CAPITOLO
11
- UN SINGOLARE INCONTRO -
Freya chiuse l'immenso libro con un tonfo sordo.
Accarezzò la copertina intarsiata e in parte consunta delle
Saghe di Finian, lasciando scorrere sotto le dita ogni singola piccola
ruga della pelle da cui era stata ricavata. Era la seconda volta che lo
apriva con l'intento di leggerlo, ma quel giorno le era stranamente
impossibile concentrarsi sulle file di parole in inchiostro di seppia
che le correvano davanti agli occhi. Leggermente frustrata,
lasciò la comoda poltrona su cui si era accomodata per
andare a riporre il tomo sotto al letto, avvolgendolo nelle coperte in
cui lo aveva portato fin lì. Aveva badato bene a tenerlo
nascosto a occhi indiscreti, anche a Malia, nonostante si fosse
dimostrata molto affidabile e gentile con lei. Non era qualcosa da
divulgare a cuor leggero.
Tornata a sedersi accanto alla finestra guardò fuori,
cercando di pensare a qualcosa che potesse impegnare il resto della
giornata. Era un'ora dopo mezzogiorno e il sole brillava al suo apice
nel cielo. Quella splendida estate, che sembrava volersi trattenere
ancora un po', la faceva sentire in pace e al sicuro; aveva sempre
amato quella stagione in particolare, chissà, forse
perché vi era nata: il suo sedicesimo compleanno era caduto
non molti giorni prima, anche se l'aveva tenuto per sé.
Mentre il suo sguardo vagava sul verdeggiare esterno, Freya si rese
conto che era quasi un mese che si trovava al castello di Errania. La
vita, lì, era completamente diversa da quella che aveva
sempre conosciuto lei. Non che si fosse aspettata di trovare qualche
similitudine, naturalmente; all'inizio, però, aveva faticato
parecchio ad abituarsi all'idea che non avesse più senso
fare nulla di ciò che prima era importante.
Non c'erano frutti e radici da raccogliere e poi conservare in
previsione dell'inverno, nessun branco di cervi di cui seguire
pazientemente le tracce; niente più riparazioni da fare alla
casa sull'albero quando gli spifferi che passavano fra le assi di legno
si facevano gelidi. Tutto il cibo di cui avevano bisogno veniva
consegnato alle cucine una volta alla settimana e riposto con cura
nelle dispense e non si faceva nemmeno in tempo ad accorgersi che
qualcosa non andasse prima che venisse sistemato. Alla corte di Errania
aveva trascorso il tempo che prima impiegava nel garantirsi la
sopravvivenza passeggiando e allenandosi, senza doversi preoccupare
pressoché di nulla.
Era stata invitata qualche volta a cenare con la famiglia reale e le
conversazioni erano state piacevoli, nonostante si fosse fatto sempre
più chiaro che con il figlio maggiore di Mirea non sarebbe
mai riuscita ad andare d'accordo: Darragh era troppo arrogante e
desideroso di apparire superiore e Freya troppo poco disposta ad
accondiscendere alle sue manie di grandezza. Due caratteri simili non
potevano sopportarsi troppo a lungo ed, effettivamente, facevano di
tutto per vedersi il meno possibile.
Con Aran, invece, accadeva tutto il contrario. Dispiaceva molto a
entrambi non potersi incontrare anche solo per parlare qualche istante,
proprio come stava accadendo in quei giorni. Non vederlo le lasciava
una strana sensazione di vuoto a cui non era abituata. I suoi studi
erano complessi e impegnativi, Freya l'aveva compreso immediatamente;
nonostante questo, il giovane l'accompagnava ovunque lei volesse, non
appena ne aveva la possibilità. Avevano trascorso molto
tempo insieme e ora che si conoscevano meglio la ragazza aveva iniziato
a fidarsi di lui in una maniera che le era difficile ammettere.
Nei giorni di solitudine riusciva comunque a tenersi sempre occupata,
eppure non aveva mai potuto fare quello che avrebbe voluto veramente:
rivedere la Sala degli Incantatori. Non avrebbe mai messo Aran nei guai
per soddisfare la propria curiosità, ma avrebbe desiderato
moltissimo esplorarla e trovare cose nuove da studiare e cercare di
capire. L'affascinava l'idea che lì si riunissero i potenti
Incantatori di Mirea e forse avrebbe potuto trovarvi qualche
informazione sulla magia. A interessarle particolarmente erano i
formulari carichi dei simboli che essi utilizzavano per incanalare il
potere, i Runíar; era l'unica cosa che sapesse sulla magia,
sua madre non aveva avuto il tempo di spiegarle molto di più.
In ogni caso, aveva letto alcuni libri della sua piccola biblioteca
privata e ne aveva sfogliati molti altri, solo per scoprire che erano
tutte biografie o canti e poesie di personaggi illustri del Regno di
Riagàn. Erano scritti molto interessanti, doveva ammetterlo,
così com'era interessante immergersi in una cultura di cui
conosceva così poco, ma dopo un po' si era ritrovata a
desiderare di poter assaporare qualcosa di diverso.
L'unico luogo in cui avrebbe potuto farlo era la Biblioteca del
palazzo, ma quando aveva espresso ad Aran il desiderio di visitarla,
lui le aveva spiegato che al momento era inagibile: Mirea aveva
richiamato i più abili archivisti dell'intera
Riagàn per far controllare le condizioni dei preziosi volumi
lì contenuti e farli catalogare. Non si sapeva di preciso
quanto avrebbe richiesto quella delicata operazione, perciò
il ragazzo le aveva garantito che quando avessero terminato l'avrebbe
avvertita e avrebbero passato un'intera giornata fra gli scaffali
riordinati. Si domandò distrattamente quando quel momento
sarebbe arrivato.
Stava lentamente annegando nel mare dei propri pensieri, ma qualcuno la
fece risalire bruscamente a galla, bussando alla sua porta. Aveva
chiesto a Malia di non restare lì tutto il giorno,
rassicurandola sul fatto che non ce ne fosse affatto bisogno,
perciò si alzò nuovamente e andò ad
aprire la porta da sé. Non appena ebbe socchiuso l'uscio, si
ritrovò di fronte proprio colui su cui si erano soffermati i
suoi pensieri poco prima. Le sorrise nel momento stesso in cui la vide
e lei non esitò ad aprire completamente il battente per
permettergli di entrare.
«Sono felice di vedere che stai bene. Spero che tu non ti sia
annoiata in questi giorni» esordì il giovane
mentre varcava la soglia e si guardava attorno.
«Ho avuto modo di continuare a leggere i componimenti dei
vostri poeti e di approfondire la conoscenza della vostra
cultura» rispose la ragazza.
Il sorriso di Aran si allargò. «Allora devo anche
sperare che tutto questo leggere non ti abbia fatto passare la voglia
di vedere la Biblioteca, perché finalmente è
possibile accedervi» le annunciò.
L'espressione estasiata di Freya dovette essere una risposta
sufficente, perché pochi istanti dopo erano già
fuori dalla porta. Lui non sapeva che parte di quello stupore era
dovuto al fatto che sembrava che qualcuno le avesse letto nella mente e
avesse esaudito la sua richiesta.
La Biblioteca era situata nella torre nord. Nel giungervi, Freya la
ricordò come l'aveva vista avvicinandosi a Errania, il
giorno del suo arrivo: la sua guglia svettava appena dietro il corpo
principale, alta e maestosa, visibile perfino a distanza. La porta
d'accesso era elaborata, come tutte quelle che si aprivano su luoghi di
una certa importanza: nel suo legno scuro era intagliato il disegno di
un maestoso albero, impreziosito da piccole pietre scintillanti.
Prima di aprirla Aran si fermò, con l'evidente intenzione di
dirle qualcosa. «Se non hai nulla in contrario, oggi vorrei
presentarti una persona a cui tengo molto» la
informò, stranamente esistante.
Lei inclinò il capo, sondando il suo sguardo per cercare di
comprendere il perché di tanto mistero. Alla fine si
ritrovò persa nel color ardesia brillante dei suoi occhi e
si affrettò a rispondere: «Ne sarei molto
felice.»
Aran recuperò la sua solita sicurezza e spinse uno dei due
battenti, che si aprì emettendo un lieve cigolio. Quando il
suo sguardo s'imbatté nell'interno della sala e nel suo
contenuto, Freya non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire
un mormorio stupefatto. Una spirale di librerie cariche di volumi
giganteschi si perdeva verso la cima della torre, affiancata da una
larga scalinata intervallata da molteplici pianerottoli. Aguzzando la
vista Freya poté vedere schiere di scalette in legno
agganciate saldamente ad esse, unico mezzo per raggiungere i libri
custoditi negli scaffali più alti.
Al piano terra erano invece distribuiti tavoli in pietra e legno
affiancati da due panche ognuno, adibiti allo studio e alla lettura. Al
di sotto della scala a chiocciola, a livello del pavimento, c'era una
selva di ampie scaffalature a muro; avvicinandosi, notò che
contenevano pergamene vuote e pronte per essere vergate dalle penne
ordinatamente riposte lì accanto, insieme alle boccette
d'inchiostro colme di liquido scuro. Altre librerie erano sparse anche
tra i tavoli e formavano una specie di labirinto in cui sembrava facile
perdersi.
«Vieni» le mormorò Aran a un soffio
dall'orecchio, prendendola senza nemmeno rendersi conto per mano e
guidandola attraverso la selva di scaffali.
Freya prese a camminare dietro di lui con passo leggero, permettendogli
di condurla verso una meta ignota con sorprendente facilità.
Tutto l'ambente circostante era pervaso da un piacevole profumo di
carta pergamena e la ragazza già pregustava di immergersi in
qualche gigantesco libro, quando giunsero a un tavolo piuttosto
distante dagli altri. Era l'unico rotondo che si scorgesse nei dintorni.
Seduto a una panca, chino su una moltitudine di fogli scribacchiati ed
enciclopedie stracolme di mappe stellari che illustravano
un'infinità di costellazioni, c'era un uomo di mezza
età che indossava una tunica blu notte. Il suo viso era
coperto da una folta barba castana curiosamente intrecciata, in cui si
intravedeva già qualche traccia di grigio; per contro, i
suoi capelli erano corti e ricci, seppur dello stesso colore. Un paio
di occhialetti rotondi gli calavano di continuo sul naso,
costringendolo a tirarli su con l'indice. Sembrava essere piuttosto
alto e aveva un'aria gentile, nonostante in quel momento la sua fronte
fosse increspata da mille e profonde rughette di cui una,
più marcata, creava un solco fra le sue sopracciglia.
Aran avanzò piano, poi tentò di richiamarlo:
«Maestro Athal?» Non ottenne risposta.
Un sorriso divertito comparve sul suo volto e, con cautela, gli
posò una mano sulla spalla mentre ripeteva:
«Maestro?»
L'uomo sobbalzò e un paio di pergamene chiuse da laccetti di
cuoio caddero dalla scrivania, rotolando sul freddo pavimento. Si
voltò verso il ragazzo ed esclamò:
«Aran, per l'amor di Finian! Sai che non devi assolutamente
deconcentrarmi mentre studio le mie car...», ma la frase gli
morì in gola quando notò la presenza di Freya.
«Oh, ma questa giovane fanciulla...»
esordì, mentre si sistemava meglio gli occhiali che gli
pinzavano il naso e si sforzava per osservarla oltre le lenti,
«deve essere certamente la figlia di Eleana! Quale immensa
sorpresa!»
Strinse con vigore la mano che lei gli porgeva e Freya rimase stupita
che non usasse la solita inutile deferenza di tutti coloro che aveva
conosciuto da quando alloggiava al castello. Si ritrovò a
gioirne: era talmente bello per lei trovare un pò
spontaneità. Il maestro Athal prese le pergamene che Aran
aveva recuperato da terra e tornò a sedersi senza aspettare
la sua riposta. Probabilmente era certo di avere indovinato.
«Il maestro è il mio precettore. Mi ha insegnato
tutto ciò che so e questa settimana mi ha svegliato ogni
notte per osservare le stelle. A suo parere si potevano scorgere meglio
le più importanti costellazioni del nostro cielo»
le spiegò Aran, con un affetto sincero nella voce.
Senza staccare il naso dai suoi rotoli, Athal rispose: «Non a
mio parere, ragazzo. Calendari stellari centauri antichi di secoli lo
riportano e quelli, lasciate che ve lo dica, sono assolutamente
infallibili!»
Freya rabbrividì. Centauri? Non aveva mai sentito nessuno
parlare dei popoli di Finian in modo tanto aperto, a parte il
misterioso scrittore delle Saghe.
Aran si affrettò a spiegare: «Non ho idea di dove
abbia appreso quei calendari o tutte le altre cose che sa sugli antichi
popoli. Lui è fatto così, ne parla in maniera
assolutamente normale, a meno che non si trovi in presenza di qualche
nobile. O di mia madre e mio fratello. Solo a me è riservato
l'onore.»
L'uomo alzò lo sguardo su Aran e i suoi occhi, che solo
allora la ragazza vide di un curioso blu elettrico, scintillarono.
«Non parlare a questa ragazza dei miei discorsi come
parleresti degli sproloqui di un pazzo vagheggiante. Inoltre, non hai
alcun motivo di nominare con timore i popoli, in sua presenza. Sono
sicuro che Freya ne sappia abbastanza, forse più di
te» lo ammonì. Detto questo, Athal
tornò come se nulla fosse ai suoi studi, mettendo
chiaramente fine alla conversazione.
La prontezza della riposta prese Freya alla sprovvista, strappandole un
sorriso. Più tempo passava più si rendeva conto
che quell'uomo le piaceva molto. A quella frase del suo precettore
Aran, invece, ammutolì e si limitò a rivolgere
uno sguardo alla giovane, che non pareva però affatto
disturbata dalla sua esternazione.
«Arrivederci, maestro Athal. Conoscervi è stato un
piacere. Spero che avremo altre occasioni d'incontro» disse
la ragazza nel congedarsi, ottenendo in risposta solo un gesto con la
mano accompagnato, però, da un sorriso ben visibile anche
sotto la folta barba.
Precedendo Aran, Freya continuò verso l'imbocco della scala
che portava ai libri.
Il ragazzo la seguì e parlò, quasi come se
sentisse di doversi giustificare: «So che può
sembrare strano, ma io sono sinceramente affezionato al maestro.
È davvero la persona più giusta, saggia e acuta
che io conosca.»
Freya gli rivolse un sorriso. «Non mi sembra affatto
strano.»
Aver imparato a conoscere quel ragazzo che le camminava accanto, in
quel mese in cui aveva sempre trovato un attimo per stare con lei e
scambiarsi anche i dettagli più insignificanti delle loro
vite, le aveva insegnato che Aran era davvero ciò che
mostrava; era davvero ciò che faceva e ciò che
diceva, ciò che sentiva. Almeno quando era con lei. Che
fosse affezionato sinceramente a quell'uomo, lo aveva dimostrato anche
solo nel modo cui gli parlava o ne parlava. La sua risposta parve
lasciarlo comunque sorpreso, a giudicare dalle iridi grigie sgranate
sul suo viso.
«Trovi davvero normale qualcosa che gli altri ritengono tanto
sconveniente?» le domandò, serio.
Freya si fermò, guardandolo confusa.
«Sconveniente?»
Aran sorrise amaro. «Mia madre non vorrebbe che io dessi
tanta confidenza al maestro. In fondo, per lei si tratta solo di un
insegnante che ha il dovere di prepararmi alla mia vita futura,
nient'altro.»
«Oh. Io avrei trovato molto più strano se non ti
fossi affezionato a una persona che ti è sempre affianco nel
percorso per diventare un buon Principe, piuttosto che il
contrario» commentò lei, riprendendo a camminare
tranquillamente.
La ragazza iniziò a vagliare con cura i libri riposti sugli
scaffali, decisa a trovare la sezione dedicata alla geografia. Era
curiosa di vedere come gli abitanti di Riagàn
rappresentassero Finian, soprattutto per cercare di capire se il
misterioso autore delle Saghe fosse un'essere umano.
«Se stai cercando qualcosa in particolare sarò ben
lieto di aiutarti» le disse Aran, dopo averla lasciata vagare
per un po' senza interrompere il flusso dei suoi pensieri.
Freya si voltò verso di lui. «Vorrei dare
un'occhiata alle vostre cartine e vedere come rappresentate
Finian» spiegò, ma il suo sorriso si spense quando
vide l'espressione di Aran cambiare.
«Non troverai un solo libro che riguardi la geografia
dell'intera Finian, in questa Biblioteca» rispose, adombrato,
come se Freya avesse riportato in superficie un suo vecchio dilemma.
«Mia madre, a quanto pare, non vuole aver nulla a che fare
con quelle carte e non ha la minima intenzione di far sì che
i suoi eredi le vedano. Non ho idea di cosa sia successo per farle
prendere una decisione simile.»
Freya non riusciva a comprendere. «Come fate tu e Darragh a
studiare le terre di Finian se non avete nemmeno una cartina su cui
orientarvi?» domandò, confusa.
«Studiamo solo la cartografia di Riagàn e dei
territori che abbiamo conquistato, per sapere fin dove gli umani si
siano spinti, nient'altro» disse lui.
La giovane avvertì traccia di frustrazione nella voce di
Aran. «Hai già provato a cercare quelle mappe, non
è vero?» chiese ancora e lo sguardo del ragazzo fu
una risposta sufficiente. Lui non era tipo da accontentarsi di quello
che gli veniva concesso di sapere, la sua intrusione nella Sala degli
Incantatori ne era la prova.
Freya decise di non insistere, per non rischiare di sfiorare corde che
non avrebbe dovuto toccare. Iniziò però a
chiedersi per quale ragione la Regina avrebbe dovuto far sparire tutte
le mappe del loro mondo, accarezzando distrattamente il dorso di un
libro. Non le aveva forse detto che il suo era un progetto di unione?
Allora come poteva aver bandito l'intera Finian dalla sua corte?
Quegli interrogativi le balenavano nella mente come tante lucciole
nella notte. In quel periodo di permanenza aveva visto una corte
pacifica, un luogo che lei non si sarebbe mai e poi mai aspettata. Ma
se fosse stata tutta un illusione? Se là fuori, un po' oltre
il suo sguardo, in quei luoghi che nelle menti di Riagàn
erano solo una distesa vuota, ci fosse stato ben altro? Magari gente
che soffriva, forse persone a cui quel progetto di unione stava negando
la libertà. Allontanò la mano dal libro con uno
scatto e voltò lo sguardo verso Aran, che la stava
osservando incuriosito. Persino la sua posa si era irrigidita, mentre
quelle riflessioni le scorrevano nella mente.
«C'è qualcosa che non va?» le
domandò, preoccupato.
Lei scosse la testa e cercò di apparire sicura.
«No, nulla.»
Non voleva che il ragazzo scorgesse anche solo uno di quei tanti
pensieri. La Regina era sua madre e ciò su cui Freya stava
rimuginando in quel momento imputava alla monarca un bel po' di colpe.
Passeggiarono ancora per un po' nella Biblioteca e finalmente Freya
riuscì a trovare qualche volume che la incuriosisse e che la
tenesse occupata. Mentre i due ragazzi sedevano su una panchina situata
ai livelli più alti della torre, la giovane ebbe la netta
sensazione di essere tenuta d'occhio. La testa iniziò presto
a pulsarle dolorosamente, tanto che per un istante ogni pensiero le fu
negato. Quando ebbe la forza di riaprire gli occhi, che aveva
istintivamente chiuso, vide una smorfia anche sul viso di Aran, il
quale sembrava preso dalla stessa sensazione sgradevole; lentamente, i
suoi sensi si riattivarono e Freya volse lo sguardo verso un punto in
ombra della Biblioteca, alle sue spalle.
«Lady Freya», ne emerse la voce secca di Gorman
dopo solo qualche attimo. Lo sgradevole uomo ignorò le
smorfie sul volto dei due giovani e si rivolse a lei soltanto:
«La Regina Mirea vi manda a chiamare. Desidera parlare con
voi immediatamente.»
Freya si irrigidì, un malessere strisciante che pian piano
s'impossessava di lei. Con esso, arrivò l'assurda paura che
Mirea fosse in grado di penetrarle nella mente e avesse potuto carpire
tutto ciò che aveva pensato un attimo prima. Si riscosse
rapidamente, dandosi della sciocca.; nessuno aveva quel potere.
Con calma, si alzò dalla panca e rispose cortesemente:
«Certamente. Concedetemi solo il tempo di indossare abiti
più consoni e mi recherò alla Sala del
Trono.»
Gorman parve sorpreso e Freya dovette trattenere un sorriso divertito.
Le lezioni di galateo che Malia era stata incaricata di impartirle
erano servite.
«Farò in modo che vi vengano mandate delle
guardie, milady» disse allora l'Incantatore, con un
disgustoso sorrisetto.
«Non sarà necessario. Posso tranquillamente
accompagnarla io» ribatté Aran.
«Come desiderate» fu la riposta del consigliere,
affiancata da un lieve inchino, e infine sparì da dove era
arrivato. Non appena si fu allontanato, i due si rilassarono
visibilmente.
«Anche a te non piace molto quell'uomo, vero?»
domandò Freya ad Aran, che sembrava resistere all'impulso di
scrollarsi di dosso qualcosa.
«Quand'ero piccolo ne avevo addirittura paura; mi dava i
brividi. Adesso che sono cresciuto semplicemente non riesco a
soffrirlo» ripose lui con un sorriso tirato.
Raggiunsero le stanze di Freya il più velocemente possibile.
Aran le promise che quando sarebbe stata pronta l'avrebbe trovato
lì fuori ad aspettarla, poi la lasciò alla sua
preparazione. Non appena la ragazza entrò, trovò
Malia che l'attendeva impaziente.
«Mia Signora», s'inchinò quest'ultima,
«vi ho già preparato la tinozza dell'acqua
calda.»
Freya entrò nella stanzetta da bagno, si lavò con
cura e poi, dopo essersi asciugata e aver indossato la sottoveste,
lasciò che Malia le intrecciasse i capelli. Ultimamente
aveva sempre fatto tutto da sola, dato che non aveva più
avuto incontri ufficiali, ma la donna sembrava sempre divertirsi molto
a prepararla; dal canto suo, la ragazza si agitava ancora sullo
sgabello come se fosse seduta su un cuscino di spine, non del tutto a
proprio agio. Mentre l'ancella le raccoglieva la parte superiore
capelli in una treccia, a Freya venne in mente che forse lei avrebbe
potuto darle alcune delle risposte che cercava.
«Malia, so che forse non potrai rispondere, ma vorrei sapere
da qualcuno che vive qui da sempre se davvero ciò che ho
visto in queste settimane è reale» le disse,
sicura di potersi fidare di lei.
La donna smise di intrecciarle per un attimo le ciocche.
«Cosa intendete, milady?» le domandò.
Freya pensò per un istante a come formare un discorso
sensato con la marea che le turbinava in testa. Poi, parlò:
«Vorrei sapere se davvero qui regna sempre la pace. Se
davvero la gente non soffre ed è ben trattata dai reali, se
non sono mai successe cose che violassero i diritti che ognuno dovrebbe
avere.»
Malia rimase per un istante in silenzio, iniziando a fermarle la
treccia sulla nuca in modo che le cingesse il capo, prima di
rispondere. «Non esiste luogo al mondo in cui l'ingiustizia
non sia in grado di arrivare, mia cara. Riagàn non fa alcuna
eccezione.» Nonostante stesse parlando le sue mani
continuarono a lavorare sulla chioma della ragazza.
«Eppure qui tutto sembra così sereno,
così... perfetto» moromorò la ragazza,
ma quell'ultima parola risuonò irreale perfino a lei.
Attraverso lo specchio vide un sorriso amaro indurire i lineamenti
della donna. «È difficile accorgersi delle
iniquità in posti come questo, dove regnano la ricchezza e
il privilegio» rispose.
Quelle parole colpirono Freya al punto che non domandò
più nulla. Si guardò attorno e si chiese se quel
mondo dorato, pian piano, non la stesse abbagliando, impedendole di
vedere come realmente stessero le cose. Non voleva trarre conclusioni
affrettate, ma doveva stare più attenta, si disse. Da quel
momento in avanti avrebbe tenuto occhi e orecchie ben aperti e avrebbe
cercato di guardare sempre al di là delle apparenze.
«Grazie, Malia» disse e lei la guardò
attraverso la superficie riflettente che stava loro davanti,
domandandosi forse per cosa la stesse ringraziando. L'ancella non aveva
idea di quanto quelle sue semplici risposte fossero servite a riportare
Freya alla realtà.
Il resto del tempo trascorse nel silenzio. Malia finì di
sistemarle la lunga treccia che aveva creato con la parte inferiore dei
capelli, trattenuta da un anellino di metallo, e poi l'aiutò
ad abbigliarsi. La donna controllò minuziosamente che ogni
lembo di stoffa cadesse a dovere, poi le posò le mani sulle
spalle e le strinse in un gesto affettuoso, guardandola negli occhi.
«Spero che andrà tutto bene per voi,
milady» le disse.
La premura dell'ancella nei suoi confronti le riscaldò il
cuore. «Ti ringrazio, davvero. Ti chiedo però di
chiamarmi semplicemente Freya; non servono tutti questi
titoli» ribatté la giovane con un sorriso. Prima
che Malia potesse protestare, era già fuori dalla porta.
Esattamente come le aveva promesso Aran era lì, intento a
guardar fuori da una delle vetrate. Mentre camminavano verso la Sala
del Trono il ragazzo la osservava di sottecchi, quasi cercasse di
capire cosa le passasse per la mente. Nonostante la testa della ragazza
fosse ancora affollata dai mille dubbi che si erano sollevati nel corso
di quella giornata, non poté fare a meno di sorridergli,
tentando di rassicurarlo. Nel vedere che la giovane si era accorta
delle sue occhiate, un colorito acceso imporporò le guance
di Aran, che si affrettò a distogliere lo sguardo. Il
sorriso di Freya si allargò. Quando le guardie di Mirea
aprirono i battenti della grande porta, gli occhi dei due ragazzi
s'incontrarono un'ultima volta, prima che Freya entrasse.
Avanzò verso il trono, come aveva fatto un mese prima, ma
l'ansia questa volta non arrivò a morderle lo stomaco.
La Regina la osservò impassibile mentre le rivolgeva la
consueta riverenza, poi la salutò con un breve sorriso,
dicendo: «Noto con piacere che la permanenza alla mia corte
ti ha giovato, Freya.»
«Questo palazzo è un luogo davvero meraviglioso e
ricco di bellezze, Regina Mirea» rispose la ragazza, oramai
più tranquilla nel parlare di quanto non lo fosse prima.
«Ti starai certamente chiedendo come mai io ti abbia mandata
a chiamare» proseguì la donna, ritornando alla sua
consueta espressione. «Ritengo che sia giunto il momento di
celebrare il tuo arrivo qui e che tu conosca le personalità
più influenti del Regno di Riagàn. Per questo ho
deciso di indire un ballo, che si terrà fra tre settimane
esatte. È l'occasione giusta perché tu venga
ufficialmente presentata alla corte di Errania.»
Freya si bloccò per un istante, mentre l'immagine di un
salone pieno di gente che voleva fare la sua conoscenza e parlare con
lei si andò a formare nella sua mente; con essa, venne il
disagio.
«Come desiderate» rispose nonostante tutto,
ricordandosi che per quanto il suo intero essere rifuggisse a
quell'idea non poteva certo dare un no come risposta.
Ci fu un attimo di silenzio in cui la sovrana guardò
attentamente Freya, prima di parlare nuovamente. «Penso,
inoltre, che tu sia pronta per essere condotta alla tomba di tuo padre.
Sono a conoscenza del fatto che sia un tuo grande desiderio rendere
omaggio alla sua memoria. Domattina all'alba manderò
qualcuno ad accompagnarti; a quell'ora nessuno disturberà la
tua visita.»
La ragazza s'irrigidì, preda di emozioni contrastanti. Era
davvero ciò che desiderava, ma non si aspettava
più che la richiesta fatta oramai settimane prima venisse
esaudita.
«Vi ringrazio, Maestà» rispose ancora
una volta con cortesia.
La Regina si limitò a rivolgerle un cenno del capo. Poi,
semplicemente, la congedò: «Purtroppo non posso
trattenermi a lungo con te, Freya, e non avremo molte occasioni di
incontrarci, nei prossimi giorni. Ma ti posso promettere che presto ci
rivedremo.»
Raddrizzando le spalle, la giovane uscì dalla Sala del Trono
e senza quasi accorgersene si ritrovò di nuovo nell'ampio
corridoio. Trasse un respiro profondo. Aran la guardò senza
proferire parola e lei non lo biasimò; era consapevole di
avere un aria smarrita, in quel momento.
«Mi porteranno alla tomba di mio padre»
mormorò, più a se stessa che al ragazzo. L'idea
del ballo pareva qualcosa d'insignificante se paragonata a quello. Ora
che era arrivato il momento, si rese conto, non sapeva come sentirsi al
riguardo.
Per un istante Aran parve immobilizzarsi, indeciso su cosa fare, poi le
si avvicinò e le afferrò la mano destra,
stringendola in una presa salda. «Verrò con te, se
lo desideri» la rassicurò.
Freya si limitò ad annuire e abbandonando l'orgoglio
lasciò che le proprie dita s'intrecciassero a quelle di lui,
che continuò a tenere la sua mano nella propria per lunghi
attimi. Il calore di quella stretta divenne l'unica cosa chiara, il
solo porto sicuro nella tempesta che era tornata ad agitarla.