prima parola
Il potere
di Adamo
Crowley ripose il suo quaderno di
appunti nella tasca interna della giacca e si rilassò contro la sua
poltrona preferita nella libreria di Aziraphale.
«Mrs. Dowling è impaziente di
sentirlo parlare» rivelò con la fronte corrucciata.
«Davvero?» chiese l'angelo,
preparando due bicchieri di vino e porgendone uno al demone. «Be', è
comprensibile» ponderò poi. «Ha cominciato a fare versi, immagino
che sia questione di poco tempo, ormai»
Crowley annuì. «Sì, ma è
soprattutto una questione naturale» considerò. «Non capisco cosa
ci sia di così entusiasmante nella sua prima parola, a essere
sincero»
Aziraphale si strinse nelle spalle.
«Gli esseri umani sono animali simbolici» spiegò con estrema
semplicità. «Si aspettano che quelle sue prime sillabe siano un
segno sul carattere del bambino, sulle sue inclinazioni, su quale
genitore amerà di più nella vita... Cose così»
Crowley sporse il labbro inferiore in
avanti, ammirato. «Ha senso» concesse. L'angelo sfoderò un sorriso
compiaciuto che fece ghignare il demone.
Bevvero il loro vino fino a quando lo
stesso Aziraphale interruppe il silenzio rilassato con un'espressione
che lasciava ben pochi dubbi.
«Sai, credo che però tu abbia fatto
bene a portare alla luce la questione» disse, concitato.
«Mm?»
L'angelo aggrottò la fronte e strinse
le labbra prima di parlare di nuovo. «Non è un umano qualunque, lo
sappiamo. E se... le sue parole fossero
davvero qualcosa di più?»
Crowley poggiò il bicchiere sul tavolo
e si raddrizzò sulla sedia, confuso. «Non ti seguo, angelo»
Aziraphale annuì e riprese, paziente.
«È l'Anticristo, Crowley. Se fosse solo umano non avremmo alcun
dubbio: la sua prima parola sarebbe soltanto una ripetizione di
sillabe e niente di più. Ma Warlock non
è solo umano e noi della sua parte demoniaca non sappiamo
nulla». Fece una piccola pausa per organizzare la conclusione del
discorso. «In pratica, non sappiamo se la sua prima parola avrà un
significato vero e proprio oppure no»
Il demone si prese qualche attimo di
silenzio per riflettere. «Come un incantesimo?» osò.
«Più o meno, sì»
Crowley si concentrò di più per tirar
fuori una casistica calzante. «Suggerisci dunque che potrebbe dire
tata e prendere possesso del mio corpo?»
Aziraphale strabuzzò gli occhi. «Santo
Cielo, spero di no!» esclamò, allibito. «Quale parte del mio discorso
ti ha fatto pensare questo?»
Crowley scosse una mano, evasivo.
«Esempio sbagliato, d'accordo. Diciamo che hai paura che la sua
prima parola possa avere un potere sostanziale sulla realtà, che
possa modificarla in qualche modo. Corretto?»
L'angelo prese un bel respiro prima di
annuire. «Questo è già più in linea con quello che volevo dire»
Il demone non vedeva la differenza tra
l'esempio del suo corpo e quella che per lui era semplicemente la
descrizione teorica di quel fenomeno. Tuttavia decise di non
ribattere ulteriormente: aveva capito il problema.
«Non ne siamo sicuri, però» tentò
di essere ottimista. L'occhiata severa che ricevette fu sufficiente a
impedirgli di riproporre la stessa strategia una seconda volta.
«Non siamo sicuri che non sia
così, Crowley»
Oh, fantastico. L'onere della
prova pendeva sul suo capo, ma il demone non aveva la più pallida
idea di come funzionasse la testa di un Anticristo: Giù non avevano
pensato di dargli più di tante spiegazioni sull'argomento.
Si appoggiò contro lo schienale con
aria teatralmente sconfitta.
«Immagino che tu abbia un'idea, no?»
disse arrendevole.
«Niente di diverso dal piano»
commentò asciutto Aziraphale. «Ci impegniamo affinché rimanga
nella neutralità»
Il proposito era ottimo, Crowley non
poteva negarlo. Rimaneva un punto scoperto, però. «E come vorresti
realizzare questo obiettivo? Io gli faccio dire Satana
e tu Dio?»
disse sarcastico, non risparmiandosi una smorfia nel chiamare in
causa l'Altissima.
Aziraphale si
illuminò di colpo. «Non ci avevo ancora pensato, ma questa mi pare una buona
idea»
Il
demone spalancò la bocca e provò a dire qualcosa due volte. Solo al
terzo tentativo finalmente articolò dei suoni: «Sei pazzo! Non c'è
partita così! Satana
è un nome complicato, non riuscirà mai a dirlo! Io perdo a priori,
angelo!»
Il biondo esibì
un'espressione innocente, ma Crowley l'avrebbe davvero incenerito sul
posto.
«Non essere
disfattista, caro1»
«Disfattista?»
gli fece eco il demone. «No, io sono realista! Come farà a
dire Satana? Non sarà mai una delle sue prime parole!»
Aziraphale fece
spallucce. «Non angustiarti prima del tempo. Ma se preferisci
tirarti indietro...»
Cos'era, quella?
Una provocazione? Crowley ebbe la netta impressione che se non si
fosse trovato nelle condizioni di rischiare la reputazione e il
piano, probabilmente sarebbe stato incredibilmente fiero dell'angelo.
«Non ho detto
quesssto» sibilò di rimando. Alzò le mani in segno di pace. «E va
bene. Credi di avere un vantaggio, non è così?». Non c'era bisogno
di crederlo: quello era del tutto oggettivo. «Ti dimostrerò che ti
sbagli, allora». Doveva solo lavorare sui metodi.
Aziraphale annuì e
mosse le labbra in un muto “Oh” di comprensione.
«Scommettiamo?»
L'angelo lo guardò
scandalizzato. «Io non scommetto, Crowley. Sono un angelo»
«Peccato» fornì
il demone. «Pensavo che, nel caso in cui la prima parola di Warlock si dovesse rivelare Dio, be', potrei offrirti una cena al Ritz». Aziraphale
lo guardò con granitica e affettata apatia. «Ma se la metti così,
non posso che rispettare le tue scelte»
Piegò la testa di
lato, in attesa, godendosi il momento in cui il biondo strofinò le
dita della destra tra loro, come se saggiare la consistenza dell'aria
potesse aiutarlo a decidere se quella proposta valesse la pena di
essere accettata.
«Suppongo di poter
fare un'eccezione» concesse alla fine l'angelo e Crowley schiuse le
labbra in un ghigno.
«Che vinca il
migliore»
-
Crowley si era reso conto appena il
giorno dopo di essere stato un emerito stupido per almeno due motivi:
per prima cosa, si era fatto abbindolare da quel bastardo del suo
migliore amico, dalla gioia di avergli estorto una scommessa così
poco angelica senza nemmeno riuscire ad ottenere un premio in caso di una
sua vittoria. Una mancanza che aveva giudicato pressoché
imperdonabile e irrimediabile già la sera stessa, di ritorno nel suo
appartamento, e che denotava quanto scarse fossero le sue aspettative
riguardo alla riuscita della sua parte del piano. In secondo luogo,
infatti, Satana era una parola lunga, priva di sillabe ripetute:
certo, Warlock era l'Anticristo e in quanto tale forse non si sarebbe
lasciato intimorire da quella sfida articolatoria, ma Crowley non
aveva davvero alcun indizio in proposito e chiedere Di Sotto non
avrebbe portato ad alcuna significativa risposta. Era già difficile
spiegare alla feccia infernale quanto fosse importante
l'educazione nella vita degli esseri umani, figurarsi discutere
riguardo alle prime parole dei bambini.
Ovviamente, senza alcuno stupore da
parte di Crowley, Aziraphale non aveva neanche per sbaglio accennato
alle difficoltà di realizzazione di un piano come quello: aveva
parlato di neutralità, ma il demone era certissimo che il suo amico
non vedesse l'ora di far trionfare per la prima volta davvero
rilevante il Bene sul Male. Questo voleva dire che Crowley si sarebbe
dovuto impegnare il doppio per riportare il tutto in parità, ma non
vedeva proprio altra via di fuga: sentiva di essersi votato al
fallimento.
Si erano accordati perché la tata
passasse giornalmente delle ore in giardino con il piccolo in modo
tale che per Aziraphale fosse facile avvicinarglisi senza destare
sospetti di alcun tipo. In quei momenti la tata non aveva alcuna voce
in capitolo: il suo unico compito era quello di vegliare sul giovane
Warlock e di stare alla larga dai tentativi dell'angelo di
inculcargli in testa la parola Dio.
Questo, che Aziraphale ne fosse consapevole o meno, le permetteva di
studiare da vicino i progressi nel Bene, privilegio che l'angelo non aveva.
Crowley aveva inaspettatamente ripreso a sperare: Warlock, che
proprio non ne voleva sapere di pronunciare una maledetta sibilante
davanti alla tata, di certo non si rivelava un campione con le
dentali, con grande stizza di Aziraphale.
Infatti, l'ammasso di vocali e
consonanti che il bambino sembrava preferire era uno spettrale Guuu.
Qualsiasi stimolo era sufficiente a
provocargli quell'inflessione gutturale che Crowley raramente
riusciva a identificare in qualcosa di concreto. Guuu era il
suo dito quando glielo faceva afferrare, il telefono di casa Dowling
che squillava, il giardiniere che gli mostrava un fiore con voce leziosa e
i suoi stessi bisogni corporei. Fortunatamente per quelli c'era il
pianto rivelatore che aiutava Crowley a barcamenarsi tra le esigenze
di un cucciolo d'uomo e la necessità di portare a compimento un
piano anti-Armageddon. Per tutto il resto, capitava che i due si
scambiassero occhiate divertite e del tutto confuse su cosa diamine
avesse potuto dire il bimbo.
«È davvero troppo piccolo perché
possiamo indirizzarlo al Bene o al Male, Aziraphale» aveva
discretamente sussurrato un giorno all'angelo mentre faceva dondolare
il passeggino per cullare un inaspettato pisolino di Warlock.
Stanotte non farà chiudere occhio a Harriet, aveva aggiunto
trionfante tra sé e sé: quello era sicuramente un male.
«Forse non hai tutti i torti, cara»
aveva concordato l'altro, sfinito dall'ennesimo tentativo di far
almeno variare una vocale in quel trittico di u.
Crowley si era concesso un sorriso nel constatare quanto l'evidenza
dei fatti avesse fatto desistere persino Aziraphale dalla gara.
-
«Chissà
che vuol dire guuu»
chiese Crowley tempo dopo davanti a un bicchiere di brandy in un pub.
Aziraphale sbuffò
una risata. «Tutto e niente, caro. Warlock comunica a modo suo tutto
quello che vuole»
Il demone annuì.
«Comodo così, non trovi?»
«In che senso?»
Crowley
si strinse nelle spalle. «Al giovane Warlock basta un verso per
creare il proprio mondo» spiegò. «Cioè, non creare creare»
si corresse: non era mai accaduto niente di strano intorno a loro,
alla famiglia o al bambino quando questi si esprimeva a quel modo.
«Indicare, ecco. Non
ha bisogno di tanti nomi o concetti. Gli basta quel rumore e dice
tutto quello che deve dire». Si appoggiò alla sedia. «Comodo»
Aziraphale
assottigliò le palpebre, poi annuì. «Autoreferenziale»
Il demone allargò
le braccia esasperato. «Così la fai sembrare una cosa negativa,
angelo»
Il biondo sorrise.
«Oh no, figurati» si scusò, sincero. «Pensavo solo ad Adamo»
«Ah!»
ribatté Crowley, intravedendo il senso di quel flusso di coscienza.
«Il primo che ha smesso di dire guuu per
dare i nomi alle cose»
Aziraphale provò a
guardarlo con rimprovero, ma non fu in grado di mascherare la lieve
risata che gli illuminò gli occhi. «A me piacciono i nomi, Crowley»
dichiarò, risoluto. «Sono efficaci, aiutano la vita in comunità e
rendono il mondo un po' meno-»
«Ineffabile» lo
interruppe il demone, un angolo della bocca appena sollevato in un
sorriso sghembo.
L'angelo
arrossì lievemente. «Stavo per dire oscuro,
ma credo di potermi adeguare»
Crowley poté quasi
prevedere la domanda che Aziraphale gli rivolse un paio di attimi
dopo.
«Non ricordavo che
fossi un appassionato di ineffabilità» disse infatti l'angelo, il
viso così innocente e provocatorio allo stesso tempo che il demone
dovette sforzarsi di trattenere il sorriso ammirato per mantenere
un'espressione piccata.
«Non
lo sono, infatti» precisò, accavallando le gambe. «Non ho mai
detto che quello che fa Warlock sia auspicabile per tutti o per me. È
solo oggettivamente
comodo per lui».
Sventolò una mano in direzione dell'angelo. «Sei tu che hai voluto
richiamare Adamo». Aziraphale mugugnò un assenso prima di
nascondere il sorriso dietro il bicchiere. «E poi non vale per
quello che dicevi tu»
L'angelo sembrò
ora particolarmente interessato. «Adamo?»
Crowley
annuì. «Lui non ha modificato la realtà: l'ha solo
catalogata». Fece una pausa. «Ha visto un leone e ha detto: “Uh,
guarda: un leone!”. “Uh, il bastone ha spostato la pallina!” e
whoop, ecco il
principio di causalità2.
Ha descritto quello che vedeva, punto». L'angelo era preso dal
ragionamento, anche vagamente sorpreso, tanto che Crowley considerò
brevemente di chiuderla lì. Solo un ultimo impeto di furbizia lo
portò a non glissare: «Sarebbe stato un potere troppo grande per
Lei da spartire, no?». Aziraphale sgranò gli occhi. «Immaginala,
angelo; immagina quest'umanità che conosciamo da seimila anni capace
di eguagliarla, di arrivare a Lei e di spodestarla con i suoi stessi
poteri»
Il
biondo inspirò dal naso, visibilmente contrariato. «Crowley»
avvertì.
«Che c'è? Vuoi
negare che si sia assicurata in previsione di una rivolta da parte
della sua creatura preferita?» ribatté il demone, risentito per il
modo in cui il suo nome era stato usato dall'angelo. Aziraphale lo
guardò con intensità e il demone ebbe l'impressione che i suoi
occhi avessero assunto una sfumatura più torbida, tempestosa, ma
forse erano solo le luci del pub. In ogni caso, non gli piacque:
forse aveva esagerato.
«Warlock
non è Adamo» proseguì Crowley, cercando di tornare su un terreno
meno scivoloso di quello, il tono più conciliante. «In teoria
l'Anticristo può rendere
reale ciò che dice, o addirittura ciò che pensa, ma noi non
sappiamo quando questa cosa
si attiverà»
Aziraphale deglutì
e si rilassò appena. «Su questo hai ragione» mormorò, tornando in
silenzio subito dopo.
«E
comunque ha cominciato a dire anche ga»
riprese Crowley, ansioso di riempire quel vuoto spiacevole.
L'angelo roteò gli
occhi al cielo, ma dalla velocità con cui rispose il demone capì di
aver sollevato anche l'altro da una gravosa incombenza. «Ovviamente
quando ero assente io» disse Aziraphale, offeso.
Crowley non
trattenne un ghigno. «Non è colpa mia. Ha fatto tutto da solo»
«Tu vedi progressi
con il tuo proposito, invece?» s'informò il biondo.
Il demone non
valutò nemmeno la possibilità di mentire: d'altronde lo aveva
scritto anche nei suoi appunti. Prese il suo quaderno, lo voltò
verso Aziraphale e tamburellò sulle pagine dedicate agli ultimi mesi trascorsi. «Nessuna parola» lesse ad alta voce
indicando sommariamente la riga conclusiva di ogni giornata.
L'angelo annuì.
«Idem» fornì per amor di completezza: Crowley già lo sapeva.
«Pensavo di avere davvero un margine di vantaggio su
di te in questo...»
«Lo so» fece
Crowley, senza deriderlo. Ormai la questione riguardava più il piano
che il loro puntiglio di orgoglio: il demone, abbandonato il cipiglio
strettamente competitivo della gara, aveva fatto un piccolo calcolo e
si era ritrovato a constatare di aver suggerito le parole peggiori
per convincere l'Anticristo a parlare.
«Ormai
abbiamo iniziato» ragionò ad alta voce. «Dobbiamo finire. Anche
perché, ammesso che abbia già potere sulla realtà, non vorrei
vedere evocato il suo amorevole
paparino senza l'intervento dei tuoi capi, se proprio devo essere
sincero»
Aziraphale prese un
grosso respiro, affranto quanto e forse più di lui. «Spero davvero
che non si arrivi a tanto, caro»
«Brindo a questo,
angelo» rimarcò Crowley, sollevando il bicchiere che tintinnò
contro quello dell'amico poco dopo.
-
Nonostante nessuno
dei due avesse notato alcun miglioramento significativo, tata e
giardiniere avevano continuato a vedersi tutti i pomeriggi per deviare
la mente del giovane Warlock. Più il piccolo cresceva, più tenerlo fermo era diventata un'impresa: ormai Crowley era
sufficientemente preparata da passeggiare in giardino con una coperta infilata nella borsa da stendere sul prato
in modo che il bambino non si sporcasse gattonando.
Anche quel giorno la tata aveva dovuto
slacciare le cinture del passeggino per assecondare lo slancio di
Warlock. Nell'attesa del giardiniere, la tata si era goduta la
vista del piccolo che rimbalzava sul proprio sedere nel vano
tentativo di mettersi in piedi. Quello era ancora fuori questione, ma a
Crowley piaceva osservarlo nella temeraria scalata verso la
posizione eretta. Non vedeva l'ora di farlo correre: già
immaginava che gli avrebbe consigliato di farlo ovunque per
diffondere il malumore tra i domestici e per scatenare l'ira dei genitori. E non poteva non pensare che
avrebbe probabilmente litigato con Aziraphale su quel comportamento
sconsiderato. Poteva già quasi sentirlo nelle sue orecchie a
ricordarle quanto potesse essere pericoloso per il piccolo, e la prospettiva la
allettava parecchio. Ah, l'angelo sarebbe stato furioso, lo sapeva:
avrebbe brandito il suo buonsenso con molta più convinzione di
quanta ne avesse mai riversata nello sguainare la spada fiammeggiante
millenni addietro: Crowley non aspettava altro che vederlo più
fiero e giusto che mai a combatterla nella dura lotta per il cuore - e la salute - di Warlock.
Il pensiero la cullò con piacere fino
al consueto arrivo di Aziraphale, il quale si appropriò subito dell'infante
per adempiere al suo compito. La tata si ritrasse nel suo quadrato di coperta, come al
solito, e si limitò a guardare.
Dopo due ore Aziraphale aveva ripetuto
così tante volte e senza alcuna coerenza la parola Dio che all'ennesima eco
Crowley non riuscì più a contenersi e scoppiò a ridere.
«Qualcosa di divertente, cara?» la
fulminò con lo sguardo l'angelo.
La tata scosse il capo. Provò con
tutta sé stessa a non dire niente, ma non fu in grado di mantenere
un contegno. «Certo che Lei deve proprio avere a cuore questa tua
missione»
Aziraphale, che era tornato a rivolgere
l'attenzione al piccolo Warlock, si girò ancora verso di lei, confuso.
Lanciò un preoccupatissimo sguardo in aria prima di sussurrare:
«Come, prego?»
La rossa sperò che quella sua pausa
sembrasse qualcosa di strategico per enfatizzare il punto del
discorso e non come l'effettivo tentativo di non ridere. «Angelo,
non ti ha ancora punito per tutte le volte che l'hai nominata invano.
Se lo chiedi a me, stai rischiando parecchio. Per niente, tra
l'altro». Crowley indicò Warlock con il palmo aperto. «Guardalo:
ti sembra un bambino pronto a dire quello che vuoi?». Il ragazzino
era intento a battere i palmi tra loro o sulla coperta, emettendo
versi insensati e alte grida.
L'angelo le scoccò un'occhiata
risentita: «Vuoi solo ostacolarmi»
«Non ho più successo di te,
tranquillo» assicurò. «Voglio dire che non ha senso forzarlo così»
Le parve che Aziraphale stesse per
darle ragione. «Ma il piano-»
«Che palle, angelo»
«Non davanti al bambino, Crowley!»
La tata inarcò un sopracciglio e
ghignò, ma non ribatté su quello. «Non succede niente se per un
giorno giochi con lui e la pianti con questa storia della prima
parola»
Aziraphale la guardò stralunato.
«Giocare con lui?». Il tono fu così sorpreso che Crowley temette
di essersene uscita con una frase completamente diversa.
«Sì» fornì. «Divertiti. Lui non
chiede altro, oggi. È stato tremendo tutto il giorno»
Era vero: l'aveva sfiancata con i suoi
gridolini e i suoi pupazzi. Aveva in qualche modo capito che tirare
un giocattolo lontano non lo faceva sparire e che l'avrebbe riavuto
nel giro di pochi attimi, il tempo che Crowley lo recuperasse per
piazzarglielo in mano. Questo l'aveva divertito tantissimo: ad ogni
lancio Warlock aveva riso fino a scivolare di lato sui cuscini sparsi
sul pavimento. Adesso non sembrava che la situazione fosse cambiata e
Crowley sperava che qualcun altro si prendesse la briga di occuparsi
di quel fagottino esagitato e vispo.
Aziraphale annuì ben poco entusiasta e
con una faccia così terrorizzata che la tata non nascose il sorriso.
«Che ti prende?» domandò tirando fuori dalla borsa il pupazzo di
pezza di un orsacchiotto e una pallina di gomma.
L'angelo accettò l'orso con aria
mortifera. «Nulla». Alla vista dell'orso, Warlock si animò:
protese le mani verso il pupazzo e esclamò qualcosa nel suo
linguaggio segreto. Crowley vide il panico sul volto dell'altro e
sorrise più intensamente.
«Daglielo, angelo» lo guidò,
annuendo per incoraggiarlo, scarsamente consapevole di aver addolcito il tono. «Forza»
Aziraphale
eseguì e Crowley si scoprì
teneramente divertita di fronte all'incapacità dell'amico di
giocare
con un bambino: faceva miracoli, accettava di salvare il mondo con lei
e poi non era in grado di assecondare un ragazzino di nemmeno un anno?
Era quasi poetico.
Warlock si ficcò subito in bocca un
orecchio dell'orso, per poi prenderlo per la zampa superiore e
sbatterlo sulla coperta, il tutto ridendo a crepapelle.
Crowley spiò, non vista, il volto di
Aziraphale e poté scorgervi il principio di un sorriso. Gli toccò
il gomito con l'indice per porgergli la palla. «Se la lancia, è tua
responsabilità andarla a riprendere, sia chiaro»
Il biondo sbuffò, ma acconsentì,
ignaro del fatto che avrebbe passato almeno un'ora a sperare che
Warlock si stancasse di tirare quella sfera oltre la coperta,
costringendolo ogni volta a fare esercizio fisico per star dietro al
bambino. Crowley fu comunque felice di constatare che il sorriso non
l'aveva più abbandonato.
«Non è stato così difficile, eh?»
domandò retorica dopo quell'intensa sessione di gioco.
L'angelo le sorrise, forse
inconsapevolmente. «Non è il mio campo» precisò. «Però è
piuttosto piacevole, sì»
La rossa annuì e fece per dire
qualcosa, ma si interruppe quando la pallina di Warlock le colpì la spalla.
«Basta così» esclamò Aziraphale,
fermo e deciso, le sopracciglia alzate a mo' di avvertimento e la
palla stretta tra le mani. La tata fece saettare lo sguardo
dall'amico al bambino, sorpresa. Il ragazzino sembrò altrettanto
stupefatto per un momento, ma poi cominciò di nuovo a ridacchiare.
«Questo è colpa della tua influenza»
la rimbeccò il biondo. «Non è per niente pentito»
Crowley ghignò, ma cambiò
immediatamente espressione quando sentì Warlock riaprire bocca.
«Ba-ba»
Si voltarono entrambi in tempo per
sentire di nuovo lo stesso suono.
«Bababa»
Aziraphale gonfiò il petto, di colpo
orgoglioso. «Questo, invece, è merito mio. Sarai d'accordo, immagino»
Crowley rilasciò un sospiro affranto:
si chiese per un attimo cosa sarebbe successo se non avesse spinto
l'angelo a giocare con il piccolo, ma decise che non ne valesse la
pena.
«Non ti avvicina ugualmente al tuo
obiettivo primario» fece notare stizzita. Stranamente quello non
riuscì a togliere dalla faccia di Aziraphale l'espressione tronfia.
«È il cambiamento che conta, mia
cara»
Crowley sibilò in risposta e non
aggiunse altro, limitandosi ad incassare il colpo con finta dignità.
-
«Sa-ta-na»
Warlock le restituì un'occhiata che
ebbe il potere di farla sentire un'idiota. Crowley gli porse un dito,
che il bambino non si fece sfuggire: lo afferrò subito, curioso,
pronto a riscoprirlo dopo quei cinque minuti in cui non l'aveva
tenuto stretto tra le manine. La tata non poté fare a meno di
sorridere con tenerezza e di prenderlo tra le braccia. Si sedette in
poltrona, sistemando meglio il piccolo contro il proprio corpo in
modo da poterlo guardare negli occhi mentre parlava.
«Riproviamo, d'accordo?» disse,
disperata, eseguendo un veloce e furtivo movimento con la mancina per
far apparire un sonaglio. «Sa-ta-na»
Warlock ci pensò su un attimo,
ipnotizzato dalle campanelle del giocattolo, poi emise il suo nuovo
versetto di battaglia: «Gaga»
«Non ti stai neanche impegnando» lo
rimproverò, ma il bambino non parve essersene accorto: continuò a
sorriderle con gioia e incoerenza. «Non è difficile, davvero»
mentì.
Crowley sentiva di dover pareggiare i
conti con l'angelo: che diamine, lui era riuscito a fargli dire una
nuova combinazione di lettere e lei non era in grado di fare
altrettanto? Già immaginava gli strabilianti progressi dell'altro
mentre lei rimaneva indietro senza la possibilità di recuperare
terreno.
«OK» assentì, definitiva. «Ultima
volta, d'accordo?» Warlock sbatté le palpebre e Crowley lo prese
per un sì. «A me basta anche solo Sa» provò,
condiscendente. Forse convincerlo a dire una sillaba alla volta era
la soluzione: magari Warlock si sarebbe sentito meno sotto pressione.
Era lo stress a non farlo parlare, se ne convinse subito.
«Sa»
ripeté, fiduciosa.
La tata osservò il visino del piccolo,
attenta alle sue minime variazioni. Quando finalmente vide il
cambiamento di espressione di Warlock, si sentì quasi mancare. Il
bambino gonfiò le guance e strabuzzò gli occhi, come in preda a
qualche sforzo.
«Bravo, bravissimo!» esclamò
Crowley, incoraggiante. «Sa»
Warlock
agitò le braccia e la tata seppe di essere vicina al suo
personalissimo traguardo. Pensò di dover telefonare
all'angelo in libreria, ma il suo cellulare non era nei paraggi, era
in borsa: le bastava un gesto per far sentire in diretta quel sa
ad Aziraphale.
«M... Ma-ma»
Crowley rimase con le dita unite in uno
schiocco mai compiuto. La rossa schiuse le labbra, sorpresa.
«Come, scusa?» fece, sperando, in
fondo, che Warlock potesse capirla.
«Ma-ma» ripeté il bimbo,
battendo le mani. «Mam-ma»
La tata deglutì un paio di volte prima
di accasciarsi con malagrazia contro i cuscini della poltrona, le
iridi serpentine fisse sull'infante e la testa completamente vuota.
Si accorse solo dopo qualche attimo di aver stretto Warlock più
vicino.
Si costrinse a ragionare. Quella non
era stata propriamente una parola, solo la stessa sillaba ripetuta
due volte: che mamma fosse una parola di senso compiuto era solo un
caso, lo sapeva. Questo, tuttavia, non cambiava i fatti: per un
attimo, nel sentire quella parola, aveva trattenuto il respiro che non le serviva e aveva
avvertito una fitta allo stomaco che poteva attribuire solo ad una
forte emozione. Il problema era capire quale: felicità? Terrore?
Sorpresa? Disprezzo? Tutte quante insieme? Crowley non ne aveva idea.
Guardò il bambino con curiosità. Non
era stata una parola, ma, come le aveva detto Aziraphale, per gli
umani era difficile separare i due momenti e Crowley aveva cominciato a
capirlo senza troppa difficoltà già da molti giorni: sentì quasi di essersi appropriata
indebitamente di un momento riservato a chi davvero faceva da madre
al piccolo Warlock. Per un attimo pensò altezzosamente di essere un'eletta, come se il
bambino avesse scelto di onorare lei di quel titolo e non Harriet.
Ma il momento durò poco: lo sprezzo
scacciò via la vanità e Crowley distolse lo sguardo per non
riversare sul piccolo tutta la sua delusione. Il pensiero corse
a sua Madre, al ripudio delittuoso, al perdono che non le aveva
concesso, alla condanna che le aveva inflitto, inesorabile e senza
appello. Faceva ancora male quel suo dolore di creatura rinnegata, faceva male esserne consapevole, faceva male sentirlo vivo
dentro di sé mentre le guidava le sensazioni, gli istinti e la mente, promettendo suadente di portarla
nell'abisso di sé stessa.
Che Madre era una che faceva questo ai
suoi figli? Che esempio era quella Madre? Che madre sarebbe
stata lei, che non conosceva l'amore?
Per un attimo, uno solo, l'immagine di
Aziraphale le si presentò alla mente, ma bastò che Warlock le si
agitasse in grembo per farla svanire così come era venuta. Il bambino esibì di
nuovo un sorriso largo e beato, sforzandosi contemporaneamente di
raggiungere il sonaglio nella mano della tata, dimenticata sulle
ginocchia del piccolo. Crowley ricordò vagamente l'avvertenza di non
sottoporre il gioco a bambini di età inferiore ai tre anni e lo
allontanò subito dalla portata di Warlock.
«No» disse semplicemente, incassando
l'occhiata risentita che il bambino le regalò. Prima che potesse
scoppiare a piangere, tuttavia, la tata fece dondolare una gamba,
movimento che distrasse abilmente il piccolino, facendogli ritornare il sorriso. Crowley lo osservò
per un po' prima di fermarsi ad assumere un'espressione estremamente seria.
«Non sono
tua madre» mormorò,
pacata. Warlock parve interessatissimo, come se avesse colto la
gravità di quello che aveva sentito. «Non guardarmi in
questo modo» lo rimbeccò e il bambino disse un solo ba. «Credimi: è meglio così»
-
Quella sera fu complicato recarsi da
Aziraphale per discutere la questione, ma Crowley fu sufficientemente
bravo da rimettersi in sesto per non mostrare niente al di là del
necessario. Raccontò di quelle sillabe ripetute versandosi due dita
di whisky ed eludendo qualsiasi tenerezza dell'angelo con la banale
notazione di quanto ma-ma fosse lontano sia da Satana
che da Dio.
«Ci stiamo
impegnando per niente, Aziraphale» concluse con esasperazione.
L'angelo, tuttavia,
lo sorprese. «Hai ragione» disse, ma con un sorriso che onestamente
Crowley non avrebbe accompagnato ad un fallimento.
«Ti 'spiace
elaborare?»
In tutta risposta, Aziraphale gli
piazzò davanti una pila di libri, lasciandolo particolarmente
dubbioso: non li avrebbe mai letti tutti, no davvero. Ma capì subito
di non averne bisogno.
«Ho cominciato a
leggere dei manuali sul linguaggio infantile» principiò infatti
l'angelo, continuando a parlare di una serie di dettagli
sull'apparato fonatorio che Crowley decise deliberatamente di non
conservare nella memoria.
«Arriva al punto»
sbraitò dopo un quarto d'ora ininterrotto di anatomia e psicologia.
«Il punto» fece
Aziraphale irritato per essere stato interrotto mentre sciorinava la
sua conoscenza, «è che il comportamento di Warlock sembra del tutto
normale. Umano»
Crowley schiuse la
bocca, ma non disse niente se non dopo qualche secondo. «Intendi
dire che...» cominciò, ma con un inequivocabile cenno per invitare
Aziraphale a chiudere la frase.
«Che
il giovane
Warlock sta seguendo uno sviluppo umano, senza alcuna componente
straordinaria. È come se non fosse l'Anticristo per adesso, ma
solo
un essere umano come tutti gli altri. Altrimenti avrebbe già
usato
il potere delle parole, non credi? Sarebbe stato estremamente
vantaggioso per lui procurarsi qualsiasi cosa con una sola parola o con
un solo verso, eppure non l'ha fatto»
Crowley cominciò a
comprendere. «Pensi che non sia ancora in grado di modificare la
realtà e che questo accadrà più avanti, giusto?»
Aziraphale
annuì,
compiaciuto, e al demone parve di conoscere quello sguardo: era quello
che gli riservava quando doveva metterlo all'angolo in qualche modo.
«Per adesso probabilmente è ancora un Adamo»
Crowley
aggrottò
la fronte, incerto, ma subito gli tornò alla mente la loro
conversazione al pub. «Descrive il mondo» esplicitò,
senza
riuscire a nascondere il sorriso di fronte alla furbizia di
Aziraphale: era ora certo che si fosse preparato quel riferimento
molto prima di quella sera e che avesse atteso il momento giusto per
rinfacciargli la deduzione che aveva fatto.
«Dunque...
possiamo stare tranquilli» concluse con un certo ottimismo.
«Per ora, penso di
sì». L'angelo sembrava davvero soddisfatto di sé.
Passarono qualche
minuto in completo silenzio, metabolizzando quella nuova allettante
ipotesi. Fu Aziraphale a parlare per primo.
«Mrs. Dowling sarà stata
felicissima, immagino» osservò con un sorriso. «Be', Warlock non
ha tecnicamente detto mamma, ha solo ripetuto la stessa
sillaba, però deve essere stata comunque un'emozione per lei»
Crowley non pensò
prima di rispondere: «Non ne ho idea, angelo»
Aziraphale parve
confuso, ma all'improvviso capì. «L'ha detto a te!»
esclamò.
Il demone sbuffò
irritato, accavallando le gambe. «Hai appena finito di dire che è
solo una sillaba ripetuta e adesso ti sorprendi? Andiamo!»
«Oh, Crowley»
Il
rosso sussultò,
allarmato dalla sfumatura dolce che il suo nome aveva assunto nel
tono di Aziraphale. Era più bella quella parola quando l'angelo
la pronunciava così, notò suo malgrado. «Chiudi la
bocca» intimò senza rendersi conto
di aver involontariamente confermato l'impressione che aveva fatto
sull'amico. Il biondo, comunque, nascose in fretta il sorriso oltre
l'orlo del suo bicchiere, ma da come continuava a guardarlo Crowley
sapeva che non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione per
infierire.
«È comunque molto
tenero che l'abbia detto per la prima volta in tua presenza, caro»
Crowley roteò gli
occhi al cielo. «Oh no no no no, angelo» cantilenò, il dito
puntato contro Aziraphale a mo' di avvertimento. «Non dirlo nemmeno
per scherzo»
Il
biondo inclinò
la testa di lato, poi sorrise. «Come vuoi» concesse,
rifornendo i
bicchieri di whisky e concedendogli una tregua, seppur breve, da
quell'argomento. Non riuscì, infatti, a rimanere zitto per
troppo tempo, ma almeno evitò di mettere Crowley nella
condizione di andarsene preda dell'imbarazzo e della furia: capitava
che Aziraphale si rivolgesse a lui come a una brava persona, ma
sentirlo così entusiasta per il risvolto di quella situazione
era terribilmente sconveniente.
Il demone gli fu, dunque, molto grato quando lo sentì parlare di cibo.
«Ti confesso che un po' mi dispiace per il
Ritz»
Crowley lo osservò
da dietro le lenti, divertito.
«Possiamo andare comunque» propose con tono leggero, guadagnandosi
un'occhiata particolare dall'angelo.
«Non ho vinto,
vecchio mio» fece notare, rassegnato.
Crowley si strinse
nelle spalle. «Nemmeno io. Questo non ti ha mai fermato dal cenare
nei ristoranti alla moda, angelo»
Aziraphale sigillò
le labbra in una linea sottile. «Trovo che la situazione sia diversa: doveva essere una ricompensa»
Il
demone si stupì di vederlo ancora opporre resistenza. Si
concentrò un momento prima di riprendere, sporgendosi sul tavolo
con fare cospiratorio.
«Sai una cosa? Sono abbastanza
sicuro che al Ritz si sia appena liberato un tavolo per due»
Aziraphale cambiò subito atteggiamento, ma ebbe almeno la
decenza di fingersi sorpreso. «Oh, davvero? Be', se questo è il caso...»
Crowley ridacchiò
per poi battere una mano sul bracciolo della poltrona. «Andiamo,
angelo»
Il biondo annuì un
ringraziamento nella sua direzione prima di precederlo con decisione
fuori dalla libreria. Crowley lo seguì subito dopo con un sospiro,
ripromettendosi che prima o poi sarebbe riuscito a dire di no al suo
migliore amico.
Magari tra qualche millennio.
Note:
[1]“Don't be
defeatist, dear, it's very middle class” (cit. Lady Violet Grantham
– Downton Abbey)
[2]: Riferimento all'esempio dell'Adamo di Hume che
è volto a dimostrare che l'esperienza e l'abitudine sono gli unici
fattori della causalità.
Ho cercato di
adattare il più possibile la situazione all'italiano senza creare
incongruenze con l'ingelse. Volendo arrivare a “mamma” come prima
parola (che non è propriamente tale, come dicono anche i personaggi,
ma solo un effetto della lallazione), non ho fatto pronunciare le
dentali a Warlock, perché altrimenti sarebbe uscito qualcosa come
“da-da”, che per noi è solo un movimento artistico, ma in
inglese è letteralmente il nostro “pa-pa”: Crowley a Aziraphale
avrebbero dovuto prendere questa come prima parola perché siamo pur
sempre a Londra. Per lo stesso motivo non ho mai accennato ad un “go”
da parte di Warlock, perché sarebbe bastato aggiungere una dentale per fare Dio, cosa che
avrebbe creato un notevole problema.
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