§ BLOODY WINGS
§
Nascosto nella
penombra del bosco, la osservava.
Era una creatura
abbacinante, era difficile tenere lo
sguardo fisso su di lei per troppo tempo, ma allo stesso tempo per
Everett risultava
impossibile non tracciare con gli occhi il profilo di quel corpo
perfetto e
luminoso.
Rachel era ferma, in
piedi al centro della radura, gli occhi
socchiusi e lo sguardo concentrato su qualcosa che il ragazzo non
riusciva a
focalizzare. Probabilmente non sapeva che lui si trovasse nei paraggi,
Everett
preferiva sempre mantenersi nell’ombra.
Non aveva mai trovato
il coraggio per rivolgerle la parola, lui
non rivolgeva mai la parola a nessuno.
L’unica cosa
che riusciva a fare era tampinarla e guardarla
da lontano.
In genere si era
sempre mantenuto nei limiti del campus
universitario, ma stavolta aveva deciso di spingersi oltre, di
rischiare.
Non si era aspettato
di infilarsi nel bosco e di camminare
in mezzo agli alberi per minuti interminabili, facendo attenzione a non
fare
troppo rumore. Non voleva che lei lo scoprisse.
Everett non sapeva che
cosa stesse facendo Rachel al centro
di quella radura, con gli occhi spiritati e i palmi delle mani rivolti
verso il
cielo terso del primo pomeriggio. Ma ormai era lì, si era
fatto avanti ed era
intenzionato a scoprire le intenzioni della ragazza che tanto gli
piaceva.
L’autunno
era cominciato da alcune settimane e l’aria era
pungente, Everett dovette trattenersi per non starnutire rumorosamente
come suo
solito. Sbatté le palpebre e continuò a tenere
d’occhio Rachel.
Lei era ancora
immobile, soltanto le sue labbra sottili
avevano cominciato a muoversi piano, sussurrando parole che lui non era
in
grado di leggere da quella distanza.
Se si fosse trovato
più vicino a lei, sarebbe stato
perfettamente in grado di leggere il labiale. Era abituato a farlo.
Spostò lo
sguardo sul suo fisico sinuoso, fasciato in abiti
semplici e per niente aderenti. Rachel era così: non voleva
mai attirare
l’attenzione né farsi guardare, ma era talmente
luminosa e ipnotica che per
Everett risultava impossibile non notarla. Se ne era perdutamente
innamorato
fin dal primo giorno in cui aveva messo piede nel campus e i suoi occhi
avevano
incrociato per un istante le iridi smeraldine della giovane.
E poi
l’aveva sentita cantare al concerto di apertura
dell’anno accademico, con una voce da sirena che lo aveva
incantato. Con quella
voce che sapeva utilizzare così bene, che era dolce e
aggressiva, cristallina e
profonda.
Una voce che lui non
possedeva.
Everett
sobbalzò quando la ragazza abbassò di scatto le
mani
e afferrò fulminea il bordo del maglione verde oliva che
indossava,
sollevandolo senza alcuna esitazione.
Gli occhi del giovane
si sgranarono nel rendersi conto che
Rachel si trovava di fronte a lui con indosso un paio di jeans, delle
sneakers
e un semplice reggiseno nero. La sua pelle era talmente chiara e
pallida da
risultare evanescente, accarezzata dalle ciocche corvine e ricce che la
brezza
sospingeva disordinatamente.
Everett aveva paura
che presto sarebbe svenuto, ma ciò che
accadde poco dopo lo lasciò ancora più sgomento.
Rachel
sollevò nuovamente i palmi verso il cielo, poi una
smorfia di dolore distorse il suo viso delicato e dolce, facendola
contorcere e
piegare in avanti.
Il ragazzo avrebbe
voluto gridare, ma lui non aveva mai
gridato in vita sua. E avrebbe voluto saltare fuori dal suo
nascondiglio,
raggiungerla e assicurarsi che stesse bene. Non sopportava di vederla
soffrire
in quel modo, gli faceva male il cuore al solo pensiero che Rachel
provasse
tanto dolore.
Poi accadde tutto in
una frazione di secondo: Everett si
mise in piedi e fece alcuni passi avanti, ma subito si
bloccò nel notare che
qualcosa di surreale stava cambiando nel corpo di Rachel. Due ali
bianche
screziate di rosso si fecero largo dalle sue scapole, producendo un
suono
lacerante che ferì le orecchie del ragazzo e lo fece
pietrificare in preda al
terrore.
Allo stesso tempo,
Everett era completamente rapito e
affascinato da quello spettacolo che non poteva essere vero.
Le ali di Rachel si
sollevarono maestose, lei le scosse per
sgranchirle e sulle sue labbra si dipinse un sorriso, mentre
un’espressione di
sollievo si faceva strada sul suo viso imperlato di sudore. Doveva aver
compiuto uno sforzo immane, era evidente.
Everett era sotto
shock e non sapeva cosa fare. Forse
sarebbe dovuto scappare via e dimenticare per sempre ciò che
aveva visto, le
mani gli tremavano e gli occhi gli bruciavano per la luce intensa che
il corpo
e le ali della giovane emanavano.
Fece per voltarsi,
doveva assolutamente andarsene, aveva
sbagliato a seguire Rachel fin lì.
«Everett.»
La voce cristallina di
lei raggiunse i suoi timpani e li
carezzò con dolcezza, facendolo sussultare sorpreso.
La guardò
con cautela e notò che gli occhi color smeraldo di
lei erano fissi su di lui, consapevoli della sua presenza nonostante
fosse
nascosto ancora nella penombra.
«Vieni»
lo invitò con tono calmo.
Il ragazzo, attirato
da una forza invisibile, cominciò ad
avanzare con passo incerto nella sua direzione, senza riuscire a
scostare lo
sguardo da lei.
Si fermò a
un paio di metri da Rachel e accennò alle sue ali
con un lieve movimento del capo, il cuore che gli esplodeva prorompente
nella
cassa toracica.
«Mi hai
scoperto.» Rachel sorrise appena, poi sollevò la
mano sinistra e la portò a carezzare distrattamente
l’ala destra. «Adesso dovrò
ucciderti.»
Everett si
portò una mano all’altezza del petto e la
fissò
allibito. In quel momento avrebbe voluto parlare, riuscire a parlare,
per chiederle spiegazioni.
Se solo avesse dato
retta alla logopedista, quando da
bambino lo aveva spronato a non avere paura dei suoni inarticolati che
fuoriuscivano
dalle sue labbra. Se solo si fosse sforzato per tentare di esprimersi.
Invece Everett si era
sempre vergognato della sua incapacità
nel parlare come tutti gli altri, provocata da una sindrome rara a cui
nessun
medico era ancora riuscito a trovare un nome, una diagnosi e,
soprattutto, una
cura.
Così aveva
preferito tacere, evitando che quei suoni
orribili lasciassero la sua gola e si riversassero nelle orecchie di
chi lo
circondava. Aveva perfino dimenticato quale fosse la sua voce quando
era bambino,
e attualmente non aveva idea di quale timbro avesse assunto.
Erano almeno sedici
anni che non apriva bocca.
In quel momento
avrebbe voluto farlo, ma non ricordava più
come muovere le labbra e come articolare le parole.
«Non hai
niente da dire? Non hai paura?» gli chiese Rachel
curiosa.
Everett scosse il capo
e continuò a guardarla, poi fece
qualche altro passo avanti e allungò la mano sinistra,
sfiorandole appena la
guancia. La pelle di lei era bollente, morbida e liscia come aveva
sempre
immaginato, e allo stesso tempo era mille volte meglio.
Se doveva morire,
tanto valeva approfittarne per realizzare
il suo sogno. Non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi
così tanto a lei,
si sentiva ammaliato e intimidito allo stesso tempo.
Rachel
sollevò il viso e lo scrutò attentamente. Everett
era
certo che lei non potesse trovare niente di speciale nel suo viso
rotondetto,
nei suoi occhi neri e anonimi, nella sua carnagione olivastra e nelle
sue
sopracciglia spesse.
Lei sorrise ancora e
lasciò che lui le accarezzasse il viso.
«Perché
non dici qualcosa?» domandò ancora Rachel.
Everett scosse appena
il capo e fece scivolare le dita tra i
ricci di lei, cauto, delicato, timoroso ma sicuro di sé.
Voleva godersi i suoi
ultimi istanti e voleva scoprire cosa significasse toccare Rachel e
averla tra
le braccia.
«Non parli
proprio? Non ci avevo mai fatto caso. Non ho mai
fatto caso a te» ammise lei. «Ti ho
sottovalutato.»
Sulle labbra carnose
di Everett si dipinse un sorriso
spontaneo, intriso di amarezza. Lui era sempre stato invisibile per
lei, ma in
quel momento era divenuto talmente importante e pericoloso da volerlo
uccidere.
«È
che sono stata così stupida, Everett. Come ho fatto a non
notarti prima?» Rachel sollevò una mano e
sfiorò appena il suo viso, facendolo
rabbrividire. «Devo ucciderti e non vorrei, sei un bel
ragazzo e mi piacerebbe
conoscerti. Ma adesso sai qualcosa che gli esseri umani non possono
sapere, e
io non posso fare altro. Non ho scelta.»
Lui annuì,
ma non aveva paura. Il suo cuore batteva all’impazzata
perché era accanto a Rachel, sarebbe sicuramente morto
felice.
La prese per i fianchi
e la attirò a sé, chinandosi a
baciarla sulle labbra. Non sapeva neanche come si faceva, non aveva mai
baciato
nessuno, ma sentiva che era la cosa giusta.
Rachel non si ritrasse
e ricambiò l’abbraccio, guidando quel
bacio goffo e impacciato, insinuando la lingua all’interno
della bocca di
Everett e tenendolo premuto contro il suo corpo.
Il giovane si
lasciò trasportare dalle emozioni, dal calore
intenso che quel contatto gli provocava, dal desiderio febbrile che
quell’angelo insanguinato scatenava in lui.
Affondò le
dita tra i ricci di lei, tra le piume delle sue
ali e le lasciò scivolare lungo i suoi fianchi generosi e
morbidi. Non riusciva
quasi a fermarsi, era completamente fuori controllo.
Rachel interruppe
bruscamente il bacio ed entrambi si
ritrovarono a respirare affannosamente.
Lei piegò
la testa di lato e cercò lo sguardo di Everett.
«Avrei voluto avere il tempo per conoscerti. E non credere
che io non abbia
paura.»
Il giovane sorrise
rassicuramente e scosse il capo.
«Tu non hai
paura? Sei un ragazzo davvero coraggioso. Io ne
ho tanta, non ho mai ucciso una creatura splendida e innocente come
te.»
Rachel posò
la mano destra sul petto di Everett e continuò a
guardarlo negli occhi, penetrandolo con le iridi smeraldine che si
erano
sciolte e scaldate come un placido lago bruciato dal sole cocente.
«Perché anche gli
angeli a volte hanno paura della morte»
sussurrò ancora la ragazza.
Poi si sporse
nuovamente a baciare dolcemente Everett sulle
labbra, mentre assaporava i suoi ultimi respiri.
Gli accarezzava i
capelli lunghi e lisci con la mano
sinistra, mentre con la destra esercitava una leggera pressione sul suo
torace
e risucchiava ogni sua forza, ogni sua cellula, ogni suo battito.
Lasciò
crollare a terra il corpo esanime di Everett e si
premette le mani sul viso. Avrebbe voluto strapparsi gli occhi e le
labbra per
cancellare il sapore di quel ragazzo e l’immagine del suo
viso sorridente e dei
suoi occhi scuri come la notte.
Pianse lacrime amare e
colme di risentimento verso se stessa
e, mentre spiccava il volo, le sue ali oscurarono per un attimo la
piccola
radura.
Rachel era una macchia
rosso fuoco che si confondeva nel
cielo terso.
Ormai del candore
abbacinante delle sue ali era rimasto ben
poco.
La ragazza che Everett
aveva amato era morta con lui.
§
§ §
Ciao e tutti e
benvenuti nella mia prima storia originale a
tema angeli e demoni!
Reduce da una long
sovrannaturale su questo tema, nella
categoria dei System Of A Down, ho voluto provare a scrivere ancora su
degli OC
un po’ particolari che mi sono venuti in mente.
Tutto questo nasce per
il contest “Il mio Babbo Natale
segreto”, ed è il mio regalo per AngelCruelty,
anche se lei non lo ha saputo fino allo scarto dei ragali, eheheheh!
Spero veramente di
aver azzeccato i suoi gusti e di aver creato un dono gradito e
all'altezza! ;)
La frase che Rachel
pronuncia, quella in corsivo, è tratta
dal testo del brano “Torna a casa” dei Måneskin,
che nella versione originale
è “Perché anche gli angeli a volte han
paura della morte”. Ho preferito
modificarla un po’ per adattarla meglio al modo di parlare di
Rachel!
Non mi resta che
ringraziare chiunque voglia leggere e
recensire questo racconto, ho bisogno del vostro parere e di consigli
costruttivi, se ne avete da darmene ^^
Spero che Everett vi
sia piaciuto, anche se è morto ç_ç
però
volevo spiegarvi da cosa è nato: un giorno ero in un bar con
un’amica e un
ragazzo con la Sindrome di Down è passato accanto a me.
Cercava di parlare e
comunicare con la sua accompagnatrice, ma gli veniva davvero difficile.
Allora
ho subito pensato che sia terribile non riuscire a esprimersi come si
desidera,
e allora mi è venuta l’ispirazione per creare un
personaggio che rinunciasse
per sempre a parlare pur di non far sentire i suoni inarticolati e
difficili da
controllare che emetteva.
Ovviamente
è tutto molto drammatico e mi dispiace molto che
Everett non abbia avuto il tempo per riscattarsi e imparare ad
accettarsi e a
esprimersi come poteva, ma la vita gli è stata avversa e si
è ritrovato nel
posto sbagliato al momento sbagliato ç_ç
Bene, la smetto, vi
lascio e attendo i vostri pareri!
Alla prossima
avventura ♥
tle>
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