UN
ANNO FA
Lena
aveva gonfiato le guance, tenendo il cellulare tra le dita. «Le
vedrò al vostro matrimonio-», aveva stretto i
denti, «Lasciami
parlare! Lasciami finire! Non è necessaria la mia presenza
lì».
Aveva allontanato il telefono dall'orecchio di colpo.
«Sì, faccio
parte di questa famiglia», aveva scosso una mano seccata
mentre
ascoltava sua madre dall'altra parte, adocchiando il suo assistente
davanti a lei che, in attesa, aveva iniziato a dondolarsi sui
talloni. «Non voglio stare in quella casa per giorni, con
delle
complete- lasciami
parlare,
estranee… mamma». Le aveva sempre fatto un po'
strano chiamarla
mamma
e, da quando aveva scoperto di essere la figlia biologica del padre,
per un qualche motivo, lo era diventato ancora di più.
«Eliza è
dolcissima, ma preferirei restare qui a lavorare».
«Dunque
non ti interessa conoscere le tue sorellastre? E per l'amor del
cielo, Lena, è vacanza»,
aveva sbottato Lillian dall'altra parte del cellulare, «I
dipendenti tornano a casa per le vacanze e mia figlia vuole restare
lì a lavorare. È qualcosa di
inconcepibile».
Winn
si era grattato con nervosismo, avrebbe preferito essere altrove.
Aveva alzato gli occhi al soffitto, si era guardato attorno con
distrazione e dopo aveva ben pensato di iniziare a tirarsi le
cuticole dalle dita per fingere di non stare ascoltando e distrarsi:
la signora Luthor gli aveva sempre fatto un po' paura.
Lena
aveva sbuffato appena, fregandosi gli occhi stanchi. «Se
avessi
voluto che conoscessi le figlie di Eliza, allora avresti combinato
prima un incontro. Andare a viverci insieme, anche fosse per qualche
giorno, è prematuro. E non conosco la casa, e
se-».
«Te
lo chiedo per favore, Lena. Facciamo che questa cosa funzioni. Vieni
qui e le conosci, resterai dei giorni e ti comporterai da figlia
esemplare, poi-».
«Poi
che cosa?», era stata lei a interromperla. «Non
puoi convincermi a
farlo».
«Non
ci sarà nemmeno Lex… Che figura mi fate fare?! Te
lo chiedo per
favore».
«Cosa?
Lex non-», aveva scosso la testa e sbuffato di nuovo,
battendo le
dita sulla scrivania. Lex non ci sarebbe stato? La situazione non
faceva che peggiorare. «E va bene», aveva sospirato
pesantemente e
non le importava che sentisse. «Senti… potresti
mandarmi
Ferdinand? In vacanza? Ferdinand non va mai- Va bene. Ho capito. Ma
mi manderai una macchina almeno una volta lì o non
saprò dove
andare. Sì, ci risentiamo». Aveva staccato la
telefonata
ingigantendo gli occhi, guardando Winn che, intanto, si era rimesso
composto, dritto con la schiena. «Anche la tua famiglia
è così
complicata?».
Lui
aveva scrollato appena le spalle, sorridendo. «Oh beh, non
così,
ma… ognuno ha i suoi guai. Volevo dirle che ho aggiornato le
schede
riguardanti la famiglia Danvers come mi aveva chiesto, signorina
Luthor. Qualche dato in più che ho scovato
recentemente», sorrise,
«giusto dei dettagli. Come Kara Danvers che pratica
sport».
«Sport?»,
aveva alzato un sopracciglio, sorpresa. Aveva aperto i file in quel
momento, sul suo laptop, e l'occhio era caduto proprio in una delle
sue foto. «Ha il fisico da sollevatrice di
fermacarte».
«Emh,
veramen-».
«Va
bene, Winslow, ti ringrazio per l'ottimo lavoro. Da domani puoi stare
a casa, è vacanza. A quanto pare… lo
sarà anche per me», aveva
gonfiato gli occhi, tenendo strette le labbra. Lui se n'era andato in
fretta e lei aveva dato una nuova occhiata ai file di Eliza, Alex e
Kara Danvers. Solo dei dettagli, aveva detto il suo assistente,
allora magari nemmeno li avrebbe letti. Tra meno di due giorni
sarebbe andata nella loro casa, dopotutto. Ormai il tempo era scaduto
e si sarebbe fatta un'idea migliore di loro conoscendole di persona.
Conoscere le sue sorellastre, poi… Già immaginava
come anche loro
non avessero alcun interesse a conoscerla. Lillian stava con questa
Eliza da tempo e adesso si era messa a fare tutto di corsa. E
nondimeno, se queste Alex e Kara avevano interesse a far parte della
famiglia, non si sarebbero già presentate per la cerimonia
di
fidanzamento? Non poteva certo credere che nessuno le avesse
invitate. Senza contare del comportamento di Lex. Suo fratello era il
solito guastafeste. Lo aveva chiamato mentre sistemava tutto per
tornare a casa, ma si era attaccata la segreteria telefonica. Aveva
ansimato, infastidita, e si era allontanata dal suo ufficio,
chiamando l'autista che la venisse a prendere. Almeno lui aveva
risposto. Aveva salutato il portinaio e, con passo deciso, era uscita
dalla struttura, continuando a chiamare Lex senza successo. Fuori si
era già fatto buio: il cielo era così grande e
malinconico,
stellato. L'aria era fresca, un poco umida e si era fregata le
braccia. «Lex. Richiamami, per piacere»,
lasciò il messaggio. Era
entrata nella vettura quando Ferdinand era sceso per aprirle la
portiera, così se n'era andata, continuando a osservare il
cielo dal
finestrino.
PRESENTE
«Hai
una pistola?». Kara strabuzzò gli occhi e
alzò la voce senza
rendersene conto. «Avevi una pistola in borsetta per tutto
questo
tempo?».
I
ragazzi erano scappati dal parcheggio e Lena aveva riabbassato
l'arma, custodendola appena riuscì a riprendere fiato.
Tremava,
accidenti. Nonostante fosse andata al poligono con Alex e Maggie, non
era così facile impugnare una pistola per difendersi, senza
neppure
contare lo sguardo allibito di Kara che la trapassava da parte a
parte. Alex aveva ragione e non che lo avesse messo in dubbio,
però
il tempo era trascorso in fretta, non aveva avuto l'occasione e
ora…
«Da
quanto tempo hai una pistola? È carica? Lena?
Perché non mi
rispondi?», si stava spazientendo.
«Da
un po'… Dall'attentato alla Luthor Corp».
«Da-»,
si bloccò, sorpresa, «E non hai pensato di
dirmelo?».
«Andiamo
a parlarne in macchina, per favore».
«Di
fermarmi e dirmi ehi,
Kara, sai che mi sono tenuta la pistola?!»,
spalancò le braccia.
«Va
bene, ho capito. Adesso possiamo andare in macchina?»,
ribadì.
Vedendo che non collaborava, allora restò ancorata sui suoi
passi
anche lei, mettendo le braccia a conserte e uno sguardo duro.
«Ti
avevo chiesto di andare, volevo che ci allontanassimo ma non mi hai
dato ascolto».
«E
per questo tiri fuori una pistola?», ribatté.
Quando finalmente si
accorse di stare gridando, pensò di abbassare i toni,
sospirando e
portandosi una mano sulla fronte. «Quei ragazzi non erano una
minaccia. Okay? Dovevo solo mollare il polso e se ne sarebbero
andati! Perché lo hai fatto?».
Lena
strinse i pugni. «Perché avevo paura»:
urlò anche lei e gli occhi
le si fecero piccoli, lucidi e severi, freddi.
«Perché avevo paura,
accidenti; secondo te l'ho fatto perché sarebbe stato
divertente?!
Non siamo tutti come te, Kara Danvers», la fronte si
corrugò, «ti
puntano una pistola contro e pensi a disarmarla, ne esci con appena
un graffio, ma se io non avessi avuto quella pistola… non so
cosa
sarebbe successo».
Kara
serrò le labbra con forza, accigliandosi. «Pensi
che… io non
abbia avuto paura quando Faora Hui ha tentato di uccidermi, alla
stazione?», le chiese a bassa voce, «Pensi
che… non abbia pensato
di morire?».
Lena
si lasciò scappare una lacrima e alzò gli occhi
al cielo: grande e
malinconico, stellato, l'aria fresca e un po' umida, come un anno
prima. Si asciugò il viso, mordendosi un labbro.
«Alla
Luthor Corp e-era una cosa diversa, hai usato la pistola per
difenderti e difendere James, e Winn, ma adesso…».
«Adesso
cosa?»,
domandò, ricominciando ad alzare la voce: «Ci sto
provando, Kara!
Tu stai bene, io no. Sei forte, io no. Sei sicura di te, io no. Non
sai come mi senta. Perché non riesci a metterti nei miei
panni?».
«E
tu perché non pensi che avresti potuto ferire qualcuno? Non
è un
giocattolo».
«Oh,
grandioso», spalancò le braccia e
abbozzò un frustrato sorriso,
tirando su con il naso. «Pensi che, secondo me, sia un
giocattolo?»,
girò sui suoi passi, colma di nervoso.
«La
pistola di tuo padre… Credevo l'avessi rimessa a
posto…»,
bofonchiò, quasi per sé.
Lena
riprese fiato, togliendosi i capelli dal viso. «Sono stata al
poligono con Alex, so come si usa».
«Alex?»,
s'imbrunì.
«Non
prendertela con lei, adesso», si rimise dritta con la
schiena,
guardandola negli occhi. «Mi ha aiutato dopo che ho preso il
porto
d'armi». Ricominciò a tremare e probabilmente,
questa volta, dalla
rabbia. Erano entrambe su di giri, non riuscivano a capirsi. Il cuore
era agitato quasi quanto prima. «Loro non erano una minaccia?
E se
qualcuno di loro fosse stato armato? Erano in tre, Kara. In
tre»,
insisté. «Tu forse pensavi non sarebbe stato
nulla, vedere come la
discussione sarebbe andata avanti, ma abbiamo un'organizzazione che
non sappiamo come e se ci prenderà di mira, qualcuno ha
assassinato
mio padre, il mio assistente ha ancora un livido in faccia
perché
una donna armata lo ha colpito alla tempia. Faora Hui è
morta,
Kara», scosse la testa. «E l'unico modo che ho per
difendermi e
difendere te è quella pistola. Quella pistola,
Kara», abbassò gli
occhi lucidi per asciugarseli, mentre l'altra sospirava e alzava le
braccia, non riuscendo a star ferma.
«I-Io
questo l'ho capito, ma-».
«Non
l'hai capito».
«Guardati»,
strinse i denti e Lena si guardò le mani: tremavano.
«Vuoi
difenderci in questo stato?».
Lena
chiuse gli occhi e trattenne il fiato, aprendo e chiudendo i pugni
più volte. «Prima non tremavo».
«Sì
che tremavi», disse a bassa voce, «Ti ho
vista».
Sì,
tremava. «Non è questo il punto»,
mormorò.
«E
allora dimmi tu qual è! Aiutami a capire,
perché…», scrollò le
spalle; stava per riaprire bocca che una famiglia con bambini a
seguito entrò nel parcheggio: una bimba sul passeggino
guardò
entrambe a turno, incantata. I loro genitori si voltarono, ma
proseguirono dritti: dovevano aver sentito le urla. Sarebbe stato
meglio entrare in macchina e presero passo. Chiusero gli sportelli e
si guardarono, scuotendo la testa.
«Non
ti piacciono le pistole, adesso lo terrò a mente»,
disse Lena,
infilando le chiavi nel quadro.
«No.
È l'unica cosa, forse l'unica, che ci distingue da loro».
«Non
è l'unica», controbatté a bassa voce,
sistemando il sedile.
«Okay,
non è l'unica», scrollò le spalle.
«Ma non è questo… Questo…
Sono loro
che si armano-».
Lena
la interruppe: «La vita non è un fumetto,
Kara».
All'altra
si arrossarono le gote, colta sul vivo. Strinse le labbra e la
guardò
solo un momento, notando che si stava mettendo alla guida.
«Non
parlavo dei fumetti! Ce ne stiamo andando? Non usciamo
più?».
Lena
allora si fermò, decisa a guardarla in faccia.
«Vuoi passeggiare
come se niente fosse successo? Andiamo, allora», si strinse
nelle
spalle e si slacciò la cintura.
«No,
no, non così», la fermò esasperata e
Lena serrò la bocca,
mordendosi un labbro. «I-Io voglio davvero
capire-», si bloccò e
la vide appoggiarsi al sedile con un'espressione truce: era come una
bomba pronta a esplodere e la cosa la innervosiva perché
doveva
essere lei quella arrabbiata e non il contrario. Era lei ad avere la
pistola.
«Non
c'è nulla da capire, Kara», la guardò
di nuovo. «Porto con me la
pistola di mio padre perché mi sento vulnerabile e quando
quei
ragazzi… Non avevo intenzione di sparare nessuno, volevo
solo
spaventarli e farli allontanare. E ha funzionato. Sei tu che ti butti
a capofitto in una situazione pericolosa senza pensare alle
conseguenze. Ti avevo chiesto di andarcene: è tutto
lì».
«Non
parlarmi come se fosse colpa mia», si agitò,
contraendo le
sopracciglia. «Non si usano le pistole per spaventare la
gente! Loro
non erano pericolosi, io avevo tutto sotto controllo»,
gonfiò il
petto, «e tu non dovresti portare una pistola in
borsetta».
«Tu
avevi tutto sotto controllo», replicò fredda,
«Tu».
«E
se ti fosse caduta? E se avessi sparato, anche solo per
errore?».
«Per
errore»,
strizzò gli occhi, estraendo un fine e incerto sorriso,
«Oh…
Certo».
«È
un attimo, Lena. Si sentono tante di quelle cose… Non
è per non
fidarmi di te. Vedo che faccia stai facendo»,
borbottò e l'altra si
portò una mano sulla fronte, trattenendo il fiato.
«Dovrebbero
esserci più controlli sulle armi e sulla loro vendita,
questo a-a
prescindere», gesticolò.
«Sai
una cosa? Lasciamo perdere. Sono stanca, ti prego».
«Uccidono
più le armi in mano alla gente comune che quelle ai
terroristi».
«Andiamo
a casa».
Si
guardarono e Kara si zittì, stringendo le labbra. Si sentiva
un
fuoco, non avrebbe voluto far finire lì quella discussione.
Come
poteva Lena non capire la gravità della cosa? La difesa
personale
andava al di là di una cosa come quella. I suoi genitori
erano morti
per colpa della gente armata. Erano i cattivi a portare le armi, non
il contrario; ed era un concetto universale, non circoscritto ai
fumetti.
Lena
si rimise alla guida in silenzio, quando si sentì pronta.
Lei e Kara
restarono zitte, ascoltando i propri pensieri e le canzoni proposte
dalla radio locale. Quando cominciarono ad allontanarsi dal centro,
Lena si azzardò a guardare Kara con la coda dell'occhio che
non
staccava lo sguardo dal finestrino; i capelli mossi dal vento: era
seria, imbronciata. Non era così che si immaginava la
serata, tanto
valeva restare a studiare. Doveva aver appena sbattuto il muso contro
un suo limite: capiva perché non le piacessero le armi, era
lampante, ma le dava fastidio come Kara non riuscisse a separarsi da
quel pensiero binario che divideva criminali da persone perbene.
Forse quei ragazzi non erano o non erano ancora una minaccia, ma si
era spaventata e… Forse avrebbe dovuto pensarci
più lucidamente,
questo glielo concedeva. Tremava davvero, dopotutto.
Lasciarono
il centro e la vibrazione del cellulare di Lena fece saltare dallo
spavento entrambe, poi la ragazza chiese all'altra di leggere per
lei, non avendolo collegato al computer di bordo. Ah, era solo Indigo
che chiedeva se sarebbero tornate per cena, che aveva fame. Ci
mancherebbe, pensò Kara. Lena le chiese di rispondere, ma
lei
s'incantò a veder dondolare la palletta pelosa e fucsia che
teneva
ancora agganciata: gliel'aveva regalata lei. Il suo primo regalo a
Lena. La toccò scompigliandole il pelo, poi
sospirò, digitando il
messaggio di risposta. «Sarebbe capace di mangiarsi un pacco
di
pop-corn per cena, se non dovessimo tornare»,
brontolò Kara.
Osservò Lena con la coda dell'occhio e, nel vederla
sorridere,
allora anche le sue labbra si piegarono un poco.
«Sì,
è vero».
Abbozzarono
una risata, a bassa voce, tornando serie e zitte.
Era
difficile credere che avesse covato quel terrore dentro di lei tanto
a lungo. Da dove era uscito? Tremava davvero. Neanche se ne rendeva
conto. Alex e Maggie le avevano insegnato a impugnarla e a sparare,
ma non sembrava sufficiente. Aveva ottenuto il porto d'armi, ma non
era sufficiente. Tremare in quel modo, tenendo in mano una pistola,
poteva rivelarsi più pericoloso che non averla. La paura di
loro era
pari solo alla paura di sparare. E quei tre… Lena
sospirò: erano
solo ragazzi. Kara aveva ragione su quello e sbuffò. Le
mancava
qualcosa che non avrebbe potuto sistemare con un certificato o un
bersaglio al poligono.
Kara
osservò il cielo fuori dal finestrino un poco aperto e dopo
ancora
Lena, concentrata alla guida. Stavano per tornare a casa e avevano
chiuso in quel modo la discussione. La scena di lei che le chiedeva
di andare via non la lasciava in pace. In quel momento, non aveva per
niente fatto caso a come si fosse stretta per allontanarsi insieme.
Alla sua fretta. Alla sua paura. Non aveva per niente pensato a come
si sentisse, voleva solo, cosa,
giocare con quei tre? Volevano provarci e lei non vedeva l'ora di
rimetterli al loro posto? Strinse le labbra e abbassò lo
sguardo,
amareggiata. Voleva che attaccassero briga di proposito? Non erano
una minaccia, ma forse se ne sarebbero andati e basta, se lei non
avesse insistito a rivolgere loro la parola. Perché lo aveva
fatto?
Lasciarono
l'auto in garage e cenarono prima che Indigo razziasse cibo
spazzatura in cucina. Si guardarono insieme qualche episodio su
Netflix come al solito, vicine più fisicamente che con la
testa, e
dopo Kara decise di andarsene a letto. Non ne avevano più
parlato ma
sapeva che lo avrebbero dovuto fare o sarebbe rimasto qualcosa di
irrisolto e non le piaceva litigare, quindi l'avrebbe aspettata
sveglia, in camera sua dove dormivano ogni notte, pronta per far
pace. Ma forse Lena doveva ancora prendere del tempo per sé,
poiché
non arrivò. Kara si affacciò alla finestra e la
vide fuori, seduta
su uno sdraio sull'erba, accanto a Indigo. Non poteva crederci che si
stesse sfogando con lei. Brontolò e tornò a
sistemarsi sotto il
lenzuolo. Lena sarebbe arrivata presto. O così sperava.
Forse si
addormentò a un certo punto, per poco. Apriva di scatto gli
occhi e
Lena ancora non c'era. «Okay», si alzò,
infilando un pantaloncino
corto, una canotta e le ciabatte. Le aveva lasciato il tempo per
pensarci, ma non era tornata e doveva essere arrivato quel delicato
momento di preoccuparsi un po'. Aprì appena la porta della
camera
affidata a Indigo e la scorse con il portatile acceso, sdraiata a
letto: doveva vedere un film. Quanto tempo era passato? E allora
dov'era Lena, da sola? Sperava non pensasse che fosse ancora
arrabbiata. E un po' lo era, in effetti. Non che non si fidasse di
Lena, non sapeva come dirglielo, ma non si fidava delle armi da fuoco
e questo… questo sperava lo capisse. Guardò fuori
dal soggiorno e
aprì una portafinestra: Lena era ancora lì, da
non crederci. Che si
fosse addormentata sullo sdraio? Stava per fare un passo per uscire
ma si trattenne vedendola muoversi, così socchiuse davanti a
lei,
ferma. Non le piaceva indubbiamente litigare con Lena, ma immaginava
di doversi abituare al fatto di non andare sempre d'accordo su tutto.
Se voleva passare la sua vita con lei, di tempo per litigare ne
avrebbero avuto molto altro. E come avrebbero sistemato le cose? Le
sfuriate, l'alzare la voce, anche l'incolparsi a vicenda: erano cose
che doveva mettere in conto. Sarebbe successo e sarebbe successo
anche di dirsi cose spiacevoli solo per ferirsi in un momento di
rabbia. Di rinfacciare qualcosa. Avevano già litigato prima
di oggi,
d'altronde. Tornò indietro e salì gli scalini due
a due. Sarebbe
successo spesso di litigare: doveva accettarlo. Afferrò un
plaid
dall'armadio. Ma amare qualcuno non aveva mai significato anche
andare sempre d'accordo. «Posso?», le chiese, una
volta arrivata
alle sue spalle. Lena le sorrise e Kara le sistemò addosso
il plaid,
mettendosi poi accanto a lei, sull'altro sdraio. Prese il lembo dalla
sua parte quando Lena glielo passò, sistemandoselo sulle
gambe. Era
abbastanza grande per tutte e due. Dopo guardò il cielo: ah,
si
sentiva così piccola e smarrita ogni volta che ci si
specchiava
dentro. Un po' di nuovo bambina. Spalancò le narici: amava
l'odore
di umido che portava con sé la notte d'estate.
«Avrei…
Avrei dovuto dirti della pistola», sussurrò
l'altra, perdendosi nei
suoi occhi. Erano in penombra, ma quell'azzurro pareva brillare.
«E
io avrei dovuto darti ascolto», confessò.
«Avevi paura e non l'ho
capito. Mi-Mi sono fermata lo stesso», morse il labbro
inferiore.
«Pensavo solo a me e non avevo capito… Ti ho
mancato di rispetto,
ti chiedo scusa».
«Avrei
potuto uccidere qualcuno, Kara», proseguì
amaramente. «È vero che
tremavo. Non posso portare la pistola di mio padre con me se non sono
capace di riconoscere un pericolo serio da un gruppetto di
gradassi»,
scosse la testa, gli occhi vacui. «Se non sono capace
di… usarla».
Avrebbe potuto, la paura, impedirle di pensare e agire lucidamente?
Poteva conoscere il più piccolo aspetto di una pistola e il
suo
funzionamento, ma quando entrava in una situazione di stress allora
ogni concetto sfumava per far posto alle emozioni. Ed era sempre
stata brava ad immagazzinare emozioni, o così credeva. Aveva
messo
in discussione molte altre cose da un anno a quella parte, da quando
conosceva Kara.
«Cos'è
successo?», le domandò lei, sospirando. Le prese
una mano fresca,
cominciando a scaldargliela con le sue. «Perché
non mi hai parlato
di come ti senti- ahi»,
si picchiò un braccio, ma la zanzara fece in tempo a
scappare e si
lagnò, iniziando a grattarsi. «Di come ti sentissi
dopo l'attacco
alla Luthor Corp?».
«Non
lo so… Non so come mi sentissi; probabilmente, pensavo di
essere…
normale. Prima di questa sera, lo pensavo davvero»,
poggiò un
gomito sulle gambe, riprendendo la mano mentre lei si grattava
furiosamente, in questo modo resse la testa. «Le zanzare non
ti
lasciano in pace, eh?», le chiese subito dopo: aveva preso a
grattarsi anche in fronte.
«Che
siano maledette», replicò. «Beh, i
segnali c'erano ma non li ho
colti: volevi che ti insegnassi l'autodifesa, Lena», le vece
notare
intanto che, svelta, schiacciò una zanzara sul dorso di una
mano.
«Andremo in palestra più di prima. Ti senti
vulnerabile e non
voglio», la guardò negli occhi. «Vorrei
che ti sentissi più
sicura. Perché ha-hai ragione! Winn è stato
colpito, tutti siamo
stati colpiti dalla furia di Rhea e se penso a Siobhan… A
Faora… E
non sappiamo cosa verrà dopo! Chi ha ucciso tuo padre: non
conosciamo la sua identità e non sappiamo
cos'accadrà», si
accigliò, gesticolando. «Non conosciamo i piani di
Zod. E non
sappiamo se il tizio che ha fatto uscire Indigo di prigione sia una
minaccia oppure no… Hai ragione! Hai ragione su tutto!
Dunque se-se
vorrai portare con te la pistola…», prese fiato e
deglutì. Lena
doveva aver notato la sua riluttanza.
«Non
ti senti tranquilla sapendo che è qui, vero?».
«No»,
forzò un sorriso, «Per niente. E c'è
anche Indigo, insomma».
Lena
rise pacata. «Accidenti, ce l'hai proprio con lei! Adesso
pensi che
prenderà la mia pistola per spararci?».
Lei
alzò gli occhi, gonfiando le guance. «Sparare noi
non so, ma
qualcuno».
«Qualcuno
a caso?».
«No,
però… Non mi fi-».
«Non
ti fidi».
Si
scambiarono uno sguardo e Kara si appoggiò stremata allo
sdraio. «So
che non posso farci niente», ansimò,
«anche se lo vorrei, lo
vorrei davvero tanto, ma almeno eviterai di tremare se la porterai
con te. Con dell'allenamento, la pistola intendo, no-non parlo di
Indigo. Per essere più sicura di te e del tuo corpo.
Basta… Basta
che mi dirai di averla. Devo sapere quando l'avrai, ti prego. Chiedo
solo questo».
Lena
si avvicinò, poggiando la testa sulla spalla sinistra di
Kara. Prese
un grosso respiro. «La lascerò in una cassaforte,
Kara»,
bisbigliò. Lei non rispose, ma la sentì tirare un
sospiro di
sollievo. «Fino a quando non sarò più
sicura, almeno».
«V-Va
bene». Non poté fare a meno di sorridere,
più serena.
Si
lasciò accogliere dalle braccia di Kara e chiuse gli occhi.
La sua
pelle era così calda in confronto alla propria fredda,
rimasta fuori
a lungo. E profumata. Spalancò le narici per catturarne
appieno
l'odore, mischiato con quello fresco dell'erba. Si sentì
baciare
sulla tempia e sorrise. Si sarebbe potuta addormentare così:
i
grilli che cantavano, il plaid sulle gambe, le braccia di Kara che la
proteggevano, il suo cuore che le infondeva sicurezza battendo contro
il proprio corpo. Risuonava in lei. Forse si stava addormentando
davvero. Riaprì gli occhi all'improvviso e
abbozzò una risata: «Le
sento ronzare».
«Mi
stanno mangiando le caviglie», si lamentò,
stringendo i denti. «Ma
non voglio muovermi».
«A
me non pungono».
«Hai
il sangue velenoso, ecco perché».
Lena
si accigliò. «Non ho il sangue
velenoso».
«Invece
sì. Ahi».
UN
ANNO FA
La
palla era caduta sull'erba e le giocatrici, racchetta in mano,
avevano corso da più direzioni per acchiapparla. Una ragazza
dalla
maglia rossa e blu era riuscita a prenderla per prima, lanciandola
verso un'altra giocatrice della sua squadra, la numero dieci.
Quest'ultima aveva raccolto la palla al volo e cominciato a correre,
seguita dalle compagne e attesa da quelle avversarie che stavano
iniziando a sistemarsi per farle da muro. La numero dieci aveva
passato velocemente la palla a una compagna libera e sorpassato una
in difesa, così la palla era tornata in suo possesso. Era
vicina
alla porta e mancava poco allo scadere del tempo. Davvero, davvero
poco. Cinque.
Aveva saltato, evitando lo sgambetto di un'avversaria. Quattro.
Un capello era uscito dal casco e se lo stava mangiando, infilato tra
i denti. Tre.
Aveva passato la palla intanto che si abbassava, evitando di sbattere
contro la stecca di un'altra giocatrice messa per bloccarla. Due.
La compagna le aveva rilanciato la palla a un passo dalla porta,
bloccata dalla difesa. Uno.
Aveva saltato, teso il braccio e la stecca, il busto si era piegato
sinuoso, e così la numero dieci aveva lanciato: la palla
aveva
solcato l'aria con estrema velocità, tanto che il portiere
l'aveva
notata solo una volta che aveva ormai toccato la rete, cadendo ai
suoi piedi. Il tempo era scaduto, avevano vinto.
Tutte
avevano iniziato ad esultare, le stelle filanti cadevano sui loro
volti eccitati ed erano andate a stringere le mani delle avversarie
che si erano congratulate. Loro faticavano a contenere la delusione
di aver perso la finale a pochi secondi dal fischio. Intanto si erano
slacciate i caschi, gettandoli sull'erba del campo e facendo strada
al loro coach e all'arbitro. La numero dieci aveva stretto la mano a
una ragazza dell'altra squadra e dopo si era tirata i lunghi capelli
biondi alle spalle, mettendo le mani sui fianchi per osservare la
platea: eccola, l'aveva vista e si era alzata in punta di piedi,
salutando sua sorella.
Il
pubblico si stava disperdendo e Kara era rimasta ferma ad aspettarla,
non immaginando che qualcun altro era pronto a darle le sue
congratulazioni per aver fatto vincere la squadra: Mike Gand l'aveva
avvolta in un caloroso abbraccio e dopo aveva premuto le labbra sulle
sue, lasciandola disorientata. «È stata una
partita entusiasmante,
bisogna ammetterlo».
«Già…»,
lei si era tirata indietro. Aveva cercato di mettere in pausa la loro
relazione la sera prima, ma il ragazzo sembrava aver già
dimenticato
tutto.
«Che
ne dici, ne parliamo a pranzo? Avrei giusto qualche trucchetto nuovo
che potrei consigliarti per domani».
«Domani?
Questa non era la finale?».
Kara
aveva tirato un sospiro di sollievo nel sentire la voce di Alex alle
sue spalle. «Hai visto agli ultimi secondi?», le
era andata
incontro quasi saltellando, stringendo i pugni, così si
erano
abbracciate.
«Sei
stata in gamba, sorellina», aveva annuito. «E come
sei passata
sotto quella stecca… Si vede che sei mia sorella»,
aveva riso.
«Lì
me la sono vista davvero brutta», aveva ingigantito gli
occhi.
«Temevo di perdere l'equilibrio, ma la velocità
è stata dalla mia,
meno male, per fortuna», aveva riso anche lei, parlando
velocemente.
«O avrei passato quegli ultimi secondi a rialzarmi,
probabilmente.
Molto probabilmente». Era così euforica.
«Allora?
Per il pranzo?».
Ah,
si era dimenticata di Mike, accidenti. Cominciava a prendere in
considerazione l'idea di separarsi anche solo per come, a volte, lo
ignorava senza farlo di proposito. «Ricordi che ieri abbiamo
parlato
di una pausa…? È che-».
«Ma
sì».
Lui l'aveva interrotta con uno sbuffo. «Tu
hai parlato di una pausa, io
non vedo perché farla considerando che stiamo comunque
insieme. Sai
che ti dico? Fai come vuoi», aveva alzato le braccia,
emettendo un
sospiro. «Pensavo avremo potuto festeggiare; ti avrei dato
qualche
consiglio perché, ho pensato, che la prima squadra siamo
sempre io e
te, ma… vabbeh, come ti pare».
Si
era allontanato e Kara aveva provato a richiamarlo, ma lui l'aveva
ignorata. E di proposito. «Credi che dovrei
seguirlo?», aveva
chiesto ad Alex, sistemata a fianco a lei.
«No.
È arrabbiato, gli passerà da solo», si
era accigliata e, con una
smorfia, aveva brevemente scosso la testa. «Allora? Di che
partita
parlava?».
Kara
stava per aprire bocca che alcune compagne di squadra si erano messe
a saltellare dietro di lei, scompigliandole i capelli intonando un
Supergirl
in coro, così aveva aspettato che se ne andassero per
parlare,
sorridendo e tentando di riparare al danno con le mani sui capelli.
«Questa era la finale, ma domani abbiamo un'amichevole per la
raccolta fondi per comprare il materiale del prossimo anno».
«Neanche
un giorno di tregua?».
«Chiedilo
al coach Jonzz», aveva scrollato le spalle.
Non
aveva notato come Alex avesse lanciato uno sguardo serioso all'uomo,
intento a festeggiare.
«Verrai
a vederci, vero?».
«Ah?»,
si era destata dall'incanto, «Mi spiace, sorellina, ma domani
sarò
impegnata con l'università, non potrò esserci.
Non pensavo giocassi
e ho preso impegni».
«Ma…»,
l'aveva guardata con dispiacere, «non manchi mai a una mia
partita».
«Beh,
quelle del campionato le ho viste tutte, no? Domani sarà
un'amichevole», non si era arresa di fronte alla sua smorfia
amareggiata. «No? Vero, sorellina? Vero?» l'aveva
riabbracciata e
l'altra aveva dovuto cedere per forza, lasciandosi sfuggire un
sorriso.
«Almeno
non mi abbandonerai dopodomani», aveva parlato piano ed
entrambe
avevano stretto i denti, scambiandosi uno sguardo. «Si torna
a
casa».
«E
non sarà mai più come prima», aveva
aggiunto Alex. «Ti chiamerò
quando sarà arrivato il momento. Potremo farci forza a
vicenda».
«Comincia
una nuova avventura per le sorelle Danvers». Avevano riso,
per poi
sospirare.
PRESENTE
Kara
Danvers si alzò di buona mattina e con un umore splendido:
la
dolcezza si era impossessata del suo corpo e, dopo aver fatto
colazione, si era messa in cucina per sfornare biscotti. Non che
volesse disturbare Eliza durante i suoi ultimi giorni di viaggio di
nozze con Lillian, ma le aveva inviato giusto un messaggio per
chiederle una delle sue ricette e si era messa d'impegno, ignorando i
messaggi successivi della sua madre adottiva che le chiedeva passo
dopo passo come stessero venendo. Biscotti farciti di crema
pasticcera al limone: Eliza li aveva definiti semplici,
ma Kara aveva rifatto la crema già tre volte.
Ieri
notte, lei e Lena avevano fatto pace e avevano dormito vicine; e se
pensava che aveva messo la pistola di suo padre in una cassaforte
lì
in villa, allora non poteva chiedere di meglio. Considerando che
Indigo non le aveva viste farlo, era tanto di guadagnato. Non si
poteva mai sapere. L'indomani era l'anniversario e non stava nella
pelle. Il loro anniversario:
a un certo punto sorrise. Faceva un po' strano; ne era passata
parecchia di acqua sotto i ponti da quel giorno sul treno e dai loro
sguardi irritati. Eppure aveva rinunciato al volerla
far pagare
a Lena: se pensava al loro inizio, quelle parole sembravano assumere
un altro significato. Arrossì. Aveva rinunciato, ma qualcosa
doveva
pur venirle in mente e si trovava ancora in alto mare: sperava che
quei biscotti l'aiutassero a darle un po' di ispirazione.
«Assaggi?»,
la imboccò con il cucchiaino pieno di crema e anche Lena
arrossì,
tenue, annuendo.
«Mmh…
Buona. Migliore di prima», esclamò, continuando ad
annuire e
puntando gli occhi al soffitto, gustando appieno del retrogusto
rimasto sul palato. «Mi piace, non è affatto
male».
«Davvero?»,
chiese a bassa voce vicino a lei, ancora il recipiente tra le mani.
«Perché volevo portarne a Winn per tirargli su il
morale e alla
CatCo: un bel ricordo ai… quasi
colleghi prima delle vacanze», disse d'un fiato scuotendo la
testa
intanto che Lena ancora annuiva, avvicinandosi un po' di
più.
«Andrai
bene, Kara».
«E
non potrei sopportare di fare brutta figura con loro».
«È
perfetta».
Kara
sollevò gli angoli della bocca e la guardò negli
occhi. «In questo
caso, ti sei guadagnata un altro cucchiaino», glielo porse e
Lena
spalancò la bocca, in attesa. Kara fissò le sue
labbra schiudersi,
intanto che chiudeva gli occhi, il respiro lento.
«Sai… sto
pensando di metterne un po' da parte», sussurrò
ipnotizzata e la
vide farle un sorriso.
«Oh,
potresti».
Kara
la imboccò e rimise il cucchiaino nella ciotola della crema.
La
fissò fino a quando non furono entrambe interrotte da un
fastidioso
sgranocchiamento. Si voltarono all'unisono, scoprendo Indigo davanti
al bancone con una tazza di latte e cereali davanti al naso.
La
ragazza scrollò le spalle: «Sono sempre stata qui.
Ma prego»,
riempì il cucchiaino di cereali al cioccolato,
«non fate caso a me
proprio adesso. Non vorrei rubarvi la scena».
Kara
si accigliò, puntandole contro il cucchiaino. «A
te niente crema».
«Non
la voglio! Non disturbarti», sorrise, «Dopo
ciò a cui ho
assistito, sono certa di non volerne».
Lena
la fermò dal colpirla in testa col cucchiaino.
Indigo
era irritante, impicciona, molesta, strafottente, maleducata; non
capiva davvero come riuscisse Lena ad andarci d'accordo. Non solo la
notte prima: le capitava di sentirle parlare, con la televisione
spenta e bassa voce, come se fossero amiche da tempo. Non era gelosa,
ma Indigo, al contrario, si comportava sempre come una bambina
dispettosa con lei. E poi le veniva naturale trattarla male di
rimando e ripensare a come non potessero fidarsi di lei. Lena lo
faceva, Kara non poteva. Se non altro, proprio per proteggere Lena da
quella relazione che, era evidente, in qualche modo le stava a cuore.
Forse, portando i biscotti a Winn, avrebbe anche potuto trovare il
modo di dirgli di lasciar perdere perché lui era un ragazzo
d'oro e
meritava di meglio. Meritava senz'altro di meglio.
Rifece
la crema al limone e infornò i biscotti. Alcuni erano venuti
un poco
bruciacchiati sui bordi e inviò la foto a Eliza per farla
smettere
di bombardarle la chat, non potendo immaginare che l'avrebbe
scatenata a scriverle di consigli sempre nuovi con una parola ad
invio. Tolse la vibrazione, entrando in auto con i recipienti.
Un
recipiente per il campus: divise i biscotti con le compagne di
squadra e il nuovo coach che sostituiva John Jonzz. E si
pentì
subito di averglieli offerti: Stephen Millard, grassoccio, capelli
bianchi e con la pelle più arancione di una carota, con la
sua
solita sprizzante simpatia e quasi ci prendesse gusto, si mise a
riderle in faccia, sputacchiando briciole.
«Questo
non cambia niente, però. Se non ti comporterai da capitano
esemplare
alla partita, oggi, farai la finale in panchina come
riserva».
Aveva
visto il video in cui aveva giocato da sola quando era sotto effetto
delle pillole e si scoprì che non era un suo fan. Insisteva
nel
dirle, non proprio sottilmente, come notasse quanto le piacesse stare
sotto i riflettori, dal matrimonio di sua madre, a come stesse usando
la strage della sua famiglia per fare carriera alla CatCo e, da
ultimo, il rilascio da Fort Rozz di sua zia che sembrava alle porte.
Le ripeteva come non vedesse l'ora di leggere la sua sulla rivista.
Per
fortuna, Megan e le altre erano abbastanza emozionate di essere
passate in semifinale anche quest'anno e avevano gradito i biscotti
portafortuna, distraendola dalle sue insinuazioni.
«Psst»,
Megan le sussurrò all'orecchio, «Hai poi trovato
qualcosa per
fargliela
pagare?».
Kara
arrossì e le ficcò un biscotto in bocca.
Un
recipiente per la CatCo: un biscotto per ogni scrivania, tranne che
per Cat Grant a cui ne conservò tre a parte in piccolo
pacchetto con
nastrino, lasciandoglielo sulla scrivania per quando sarebbe tornata
tra poche ore dal suo ultimo viaggio di lavoro. Sperava non lo
prendesse, almeno lei, come un tentativo di favoritismo.
Sorpassò la
scrivania che al momento occupava da sola poiché Siobhan non
c'era e
si indirizzò a quella di Leslie, ma era vuota. Al solito, la
immaginava davanti alla macchinetta del caffè.
Così prese
l'ascensore; non si aspettava di trovare Lena davanti alle porte che
si aprivano. «Ehi», le sorrise e si
guardò intorno per assicurarsi
che non ci fosse qualche curioso. «Cosa fai qui?».
Lei
sospirò: «Non rispondi al telefono». La
vide mordersi un labbro,
prendendole una mano per istinto. «Ti volevo impedire di
venire alla
Luthor Corp sputando fuoco: Indigo ha accettato di uscire con Winn.
In innocua amicizia. Non fare domande».
Aveva
accettato? Questo era… beh, non se lo aspettava. La
guardò con
sospetto e Lena alzò le sopracciglia per tutta risposta.
«Va bene.
Farò comunque il
discorsetto
a tutti e due, anche se in
amicizia,
ma…», aprì il recipiente che si era
portata dietro per Leslie
Willis e gliene porse uno, «Ti meriti qualcosa di
dolce». Lena
arcuò un sopracciglio e si morse un labbro mentre Kara
avvampava,
indicandoglielo: «Il
biscotto.
A-Anzi», riaprì velocemente il recipiente con il
rischio che le
sfuggisse il tappo dalle mani, «adesso non te lo do
più».
Lena
le fermò la mano e, portandosela alle labbra, morse il
biscotto; le
incatenò gli occhi ai suoi, mandando giù pian
piano intanto che la
stringeva e, con le labbra calde e umide, inspirando, le sfiorava le
dita. La vide deglutire e la lasciò andare di corsa solo
quando
udirono un verso indisposto a labbra strette: Leslie Willis girava il
suo caffè, non mancando di sorridere maliziosa.
«Che
dolci siete: e così avete ripreso a scopare!».
Le
due si sorrisero e Kara si voltò per indicarla, contraendo
le labbra
e tuonando secca: «A te niente biscotti».
Era
la solita, niente di cui stupirsi: Leslie Willis aveva un concetto
tutto suo dell'amore. Sarcastica, sosteneva di essere una romantica
in fondo, ma esattamente non si capiva quanto in fondo bisognasse
scavare per trovare questo lato. Le prese in giro fino a quando Lena
non le lasciò e continuò a prendere in giro Kara
inviandole bacini
divertiti ogni qual volta che poteva, prima che ricominciasse a
lagnarsi dei compiti assegnati da Cat Grant, proseguendo come non
vedesse l'ora di andare in vacanza. Lo gridò talmente forte
che fu
la prima cosa che sentì la donna quando tornò
alla CatCo, aprendosi
le porte dell'ascensore.
«Se
ci tieni tanto, posso anticipare la tua vacanza: basta chiedere e la
carrozza tornerà zucca con un solo colpo di
bacchetta».
Andò
nel suo ufficio e Leslie fece una smorfia con tanto di linguaccia.
«Vecchia strega… Lo lascio questo lavoro: voglio
proprio vederla
mettersi d'impegno per trovare una Cenerentola migliore
di me»,
gridò.
Kara
decise che lasciarle un biscotto sarebbe stato un dovere: forse
sarebbe riuscita ad addolcirla un po'.
Infine,
un recipiente per la Luthor Corp: un biscotto per la guardia
all'ingresso e per ogni dipendente che lavorava ancora e incrociava
sul suo cammino. A un uomo in particolare ne lasciò due,
poiché lo
vide proprio di cattivo umore e stressato e gli fece un po' pena.
Infine salì con l'ascensore al piano dell'ufficio di Lena.
La porta
era chiusa, Indigo alla scrivania non c'era e Winn nemmeno si era
accorto della sua presenza, sorridendo allo schermo del computer con
una faccia imbambolata.
«Posso
lasciarti un biscotto?». Lui rimase immobile e Kara
aggrottò la
fronte, ripetendosi fino a che il ragazzo non le rispose che poteva.
Kara gli lasciò il biscotto accanto al gomito che aveva
appoggiato
vicino alla tastiera e la sentì ringraziarla, ma non era
certa che
si fosse davvero accorto della sua presenza. «Figurati.
Almeno apri
gli occhi prima di mandarlo giù». Winn
annuì e Kara lo vide
tastare la scrivania in cerca del biscotto, così lo
aiutò,
avvicinandoglielo.
«Grazie,
Kara. Ka-?
Ehi, Ka-Kara», si destò, sorridendo entusiasta.
L'abbracciò di
colpo e si portò il biscotto in bocca, prendendo un grosso
morso.
«Non
bi abebo sebntito»,
si tappò la bocca che sputacchiava briciole. «Sai
la novità?».
«Hai
ripreso a giocare a Fortnite?».
Oh, certo che la sapeva.
«Esco
con Indigo! Domani. Ha accettato», si portò il
resto del biscotto
in bocca e tossì, battendosi il petto: per poco non
soffocava.
«Ce-Certo solo come amici, ma… Avrò una
possibilità per farla
innamorare di me. Ed è solo merito tuo».
«Nah,
qui c'è lo zampino di Lena…». Non
poté fare a meno di sorridere
anche lei, contagiata dalla sua felicità. Indigo non le
piaceva, ma
Winn era così euforico che non poteva rubargli quel momento,
specie
se poi aveva deciso di aiutarlo in quello proprio il giorno prima;
sarebbe apparso se non altro un po' incoerente. «Sono felice
per
te», lo abbracciò di nuovo e gli porse un altro
biscotto a patto
che lo mangiasse piano. Dopo ne passò uno a Indigo che stava
rientrando dall'ascensore con scartoffie in mano, Lena con lei. La
prima la guardò per un attimo come se fosse un'aliena,
dopodiché
accettò e mangiò il biscotto.
UN
ANNO FA
Aveva
seguito il telegiornale con interesse, girando il caffè
nella
tazzina, seduta davanti alla televisione. Quasi non si perdeva
un'edizione in quel periodo, sperando, chissà, di sentire
aggiornamenti sulla morte di suo padre. Il suo decesso era stato
classificato come incidente e ormai era passato un anno e non ne
parlava più nessuno; le faceva rabbia. Sua madre l'aveva
tagliata
fuori da ogni esito, da ogni cosa che lo riguardasse, come non la
volesse in mezzo. Le aveva chiesto se potesse visionare il referto
dell'autopsia ma aveva ricevuto in cambio da parte sua solo un secco
no.
Se la sua morte era davvero stata un'incidente, cosa aveva da
preoccuparsene tanto? Dubitava fosse per proteggerla; non l'aveva mai
fatto e non avrebbe iniziato di sicuro in quel momento. Nulla, non ne
parlavano. Un altro buco nell'acqua e Lena si era tenuta la testa,
rifiutando il resto del caffè. Una lacrima sfuggita le aveva
solcato
il volto perlaceo e, quando aveva iniziato a sfogliare il cellulare e
visto le foto che pubblicava Lillian di lei ed Eliza, allora aveva
stretto i denti. Lei si stava rifacendo una vita e sorrideva,
perfino. Sorrideva come non l'aveva mai vista fare da che aveva
memoria. Lei sorrideva, nascondeva i dettagli intorno alla morte di
suo padre e lui era rimasto nel passato, dimenticato. Era stato
dimenticato dalla donna che aveva sposato e con cui aveva avuto un
figlio. Sì, lui l'aveva tradita o lei non sarebbe nata, ma
aveva
scelto Lillian a sua madre. E Lillian aveva scelto altro. Non sapeva
davvero come comportarsi né cosa pensare; non poteva contare
sulle
opinioni di Lex: i loro rapporti si erano un po' freddati da quando
si era trasferito definitivamente a Metropolis. Aveva riguardato
qualche foto, sfogliando Instagram.
Non che non volesse che Lillian potesse rifarsi una vita, ma era il
suo comportamento a darle il voltastomaco e a farle rifiutare quella
nuova famiglia che voleva costruire. Dopotutto, Eliza sembrava darle
la felicità che non era riuscito a darle Lionel. E sembrava
davvero
che quella donna stesse con lei non per soldi ma perché
l'amava
davvero, per quanto quel pensiero le era sembrato surreale agli
inizi, come se davvero Lillian potesse riuscire a farsi amare da
qualcuno. Non per niente, aveva iniziato a raccogliere materiale
sulle Danvers proprio per quel motivo. Aveva lasciato la tazzina
mezza piena e detto ad alta voce alla tv di spegnersi, ritrovando il
silenzio pesante della villa. Era sola, non si sentiva volare una
mosca e i raggi del sole allungavano le ombre sul pavimento. Stava
per alzarsi che un messaggio l'aveva fermata:
Da
Madre a Me
Mi
è arrivata voce che i dipendenti terranno una festicciola
presso un
locale a poco dalla Luthor Corp, questa sera. Potresti partecipare?
Non hanno chiesto di me ma sicuramente vorranno te, Lena. Sei
benvoluta, d'altronde.
Lena
aveva fatto una smorfia, ma il sorriso si era spento a breve. Oh, di
certo non avrebbe fatto la spia per lei a una festa dei dipendenti.
Aveva spento il monitor, pensando di rispondere più tardi
per
rifiutare. Si era incamminata verso il salotto, soffiato sul tavolo
dove aveva adagiato un mazzetto di menta su un vasetto di vetro
quella mattina e ne aveva inspirato il profumo, così aveva
avanzato
per le scale ignorando le foto che si trovavano sulla parete, dritta
per la sua stanza. Aveva chiuso la porta anche se era sola, per
abitudine. Aveva camminato scalza fino al letto e si era sdraiata,
chiudendo gli occhi. Aveva sentito abbaiare dei cani, lontano,
attraverso la finestra aperta. Si erano sentiti gli uccellini. A
breve sarebbe andata a richiudere i cavalli per la notte. Non voleva
andare in quella casa con delle estranee dall'indomani, non voleva
andarci proprio e continuava a ripensarci. Aveva le sue abitudini, il
suo silenzio. Non si sarebbe sentita a suo agio. Non voleva conoscere
quelle persone in quel modo o, forse, non voleva conoscerle affatto.
Non le interessavano e se aveva cercato informazioni su di loro era
davvero solo per assicurarsi che qualcuno non stesse truffando
Lillian, anche se non era la prima sprovveduta del caso. Eliza
sembrava una brava persona, forse fin troppo per i Luthor.
Sicuramente
fin troppo per i Luthor, che infettavano ogni cosa che toccavano.
Forse doveva andare e cercare di rovinare tutto prima che si
sposassero: le era passato per la mente, almeno un attimo. Sarebbe
stata la cosa migliore per Eliza Danvers, anche se non se ne sarebbe
accorta. Non subito. Ma non poteva farlo: se si amavano davvero,
almeno loro, perché non lasciarle fare? Anche se significava
unire
due famiglie tanto diverse per farle diventare una sola. Anche se
significava avere due sorellastre con cui non aveva nulla da
spartire. Anche se significava sopportare quella situazione stramba.
Se si amavano, almeno loro. Se si amavano, era meglio lasciare le
cose al corso naturale degli eventi perché, se lei era
infelice, non
poteva egoisticamente pretenderlo anche per gli altri.
PRESENTE
La
gente cominciava ad arrivare riempendo gli spalti e l'agitazione del
coach Millard stava diventando ingestibile per chiunque gli stesse
vicino. Erano in molte a chiedersi come si sarebbe comportato se
fossero passate in finale, se quella era la sua reazione solo adesso:
non stava fermo un secondo e continuava ad andare avanti e indietro
mille volte in quello spogliatoio, toccando le spalle delle
giocatrici e contandole, parlottando per sé, quasi avesse
paura di
perderne qualcuna. Dava loro consigli all'ultimo guardando tutto
fuorché loro negli occhi e si distraeva con niente
interrompendo
discorsi a metà per scappare da qualche altra parte.
Guardò a
destra, sinistra, in alto e anche in basso, poi strinse gli occhi
bruni e una vena spuntò rabbiosa sulla tempia destra:
«Dov'è
finita Danvers?».
Lena
sorrise, lasciando delicatamente le sue labbra calde. «Sei
sicura di
non fare tardi?», chiese in un bisbiglio e la
guardò negli occhi,
passando la gamba destra dietro le sue.
Kara
guardò velocemente l'orologio sul polso di Lena, per poi
baciarle la
mano e farla ridere. «No, ho ancora qualche
minuto». Si abbassò
per cogliere di nuovo le sue labbra che bussarono alla porta e si
fermò. «… O secondo».
Quando
Lena aprì, l'espressione di Megan non lasciava a
interpretazioni:
avevano bisogno di lei.
«Millard
è furioso. Dov'è?». Ora era certa di
aver fatto più che bene a
bussare invece di aprire con la chiave: Lena indossava la maglia col
numero dieci di Kara e aveva le gambe nude; sperava indossasse almeno
una gonna o dei pantaloncini, là sotto. Proprio la testa di
Kara
sbucò dalla porta, regalandole un sorriso. Al suo arrivo,
allora sorrise con forza anche Megan, aspettando lì davanti
come una
sentinella.
Kara
uscì con fretta e furia dalla camera al campus e per poco
non sbandò
contro il muro. Lena la chiamò e anche Megan le fece cenno
di
fermarsi: si rese conto così che non aveva ripreso la maglia
della
squadra, tornando indietro. La sfilò a Lena e si scambiarono
un
bacio dietro la porta solo socchiusa, lasciandola.
«Buona
fortuna», le gridò Lena e richiuse la porta dietro
di lei: doveva
recuperare le sue cose e correre agli spalti dove Indigo e Alex le
avevano tenuto il posto. Prese la borsa e la aprì con
istinto,
sapendo che non avrebbe ritrovato là dentro la sua pistola.
Era
sicura di aver fatto la scelta più giusta a metterla via e
le cose
tra lei e Kara erano tornate stabili, ma non poteva negare di sentire
ancora lo spettro della paura all'altezza della bocca dello stomaco.
Fino a quando non avrebbe ritrovato più sicurezza,
pensò. Fino a
quando non avrebbe impugnato quella pistola con cognizione di causa e
non per l'ultima delle paure, pensò ancora. Poteva farcela.
Suo
padre teneva quella pistola chiusa in un cassetto del suo ufficio per
emergenza e non per spaventare qualcuno: non sarebbe stata degna di
possederla se non avesse compreso la differenza. Si
allontanò verso
la porta e scorse una lettera aperta e una foto sul tavolo. Kara le
disse che Mike Gand le aveva scritto ed era arrivata quella mattina
al campus. Il suo ex, soffiò. Era strano, se ci pensava. Era
strano
per quante cose erano cambiate in un solo anno. Uscì e
richiuse con
la chiave che le aveva lasciato, percorrendo velocemente, e con i
tacchi, il corridoio.
Ciao,
Kara.
Come
stai? Dimmi che avete vinto il campionato! E i miei compagni hanno
vinto? O non è ancora finita la stagione? Ci stavo pensando
proprio
stanotte e non riuscivo a prendere sonno. Mi sembra di essere qui da
tutta la vita e mi capita di non ricordarmi più che giorno
è, pensa
se mi ricordo della stagione di quest'anno. È l'unica cosa
che mi
manca adesso, a parte te. Però sto insegnando ai ragazzi qui
come si
gioca, se solo fossero in gamba almeno, ma sembrano delle galline.
Sono atletici ma credimi, negati per il lacrosse. Ci siamo costruiti
le racchette con calze e mutande vecchie sfilacciandole, non devono
vederle i superiori! Almeno gioco con amici e ridiamo. Ho le giornate
piene e mi piace, ho imparato a sparare e a fare un agguato. Mi sto
impegnando molto e penso di poter fare carriera. Come ti ho detto
nell'altra lettera, mi manchi davvero e non è uno scherzo
quando lo
scrivo. So che ami lei, ma sarai sempre una parte della mia vita.
Quella importante.
E
proprio per questo volevo dirti che ho conosciuto una tipa qui che mi
piace. Ride alle mie battute, ci sta. Ci siamo baciati ieri. Non
è
nulla di importante ma era giusto dirtelo! Neanche questo devono
sapere i nostri superiori perché è vietato, ma lo
sai come sono
fatto: le regole sono fatte per essere infrante.
Ti
scrivo di nuovo appena ho tempo, penso a qualcosa di notte. Stammi
bene, sei nei miei pensieri.
A
presto,
Mike
La
foto di gruppo riprendeva i ragazzi e le poche ragazze in tuta
mimetica, alcuni con i cappellini in testa e i fucili sottobraccio.
Sorridevano tutti, soprattutto quelli un po' sporchi di fango sugli
stivali e i pantaloni, come Mike, che sfoggiava la testa rasata,
abbracciando un ragazzo e una ragazza ai lati. Forse non aveva
trovato ancora il suo posto, ma ci era senz'altro più
vicino, aveva
pensato Kara poco prima, aprendo la lettera. Un po' più
vicino.
«Già
non gli stai simpatica e parti col piede sbagliato, se arrivi anche
tardi, Millard non ti lascerà in pace»,
sbottò Megan aprendo la
porta dello spogliatoio e lasciando passare Kara.
«Pensavo
di avere tempo», si giustificò lei, aspettandola
ed entrando
insieme. «Lui mette tutte sotto pressione con larghi minuti
d'anticipo».
Appena
l'uomo la vide, gli occhi gli si fecero piccoli e spalancò
le narici
come un toro, correndo verso di lei. «Un altro ritardo come
questo e
non ti basteranno i biscottini Oreo
del mondo per salvarti dalla panchina, sono stato chiaro?!».
«E-Ero
in bagno», si tirò indietro con terrore e Megan si
tappò la bocca
in tempo per non lasciarsi sfuggire una risata. «E non erano
biscottin-».
«Muoviti!»,
gridò allungando un braccio e Kara obbedì
abbassando la testa,
seguita a ruota dall'amica.
«Mi
manca il tuo ragazzo», le disse muovendo la bocca mentre
apriva
l'armadietto e prendeva il casco e la stecca. Megan le rispose con
un'alzata di spalle: di certo il coach Jonzz mancava più a
lei. Uff,
odiava le persone che le urlavano contro.
Intanto,
Lena aveva raggiunto da poco Indigo e Alex, sedendo in mezzo alle
due. L'altra squadra, le ragazze di Coast City in divisa verde e
bianca, si vedevano già: si stavano riscaldando i muscoli e
agitando
la stecca. Lena sospirò: per la prima volta era davvero in
ansia,
quasi dovesse giocare lei.
«Dunque:
se perdono, Kara Danvers e le altre non andranno in finale?»,
domandò Indigo, riprendendo a succhiare dalla cannuccia la
sua
bibita. Le altre due si voltarono.
«È
così», confermò Lena.
«Ti
piace il lacrosse, Indigo?», domandò invece Alex,
vedendola
scrollare le spalle.
«È
la prima partita a cui assisto, quindi lo scoprirò
oggi», succhiò
e deglutì. «Il mio patrigno giocava a calcetto, ma
non sono mai
andata a vederlo».
«Perché?».
«Perché
non giocavo anch'io e a me piaceva giocare, non guardare: ho sempre
pensato che mi sarei annoiata. E poi mio fratello… beh, lui
diceva
che sarebbe stata una perdita di tempo e restavo con lui».
Le
altre due si scambiarono uno sguardo nel contempo che lei riprendeva
a bere. «Tuo fratello non avrebbe ben visto il tuo
appuntamento con
Winn, non è vero?», si fece curiosa Lena, ma in
realtà conosceva
già la risposta.
«Winn?»,
sbottò Alex, ingigantendo gli occhi. «Hai un
appuntamento con Winn?
Tu?».
«In
amicizia», specificò Lena.
Indigo
scrollò le spalle di nuovo. «No. Lui non sarebbe
concorde con tutto
quello che faccio, ultimamente: stare qui per vedere qualcuno che
gioca, uscire con un possibile amico domani, avere una cotta per
te»,
rispose candidamente, «No. Non lo avrebbe accettato
perché io e lui
siamo…», deglutì, fissando il vuoto.
Erano uguali.
Ma forse non più. Strinse un labbro e Lena le
poggiò la mano destra
sulla spalla sinistra.
«Stai
attenta alla partita e saprai se ti piace o no assistere», le
indicò
in basso, dove le due squadre si stavano mettendo in posizione sul
campo. «Così capirai se tuo fratello aveva
ragione».
Indigo
annuì e guardò di sotto, riprendendo a succhiare
rumorosamente
dalla cannuccia e dando non poco fastidio ad Alex: per fortuna, col
chiasso che avevano iniziato a fare gli altri spettatori accanto, era
quasi irrilevante. Lei tirò fuori il cellulare da una tasca
e
cominciò a riprendere in video la partenza, sistemandosi il
cappellino sulla testa per via del sole che, ancora cocente, si stava
preparando a lasciar spazio alla sera.
La
palla volò tra due giocatrici di Coast City e una di loro
non se la
lasciò sfuggire, cominciando a correre per il campo. Non si
aspettava il placcaggio deciso di Megan per cui cadde e la palla fu
raccolta dalla racchetta di Kara, portandola in direzione opposta.
Sperava proprio che il coach Millard non si perdesse neanche un
nanosecondo della sua azione. Corse, corse e passò la palla
a una
compagna un esatto attimo prima di scontrarsi con un'avversaria,
avendo la meglio. La numero otto le ripassò la palla e, con
quella
all'interno della rete della racchetta, sorpassò due ragazze
che
provarono a fermarla in coppia, scivolando tra loro. Mise male un
piede nell'atterrare ma non lo diede a vedere e frastagliò
l'erba,
passò la palla dall'alto alla numero due continuando a
correre per
raggiungere una distanza ideale tra lei e la porta. Il portiere si
mise in posizione mentre un'altra in difesa cercò di
bloccarle il
passaggio anche se non aveva con sé la palla: era quello che
volevano. La numero due era pronta per passarla, Kara si tese in
avanti e la accolse, si voltò rapida e, invece di lanciare
in porta,
tese la stecca per mandarla più indietro: la palla
volò fino alla
rete della racchetta di Megan che, a quel punto, era pronta a tirarla
in porta: segnò.
Il
fischio dell'arbitro si levò in aria e le ragazze si
scambiarono un
cinque
e si batterono un pugno, congratulandosi per il lavoro svolto,
adocchiando le avversarie. Quello era solo l'inizio e avevano la
vittoria in tasca.
UN
ANNO FA
«Mia»,
aveva gridato la piccola Jamie, aprendo e chiudendo una manina per
aria, cercando di raggiungere una polpetta di riso che Kara le aveva
tenuto in alto. Dopo, la ragazza l'aveva fatta cadere in una finta
picchiata e la bambina l'aveva acchiappata, schiaffandola in bocca in
tempo record.
«Oh,
che rapidità! E anche una certa
voracità», aveva riso, guardando
prima la piccola e dopo Maggie a fianco, anche lei ridendo.
Quest'ultima
si era messa una polpetta in bocca e dopo si era allungata per
sistemare i capelli della figlia a cui stavano cadendo sugli occhi,
sistemando una forcina. «Quindi domani è il gran
giorno, eh?
Nervosa?», le aveva chiesto con un sorriso e Kara aveva
serrato le
labbra, fingendo disinvoltura.
«No.
Insomma, dovrei?». Aveva alzato una mano per richiamare
l'attenzione
del cameriere del ristorante che passava intorno ai tavoli,
comprendendo un poco più tardi che, essendo sedute a terra
sui
cuscini, avrebbe dovuto sforzarsi di più per farsi notare:
si portò
sulle ginocchia, tendendo un braccio e facendo ridere Jamie che si
stava sporcando il mento di riso. Aveva ordinato un altro piatto di
polpette e nigiri misti che erano finiti da un pezzo, aggiungendo
ravioli di carne, onigiri, dei maki, sashimi e dell'altra salsa di
soia. Maggie aggiunse due bastoncini di pesce per la bambina, che
avrebbe finito lei, e Kara non resisté alla tentazione di
cambiare e
chiedere non una, ma una doppia porzione di ravioli di carne e degli
uramaki, prima che li dimenticasse. Più ne mangiava,
più sembrava
venirle fame. «Eliza ha fatto tutto di corsa, non ci ha
nemmeno
lasciato il tempo di capire che la relazione con questa donna
è
seria», aveva gesticolato parlando con la bocca mezza piena,
finendo
di ingoiare. «Sappiamo che sono ricchi, probabilmente snob.
La
secondogenita è-», si era fermata di colpo quando
il cameriere era
tornato con i nuovi piatti sul carrello dietro Alex, che aveva finito
la sua telefonata.
«Di
cosa parlate? Mi sono persa qualcosa?», aveva chiesto alle
due
mentre si sedeva, allungando la mano con le bacchette per afferrare
un nigiri con tonno. «Non ditemi della giornatina che ci
aspetterà
domani», aveva piegato le labbra in una smorfia,
«Non vedo già
l'ora di essere tornata a casa e di lasciarmi alle spalle i giorni
che ci aspettano».
«Anch'io»,
aveva commentato veloce Kara.
Maggie
non era della stessa opinione: «Andate lì con le
migliori
intenzioni: potrebbe non essere così male come vi
aspettate».
Le
sorelle Danvers si scambiarono uno sguardo: avrebbero tanto voluto
avere un po' del suo ottimismo.
Nel
frattempo, nella grande villa Luthor, Lena stava consumando il suo
pasto a lume di candela, in sala da pranzo. Lentamente
poiché al
telefono: «No, insistete. Andate avanti senza di me per quel
che
riuscite a fare, sistemate e dopo godetevi le vacanze estive. Buona
serata anche lei, la ringrazio». Aveva staccato e messo in
bocca una
forchettata del suo piatto, componendo un nuovo numero in memoria.
Aveva ingoiato e si era pulita la bocca, attaccando la chiamata.
«Ho
letto il messaggio che hai lasciato», si era messa ad
ascoltare,
contraendo le sopracciglia. «Ascoltami, non preoccuparti del
professor Miller, ci parlerò io. Passerò
domattina, faccio in tempo
prima di andare… in vacanza», si morse un labbro.
«Passerò io,
adesso cena in tranquillità. Hai studiato per quell'esame,
non hai
di che preoccuparti». Aveva salutato anche la studentessa a
cui
faceva da tutor e presa un'altra forchettata; ormai il piatto si
stava raffreddando. Aveva fatto mente locale per capire se aveva
dell'altro in sospeso prima di prendere il treno l'indomani e,
sperando di aver risolto tutto, si era messa a leggere le ultime
news: ma nulla di nuovo sulla morte di suo padre. Aveva spento il
monitor del telefono e si era passata le dita sugli occhi con
stanchezza. Non aveva più voglia di mangiare e, dopo uno
sbuffo, si
era spostata il piatto da davanti. Aveva altro a cui pensare, non
aveva decisamente voglia di perdere tempo andando in quella casa per
giorni e fare finta di essere interessata a loro e alla famiglia.
Doveva pensare a suo padre perché era già passato
un anno e- I suoi
pensieri avevano viaggiato in fretta, ripensando ai file di ricerca
sulle Danvers: la maggiore delle figlie, Alex, era impegnata con una
poliziotta. Quello era interessante, dopotutto: se fosse riuscita ad
entrare in comunicazione con lei, avrebbe potuto chiederle un favore
riguardo al referto del coroner su suo padre. No, no. Quella Maggie
Sawyer era ancora una novellina, non avrebbe potuto di certo
aiutarla. E poi avrebbero cominciato a fare domande e non aveva
voglia di includere qualcuno nel suo tormento. Il suo tormento,
ripeté nella testa. Non aveva voglia di fingere di voler
avere un
rapporto. Non aveva voglia di niente, in realtà. Si era
alzata e
aveva lasciato così il tavolo, passando per il salone dove
aveva di
nuovo soffiato intorno al vaso di vetro con dentro il mazzetto di
menta, poi si era diretta in camera sua, lasciando che le luci si
spegnessero nel silenzio e nel vuoto della villa.
Quella
giornata si era prospettata un incubo fin dalle prime luci dell'alba:
la macchina del caffè non faceva il caffè ma
acqua sporca e Lena
dovette restare minuti al telefono per trovare qualcuno che venisse
ad aggiustarla in fretta poiché da quel pomeriggio non ci
sarebbe
stata; andando a trovare i cavalli, aveva notato il gancio di un box
rotto e anche lì aveva dovuto telefonare per farlo
aggiustare; aveva
dovuto parlare con sua madre Lillian per venti minuti per sentirsi
ricordare come avrebbe dovuto comportarsi in casa della sua
fidanzata; era andata in università e aveva mancato di poco
il
professor Miller con cui doveva parlare, aspettando il suo ritorno in
biblioteca dove non era più disponibile il libro che stava
leggendo
in quei giorni e dovendo dunque passare il suo tempo libero al
cellulare che aveva meno della metà della batteria,
spegnendosi
proprio sul più bello, a poco dal vincere un livello
difficile in
cui era incartata da giorni; senza contare che, invece del professor
Miller, aveva incrociato una professoressa con cui aveva avuto un
diverbio un mese prima e si erano entrambe sforzate di rivolgersi la
parola per sola educazione; infine, era riuscita a parlare col
professor Miller per telefono, ma a dirgli solo metà delle
cose che
doveva; intanto la menta si era già afflosciata e il tecnico
della
macchina del caffè aveva sbattuto contro un tavolino di
vetro mentre
passava in salotto, togliendosi la scarpa e la calza del piede
sfortunato per assicurarsi che fosse intero, rilasciando nell'aria un
puzzo sudato di vecchia stagionatura, non riuscendo a fermarlo dal
camminare con l'alluce pronunciato fino a lei per chiedergli di
passargli la sua valigetta. Mai più in quella casa, su quel
pavimento, qualcuno avrebbe dovuto azzardarsi a camminare scalzo.
Aveva
mangiato per pranzo qualcosa di veloce in un locale vicino alla sua
università e dopo aveva passato il suo tempo a passeggiare,
per
prendere aria e calmare il nervoso, fino all'ora di prendere quel
treno. Aveva cercato di convincere Lex a partecipare a quella vacanza
ma non c'era stato verso e, in quel momento, si era sentita sola
contro tutti. Non era abituata a prendere il treno ed era pieno di
universitari molto diversi da lei, più chiassosi e poco
ordinati. C'era un gruppo di ragazzi e si era seduta il più
distante che era
riuscita a fare, così il treno era partito dopo qualche
minuto. Non
riusciva a rilassarsi e, ogni volta che il mezzo si fermava, aveva
l'ansia che qualcuno avesse potuto sedersi vicino a lei. Fino a
quando…
«È
stato bellissimo! E Supergirl ha vinto ancora».
Perfetto,
aveva pensato: altri universitari molto gioiosi in arrivo. Un trolley
le aveva pestato un piede e così era caduta la sua
valigetta,
inchinandosi subito, seccata, per raccoglierla. Quando aveva sentito
quella voce stridula chiederle scusa, aveva cercato di mettere su la
faccia più acida che conoscesse, sfogando su di lei il peso
di
quella giornataccia che non faceva che peggiorare. «Guarda
dove
cammini». Oh, capelli biondi, occhi azzurri, sguardo da pesce
appena
pescato: quella sembrava proprio… No, doveva sbagliarsi.
Sicuramente. L'aveva tenuta sott'occhio, accigliandosi. Non poteva
crederci… era davvero lei, la sua nuova sorellastra: Kara
Danvers.
L'aveva fissata con rimprovero mentre, come se si trovasse
tranquillamente nel salotto di casa sua, parlava a voce alta con la
sorella al cellulare. E di lei. Lamentandosi, perfino. Era stato
allora che Lena aveva pensato che, in fondo, con quella si sarebbe
potuta divertire.
Eh
sì, Lena si è divertita parecchio da quel momento
in avanti! E poi
diciamolo, nei primi capitoli abbiamo sentito la campana di Kara, ora
invece avremo anche quella di Lena :) Sia mai che qualcosa possa
essere stato “frainteso”, comunque, adesso sappiamo
che la
giornata per lei non era iniziata proprio come una delle migliori e
che, sommato al fatto che proprio non le voleva conoscere e non
voleva andare, le è successo di essere sgarbata quando una
ragazza
dalla voce stridula le ha colpito un piede e fatto cadere la sua
valigetta.
E
ora abbiamo anche una panoramica maggiore su com'era Lena e la sua
vita prima del prologo di Our
home.
E lo stesso di Kara, come stesse cercando di allontanare Mike e come
lei e Alex stessero fronteggiando il cambiamento.
Nel
frattempo, nel presente le nostre due beniamine hanno litigato, e
come poteva essere altrimenti? Penso che litigare sia normale e che
una coppia in questo non faccia eccezione, ma d'altra parte tutto sta
a come lo si affronta e a come poi si trovi il punto d'incontro. E
pare che loro lo abbiano trovato; dopotutto, il giorno dopo sono
ancora, e normalmente, unite.
Tra
pistola, biscotti, Leslie Willis, la lettera di Mike, il nuovo coach
Millard e Indigo… come vi è sembrata questa prima
parte del
capitolo? Cosa vi aspettate dalla prossima?
Questo
capitolo parla dell'anniversario e oggi, come scritto in
precedenza,
cade il secondo
compleanno della fan fiction! Due anni fa, oggi,
scrivevo il prologo, scrivevo di Kara e Lena che incrociano i loro
sguardi sul treno. Per loro è passato un anno, per noi due.
Auguri,
Our
home!
E auguri a voi che leggete, e grazie.
Allo
scorso compleanno (festeggiato il giorno del primo compleanno della
pubblicazione, quindi a febbraio) avevo scritto un lungo papiro su
note e curiosità sulla fan fiction, ma questa volta non
sarò così
fantasiosa e anzi, mi spiace accompagnare il festeggiamento da una
notizia non proprio positiva! O magari una un pochetto più
positiva
sì, ma una decisamente non lo è e iniziamo da
questa: la fan
fiction va di nuovo in pausa.
Ahimè,
adesso che la storia entra in un passaggio importante
(perché sì,
che ci crediate o meno, abbiamo superato la metà e, a meno
di
imprevisti, si va verso il finale che sarà pieno di
avvenimenti) è
per me molto più dispendioso lavorarci su, e devo prendermi
più
pause, senza contare a volte la mia scarsa motivazione.
Continuerò a
scrivere ma ho deciso che lo farò con calma, con i miei
tempi e, per
questo, stavolta, non ci sarà una data! Sono sempre stata
precisa e
puntuale, ho sempre rispettato gli impegni presi, adesso sento il
bisogno di lavorare solo per me. Dunque quando ci rileggeremo? Appena
avrò una data la scriverò sull'introduzione della
fan fiction per
avvertirvi! Potrebbe essere quando ho concluso tutto (e ci
vorrà un
po'), oppure quando avrò voglia di rilasciare un capitolo e
mandare
un po' avanti la pubblicazione :) Se devo essere sincera, questa cosa
mi scoccia perché, come ho già scritto altre
volte, essendo già la
fan fiction di suo parecchio lunga, tardare ancora temo vi faccia
scordare, a voi lettori, ogni cosa fino a questo momento. Forse
l'interesse calato per la fan fiction mi ha aiutato a prendere questa
decisione; se avessi ricevuto più feedback, è
naturale, mi sarei
sforzata di più per proseguire e non cedere. Ma devo
prendere una
pausa e devo fare con calma, quindi probabilmente è meglio
così. Mi
spiace per chi, nonostante tutto, è ancora qui…
eh, quello sì. Vi
ringrazio molto e spero di non deludervi al mio ritorno!
Quando
andrò in pausa? Credo faremo in tempo a leggere la seconda
parte
dell'anniversario e un altro capitolo. Vedremo.
La
notizia un pochetto più positiva, invece, riguarda la
nascita di una
serie che gira intorno Our
home,
la fan fiction madre: è assai probabile che
creerò sul sito una
serie per racchiudere questa e alcuni suoi spin-off, quelli che mi
verranno in mente e avrò voglia e piacere di scrivere. Su
personaggi
secondari/terziari apparsi in Our
home
oppure piccole avventure che riguarderanno le stesse protagoniste.
Perché l'ispirazione è birichina (per non dire infame)
e mi fa pensare e scrivere altro. Vuoi per distrarmi, vuoi
perché mi
aiuta
a liberarmi dalla pesantezza di alcuni passaggi di Our
home
che richiedono molta
concentrazione,
perché non cimentarmici. In fondo, dopo che ho scritto
altro, sono
anche più presa
in
questa. Dunque aspettatevi qualcosa se vi può interessare. Se
non vi interessa… nulla, avete solo la notizia negativa, mi
spiace
e ignorate questo avviso XD In
pratica sì, avrò il “mio
universo DC” XD E sì, ho già iniziato
qualcosa, proprio perché
l'ispirazione è infam- emh, birichina.
Di
nuovo grazie a voi che siete ancora qui nonostante tutto, grazie
davvero! Non sapete quanto sia importante, per me.
Allora
ci rileggiamo con L'anniversario
– Seconda parte
martedì 29 ottobre! Una settimana esatta. Non mancate ~
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