E lucevan le stelle.

di imunfjxable
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E lucevan le stelle


La Schindleria brevipinguis, nome scientifico del meglio noto (si fa per dire) Stout infantfish, è il pesce più piccolo del mondo, e misura solo sette millimetri. Sette millimetri, come il calibro dei proiettili del Mauser K98k di Hitler, e più o meno quanto lo spessore di un iPhone. Sette millimetri è la misura della massima dilatazione della pupilla, letteralmente dal latino “bambolina”, a causa dell’immagine che vi si vede riflessa al suo interno. Prima dei selfie e degli specchi, è stata la pupilla a farci esplorare la realtà nella quale viviamo. È in soli sette millimetri che passa lo studio dell’universo alle origini, che si allargherà a 2 centimetri con il cannocchiale di Galileo e ora agli più spaziosi 2,4 metri dell’Hubble.                        
Ma ci bastano solo sette millimetri per capire l’universo?

Adriano non ne è mai stato tanto convinto, e ha sempre creduto che vedere il mondo da un obiettivo di sette millimetri è un po’ come spiare Dio dal buco della serratura. Provocatorio, quasi blasfemo, il gesto dello sguardo ad Adriano ha sempre dato problemi, tant’è che spesso i suoi occhi cerulei vagano senza sosta, per non restare mai per troppo tempo sullo stesso oggetto.
In realtà Adriano non è mai stato convinto nemmeno dell’utilità delle conversazioni, ma questo perché quando parla gli si aggroviglia la lingua su sé stessa, sembra cominciare a fare capriole e capitomboli nell’arcata dentale, inciampa sul palato, non riesce mai ad usare le parole giuste, che sembrano sempre scivolare via, assieme alle gocce di sudore che gli imperniano la fronte e le gote rosse.
Di una sola cosa Adriano è stato convinto nella vita: di voler studiare le stelle. È da quando aveva cinque anni che passa le notti con il naso all’insù e il collo reclinato, Michelangelo moderno alle prese con una cappella sistina senza volta, nera e punteggiata di luce.
Se la ricordava benissimo la prima volta che i suoi sette millimetri avevano inquadrato le stelle sopra la sua testa, assieme al suo amico Vittorio, mentre erano in campeggio.

Adriano aveva cinque anni, e a breve ne avrebbe compiuti sei. Si sentiva già grande in cuor suo, anche se, proprio come Vittorio, era terrorizzato dall’idea di dover cambiare scuola, di dover fare nuovamente amicizia, soprattutto perché Adriano era un bambino estremamente timido, dalle guance ridenti ma dagli occhi blu pieni di vergogna, che si abbassavano non appena mettevano a fuoco un altro paio di pupille. Se un giorno, all’asilo, Vittorio non gli avesse offerto metà della sua merendina, probabilmente Adriano sarebbe rimasto solo e in silenzio, un po’ come sempre. Eppure, da quel giorno (che ricorda ancora come uno dei migliori della sua vita), andare all’asilo non sembrava più così male. Era decisamente più divertente giocare con le automobiline quando c’era qualcun altro con cui fare a gara. Quando gli propose di andare in campeggio con lui e la sua famiglia, Adriano, anche se titubante all’inizio, accettò, e il grande giorno della partenza salutò la mamma dalla macchina del padre di Vittorio sorridendo, sventolando la sua minuta manina dalle dita un po’ tozze e mangiucchiate.

Anche questo campeggio era una delle tante cose delle quali Adriano non era convinto. Tutt’ora, da adulto, storce il naso ripensando al momento in cui stavano camminando nel bosco ed inciampò nella sporgente e nodosa radice di un grosso albero, sbucciandosi il ginocchio dalla pelle diafana. Ce la mise tutta per non piangere, ma qualche lacrima uscì lo stesso, sgorgando dai suoi occhi blu e tracciando il percorso della sua guancia, come la rugiada al mattino che si insinua nelle venature delle foglie, segnando così la sua sconfitta.
Una sera, Adriano e Vittorio di dormire non ne volevano proprio sapere e decisero di uscire fuori di nascosto, per potersi finalmente sedere su quell’amaca sempre occupata, poco distante dalla loro tenda. Ci rimasero un po’ su quell’amaca, a sbuffare e a dondolarsi.
“Papà mi aveva detto che il campeggio sarebbe stato bello, e invece non abbiamo fatto altro che camminare. Sono così stanco” Vittorio lasciò cadere la sua gamba destra nel vuoto, dondolandola avanti ed indietro “voglio tornare a casa”
“Anche io. È tutto così uguale qui, non c’è niente. Solo alberi, erba, e queste stupide zanzare” continuò Adriano dando corda all’amico.
“Dite così perché non sapete osservare”
Si girarono assieme di scatto, facendo oscillare pericolosamente la loro amaca. Si trovarono dinanzi Lorenzo, il padre di Vittorio, che li guardava sorridendo leggermente, perché quei due gli ricordavano un po’ sé stesso da bambino. Dopo una rapida ma efficace ramanzina sul non uscire mai più da soli, soprattutto di notte, Lorenzo si sedette a terra, invitandoli a raggiungerlo.
“Lo so che può sembrare noioso essere immersi in questa monotona macchia di verde, ma non è così. Avete gli occhi per vedere, sette millimetri che vi serviranno per esplorare il mondo, ma non vi bastano solo gli occhi per vedere le cose. Dovete studiare, osservare; captare il significato nascosto di ciò che vi circonda, e capirne la bellezza”
Vittorio era confuso, e Adriano più di lui, perché il signor Brandi usava parole complicate e gli sembrava di non riuscire mai a capire di cosa stesse parlando.
“Guardate il cielo per esempio. Non riuscite a percepirne la meraviglia?” Lorenzo parlava e fremeva, si emozionava per ogni cosa e avrebbe voluto essere capace di riuscire a trasmettere l’amore per la vita, per le piccole cose, a suo figlio, e magari anche ad Adriano.
“A me sembra tutto uguale papà. È solo tutto nero con tanti puntini bianchi”
“E invece ti sbagli Vittorio. Lo sai che forse le stelle che guardi sono morte? Ciò che vediamo non è la stella in sé, ma la luce che viaggia…” notando le facce perplesse dei due bambini Lorenzo sospirò sconsolato, sentendosi non solo inadeguato al ruolo del padre (capitato forse un po’ troppo presto), ma incapace di saper parlare ed esporre bene come faceva un tempo, prima di iniziare a lavorare. “Lasciate perdere questa cosa, forse ve la spiegherò un giorno quando sarete più grandi” disse sorridendo.
Adriano continuava a scrutare il cielo, concentrandosi, desideroso di capire e di avere qualcuno che gli potesse illustrare in maniera più semplice, quello che il signor Brandi voleva dirgli. C’era un silenzio strano nell’aria; intenso e profondo come Adriano non aveva mai sentito. Se ne innamorò all’istante e sognò di poter restare per sempre immerso in quella bolla di nulla che gli si era creata attorno, mentre l’erba, mossa da un leggero vento, gli pizzicava le gote piene.
“La vedete quella?” la voce dolce e profonda di Lorenzo fece scoppiare la bolla, costringendo Adriano a seguire il dito affusolato dell’uomo, che indicava una stella più luminosa delle altre. “Quella stella in passato indicava la via a quelli che viaggiavano di notte, e loro grazie a lei riuscivano ad orientarsi. Sopra di lei, ci sono altre stelle. Se usate bene la vostra immaginazione, riuscite a visualizzare il disegno di un’orsa che cammina tra le stelle”
I due bambini si sforzano, stringendo gli occhi, di tracciare il contorno dell’Orsa Maggiore, vedendo dopo un enorme sforzo, finalmente, l’animale disegnato in cielo, e sorrisero, pieni di meraviglia.
Lorenzo era titubante, voleva tacere, ma sì ricordò delle parole di un suo caro professore, il quale confidò a tutti che fino a quando si ha una bella storia da raccontare, si ha tutto il mondo ai propri piedi. Il potere della parola è universale, perché le parole operano un po’ come le leggi della fisica: in realtà nessuno le capisce bene, ma fanno funzionare tutto perché sono la base dell’umanità. Vanno interpretate, applicate, e ci liberano dall’oscurità della miseria, mostrandoci il bello che c’è nel mondo e la meraviglia della creazione.
Rincuorato dai suoi ricordi, dopo aver preso coraggio, Lorenzo cominciò a narrare a quei due bambini incuriositi dell’amore di Zeus e Callisto, della loro figlia Arcade e dell’orsa che le  venne data in regalo. I due si guardavano emozionati e si sedettero stretti, difronte all’uomo che mentre raccontava sembrava essere tornato ragazzino.

Succede a volte, osservando il cielo, di restare rapiti dallo stupore, di fronte alla miriade di costellazioni, pianeti, comete e galassie. In quei momenti si resta frastornati dinanzi a tanta grandezza, e alcuni, punti nel cuore da tanta curiosità, vorrebbero riuscire a decifrare quel labirinto di formule divine e scoprire così l’equazione della vita. Ma presto la meraviglia lascia spazio all’incredulità, quando ritornati con il pensiero sulla terra ci rendiamo conto che di quell’universo così meraviglioso e smisurato, pure se nelle nostre miserie ed imperfezioni, facciamo parte anche noi. Era ciò che era successo ad Adriano, nell’esatto momento in cui aveva deciso che avrebbe dedicato la sua vita alle stelle.

Adriano però non ha mai fatto lo scienziato: ora fa lo scrittore, che forse è un po’ la stessa cosa.
Si tratta di mostrare agli altri una verità diversa, di indagare sul mondo e di cercare di fare luce sui misteri della vita, a passi piccoli, partendo da ipotesi incerte, prima di giungere alla tesi, quella definitiva, che illuminerà il mondo, e che rischiererà tutti dalla miseria.




AYEEEE.
Sì, sono viva. Non che a qualcuno importi veramente in realtà. Comunque vi posto una piccola OS, scritta per la rivista letteraria Fiat Lux per la quale lavoro. Se vi fa piacere seguiteci su insta (
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