutte le volte che glielo aveva fatto presente e di quante volte aveva ricevuto una risata e un’alzata di spalle come risposta. “Se devo morire in mezzo a questa merda allora lo farò facendo ciò che voglio” era un po’ un mantra del Pencil che continuava a ripeterlo ogni volta che gli si presentava l’occasione.

Entrò a passo spedito nel negozio e con un solo movimento spense lo schermo 58 pollici e la console di gioco.

- Ehi ehi ehi… - cominciò Pencil togliendosi le cuffie e facendo finalmente cadere la cenere a terra.

- Quante volte ti ho detto che rischi di farci rimanere tutti al buio?

- Oh ma andiamo bello, stavo per battere il record con Trough the fire and flames...ti rendi conto di quanto sia difficile quella canzone? Sono un sacco di note da acchiappare tutte insieme.

- N-O! Se mentre sto facendo la doccia dovessero esaurirsi le batterie dell’impianto ti verrò a fare il culo personalmente!

- Dai bello, solo un’altra partita – mentre diceva questo si buttò in ginocchio a mani giunte davanti a lui – cosa vuoi che faccia? Vuoi che ti succhi l’uccello per una partita?

- Smettila Pencil, ti ho detto di no...piuttosto passa da Juls e Mary, sono rientrato poco fa da una Caccia e sono riuscito a riportare un paio di bottiglie di vodka.

Lo sguardo del ragazzo in ginocchio si fece immediatamente serio mentre si alzava in piedi evidentemente interessato all’alcool.

- Ti avrei succhiato l’uccello per una partita a Guitar Hero...ti rendi conto in che mondo di merda viviamo ora? - disse sorridendo prima di lasciare Freki da solo nel vecchio negozio di videogiochi.

Si grattò la nuca espirando e inspirando rumorosamente poi un sorriso tornò ad illuminargli il volto.

- Coglione… - si limitò a dire prima di proseguire il giro.

 

Dopo i primi mesi passati all’interno della Tana, Freki avanzò l’idea che ognuno di loro prendesse un negozio e lo adibisse a proprio spazio personale, come fosse la propria camera all’interno di un appartamento. Tutto questo era diventato quasi necessario nel momento in cui la convivenza si era rivelata più dura di quanto pensasse anche in una situazione critica come quella che stavano vivendo. Così durante il giorno, sempre in funzione dei turni di guardia, ognuno aveva uno spazio suo dove star per conto proprio ed evitare invasioni della privacy da parte degli altri, per poi riunirsi al Refettorio per i pasti o al Dormitorio per dormire.

Quella era l’unica regola ferrea che aveva imposto agli altri prima di dividersi, i momenti di maggiore vulnerabilità andavano passati insieme. Così il bar del centro commerciale e il vecchio negozio di materassi erano diventati due spazi comuni, il primo unendo i tavoli era stato trasformato in una piccola mensa comune, il secondo invece era stato diviso con delle tende appese al soffitto con il fine di creare due zone, una dove dormivano i ragazzi e una dove stavano le ragazze invece.

L’altro ambiente che aveva ricevuto questa divisione per sessi era il vecchio spogliatoio per dipendenti del centro commerciale, il loro bagno comune praticamente, che già di suo presentava una costruzione in due ali, una femminile e una maschile.

La vita nella Tana era cambiata migliorando notevolmente quando si erano divisi così, le liti erano sempre più rare e ognuno aveva il proprio spazio dove raccogliere i suoi pensieri e lasciar libere le proprie emozioni, il tutto facilitato dalla presente delle vetrine che lasciavano vedere la maggior parte delle cose che vi succedevano all’interno creando contribuendo a creare comunque un collettivo dai singoli. Più volte era successo che Freki scoprisse qualcuno dei suoi a piangere scosso da ciò che li stava circondando e potesse entrare a dare supporto o una spalla ai suoi compagni.

 

D’altronde era il suo motto, citando il famoso dottor Jack Shepard in Lost: Si vive insieme, si muore soli.

 

 

***

 

 

Quando salì sul tetto non vi trovò soltanto Muninn e Pitbull, con loro c’erano anche Chika e Axel. Rivolse immediatamente un gigantesco sorriso alla giovanissima ragazza, l’ultima entrata nel gruppo. Si era unita a loro da neanche 10 giorni dopo essere stata trovata asserragliata all’interno di una scuola, i segni della malnutrizione e dell’abbandono erano ancora molto evidenti sul suo corpo e sul suo spirito. Parlava poco, probabilmente di suo era già molto timida prima che il mondo crollasse in preda agli infetti e sicuramente l’apocalisse non aveva migliorato la situazione, anzi l’aveva resa quasi completamente asociale e schiva.

 

La cosa che faceva sorridere di più Freki era la facilità con cui arrossiva quando le veniva rivolta la parola.

 

Non sapevano ancora come avesse fatto a sopravvivere così a lungo da sola e lei si rifiuta ineluttabilmente di parlarne. Quando le veniva posta la domanda sembrava cadere in una sorta di baratro, gli occhi smettevano di guizzare e si fissavano irremovibilmente su un punto mentre con la mente ripercorreva chissà quanti ricordi dolorosi. Eppure aveva ancora quel barlume di innocenza e gioia di vivere che le si accendeva nello sguardo.

 

In poche parole Freki la adorava, non c’era momento in cui non la cercasse con lo sguardo in maniera da poterle offrire protezione, anche dalle parole dure e sgraziate di Pitbull o dalle occhiate lussuriose che le riservava Pencil.

 

Le si avvicinò lentamente in maniera da entrare nel suo campo visivo e farsi notificare come una presenza sicura, aveva le braccia incrociate sotto il seno piccolo e grazioso, un’espressione assorta mentre si mordicchiava un’unghia e le spalle leggermente contratte in modo da combattere il freddo che sicuramente stava patendo in quel momento. Senza dire una parola, Freki si sfilò la giacca e gliela posò sulle spalle, poi le cinse le spalle con un braccio.

Un abbraccio spontaneo, il calore del suo corpo le sarebbe stato trasmesso dall’indumento che le aveva poggiato addosso ma fu l’affetto contenuto in quel piccolo gesto di premura a riaprirle il sorriso.

 

- Fa freschetto stasera… - le sussurrò nell’orecchio facendola voltare verso di lui, dopodiché, una volta certo del contatto visivo, le fece l’occhiolino e la strinse un po’ di più prima di accovacciarsi vicino a Pitbull che si trovava come al solito sdraiato a terra e con il fucile montato sul treppiedi che volgeva verso l’orizzonte.

 

- Com’è la nottata? - chiese assestando una pacca sulla spalla del Guardiano.

 

- Piuttosto tranquilla, c’è un cazzo di branco che orbita attorno alla piazza ma per il momento non sembrano interessati a noi. - asserì Pitbull raddrizzandosi lentamente fino a riportarsi in una posizione eretta. Mentre faceva questo, Freki distinse nettamente il suono delle ossa che scrocchiavano e scricchiolavano dando prova delle ore che aveva passato in quella posizione.

 

- Bel concerto di nacchere, vatti a riposare. Qui ci pensiamo io e Muninn adesso.

 

Pit sorrise e annuì in risposta mentre cercava di fare un po’ di stretching e, magari, riprendere almeno parzialmente una mobilità decente, poi ricambiò la pacca sulla spalla e scomparve dietro la porta che l’avrebbe portato al Dormitorio.

 

In quel momento Axel gli si avvicinò con le braccia conserte e fissando l’orizzonte disse:

 

- Fre...ho parlato con Muninn…

 

- Tu? Parlato? Addirittura?

 

Un sorriso gli si aprì sul volto mentre scrutava nel buio.

 

- Sì, addirittura. Vuole che ti faccia un po’ di pressione affinché possa uscire anche lei in Caccia.

 

- Mmm…

 

- Siamo stanchi e tu in particolar modo, dobbiamo dare a tutti la possibilità di darci una mano.

 

- Se sei arrivato addirittura tu a parlarmene sembra che la cosa sia più seria di quanto immaginassi, forse mi conviene veramente valutare la cosa…

 

- Cerchiamo solo di dare una mano, ognuno come può e Mun non è una sprovveduta. Sa muoversi per le strade di Roma almeno quanto te, sa difendersi dai contagiati e sa dove rimediare provviste, in fondo lo sai anche tu che per lei non costituiscono una grande minaccia. Potrebbe aiutarci veramente…

 

- Facciamo così, domani la porterò con me quando uscirò per la Caccia e vedrò come si comporta...anzi ti dirò di più, invece della Hornet prenderemo il Doblò così che possa venire anche Chika con noi...le farà bene uscire un po’.

 

Axel si girò verso l’amico guardandolo con fare interrogativo.

 

- Dico...cosa ti è successo, Freki? Sei così razionale questa sera…

 

- Nostalgia credo...il fatto di rendermi conto quanto siamo mortali? Può essere...o forse sarà semplicemente che stasera in fondo mi sono divertito mentre ero in giro...però se devo scommettere su qualcosa direi che è perché Mun mi ha talmente rotto le palle su questa storia che non ho più voglia di dire di no…

 

- Wow…sono quasi offesa – si intromise tra loro senza alcun riguardo, quasi facendoli saltare dallo spavento, tipico comportamento della rossa.

 

- E io quasi stufo, domani usciremo in tre, al massimo avremo due paia di braccia in più per portare provviste.

 

- Ehi, Axel, hai sentito il capo? Domani mi porta a cena fuori, dovrei sentirmi lusingata secondo te?

 

- Oddio, si porta anche la piccola appresso...sarà più una gita di famiglia. Una sorta di week end al lago ma senza lago...e senza week end. - le rispose l’uomo alzando un sopracciglio per sottolineare la sagacia della battuta appena fatta.

 

Come suo solito Chika arrossì sentendo la parola “piccola” accostata a lei, nutriva una profonda stima per Axel e forse ne subiva un po’ il fascino, cercò di nascondere il rossore portandosi i capelli

a coprire il volto.

 

Dall’esterno sembrava il classico quadro da sit-com americana di cui loro erano i protagonisti che, per una serie di strane coincidenze, si trovano a dividere lo stesso appartamento. Solo che qui la vita di tutti quanti era costantemente a rischio, la disperazione all’ordine del giorno e questi brevi intermezzi di serenità erano l’unica cosa che tenesse la loro sanità su un livello di normalità.

 

Nessuno di loro avrebbe potuto presagire cosa avrebbero dovuto affrontare di lì in capo a pochi giorni.

 





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