Ever in your favor

di iron_spider
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Capitolo 15: Giochi peggiori a cui giocare

(parte 2)
 


Peter guarda Tony, e Tony lo guarda di rimando. Peter è preoccupato per lui, per il reattore arc, per il suo stato mentale, e capisce che si sta sentendo in colpa per aver anche solo esternato le proprie paure, temendo chiaramente di metterne altre sul suo piatto. Lui invece è contento che l’abbia fatto, che le stia condividendo. E forse il fatto che nessuno di loro due sia realmente in grado di affrontare la situazione lo fa sentire un po’ meglio, ma sa anche che al momento ha inquietudini diverse da quelle di Tony. La partenza di Janet, la reazione di lui e MJ a quel fatto. Cosa potrebbe accaderle. Se dovrebbe prendere in considerazione anche lui l’idea di andarsene. Per combattere. È forte, e sarebbe d’aiuto. Ma ne è terrorizzato.

Il mondo sta tremando.

Il giorno dopo, Yinsen visita Tony e lo dimette con titubanza dalle proprie cure, ed è allora che Peter intuisce che Tony è ancora in ansia per i suoi nuovi poteri e tutto ciò che comportano. È un qualcosa che nessuno riesce a spiegarsi, ed è sicuro che, prima o poi, Capitol e il Tredici, magari entrambi, finiranno per disseppellire i dettagli di ciò che gli hanno fatto i suoi genitori. Magari tentare di emularlo.

Peter dice a Fury che è pronto. O meglio, vede Frank nell’atrio con Karen Page, rimane a bocca aperta per un paio di secondi, e poi gli urla di dire a Fury che è pronto prima che le porte dell’ascensore si chiudano. E Frank lo fissa come se fosse impazzito.

“Quel tipo non mi convince,” dice Tony, mentre dà un pugno al tasto del loro piano per portarli giù nelle palestre. “Lui e Bruce erano gli unici a sapere quello che avevano fatto i tuoi genitori, e ti hanno comunque fatto attraversare l’inferno.”

Peter ha fin troppi pensieri al riguardo, ma le sue sofferenze personali sono alla fine della lista. Non gli piace che May, Tony e Ned abbiano sofferto nel guardarlo. Non gli piace che gli altri abbiano sofferto mentre aspettavano che tornasse. “Beh, è servito al suo scopo, credo,” dice Peter.

“Sei un essere umano,” replica Tony, lentamente, fissandolo. “Ti hanno usato, e a me non sta bene.”

Peter sorride tra sé, abbassando lo sguardo. “Allora siamo solo pedine in un altro gioco, eh?”

“Spero di no, cazzo,” ribatte Tony, con un verso seccato. “A meno che non possiamo davvero vincerlo. Ma non permetterò a nessuno di loro di fare altre stronzate simili con te. Permesso negato.”

“Adesso ho qualche meccanismo di difesa abbastanza efficiente,” replica Peter, quando si aprono le porte. Vorrebbe mostrargli cosa sa fare, anche se c’è ancora una sorta di paura a inquinare i propri movimenti e le possibili conseguenze.

“Bene,” dice Tony, mentre si incamminano lungo il corridoio. “Cominciamo ad affinare queste abilità.”

Devono fornire le loro impronte digitali quando entrano nella palestra, e Peter si chiede per un istante se negheranno loro l’accesso. Ma le porte si aprono dopo averli scansionati entrambi, e lui non riesce a smettere di confrontare ogni singolo aspetto del Tredici con Capitol. Niente gli ricorda il Dodici, come aveva pensato all’inizio, e conclude che il numero di profughi di Capitol negli alti ranghi abbia avuto un’influenza sulle ricostruzioni una volta che il Tredici si è spostato sottoterra.

“Oh, buon Dio, qui hanno il caffè,” dice Tony, affrettandosi verso una macchinetta nell’angolo. “Non pensavo mi sarebbe mancato così tanto.”

Quel posto somiglia a una versione migliorata delle palestre a Capitol, con attrezzi ginnici e più proiettori di simulazioni e palmari olografici. Hanno ogni sorta d’arma negli armadietti che delineano le pareti, e non ci sono telecamere. Da nessuna parte. Peter ci fa veramente caso solo in quel momento, e realizza che quel tempo appartiene finalmente a lui, per tutto ciò che intende e vuole farne. Nessuno d’indesiderato lo sta guardando. Non è più una gara.

“Hai il permesso di bere caffè?” chiede Peter, osservando le pareti imbottite, mentre si china per togliersi le scarpe. Le mette da parte, tira fuori di tasca gli spara-ragnatele e li indossa. Non gli rimane molto fluido, ma ha abbondanza di materiali per farne altro qui.

“Se ho il permesso,” sbuffa Tony con scherno, e Peter sente la macchina del caffè che si mette in moto.

Continua a pensare al reattore arc di Tony come se fosse il suo cuore messo allo scoperto, e dovrebbe piantarla. “Ma... non saprei, se uh, per la tua salute…”

“Il caffè non mi ha mai tradito e non penso comincerà a farlo ora,” ribatte lui. “Te ne faccio una tazza. Non so perché non abbia cercato di fartelo bere a Capitol.”

Peter l’ha solo bevuto una o due volte in passato, con May, e non ha cuore di dirgli che non è esattamente di suo gusto. Risucchia un respiro guardando il muro, fa un saltello e scatta in una corsa verso di esso, rimanendovi attaccato e correndo fino al soffitto.

“Porca troia,” sbotta Tony, alzando lo sguardo verso di lui ad occhi spalancati.

Peter preme i palmi sul soffitto, gattonando più al centro, poi vi preme le piante dei piedi, lasciandosi penzolare. Rimane appiccicato come se niente fosse, senza problemi, appeso a testa in giù. È più facile di quando era nell’arena.

Tony si limita a fissarlo, con la tazza vuota in mano.

“Riesco ad appiccicarmi un po’ attraverso le scarpe,” dice Peter, con le mani sui fianchi, e aspetta che il sangue inizi ad arrivargli alla testa. “Ma, sì, senza è più semplice. Dovremo… inventare delle scarpe compatibili con… quello che sono diventato.”

“Lo dirò a Sam,” dice Tony, con voce un po' piatta.

“Sam?” chiede Peter, mentre prende la mira con lo spara-ragnatele destro verso il muro di fondo. La ragnatela parte e fa presa, e Peter ondeggia fin laggiù, esibendosi in un paio di capriole strada facendo. Spara un’altra ragnatela da sopra la spalla e torna indietro dondolando, per poi scattare in salto contro il muro.

“Uh… Sam sta progettando il tuo nuovo costume per quelle specie di pubblicità,” continua Tony, sempre guardandolo. “Ha quasi finito.” Peter getta un’occhiata verso il basso, e lo vede mentre cerca di versarsi una tazza di caffè continuando a guardarlo al contempo.

“Quando lo sei venuto a sapere?” grida Peter, continuando a sparare ragnatele e oscillare qua e là, seguendo parabole che persino lui può definire aggraziate. Atterra in punta di piedi su una pila di pesi, e solleva una palla etichettata con un 50 kg. La afferra con una mano e prende a fare il giocoliere muovendosi qua e là.

“Stamattina, mentre stavi ancora… quanto pesa quell’affare?” chiede Tony, ad alta voce.

“Cinquanta chili,” risponde Peter. La lancia in alto, fino al soffitto, e la riprende dietro la schiena. Si era preoccupato di veder sparire i poteri da un giorno all’altro. Non sa se “preoccupato” sia la parola giusta. Li vuole e non li vuole . Ritiene di esserseli guadagnati, ma gli mettono soggezione. Sospira, facendo rimbalzare la palla sulla testa.

“Cristo, Peter,” esclama Tony.

“Sto bene!” replica lui. La rimette a posto, e si guarda intorno. Ci sono dei rialzi in acciaio nell’angolo che non sono chiaramente pensati per essere sollevati, ma lui ne impila quattro e prende a scattare in corsa avanti e indietro portandoli in braccio.

Sente Tony schioccare la lingua. “Credevo di poter catalogare il tutto come un delirio della febbre,” dice poi. “Ma vederlo adesso, nel senso– vederlo davvero…” Scuote la testa, e prende un altro sorso di caffè.

Peter mette giù i rialzi, deglutendo a forza e piantandosi le mani sui fianchi. “Uh, credi… che le persone avranno paura di me?” chiede. È un qualcosa che vuole chiedergli da quando è accaduto. Una paura che gli ha scavato dentro.

Tony nega con la testa. “No,” dichiara. Poi solleva le sopracciglia. “Solo le persone giuste.”

Beve altre quattro tazze, cosa che Peter cerca di sconsigliargli, ma lui lo ignora, il che non lo sorprende. Peter fabbrica altre ragnatele, per poi fare capriole qua e là distruggendo oggetti e avviando simulazioni che prima non sarebbe mai stato in grado di completare. Si sente estraniato dal mondo, ma no necessariamente in modo negativo, e per qualche momento sembra che non vi sia una guerra, o battaglie, né Capitol né Hunger Games. C’è il qui, e Tony che beve caffè. MJ, la sua famiglia. Ned e May che esplorano il Tredici mentre lui si allena.

Poi arriva la chiamata.

PETER PARKER E TONY STARK. PREGO FARE RAPPORTO IN SALA PRODUZIONI 17-A, UNDICESIMO LIVELLO, PER PRODUZIONE PASS-PRO.

Peter balza giù dal soffitto e fissa Tony, col cuore che batte un po’ più veloce. “Ora?” chiede.

Tony rilascia un respiro, mandando giù la sua ultima tazza e avvicinandosi a lui. “Sembrerebbe di sì.”

Peter annuisce, e tutta la spavalderia che aveva fino a un momento fa scema, risucchiata da un buco di scarico. Annuisce di nuovo, mordicchiandosi il labbro inferiore e ascoltando le pulsazioni rapide del suo cuore.

Tony si ferma di fronte a lui e gli posa una mano sulla spalla. “Saremo tutti lì con te,” gli dice. “Fai finta di parlare con noi, ed è fatta.”

 
§

 
Peter non ha idea di cosa aspettarsi, quindi quando supera le porte affiancato da Tony tenta di reprimere la sorpresa.

Di sicuro, sono tornate le telecamere.

La stanza è piccola, anche se il soffitto è più alto di quanto avrebbe immaginato, ed è per lo più scura, con le pareti nere. C’è un piccolo palco direttamente di fronte a lui, e lì i muri sono verdi, delineati da luci fluorescenti. Le telecamere svolazzano sul palco, ronzanti. Ce ne sono almeno dieci.

May, MJ e Ned sono accomodati su delle sedie lungo il muro, e ce n’è una libera accanto a May, presumibilmente per Tony. C’è una vetrata sulla destra, dietro di loro, e a Peter ricorda i giudizi, con un brivido che gli corre lungo la schiena. All’interno vede Fury, intento a parlare con Bruce.

May si alza in piedi, con gli altri due che la seguono rapidi. “Stai bene, tesoro?” gli chiede. “Ho parlato con Fury e ha detto che non dovreste metterci troppo.”

“Okay,” replica Peter, rivolgendo un’occhiata fugace a Tony. “Sì, sì, sarà– andrà bene”. Ha già avuto un assaggio di tutto ciò. Più o meno, se si contano le interviste del Gran Maestro.

“Saremo proprio qui,” dice MJ.

“E non è in diretta, quindi…” aggiunge Ned. “Così hanno detto. Sarà più semplice di quello che hai fatto a Capitol.”

“Già,” replica Peter, deglutendo a fatica.

“Va bene, eccomi,” dice la voce di Sam, alle spalle di Tony. Si sta affrettando verso di loro con qualcosa tra le mani. “L’ho appena finita, cavolo, mi stavano col fiato sul collo.” Solleva il nuovo costume, nero, lucido, con l’aspetto metallico di quello che ha indossato alla prima intervista. Ha un ragno giallo decisamente più grande al centro del petto, e un altro sulla schiena. [1] “Ho cercato di adattarlo alla novità di piedi e mani appiccicosi…”

“Bene,” dice Tony, rivolgendogli un’occhiata. “Mi hai letto nel pensiero.”

“E questo gioiellino potrebbe anche essere adatto a un combattimento,” continua Sam. “È a prova di proiettile. Se mi avessero dato più tempo, avrei potuto aggiungerci qualche altro fronzolo…”

“Va benissimo,” dice Peter, annuendo rivolto a lui, e gli piace sul serio, pensa davvero che sia qualcosa di speciale. Non riesce ad esprimerlo a dovere, però, perché ha la bocca completamente secca, e si sente di nuovo intrappolato in un orologio ticchettante. Gli lampeggia in testa l’arena, e intorno a lui si fa più buio. “Uh, dove posso…”

“Di qua, vieni,” dice Sam, facendogli cenno.

Peter si cambia in fretta, ascoltando il tump tump del proprio cuore, e quando esce di nuovo Bruce è vicino al palco, con Tony al suo fianco.

“Bene, Peter,” dice Bruce, invitandolo ad avvicinarsi. “Devi solo… salire là sopra, leggere dal gobbo digitale e fare del tuo meglio. Sarai perfetto, ne sono sicuro. Lo sfondo dietro di te sarà una ricostruzione delle forze ribelli che prendono d’assalto Capitol, con te nelle prime linee; faremo qualche aggiustamento per farti sembrare appena uscito dalla battaglia, ma ancora forte e pieno di vigore; e pronuncerai quello che potremmo considerare… una proclamazione di vittoria.”

Peter risucchia un respiro, a malapena in grado di tenersi in piedi. “Okay,” risponde, rivolgendo uno sguardo a Tony. Lui ha in faccia un’espressione indecifrabile, ma Peter capta delle ombre di dubbio riguardo a tutta la faccenda.

Sale sul palco, e socchiude di scatto gli occhi contro le luci abbaglianti. Non riesce a vedere quasi nulla oltre esse, né Bruce né Tony, né gli altri seduti vicino al muro. Respira a fondo dalla bocca, col petto che si stringe per l’ansia, e cerca di ripetersi che tutto questo non è in diretta, come ha detto Ned. Non deve implorare gli sponsor. Non è questione di vita o di morte.

Ma lo è. Solo, non la sua.

Il gobbo digitale di fronte a lui si illumina, fornendogli le parole, e Peter rilascia un respiro spezzato, annientato dalla paura di fronte a tutto questo, e a quello che significa, e a quanto peso gli stia di nuovo premendo sulle spalle. Una piccola luce rossa si accende accanto al gobbo.

Esita per un lungo secondo, poi inizia a parlare.

“Ci sentiranno nelle strade,” dice, probabilmente troppo piano, con gli occhi che scorrono rapidamente le battute. “Ci sentiranno… marciare nella residenza…”

Taglia, taglia,” dice la voce di Fury, e Peter si sgonfia, chiudendo con forza gli occhi. “Un po’ meno svociato, ragazzo, e un po’ più veloce, va bene?

“Okay,” dice Peter, annuendo.

Riproviamo. Sei l’eroe di una conquista, capito?

Peter annuisce. Non si sente affatto così. Non si è sentito così neanche quando è uscito dall’arena. La luce rossa si riaccende.

“Ci sentiranno nelle strade!” dice Peter, più veloce, decisamente troppo veloce, ma va avanti. “Ci sentiranno marciare nella residenza, con solo… amore nei nostri cuori, per un mondo…”

Taglia,” dice di nuovo la voce di Fury.

Peter sospira, sentendosi già esausto e stremato, e porta una mano a sfregarsi gli occhi. Prova a individuare Tony, di trovare una connessione con lui, uno sguardo, qualunque cosa, ma sa di non potersi arrendere subito. Deve farcela.

Si vede che stai leggendo, ragazzo, dai solo un’occhiata al gobbo e poi guarda le telecamere.

“Okay, capito,” dice Peter, mordicchiandosi il labbro inferiore. Risucchia un altro respiro, spostando il peso da un piede all’altro. Gli fa male il petto e si scrocchia il collo, cercando di non entrare nel panico. Continua ad avere flash dell’arena. Di quella stanza, coi ragni.

“Stai bene, Pete?” chiede la voce di Tony.

Peter rilascia un respiro, ne incamera un altro, e guarda nella direzione da cui viene la voce. “Uh, sì,” risponde.

“Sicuro?”

Peter annuisce.

Sta benissimo, vai, Peter.

La luce rossa si riaccende, e Peter sente il cuore che sprofonda. Tiene alta la testa e cerca di concentrarsi. “Ci sentiranno nelle strade,” dice. “Ci sentiranno… marciare nella residenza…”

Tony entra nel suo campo visivo. Sale sul palco e si piazza direttamente davanti a lui, dandogli una pacca sulla spalla.

Stark, andiamo,” dice Fury. “Sei–

“Si possono spegnere le luci, per favore?” chiede lui, educatamente, e Peter vorrebbe accasciarsi addosso a lui per il sollievo, con la testa sulla sua spalla. Tony gli scompiglia i capelli.

“Peter–” comincia May.

“Va tutto bene, May,” dice Tony. “Le luci, prego, mh?”

Peter sente Fury che sospira, e poi le luci si attenuano. Alza la testa e Tony lo lascia andare: adesso riesce a vedere gli altri, oltre a Sam che sta lì a braccia incrociate, Bruce dietro le telecamere, un paio di tecnici nella saletta con Fury. Peter si sente un totale imbecille, e sa che ormai si stanno pentendo tutti dell’icona che si sono scelti.

“Prima di tutto, chiunque abbia scritto quella…” Tony s’interrompe, scuotendo la testa. “Fury, se sei stato tu, ti serve uno sceneggiatore presidenziale. Prima di subito.”

Peter sente lo sbuffo di Fury, ma non dà cenno di voler ribattere.

“Secondo… perché amiamo Peter Parker?” chiede Tony, guardandosi intorno. “Perché amiamo Peter? So che ci sono cinque persone in questa stanza, incluso me stesso, che amano il ragazzo. Uno di voi, forza. Perché?”

Peter sente il proprio cuore che riprende a battere più velocemente.

“Perché è spontaneo,” dice May, con orgoglio.

“Esatto,” dice Tony. “È buono. È spontaneo. Aiuta le persone, non segue un copione. Questo è– questo sembra loro. Non sembra lui.”

Peter abbassa lo sguardo con le guance che vanno a fuoco, e non dice nulla.

Quindi cosa suggerisci?” chiede Fury.

“Lasciatelo parlare,” risponde Tony, con un ampio gesto della mano. “Lasciategli dire quello che ha vissuto. Perché vuole far parte della resistenza. Se la gente vede quello, nei luoghi in cui si combatte, lo seguiranno. Non vogliono vedere una schifezza di filmato di propaganda messo insieme alla bell’e meglio. Vogliono vedere lui, vogliono sapere quello che pensa lui. Sono più intelligenti di quanto pensiate.”

C’è un breve silenzio, e Peter guarda Bruce, che guarda a sua volta in direzione di Fury.

Va bene,” dice Fury. “Vai avanti finché puoi, ragazzo. Faremo dei tagli se necessario.”

“Col mio aiuto,” sottolinea Tony. Fury non dà cenno di averlo sentito. Tony si volta, fissando Peter, e gli fa cenno di mettersi seduto. Si piazzano entrambi sul bordo del palco, e le telecamere li seguono. “Rimarrò proprio qui,” dice lui, facendogli un cenno. “Possono rimuovermi in seguito. Sii solo… onesto. Sii te stesso.”

“Va bene,” esala Peter. “Va bene.”

“E niente luci rosse,” aggiunge Tony. “Tenetevi pronti per quando è pronto lui, e basta.”

“Datemi uno sfondo dell’arena,” dice Bruce. “O magari di qualche posto nel Dodici.”

Peter si sente molto meglio con Tony quassù con lui, e prende un altro respiro profondo, cercando di convogliare tutto ciò che è dentro di lui e che riguarda l’argomento. C’è così tanto, troppo, e deve condensarlo.

Punta gli occhi nella telecamera. Prende un respiro e comincia.

“Gli Hunger Games sono stati parte della mia vita sin da quando sono venuto al mondo,” dice, inclinandosi verso destra per toccare la spalla di Tony. “I miei genitori sono stati costretti a creare mutanti per Capitol, sapendo costantemente che in futuro, un giorno, avrebbero potuto uccidere loro figlio. Sono stati assassinati, mentre ricercavano una vita migliore per le generazioni successive. Mio zio Ben è morto in conseguenza delle condizioni di vita nel Dodici, quelle che tutti i Distretti devono affrontare ogni singolo giorno.”
Abbassa lo sguardo sulle proprie mani quando gli si incrina la voce, e risucchia un respiro, cercando di andare avanti. “Ho vissuto nella paura, la stessa in cui avete vissuto voi, ogni anno, chiedendomi se sarei stato scelto. Ma la paura è stata peggiore quando ho realizzato che avevano pescato da quell’urna il nome del mio migliore amico, e che avrei dovuto vederlo combattere per sopravvivere, e dovevo… non potevo permettere che uccidessero anche lui. Tutto ciò che precede i Giochi è di per sé un gioco. Non possiamo dire ciò che vorremmo dire. Non possiamo andare dove vorremmo andare. Siamo tutti prigionieri, tutti noi, solo che i Tributi sono prigionieri in vetrina. Io… il Presidente Stane ha mandato quei ragni per me, appositamente. E l’avete visto tutti. Avete visto tutti cosa è successo. Quel dolore sarà… vivrà per sempre dentro di me. Non me ne libererò mai, e neanche della paura che hanno instillato nel mio cuore. Il fatto che io sia qui è un miracolo, è la possibilità che così tanti prima di me non hanno avuto. E ora posso dire quello che voglio. Ora posso dire che voglio combattere per voi. Combattere al vostro fianco, per la vita che meritiamo. Tutti di noi, ognuno di noi è intrappolato, bloccato… chiuso a chiave nella vita e nelle posizioni in cui ci hanno costretti. Anche la gente che vive a Capitol, e anche voi lo sapete.”

Si morde il labbro inferiore, lancia un’occhiata a Tony, e lui gli fa un cenno.

“Non vorrei mai una guerra,” dice Peter, a bassa voce. “Non voglio altra morte, altre perdite, altri… spazi vuoti dove prima c’era qualcuno di prezioso. E abbiamo tutti delle persone, abbiamo tutti delle persone che amiamo. Ma Capitol non ci permetterà di tenerle vicine. Continueranno a prendere e prendere e prendere, finché non sarà rimasto nessuno. Ed è per questo che tutti noi dobbiamo sollevarci. Tutti noi dobbiamo combattere per il futuro. Per un mondo senza Hunger Games. Senza Pacificatori a ogni angolo. Senza chiederci se questo giorno sarà l’ultimo. Ho… ho provato la perdita, ho provato la morte da entrambi i lati, e voglio un mondo che… sappia cosa sia la pace. La vera pace, con scelte reali. Vi prego. Difendete ciò in cui credete. Vi prego, incontratemi dall’altra parte. In un mondo per cui abbiamo combattuto. Un mondo che abbiamo vinto. Uno che ci siamo guadagnati.”

Abbassa di nuovo lo sguardo, e non trova nient’altro da dire. Una lacrima gli scivola lungo la guancia e la asciuga rapido. Tony si sporge verso di lui, stringendogli il ginocchio.

Non mi capita spesso di riconoscere qualcosa a qualcuno,” dice la voce di Fury. “Ma Stark, avevi assolutamente ragione. Per oggi è tutto. Grazie mille, signor Parker.

“Tutto qua?” chiede Peter, alzando lo sguardo.

“Per ora,” dice Bruce, piano. “Hai fatto un lavoro incredibile, Peter. Arriverà dritto ai loro cuori.”

“Su,” dice Tony. “Andiamo a mangiare qualcosa, okay?”

 
§

 
Peter non sa come Tony li abbia convinti a cucinare dello stufato di mais, ma il primo boccone lo riempie di quel tipo di calore che ha continuato a cercare da quando è arrivato qui. Peter, Tony, May, MJ, Ned e Sam sono seduti tutti insieme in una sala privata per pranzare, e Peter sente di poter dormire per giorni. La mancanza di Janet lo spaventa, ma arriva proprio mentre lui dà l’assalto alla seconda porzione, prendendo posto in silenzio accanto a Tony e posando un bacio veloce sulla testa di MJ.

“Sono contenta che tu abbia cambiato le carte in tavola, Tony,” dice May, aprendo infine il discorso ora che sono da soli. “Sono… credo che siano rimasti sottoterra troppo a lungo.”

“Uno come Bruce dovrebbe avere un po’ più di dimestichezza,” dice Sam, rigirandosi la forchetta tra le dita. “Ha fatto parte di Capitol per anni, ha visto il loro valore di produzione.”

“Ma non vogliamo che tutto questo somigli a loro,” dice MJ.

“Mi ha innervosito,” interviene Peter. “Finché… finché non si è intromesso Tony non– non sapevo come sentirmi.”

May sospira, sporgendosi per accarezzargli il braccio.

“Non vogliamo che tutto ciò diventi una nuova versione di Capitol,” dice Tony. “Basta dare un’occhiata alla nostra storia. A volte succede proprio sotto i nostri nasi e non ce ne rendiamo conto finché non è troppo tardi. Non sono neanche sicuro che si siano resi conto di aver sbagliato. Nel modo in cui ti stavano presentando.”

“Ma lui ha sistemato le cose,” dice Janet. “L’ho visto, e… ed era davvero ottimo, Peter.”

“Perché era se stesso,” dice Ned. “So per certo che ci sono un sacco di persone là fuori che vorrebbero solo… parlare con Peter, sapere cos’ha da dire, quindi quella pubblicità… farà la differenza, so che sarà così.”

“Sai quando la trasmetteranno, Tony?” chiede Sam.

“Dovrebbero già averla messa in onda,” dice lui, e Peter non si lascia sfuggire il rapido sguardo che gli rivolge.

Peter è di nuovo in quella condizione in cui si guarda dall’esterno, in cui si sente come se qualcun altro sia presente al posto suo, e lui non deve quindi ricordarsi i dettagli. Ma sente ancora quel dolore vicino al cuore, che cerca di trattenerlo qui, che gli ricorda che è convolto, con tutto se stesso.

“Uh, posso averne ancora?” chiede poi, lanciando un’occhiata all’altra teglia di stufato.

“Certo che sì,” dice Tony, con un ampio sorriso.

 
§

 
L’assenza di giorno e notte e quel sovraccarico di emozioni fanno desiderare a Peter di dormire, e una parte di lui vorrebbe allontanarsi da tutti gli altri. Vuole costruire dei muri, cacciarli tutti via, tenerli alla larga da lui. Sarebbe meglio in ogni caso, e se lo meriterebbe. Si meriterebbe quella solitudine, quell’isolamento. Chissà come, ha ingannato tutti convincendoli che fosse importante, e gli sembra uno degli errori più grandi che abbia mai commesso.

Ma un’altra parte di lui vorrebbe cementarsi addosso a loro e non lasciarli mai andare. Quella parte di lui vuole regredire, vuole piangere e piangere e piangere per impedire loro di allontanarsi, per farsi accudire da loro.

Non riesce a trovare una buona via di mezzo, ed ha la nausea a forza di pensare che non esista una vera pace. Che non ci sia davvero un posto per lui e la vita che vuole vivere. Adesso ha delle responsabilità.

Nei suoi sogni c’è la luce che abbandona gli occhi di Scott. La voce di Tony, che urla. L’esplosione.

Si sveglia di soprassalto quando May lo riscuote.

“Scusa, tesoro,” dice, e ci sono delle linee addolorate sulla sua fronte, la sua bocca è rigida e serrata.

“Cosa è successo?” chiede lui, strofinandosi gli occhi e alzandosi a sedere con le vertigini. “Che succede?”

“Hai dormito per cinque ore,” dice lei, e le trema la voce. Lo aiuta ad alzarsi. “Vieni.”

Il sistema d’allarme nella sua testa ronza d’impazienza, e gli sembra di essersi perso qualcosa mentre dormiva. “Tony sta bene?” chiede, e si ritrova a tremare. “MJ? Ned?”

“Sì,” dice lei, e lo prende per il braccio, guidandolo fuori dalla stanza.

“May, che sta succedendo?” chiede lui, seguendola in preda all’ansia, e gli ricorda il momento in cui è morto Ben. Quando non riusciva nemmeno a parlare, come se tutta l’aria fosse stata risucchiata dallo spazio attorno a loro.

“Devo…” balbetta, e gli stringe il braccio più forte che può. Guarda fisso davanti a sé, e non è normale vederla così. “Devo, uh, solo portarti… dagli altri. Devono dirtelo loro.”

“May,” dice Peter, con la gola che si stringe. “Dimmelo.”

Tony esce dalla stanza davanti a loro, svolta l’angolo e si avvicina concitato quando li vede. “Peter,” dice, e anche la sua voce traballa. “Ragazzo.”

Peter si stacca da May, facendoglisi incontro, con cuore che gli batte follemente. “Che succede? Chiede di nuovo. “Che è successo? Che è successo?” Sente qualcosa provenire dalla stanza da cui è uscito Tony, sembra lo statico di una radio, confuso a una voce spezzata.

“Peter, adesso devi…”

Peter lo supera di corsa, oltre la porta aperta. È un piccolo ufficio, e Bruce è lì, assieme a un altro paio di uomini in divisa. Stanno guardando… Peter non capisce cosa sia. Sembra… sembrano le immagini del Tredici che hanno sempre mostrato loro, proprio dopo il bombardamento. Pura distruzione, cadaveri, ceneri– il– il Municipio nella– nella piazza– il Municipio nel Dodici– quello è il Municipio nel Dodici– sventrato– spazzato via…

Peter sente il proprio corpo che viene attraversato da scosse, e porta le mani ad afferrarsi la gola.

Il Dodici è stato completamente annientato– popolazione– forse un centinaio di profughi in– se è–

La sua vista si riempie di macchie e non respira, non respira. “Hanno bombardato– hanno bombardato il Dodici?” geme. “Hanno bombardato il Dodici?”

“Circa mezz’ora fa,” dice Bruce, a capo chino. “Stiamo ricevendo adesso le segnalazioni.”

Peter ondeggia, cercando di riprendere fiato, di smettere di tremare, prova a– prova a– pensare, ed emette degli stupidi versi piagnucolanti che non riesce a fermare, e porta la mano a coprirsi la bocca. Hanno bombardato il Dodici, hanno bombardato il Dodici. La sua casa. La sua casa. Hanno distrutto la sua casa. Annientata. Solo un centinaio di sopravvissuti su migliaia di migliaia.

“Peter,” sussurra Tony, accanto a lui, toccandogli la spalla.

Peter sente lacrime bollenti che gli scivolano sulle guance, e lo shock attraversa elettrico il suo corpo, col cuore che pulsa di dolore, un dolore lancinante, che lo pugnala…

La realizzazione lo colpisce. Come una tonnellata di mattoni. Il suo spot  è andato in onda ovunque, giusto poco fa. Proprio prima che lui andasse a dormire. Il suo spot è stato trasmesso ovunque. E adesso questo. Adesso questo. Il Dodici non esiste più. Perché pensavano che lui fosse lì? Perché volevano vendicarsi? Non importa. In ogni caso. In entrambi. È colpa sua. È colpa sua. Sono tutti morti per colpa sua. Sono tutti morti per colpa sua.

“Non è colpa tua,” sussurra ancora Tony.

Peter sente May che piange e gli ricorda di nuovo Ben, qul giorno, e lui è cresciuto con Ben nel Dodici. Ben ha passato la sua intera vita nel Dodici. Ben è sepolto lì, la sua tomba è lì. Peter nel Dodici ha conosciuto i suoi genitori, ed è dove hanno scelto di salvarlo. Niente di tutto questo… niente esiste più. Niente. Non c’è più. I suoi occhi scattano verso gli schermi, che mostrano la carneficina. Corpi ovunque, immobilizzati nei loro ultimi, terribili istanti. Persone che conosceva. Persone con cui ha vissuto fianco a fianco. La sua casa, la sua casa, e non c’è più. Non c’è più ed è colpa sua. È colpa sua.

Prende un passo tremante all’indietro, col corpo che sembra troppo pesante, e percepisce la mano di Tony sulla schiena. Le emozioni lo stanno strangolando e non sa a quale aggrapparsi, non sa quale sia giusta, e scopre ben presto che la sua rabbia sta crescendo con nuovo vigore. Rabbia, e il bisogno di combattere.

Si volta, aggira Tony, supera May, e si avvia lungo il corridoio. Riesce a malapena a vedere oltre le proprie lacrime, e serra la mascella.

“Dove stai andando?” lo chiama Tony, seguendolo.

“Devo combattere,” dice Peter, cercando di ricordarsi la strada che ha fatto con Frank la prima volta che è arrivato qui. Deve incontrare Fury. Deve salire su uno degli elivelivoli là fuori. “Devo– devo imbarcarmi con– con i soldati del Tredici, ovunque abbiano più bisogno di noi, devo– devo combattere.”

No,” dice Tony, con voce roca, e Peter lo sente cercare di tenere il passo. “Neanche per sogno, no.”

Peter svolta l’angolo e si dirige verso gli ascensori.

“No, Peter,” dice ancora Tony, e stavolta la sua voce si spezza. “No.”

Peter sente le lacrime che aumentano, e continua a vedere le immagini su quello schermo. Non potrà mai tornare indietro. Neanche se vincono. Non a com’era prima. È andato, è andato. Sono tutti morti. Ceneri. Ceneri.

“Peter!” si alza la voce di May, e sembra così distante.

“Devo farlo,” dice Peter. “Devo fare… devo fargliela vedere– devo– ho bisogno di–”

Tony lo afferra da dietro, strettamente, bloccandogli le braccia lungo i fianchi, e mantiene la presa, cercando di frenare la sua avanzata. A Peter ricorda i loro allenamenti prima dei Giochi, e non riesce a pensare lucidamente, non riesce a pensare, a pensare, tutti quei corpi, tutta quella morte, la sua casa, la sua casa, è spazzata via, l’hanno ridotta in cenere, l’hanno bruciata…

“Lasciami andare,” rantola. “Tony, devo– devo farlo– devo–”

“So che puoi farcela,” dice Tony, vicino al suo orecchio. “So che potevi prima, e sicuramente puoi farcela ora, ma Peter, io–”

Ceneri. Ceneri. Sono tutti morti, sono tutti morti, cazzo. Tutti i suoi ricordi sono sepolti tra quelle macerie, il fantasma dei passi di Ben, ed è colpa sua, è colpa sua, per via di quello spot, di quello che ha detto…

“Devo andare,” singhiozza, e si trascina in avanti, spingendosi via dalla stretta di Tony.

Sente lo schiocco, sente Tony che emette un sibilo, lo vede stringersi il polso. Il mondo sembra smettere di tremare per un secondo, e poi comincia a rompersi. Si era detto che non avrebbe mai fatto loro del male, a nessuno di loro, non alle persone che ama, e adesso ha ferito Tony, e May è proprio dietro di lui e vede i suoi occhi sbarrati, scioccati, ed è stato lui, è stato lui a fare anche quello. Tony ne ha già passate così tante, cazzo, e adesso gli ha fatto di nuovo male. Gli vuole bene e gli ha fatto male. Rimane lì a fissarlo, attonito.

“Ehi, non m’importa,” dice Tony, scuotendo la testa. “Non m’importa. Non m’importa. Vedi?” Solleva il polso, rigirandolo, e non riesce affatto a celare il suo sussulto di dolore. Ma scuote comunque la testa, di nuovo, col reattore arc che riluce sotto la maglietta. “A me non importa. Sapevo che sarebbe successo, volevo solo… attirare la tua attenzione, okay? Okay?” Ha anche lui le lacrime agli occhi. Era anche casa sua. Peter continua a fissare il suo polso, e si sente la testa leggera.

“È colpa m–”

“Invece no,” lo ferma Tony facendo un passo verso di lui, esitante. “Non è colpa tua. Affatto. È ciò che quel bastardo vuole che tu pensi, Pete. Ti conosce. L’avrebbe fatto comunque, capito? L’aveva già pianificato. L’avrebbe fatto al Quattro. All’Undici. Non è colpa tua.  Non lo è. Non lo è. Capito?”

Peter sente il labbro inferiore tremare e abbassa lo sguardo, risucchiando un respiro. Il suo senso dell’equilibrio è sfasato, e fa un passo indietro. Lontano. “Voglio– devo fargliela vedere, Tony, io– è stato lui, è stato lui e– e io sono inutile, cazzo, sono inutile qui, potrei– potrei fare la differenza là fuori, potrei– potrei fargliela vedere, potrei– potrei fargliela pagare–”

Tony fa due ampi passi verso di lui, sempre tenendosi il polso, come se stesse cercando di contenere il dolore. “Non posso perderti,” dice a bassa voce. “Non posso. Ti ho detto quello che vuole fare Janet. Te l’ho detto. Non so dove diavolo sia, potrebbe– potrebbe già essere morta, Pete, e io… May, Michelle, Ned, tutti quanti, maledizione… sei essenziale, lo capisci? Per tutti noi. Sei insostituibile. Abbiamo già dovuto vederti morire e, ragazzo, attraverserei l’inferno piuttosto che lasciarlo accadere di nuovo. Non mi importa di quanto cazzo sei forte adesso o di quante ossa mi rompi, non me ne frega un cazzo. Io non conto nulla, okay? Tu sì. Tu sì, e non è colpa tua, e non te ne andrai.”

“Ha ragione,” dice May, avvicinandosi rapida. “Piccolo, non puoi–”

“No,” dice Peter, tendendo una mano verso di lei e piangendo più forte. “Non avvicinarti, non posso–… non posso farti male–  ho già– ho già fatto male a Tony–”

“Io sto bene,” dice Tony, scuotendo la testa. “Non ho bisogno di mani, o polsi, o quel che è. Non importa. Capito?”

Il mondo si riempie di crepe tutto attorno a lui. Il Dodici non esiste più. Non esiste più. E lui è inutile, maledettamente inutile, ed è terrorizzato al pensiero che, per un momento, mentre marciava a passo di carica in quel corridoio, voleva morire. Che voleva gettarsi in battaglia, uccidere quanti più droni di Capitol prima di venire eliminato definitivamente. Non sa come si senta adesso, nel guardarli, attraverso le lacrime. Non lo sa.

Si avvicina barcollando al muro, chiude gli occhi e vi preme contro la fronte. Il dolore erompe da lui in un pianto ovattato, e sente May e Tony che si accostano ai suoi fianchi, posandogli le mani sulle spalle.

“Non è colpa tua, Peter,” sussurra Tony. “Non lo è.”

“Doveva aver già progettato tutto,” dice May, baciandogli la spalla. “Avrebbe potuto scegliere qualunque Distretto. Poteva accadere a chiunque.”

“Non ce la faccio,” esala Peter, con la testa che gira sempre più. Tutto ciò che riesce a fare è ferire. Il Dodici non esiste più. Non esiste più. “Non– non ce la posso fare–” Chiude gli occhi, e vede solo cenere.

Scivola nel buio.

 
§

 
Tony siede sulla sponda del letto di Peter una volta che Cho gli dà il via libera, poi gli ricompone la frattura del polso, fornendogli un gesso che è piccolo e senza pretese, uno che si spera non attirerà subito gli occhi di Peter quando si sveglierà.

Tony non stava mentendo quando ha detto quello che ha detto. Non gli importa. Permetterebbe a Peter di rompergli ogni singolo osso, pur di non lasciare che si unisca ai combattimenti in questo stato, ed è piuttosto sicuro che May la pensi allo stesso modo. Quest’ultima entra e si siede accanto a lui sul letto, prendendogli la mano.

“La nostra casa,” sussurra poi. “La nostra casa.”

Tony annuisce. Si è dissociato dal Distretto Dodici da quando è stato mietuto, ma voleva proteggere quelle persone. Ripensa a dove viveva con Pepper, prima che tutto cambiasse. Era seppellita lì. Stane gliel’aveva concesso. Adesso non c’è più nemmeno un luogo dove farle visita. Sono tutti morti. Il Dodici non aveva un sottosuolo in cui rifugiarsi.

“Spero che tu sappia che non è colpa sua per davvero,” dice Tony, e a questo punto prega che il ragazzo stia fingendo di dormire. Che se ne stia disteso lì, sveglio, in ascolto. “Questo tipo di cose richiede pianificazione. Preparativi. Per quanto Stane sia folle, non si può fare qualcosa del genere in un batter d’occhi, nel lasso di tempo che è intercorso dalla messa in onda. Era pronto. Stava… aspettando il momento giusto. Sa perfettamente come ferire le persone.”

“Lo so,” risponde May. “E Bruce ha detto… che gli scontri si sono inaspriti, da quando i Distretti l’hanno visto. C’è stato più coinvolgimento. Più compattezza. Più scontri.”

Tony si morde il labbro inferiore e annuisce. Bruce ha detto così. La notizia del bombardamento aveva… semplicemente eclissato tutto il resto. “Se potesse spazzarci tutti via, l’avrebbe già fatto,” dice poi. “L’avrebbe fatto in un sol colpo. Un attacco coordinato. Credo che… che abbiano usato gran parte delle loro risorse.” Non ne è davvero certo. Lo spera e basta. Quella sensazione che ha nel petto è tremenda, e Peter era la luce che gli permetteva di andare avanti. Deve fare in modo che il ragazzo si riprenda.

Rimangono seduti lì a lungo, in silenzio, e May continua a tenergli la mano. Tony vorrebbe che Peter avesse qualcun altro, a parte lui. Qualcuno forte quanto May. Lui non è neanche lontanamente paragonabile allo zio del ragazzo, ed è certo che ne siano entrambi coscienti.

Qualcuno bussa alla porta, e Bucky sporge la testa all’interno prima che uno di loro due possa aprirla. Tony intravede Steve subito dietro di lui, in corridoio.

“Uh, Tony,” lo chiama Bucky. “Sei richiesto.” Guarda May, e le fa un rapido cenno. “Scusi, signora Parker,” dice, abbassando la voce.

“Non fa niente,” replica lei, ricambiando il cenno. Lo guarda con sincero affetto e Tony sa che, a dispetto della situazione e degli ultimi eventi, tutti sono al settimo cielo nel vedere che i Tributi dati per morti non lo sono affatto.

May lascia andare la sua mano.

“Un momento,” dice lui, rivolgendo un’occhiata agli altri, e Bucky lascia che la porta si richiuda. Tony si alza, buttando fuori un respiro, e si avvicina a Peter. Si accovaccia vicino alla testa del letto, toccandogli delicatamente il braccio. “Ti voglio bene, ragazzo,” dice. “Torno subito.” Aspetta per un secondo, sperando che Peter si svegli e lo guardi, ma non succede. Gli stringe il braccio e si alza in piedi, dirigendosi alla porta.

“Che succede?” chiede, quando la richiude. “Non ce la faccio a reggere altre brutte notizie, Buck.”

Lui scambia un’occhiata con Steve, e Tony percepisce un qualcosa di strano che viene trasmesso dall’uno all’altro, come se fossero più in confidenza di quanto avesse pensato in precedenza.

“Steve, uh…” esita Bucky, chinando il capo. “Diglielo.”

“Cristo, cosa?” chiede Tony, e non ha idea di dove si stiano dirigendo, o perché. Se ci fosse stato un altro bombardamento l’avrebbe saputo e non può farci i conti ora, cazzo, soprattutto se coinvolge Peter. Fissa Steve, sgranando gli occhi. “Cosa, Rogers? Cosa?”

“Uh, Janet è partita circa un’ora fa,” dice lui, con la mascella contratta. Superano l’ufficio nel quale hanno saputo del bombardamento poco fa, ma lui rivolge a malapena uno sguardo alla porta chiusa. Steve prosegue. “Si è diretta verso il Quattro, insieme a M’Baku, Frank Castle, Misty Knight e qualche altri Tributo degli anni scorsi.”

Tony ha la bocca secca. Non sa come faccia a continuare a muoversi.

“Ho cercato di farla ragionare,” dice Steve, e Bucky si frappone tra loro due, come se si aspettasse che Tony attacchi Steve, o chissà cosa. “Ma lei… insomma, aveva preso la sua decisione, e ha minacciato di darmi una botta in testa quando ho tentato di chiamarti.”

“Avresti dovuto lasciarglielo fare,” dice Tony, cercando di tenere a bada un attacco di panico, oltre a nuove lacrime.

“Abbiamo visto tutti di cosa è capace Janet,” dice Bucky, senza guardare nessuno dei due. “L’avrebbe messo fuori gioco in due secondi netti.”

Tony sente dei brividi lungo le braccia.

“Non è una condanna a morte, Tony,” dice Bucky. “È con gente altamente qualificata…”

“Non so neanche perché li lascino andare via,” dice Tony, tra i denti digrignati. “Non hanno alcun vero e proprio addestramento militare, neanche un po’, cazzo, nessuno di noi ce l’ha…”

“Lavorano con ciò che hanno a disposizione,” dice Steve, in un respiro, e la parte razionale di Tony conclude che neanche a lui piaccia tutto questo. Ma la sua parte più emotiva si sta sgretolando, lo sospinge verso il Distretto Quattro, poi lo radica sul posto, incitandolo a tornare nella stanza di Peter e piantarsi di fronte alla porta per impedirgli di andarsene. Di partire e farsi uccidere. Janet non può morire. Non può. E lui non lo saprebbe nemmeno, cazzo. Non saprebbe nemmeno che il suo mondo è diventato un po’ più piccolo.

Magari lo percepirebbe.

Cerca di darsi un contegno. Cerca di rimanere un normale essere umano e non la stella morente e sul punto di collassare che si sente adesso. Cerca di ricordarsi quello che si è ripetuto prima. Lei è padrona di se stessa. È la sua decisione. Ma questo gli fa pensare che anche Peter sia padrone di se stesso. No, Peter ha sedici anni. No, la partenza di Peter ucciderebbe Tony, e anche May. È come una bruciatura. È come qualcosa che va a fuoco.

“Dove stiamo andando?” chiede, suonando a malapena riconoscibile.

“Quella è, uh, tutta un’altra storia,” dice Bucky. “A parte. Uh, un qualcosa che potrebbe essere qualcosa. O niente. Potrebbe.”

Tony lo fissa in cagnesco.

“Ma, uh, Janet ti ha lasciato questo,” dice Steve. Gli tende un auricolare, e Tony lo fissa nel proprio palmo. Gli sembra una bomba. Ultimamente pensa un po’ troppo spesso alle bombe. Steve si schiarisce la voce. “Uh, devi premere…”

“Sì, grazie, stellina, so come si usa,” dice Tony. O meglio, scatta, e si sente in colpa, ma non dice nulla per esternarlo. Si ficca l’auricolare nell’orecchio e preme il tasto rosso, con gli altri due che si fanno silenziosi per permettergli di ascoltare.

Spero che tu non sia troppo arrabbiato,” dice lei, con la traccia di una risata nella voce, e così fa ancora più male. “Solo che sapevo che avresti provato a fare qualcosa, se ti avessi detto il momento preciso. Se fossi stato lì. Solo… so quello che ti ho detto, e mi sento un’ipocrita, ma adesso, alla fine, dopo tutto quello che è successo, sento di dover fare qualcosa. Devo essere… degna. È un ultimo inno a Hank e Hope. Combattere contro coloro che me li hanno portati via. Ho finalmente l’occasione per renderli fieri. Per assicurarmi che non un’altra madre perda un altro figlio. O una moglie il proprio marito.
Ti voglio un bene dell’anima. Sei stato la luce della mia vita sin da quel giorno terribile, e in tutta questa oscurità avevo te, e tu avevi me. Ma non hai più bisogno di me, tesoro. Sei forte, davvero, e adesso hai chi ti sostiene. Puoi farcela. So che puoi. Sarai nel mio cuore, non importa cosa dovrò affrontare, e non importa quel che accadrà: ti vedrò di nuovo.
Ti voglio bene, Tony. Prenditi cura di loro. Prenditi cura di Peter, e della mia Michelle.”

Si schiarisce la voce, e si sente qualcosa in sottofondo, poi il messaggio si interrompe.

Tony si sfila l’auricolare e lo fa scivolare in tasca. Si sente come se stesse per scomparire da un momento all’altro, perché lei è l’unica persona che l’ha sempre tenuto in piedi, che l’ha tenuto in vita per tutti questi anni. C’erano sempre le sue mani sulle sue spalle, a tirarlo indietro.

Adesso è in piedi da solo per la prima volta da quando gli Hunger Games l’hanno sputato fuori.

“Mi dispiace, Tony,” dice Bucky.

Tony realizza che stanno ancora camminando. Sono a un piano diverso. Come? Quando hanno preso l’ascensore? Risucchia un respiro. Cerca di essere normale. Cerca di essere un Tony Stark che può vivere senza Janet Van Dyne.

“Uh, qual era l’altra cosa?” chiede, con voce roca, ancora irriconoscibile. Non è preparato a quest’altra cosa. Qualunque essa sia. Qualunque altra cosa sarà comunque troppo.

“Il palmare che Peter ha reperito nell’arena ha preso a squillare da poco dopo il bombardamento,” dice Steve. “Shuri e Riri ce l’hanno fatto presente.”

Tony cerca di stabilizzare il respiro. “Chi è ‘noi’?” chiede, senza pensarci, con una sorta di amarezza mista a rabbia che si fa strada nella sua voce. “Siete parte di un ‘noi’, eh? E che ‘noi’ sarebbe?”

Steve sospira, e scambia un’altra occhiata carica di significati con Bucky. Svoltano lungo un altro corridoio.

“Volevamo lasciarti spazio per rimetterti,” dice Bucky. “E anche a Peter. Ma ne facciamo parte tutti. Qualunque… cosa sia, sta procedendo.”

Tony continua solo a pensare che Janet non ne fa più parte. Se n’è andata. Assieme ad alcuni altri. Sa quanto Peter tenda ad affezionarsi, e che sapere che sono partiti non gioverà al suo morale. “Perché state coinvolgendo me, adesso?” chiede. “Per le chiamate, dico. Solo perché dovevate dirmi di Jan?”

“Uh, no,” dice Steve. “Si schiarisce la gola, raddrizzando un poco le spalle. “È… il destinatario sei tu. E quando rintracciamo la fonte, è… viene da dentro Capitol.”

“Non ci stanno rintracciando, vero?” chiede lui, con la paura che gli pizzica il cuore al pensiero di Peter, tutto ciò che gli rimane.

“No,” nega Steve.

“Ne siamo certi,” aggiunge Bucky.

“O meglio… Shuri ne è certa.”

Bucky si ferma di fronte a una serie di doppie porte. “Suona ogni paio di minuti, e abbiamo concluso che avrebbero chiamato di nuovo entro il tuo arrivo. Non sappiamo cosa sia, ma abbiamo deciso di portarti qui. Non hanno modo di triangolare la nostra posizione, anche se so che probabilmente hanno un’idea di dove siamo.”

Tony li osserva, entrambi lì in piedi, spalla a spalla, sintonizzati su una qualche lunghezza d’onda a lui estranea.

“Quindi entro là dentro, fisso il palmare e aspetto che chiunque ci sia a Capitol mi chiami?” chiede, sollevando le sopracciglia.

“Uh, esatto,” dice Bucky, spingendo la porta. “Non c’è nessun altro dentro, ma inizieranno a registrare non appena inizierà la chiamata.”

Tony sospira, superandoli. “Cristo,” mormora, e Bucky chiude la porta dietro di lui senza dire altro. La stanza è l’ennesima versione dei loro cubicoli scavati nei muri, buia e spoglia salvo per un tavolo, una sedia e il palmare. Tony si avvicina, sedendosi, e scuote la testa. Fa scorrere le dita lungo i bordi del palmare, ripensando a tutto ciò che Peter ha dovuto affrontare nell’arena. Si stuzzica il gesso.

Pensa a Janet. Si chiede se non stia corteggiando la morte, adesso che sono arrivati alla fine, adesso che le strutture forzate di Capitol non premono più loro addosso. Anche lui ci fa un pensiero. Ma si rifiuta di abbandonare Peter, si rifiuta categoricamente di provocare altro dolore a quel ragazzo. Si merita esclusivamente sole e dei cazzo di arcobaleni d’ora in poi, e Tony sente la voce di Pepper in testa, come se quella frase l’avesse detta davvero, e non fosse solo un qualcosa che la sua mente in subbuglio ripete come un disco rotto. Amalo come se fosse tuo, Tony.

Sospira di nuovo, scorrendo gli ultimi comandi impartiti dal palmare. Shuri e Riri hanno combinato un bel po’ di cosine con le armature di Iron Man, e quel fatto gli fa desiderare un qualcosa a cui non ha pensato da moltissimo tempo. Non è mai riuscito a trovare il tipo di metallo che gli serviva, allora, ma qui le cose sono diverse, nel Tredici. Hanno dei materiali a cui pensava avessero accesso solo gli Strateghi.

Il palmare prende a squillare, facendolo trasalire, anche se avrebbe dovuto aspettarselo. Appare una serie di linee di codice, e le legge rapido riconoscendo la posizione a Capitol, e vede ciò che vede chi sta chiamando: il proprio nome, ripetuto all’infinito. Vede i loro tentativi di rintracciare la posizione del palmare, vede i firewall che hanno ovviamente eretto Shuri e Riri, solidi e destinati a non cedere, e pensa che quelle due potrebbero essere in grado di abbattere Capitol da sole.

Tony risucchia un respiro, e accetta la chiamata.

C’è solo una massa confusa di pixel, all’inizio, poi appare chiaramente il volto di Obadiah Stane. Sorride ampiamente, e Tony si impone di non sussultare, agitandosi sulla sedia e inclinando il capo.

“Ma salve, Tony!” dice Stane, ridendo tra sé. “Non pensavo avresti risposto.”

“Cristo, quante volte mi hai chiamato?” chiede Tony, cercando di mantenere una voce pacata e di non lasciar trasparire nulla dai propri occhi. “Non credevo fosse così possessivo, signor Presidente, ma immagino che me lo sarei dovuto aspettare.”

“Beh, ero preoccupato!” dice Stane, sollevando le mani. “Ho sentito delle voci davvero, davvero terribili, Tony, riguardo a quel che è successo, e tu eri disperso! Non avevo la più pallida idea di cosa fosse successo.”

“Oh, sembra che però tu l’abbia capito,” dice Tony, serrando la mascella. “Hai messo al lavoro le tue doti deduttive.”

“E credo di vedere una specie di… coso blu, là sotto alla tua maglietta,” continua Stane, e si sporge verso la telecamera. “Wow, fammi dare un’occhiata–”

“Nah, non credo proprio,” replica lui, e sistema lo schermo in modo che non riesca a vedere così in basso. “Ehi, questo non è esattamente il momento migliore, ho molto a cui pensare, c’è una festa di carnevale giusto stasera, un altro festino–”

“Oh, sono sicuro che tu te la stia spassando,” dice Stane, e ha ancora in faccia quel sorriso rivoltante. “Ne sono assolutamente sicuro.”

“Già…”

“Volevo solo farti un saluto,” dice poi. “Vedere come se la stiano passando tutti. Perché non hai molto tempo, Tony.”

“Sì, certo, certo,” replica lui, e sente la rabbia montare di nuovo. “Sappiamo tutti quanto ti piacciano le tue minacce di merda, Obie–”

“Che ha detto Peter della mia risposta al suo video?” chiede Stane. “Ho pensato potesse piacergli. Sai, una degna sorpresa. Mi sono preso il mio tempo, per fargliela. L’avevo preparata sin dalla fuga, ma volevo… insomma, volevo fare le cose per bene. E sono particolarmente fiero del mio tempismo.”

Tony lo fissa fremente, col volto che si infiamma.

Stane ride. “Te lo porterò via a tutti i costi, Tony,” dice. “È il mio bersaglio numero uno. Non mi fermerò. Quello che ho detto in passato? Quello è nulla. Gli strapperò un arto alla volta proprio di fronte a te, lo–”

“No, no,” grida Tony, tendendosi in avanti. “No, maledizione, non ti lascio più fare i tuoi cazzo di monologhi, figlio di puttana.”

“Andiamo, signor Stark–”

“Peter Parker può farti a pezzi senza battere ciglio,” continua Tony, a voce troppo alta. “Può strangolarti con una stretta di dita. Può buttar giù i tuoi muri e seppellirti nella tua cazzo di opulenza. È un supereroe adesso, stronzo, e per causa tua. Sei stato tu, per colpa della tua maledetta arroganza, sei stato tu e adesso non lo puoi fermare. Non hai mai potuto. Il mondo lo ama, si fida di lui, combatterà per lui, e finalmente ti sconfiggeranno. È finito il tempo in cui stavamo senza far nulla a rintanarci in un angolo di fronte a te, Stane. Non accadrà per un solo altro secondo, capito? È fatta. Non riuscirai mai a toccarlo. Non te lo permetterò mai. Sei già morto. Sei già morto, cazzo.”

Tony pianta il dito contro il tasto di fine chiamata prima che Stane possa dire altro. Si immerge subito nei codici, e blocca il numero impedendogli di chiamare ancora i palmari del Tredici. Scaglia via il palmare e poggia la fronte sul tavolo, respirando affannato.

Non gli ha mai parlato così. Mai, non gli ha mai parlato così. Si sente libero, finalmente libero, privo di catene, non appartiene più a loro.

“Pep,” sussurra, serrando con forza gli occhi. “Non so quanto ci vorrà, amore. Non lo so. Ma alla fine… lo prenderò. Non farà mai più del male a nessuno di coloro che amo.” Una lacrima gli scivola lungo la guancia e la lascia cadere, immaginando il suo pollice che la asciuga via. “Lo prometto,” sussurra. “Lo prometto.”

 
§

 
Peter si sveglia un paio di volte prima di riuscire a svegliarsi davvero. Guizza dentro e fuori dai sogni, dagli incubi, e quando finalmente la sua anima torna al proprio posto è col volto verso il muro, con MJ che lo abbraccia da dietro. Sente May e Tony che parlano tra loro, mormorando dolcemente. Sente MJ che gli bacia la spalla.

Si gira sulla schiena e MJ lo guarda, anche lei chiaramente impegnata a contenere lo shock. Tiene un braccio a cingerlo, forzando un sorriso.

“Ehi,” lo saluta.

“Ehi,” sussurra lui, cercando di impedire alla propria voce di incrinarsi. Si alza a sedere, sfregandosi gli occhi, e si aggrappa all’idea che gli si sta formando in testa, a prescindere da quanto faccia male. Deve fare qualcosa. Tutto questo deve avere un significato.

Lancia un’occhiata attorno a sé, e vede che Tony e May sono sull’attenti, che lo fissano. Tony ha un gesso al polso, che gli dà la nausea. C’è anche Ned, ed era intento a leggere un libro. Ora ha smesso, decisamente.

“Peter…”

“Stai bene, Pete?” chiede Tony.

“Tesoro, sei…”

“Il Dodici è radioattivo?” chiede Peter, rapido. “È– è… possiamo andarci?”

Tony assottiglia gli occhi, guardando May. “Uh, era… erano bombe incendiarie, Pete. Potremmo andarci. Il Dodici può essere ricostruito, al cento per cento.”

Peter rimane fermo nella propria decisione. Quella che ha colto dai suoi sogni. E cerca di essere più forte di quanto non sia. Cerca di essere Spider-Man. “Voglio andare lì,” dice. “Voglio– dobbiamo filmare qualcosa laggiù. E mandarlo in onda. Come abbiamo fatto l’ultima volta. Dobbiamo andare tutti, e dobbiamo… mostrare a tutti cos’hanno fatto.”

C’è un deciso cambio d’atmosfera nella stanza, e Peter posa una mano sul ginocchio di MJ, con lei che si sposta per farlo alzare.

“So che, uh, non volete che io lo faccia,” dice Peter, guardandoli tutti e quattro. “Non voglio farlo. Ma dobbiamo. È… è più grande di me. È più grande di ciò che provo. Devo solo… devo proteggerli in ogni modo di cui sono capace. Chi è rimasto.”

Tony si alza, annuendo. “Okay,” dice. “Contatto Bruce.”

 
§

 
Non è immediato. Ci vogliono lunghe discussioni, preparativi, ma circa un giorno dopo viene dato il via libera. Peter cerca continuamente di raccogliere le forze di cui ha bisogno per affrontare tutto questo.

May riesce a lasciarlo andare a fatica quando deve salire sull’elivelivolo, ma il semplice fatto che siano in così tanti a partecipare è… di conforto. Per lei, e per lui. Ma si sarebbe sentito al sicuro anche se fossero stati solo lui e Tony. Tony è Iron Man. Iron Man e Spider-Man sono uniti.

Devono tenere attentamente d’occhio i cieli lungo il tragitto, e la quantità di protezioni che hanno con sé è più di quanto Peter si fosse aspettato. Fury è leggermente preoccupato che Stane possa tentare di abbatterli, con così tanti di loro concentrati nello stesso punto, quindi ha esagerato per prevenire la cosa. Ci sono lui e Tony, Bucky, Steve, Bruce, MJ, Natasha e Clint, Jessica e Luke, Carol e Sue Storm. Il fratello di Shuri l’ha fatta rimanere, con suo grande disappunto. Ci sono altri Vincitori che vogliono essere coinvolti, ma Fury li trattiene. Non vuole che stiano via a lungo, per via del pericolo. Sam fabbrica per lui un altro costume nero, con delle ragnatele bianche e un piccolo ragno al centro del petto, anch’esso bianco [2]. Indossa una giacca per coprirlo, e affonda nelle maniche.

Devono solo arrivare e andare via. Dentro e fuori.

“Stai bene?” chiede Tony, quando sono circa a metà strada.

“Sì,” risponde Peter, e sta mentendo solo in parte. Gli sembra la cosa giusta da fare.

“Sei sicuro?” insiste Tony.

“Sono nervoso,” ammette Peter, lanciando un’occhiata a MJ, che sta parlando con Sue e suo marito Reed. “Ma devo– voglio che tutti lo vedano. Che vedano cosa ha fatto.”

Tony lo fissa per un lungo momento, annuendo. “Sono davvero fiero di te,” dice poi. “Mi viene da pensare a prima, proprio all’inizio… e diamine, avrei dovuto capirlo. Avrei dovuto capire che avresti cambiato il mondo.”

Peter scuote la testa. “Io non– non…” Non sa cosa dire e guarda il braccio di Tony. “Mi dispiace, per quello,” dice poi, con un gesto a indicarlo. “Mi… mi sento uno schifo.”

“Non c’è bisogno,” sbuffa Tony. “Davvero. Francamente, è un onore. Tutti vorrebbero avere questa fortuna.”

Peter sorride impercettibilmente.

“Non voglio che ti senti in colpa,” dice Tony, nascondendo il gesso dietro alla propria gamba. “Non per me.”

Peter annuisce, e cerca di accettare quelle parole.

 
§

 
Il Dodici è ancora fumante.

Peter si sente stranamente distaccato da quel luogo, quando atterrano, quando lo vede con i propri occhi. Jessica e Luke si allontanano dal gruppo con due soldati ad accompagnarli, e sa che stanno cercando di risparmiargli il peggio, i punti in cui ci sono più corpi. Ha sentito che la maggior parte della gente era raggruppata a circa un chilometro dal confine, come se pensassero di riuscire a scappare.

Si fissa i piedi mentre fanno decollare le telecamere. Sono proprio di fronte al Municipio, e c’è solo polvere. È distrutto, riconoscibile a malapena per ciò che era. È venuto qui tante volte, così tante volte in vita sua. Proprio qui, in questo punto. Il Dodici era la sua casa. Era la sua casa.

Adesso è ridotta in macerie.

“Ehi,” dice MJ, accanto a lui. Peter la guarda e lei gli si accosta, posandogli un casto bacio all’angolo delle labbra. Ha le lacrime agli occhi quando si allontana, e gli passa una mano sulla schiena. “Ce la puoi fare, capito?”

“Gr– grazie,” dice lui, schiarendosi la voce. Alza lo sguardo, vedendo Jessica e Luke che stanno tornando, facendo un cenno d’assenso a Tony. Peter sente il petto costretto mentre li osserva raggrupparsi dietro di lui, proprio come avevano discusso di fare, e sente i soldati dentro l’elivelivolo che tengono traccia di ogni possibile pericolo in avvicinamento.

“Sono in contatto con loro, Pete,” dice Tony, alla sua destra. “Va tutto bene.”

Peter ha paura di essere in piedi sopra a dei corpi. Corpi che non può vedere, perché sono sepolti sotto tutti i detriti. La sua paura minaccia di bloccarlo, ma poi Tony gli stringe la spalla. Sostiene il suo sguardo, rivolgendogli un cenno, e Peter capisce perfettamente cosa sta cercando di comunicargli.

“Va bene,” esala, mentre Tony lo lascia andare. “Va bene.”

“Quando sei pronto,” chiama Bruce, alle sue spalle. “Come l’altra volta. Siamo pronti per te.”

Ci sono tre telecamere di fronte a lui, altre che circondano il gruppo, circa sei che si aggirano su quel che resta del Dodici, raccogliendo quanti più scatti possibili.

Peter inspira. Espira.

“Qui è Peter Parker,” dice, con voce che trema. “Sono in ciò che rimane del Distretto Dodici. Due giorni fa, Capitol ha inviato un paio di elivelivoli e ha bombardato la mia casa con delle bombe incendiarie, finché non ne è rimasto più nulla.” Abbassa lo sguardo, serrando le mani di fronte a lui. Non sa neanche cosa dire. Gli sembra di essere in un territorio vuoto, adesso. “Ci sono state migliaia di vittime,” dice, a voce bassa. Rialza lo sguardo. “Migliaia. Migliaia di anime che il Presidente Stane era disposto a sacrificare per mantenere il controllo dei Distretti.”

Guarda sopra la sua spalla, e il resto di loro china la testa, in un gesto non programmato che in qualche modo si allinea perfettamente nei loro ranghi. Gli manda un brivido lungo la schiena.

Si gira di nuovo verso le telecamere. “È questo, che fanno,” dice. “È questo che continueranno a fare se non ci opponiamo. Continueranno a farci a pezzi finché non rimarrà nessuno. Il popolo di Panem è solo un’altra pedina nel gioco di Stane. Il popolo di Panem è più di un tiro al bersaglio per permettergli di mantenere la sua posizione. Ma adesso è diventata labile, Stane. Ci proteggeremo a vicenda. Costruiremo un nuovo mondo, uno in cui questo – questo – non accadrà mai.” Si guarda di nuovo alle spalle, verso l’inferno di distruzione che li circonda. Gli sembra irreale. Sembra un palcoscenico. Questa è casa sua. Casa sua.

Indietreggia malfermo, solo leggermente, ma Tony allunga una mano a stabilizzarlo. MJ gli prende l’altra mano e intreccia le dita alle sue.

“Tutte queste persone… volevano solo una vita migliore,” dice Peter, con voce nuovamente traballante. “Volevano solo una vita che fosse la loro. Senza gli Hunger Games a incombere. Senza un governo che li avrebbe uccisi per aver tentato di esistere.” Scuote la testa, col labbro che trema. Punta gli occhi direttamente nella telecamera. Se lo immagina mentre guarda. “Ma li vendicheremo. Vendicheremo chi sono stati e chi volevano essere. E renderemo il mondo sicuro per le generazioni che verranno. Non sapranno mai cosa vuol dire essere intrappolati sotto il regno del Presidente Stane. Non conosceranno mai gli Hunger Games. Saranno liberi. Come noi ci siamo sempre meritati.”

Annuisce, stringe la mano di MJ e vede le telecamere che si spengono. Lei si sporge verso di lui, posandogli un bacio sulla tempia, e lui sospira accogliendo quel contatto.

“Sei stato perfetto, Peter,” dice Bruce, gentilmente, alle sue spalle. “Aveva un… un certo non so che. Un qualcosa.”

Tony rilascia un respiro accanto a lui. “Vuoi provare a contrattare per più tempo?
chiede.” Vuoi… provarci di nuovo o… fare un giro?”

“Hanno recuperato tutti, vero?” chiede lui. “Hanno controllato? Sono certi di non aver lasciato nessuno indietro?”

Tony annuisce. “Hanno controllato,” risponde. “Sono tutti fuori, con noi. Cho e Yinsen hanno un intero reparto pieno di feriti, ma tutti i sopravvissuti… sono fuori.”

Peter medita se rimanere per seppellire i corpi, ma sa che sono tutti esposti. Si inginocchia, lasciando MJ, e preme il palmo sul suolo polveroso. Chiude gli occhi e dice una preghiera in testa, e crede quasi di sentire la voce di Ben che gli risponde. Come se ci stesse pensando lui. Come se sarà lui a condurli a casa.

Un giorno, Peter lo vedrà di nuovo. Lui, i suoi genitori, tutti coloro che sono morti qui. Anche Scott, e Pepper, e Rhodey, tutte le persone di cui Tony gli ha parlato.

Ma non oggi. Non così presto.

 
§

 
Un gruppo di venti contadini nel Distretto Undici respinge uno squadrone di Pacificatori e li ricaccia verso il confine. Rubano le loro armi e li fanno uscire a forza dagli uffici governativi e dalle armerie. Portano il simbolo di Spider-Man sulla spalla.
Dei ribelli si nascondono negli alberi nel Distretto Sette, lasciando cadere bombe sui Pacificatori che li inseguono. Gridano le parole di Peter: “Vendichiamo chi sono stati, e chi volevano essere!”
Il Distretto Quattro porta Scott nel proprio cuore, e vengono allestiti ologrammi in tutto il Distretto, lo stesso che Peter Parker ha creato mentre Scott stava morendo. I Pacificatori rimangono vittime delle loro trappole, e alcuni vengono trascinati in mezzo all’oceano ad annegare.
Janet Van Dyne si erge con coloro disposti a morire per l’operazione nel Distretto Cinque: bombe, per abbattere la diga e la riserva d’energia di Capitol. Ci vorranno settimane per organizzare il tutto e raccogliere le persone necessarie. Ma verrà fatto.
I ribelli nel Distretto Sei bloccano le entrate al loro Distretto con dei vagoni abbandonati. Creano maschere e costumi. Sono tutti Spider-Man.
La battaglia nel Distretto Otto termina con la vittoria dei ribelli, e i cittadini riescono a mettere all’angolo le truppe di Pacificatori in una delle fabbriche di grano, per poi darla alle fiamme. Rinforzano i confini, e non permettono l’accesso ad altri Pacificatori. Per il momento, sono liberi.

 
§

 
Sono passati nove giorni, e Peter ha cercato di sbarazzarsi di parte del proprio senso di colpa. Non pensa al Dodici per rattristarsi. Pensa a ciò che ha detto. Vuole vendicarli.

Il Tredici ha dei laboratori che esulano da tutto quello che Peter ha visto in vita sua, e Tony sembra un bambino in un negozio di caramelle. Peter sta accanto a lui, e gli passa gli attrezzi quando glieli chiede. Lo osserva costruire. Lo fa sentire al sicuro, normale. Magari non sa cosa significa tutto questo, ma sta iniziando a scoprirlo.

“Sai chi c’è qui?” chiede Tony, chino sulla propria postazione, intento a saldare qualcosa a qualcos’altro. È un po’ che sta scartando materiali, ancora insoddisfatto dalla resistenza dei metalli su cui ha messo le mani.

“Chi?” chiede Peter, con gli occhi che delineano lo scheletro di ciò che sta costruendo Tony.

“Quel ragazzino che hai salvato, Harley,” dice Tony. Sospira, voltandosi a fronteggiare Peter mentre lancia una vite in aria, riacchiappandola al volo. “Hanno delle lezioni per quei ragazzi, qui, possono… possono scegliere le materie che vogliono e tutto il resto e... cavolo, è bello. Anche a lui piace costruire cose. Vuole diventare un meccanico.”

Peter sorride al pensiero.

“Scommetto che gli piacerebbe molto rivederti,” aggiunge Tony.

“Magari lo vado a cercare più tardi,” replica Peter. Schiocca la lingua e si guarda alle spalle. I laboratori sono composti da un’infinità di stanze, tutte con pareti di vetro per una completa trasparenza. Steve e Bucky sono in quella accanto, mentre maneggiano delle armi e degli scudi. Natasha e Clint vanno e vengono, tallonati da Kate Bishop. Dietro di lui, Bruce è immerso in una fitta conversazione con Thor, e hanno i loro progetti dispiegati di fronte. Sam è oltre la porta dietro di loro, con un’orda di progetti legati a Spider-Man su cui lavora contemporaneamente. Carol è ancora più indietro, con Riri, Shuri e Kamala Khan, tutte con troppe idee e non abbastanza spazio per metterle tutte in pratica. Non ancora. Ma Peter le conosce abbastanza, e sa che occuperanno almeno altre sei stanze qua dentro per realizzare ciò che vogliono.

Vede MJ in corridoio, che cammina con May e Ned. Si fermano, ammirando le pareti blindate che conducono ai laboratori, e Peter rimane a osservarle un istante prima di tornare a guardare Tony.

“Stai costruendo un’armatura, vero?” chiede poi. I suoi occhi guizzano verso ciò su cui sta lavorando. Che è decisamente un’armatura, che Tony lo ammetta o meno.

Lui sorride, sollevando le sopracciglia. “Sto… facendo un tentativo,” dichiara. Incrocia le braccia sul petto. “È saltato fuori che il reattore arc può fornire energia a un’armatura come quella che avevo costruito. In modo da avere anche un’intelligenza artificiale all’interno, degli schermi, proprio come quei bastardi, e… e… posso volare. Se faccio le cose per bene.”

Il volto di Peter si illumina. “Wow,” esclama. “Davvero? Come quelle nell’arena?”

“Meglio, chiaramente,” replica Tony, dandogli di gomito.

Peter sorride appena e rivolge un’altra occhiata a Sam, che al momento sta intessendo un costume con le sue ragnatele.

“Ci sono stati un po’ di… discorsi,” dice a qual punto Tony, schiarendosi la voce. “Ovviamente vogliamo tutti rimanere vivi, sai, per… per ancora molti anni, ma so– so come ti senti. So cosa ti passa per la testa, e non importa quel che dico io o quante volte ti sbarro la strada… so che vuoi unirti agli scontri, in qualche modo. Magari più di quanto già tu non faccia con i pass-pro.”

“Forse,” dice Peter, mordicchiandosi il labbro. “Voglio solo… non lo so.” Vuole fare la differenza. Non vuole rimanere al sicuro quando nessuno lo è. Ma non vuole morire. Non di nuovo. Non vuole che May, Tony, Ned e MJ si trovino di nuovo ad affrontare una cosa simile.

Continua a pensare… che ha dei poteri per un motivo.

“Beh, come dicevo, ci sono stati… dei discorsi,” dice Tony. Alza lo sguardo, e Peter ne segue la direzione. Sta fissando Steve e Bucky. “Più o meno tutti quelli che abbiamo attorno adesso si sentono allo stesso modo,” rivela. “E Bruce stava pensando che potremmo eventualmente riunirci, come un gruppo, magari come… una squadra, e fare qualche missione sotto copertura. Missioni di recupero. Niente azioni in prima linea, ma… potremmo andare dove hanno bisogno di noi. Prendere le fortezze di Capitol che sono troppo ostiche per i ribelli da soli. Sottrarre informazioni. Roba del genere. Saremmo al sicuro, protetti, preparati… ci copriremmo le spalle a vicenda.”

Peter lo fissa. “Missioni?” chiede. “Come una squadra?”

“Solo se vuoi,” dice Tony. “Io ti voglio solo al sicuro, ma sto cercando di essere… flessibile. Posso farlo. Posso essere flessibile.”

Peter annuisce. “Sì,” risponde. “Sì, sì, mi– mi piacerebbe molto…”

“Dovremmo fare una quantità assurda di allenamenti,” dice Tony, gesticolando un po’ agitato. “Nel senso, tutti noi. Tutto il giorno, tutti i giorni. Non sarebbero gli Hunger Games, sarebbe peggio, e non voglio che tu vada là fuori impreparato.”

“Certo,” dice Peter, rapido. “Sì, sì, certo–”

“E i costumi che avremo addosso, dovrebbero essere letteralmente… insomma, Peter, il tuo dovrebbe essere a prova di proiettile. Dovrei davvero impacchettarti con della plastica da imballaggio per sentirmi a posto. E non lo sarei nemmeno allora.”

“Va bene,” dice Peter. “Cioè, sarei con te, quindi… e se tu indossi l’armatura di Iron Man? Insomma–”

“È solo… sono solo chiacchiere, per ora,” dice Tony. Si guarda di nuovo alle spalle, verso Bruce e Thor. Bruce sembra molto infervorato, come se stesse imitando un mostro, e Thor sembra preoccupato. Tony torna a fissare Peter. “È… se succede, dobbiamo solo essere pronti. Nel senso che tu dovrai essere pronto. La guerra sarà lunga, e ci sarà… ci sarà molto da fare. Non saranno solo scontri corpo a corpo.”

Peter ricambia lo sguardo e annuisce di nuovo. Gli sembrano tutti giganti, tutti loro, persino MJ, e l’idea di combattere al loro fianco, di fare ciò che va fatto, sente… sente che è giusta. Lo riempie di determinazione, e gli sembra finalmente di riuscire a far presa su quelle responsabilità che gli pesano sulle spalle da quando quel ragno l’ha morso.

Fa due passi in avanti e abbraccia strettamente Tony, nascondendo il volto nella sua spalla. Tony ride, avvolgendolo a sua volta.

“Ehi, e questo per cos’è?” chiede, passandogli una mano sulla schiena. “Non che mi stia lamentando.”


Niente,” dice Peter, serrando con forza gli occhi. Ripensa a tutto, a tutto quanto, a come Tony fosse un tempo una figura lontana che stimava così tanto, e adesso è diventato così. Adesso è come un padre. Adesso è qui, per tutto quanto. Non importa cosa accadrà. E con lui, May, Ned, MJ… e tutti coloro che gli stanno a fianco, Peter pensa di poter fare tutto. Non importa cosa gli farà affrontare Stane.

Lo sconfiggeranno. Peter sa che ce la faranno.

“È solo… grazie,” sussurra Peter.

“Grazie a te,” replica Tony, piano.

Peter continua a stringerlo, immaginando tutto ciò che li aspetta, e cerca di pensare oltre la guerra, oltre la morte e le sofferenze, oltre le possibili perdite. Cerca di immaginarsi il Dopo. Il vero, vero Dopo. Un tramonto sul regno di Stane su Panem. Avrà una famiglia, una vita. Una vera ragazza, che lo ama. Avrà una squadra.

Si ritrae, con tutte quelle possibilità in testa, e pensa ad arrivare fin laggiù. “Quindi, se… se formeremo una squadra avremo bisogno di un nome. Ci chiamano tutti i ribelli, ci serve un nostro nome. Un nome di squadra.”

“Con mia sorpresa, quella è stata la prima cosa a cui quel maledetto di Fury ha pensato quando ha tirato fuori l’idea,” ride Tony, dandogli una pacca sulla spalla e riprendendo a lavorare sull’armatura, appuntando la parola vibranio sul suo palmare. “Sembra che ci stesse pensando. Ha detto che tu l’hai ispirato.”

“Qual è?” chiede Peter, avvicinandosi a sua volta e mettendosi accanto a lui, pronto ad aiutarlo.

“I Vendicatori,” risponde Tony, rivolgendogli un’occhiata. “Suona bene, eh?”

Peter non avrebbe mai pensato di diventare questo. Ha sempre creduto che sarebbe rimasto un ragazzo del Dodici per tutta la vita. Ma adesso è Spider-Man. Adesso è… un Vendicatore.

Pensa che Ben sarebbe orgoglioso. Anche i suoi genitori.

“Già,” dice, con troppe emozioni dentro di sé. “Sì. I Vendicatori. Mi piace.”

Tony fa un gran sorriso, e i due si rimettono al lavoro. Si sono lasciati gli Hunger Games alle spalle. E adesso ci sono i Vendicatori all’orizzonte.

Non importa chi altri ci sarà al suo fianco, Peter è certo di una cosa: Iron Man e Spider-Man saranno sempre uniti.

 





 
• Fine 
 
 

 
Tradotto da: ever in your favorworse games to play, di iron_spider da _Lightning_

Note:

[1] 
Il costume in questione è quello del videogioco di Marvel's Spider-Man ->
Anti-Ock suit
[2] Questo costume è una versione nera di quello che si vede in Homecoming -> qui 


Note della traduttrice:

Cari Lettori,
siamo giunti alla fine di questa storia, stavolta per davvero. Mi scuso per il ritardo degli ultimi aggiornamenti, ma come avete visto l'ultimo capitolo era mastodontico e il mio tempo per tradurre si è drasticamente ridotto... anche se ho già altre traduzioni in cantiere ;)

A questo punto direi che è il caso di aprire una sorta di discussione "tra fan" riguardo alla storia e al suo finale. Personalmente, ne ho tante/troppe da dire, ma magari evito di tediarvi e intasare ulteriormente le note :')

Un grazie enorme a Eevaa, Manulalala, ericaron, T612, Miryel e Paola Malfoy per aver seguito e recensito la storia, spronandomi a continuarne la traduzione e ad aggiornare puntualmente, per quanto possibile. E ringrazio infinitamente _Atlas_, mia fidata beta reader che ha impedito a molti orrori di battitura di arrivare alla pubblicazione <3

Di nuovo grazie mille a tutti voi, e spero continuerete a seguire le altre traduzioni!
Un caro saluto,

-Light-

P.S. Mi sono presa la libertà di apporre la parola "fine" alla storia, ma non è chiaro se l'autrice voglia scrivere o meno un seguito, visti i vari sospesi che ha lasciato. Personalmente lo ritengo improbabile, ma mai dire mai!

 




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