Il
mondo parla di noi, e quel giorno il mondo mi parlava di te.
Tutto
quanto mi parlava di te, nel suo silenzio, nella sua desolazione, nel
grigiore
del cielo, una placca d'argento sul mare piatto. Tutto era piatto, e
tutto mi
parlava di te. Della tua assenza, ed è strano,
perché finché c'eri io non mi
rendevo completamente conto del fatto che quei luoghi fossero tuoi.
Eppure
lo erano davvero: il marciapiede su cui hanno risuonato i passi delle
tue
scarpe, e il suono piatto dei piedi nudi; la sabbia fredda della
spiaggia, su
cui hanno lasciato impronte i tuoi piedi. Il mare che ha lambito il tuo
corpo,
le finestre delle case dalle quali ti sei affacciata, le porte che hai
varcato,
sulle quali hai appoggiato delicatamente le nocche, o che hai
spalancato senza pensieri.
Le vetrate dei bar dalle quali traspariva la tua immagine, le sedie su
cui ti
sei appoggiata. Gli specchi che hanno riflesso il tuo volto, le
lenzuola che
hanno accarezzato il tuo corpo. E quei posti nascosti che ora sono
anche lontani,
e mille altri mondi che abbiamo varcato insieme, anche se non potevo
vederli,
sapevo che c'erano. Ma almeno loro c'erano. E di te mi parlavano.
Viviamo
nella convinzione di poterci astrarre dal mondo, di poter vivere
indipendentemente
da ciò che ci circonda. Ma forse solo quando perdiamo
qualcosa di veramente
importante la realtà riesce a colpirci in tutta la sua
forza. Forse dovevo
perderti per poterti veramente sapere mia.
Io
ti
ho amata per tutto quello che mi hai dato senza mai chiedere nulla in
cambio, e
ti ho odiata, Dio! quanto ti ho odiata, perché da quando ti
ho vista non ho più
saputo vivere senza di te, perché da quando ti ho conosciuta
il mondo non ha
fatto altro che parlarmi di te. E ogni volta che una donna passa per
strada, se
ha anche solo un tratto che mi ricorda il tuo viso, io mi volto e la
seguo con
lo sguardo, sperando che si volti anche lei e mi saluti, e mi sorrida.
Che mi
dica "Ciao", e che mi faccia svegliare. Che mi faccia capire che questo
non è altro che un sogno, che questo silenzio non
è reale. E che non è così
soffocante.
Questo
penso, mentre sono all'estremità della banchina, e soffia un
vento freddo. Alle
mie spalle passano alcuni individui, ma non mi interessa. Solo una cosa
ha il
mio interesse ora, e come Maldoror guardo il mare sperando che ad
alimentarlo
sia il fiato caldo del demonio, e che il cielo freddo sopra di me non
sia lo
specchio di un vuoto regno addormentato.
L’unica
cosa che mi riecheggia in testa sono le tue parole quella volta.
Non
piangere perché Adamo ed Eva hanno
perduto il loro paradiso. Nessun paradiso può dirsi tale se
non lo si perde. E ognuno
di noi ha la forza per coltivarne uno nel proprio cuore. Non fra le
stelle, ma
nei tuoi sogni io sarò.
ANGOLO
DELL’AUTORE
Hola,
popolo di EFP!
Questo
piccolo esperimento è il primo che faccio con una flashfic.
Ho ritrovato questo
pezzo scritto fra i miei disordinati appunti; vi capita mai di
riprendere in
mano qualcosa a distanza di anni e di trovarlo meraviglioso,
più di quanto lo
fosse quando lo avete scritto?
A
me
ogni tanto succede, e così ho pensato di condividerlo. In
realtà, questo pezzo
si inserirebbe all’interno di un contesto più
ampio, di un’opera molto
complicata, molto personale alla quale lavoro da anni, ma che non mi
sento
ancora pronto a espletare. È strano, lo so, ma sento che
è uno di quei lavori
per i quali non ho ancora raggiunto la maturità necessaria.
Tuttavia, questo
pezzo ha ancora la sua forte carica emotiva, e mi pareva troppo bello
per non
sistemarlo e condividerlo.
Ci
sono
un paio di riferimenti letterari che giocano qui, e sono a Les Chants du Maldoror del conte di
Lautreamont e a uno dei
capisaldi della mia vita, Paradise Lost,
di Milton.
Il
finale,
in particolare, fa appello a ciò che io ho appreso da
Paradise Lost, anche
grazie a studi futuri e a persone che me ne hanno parlato: il paradiso,
se lo
si pensa in un certo modo, non può esistere se non
finché lo si perde. Finché ci
si è immersi dentro, lo si dà per assodato, e non
lo si considera un paradiso. Quando
invece ne veniamo cacciati, i nostri genitori prima, e noi per
conseguenza,
solo allora possiamo veramente guardarci indietro, e scopriamo che
ciò a cui
stiamo guardando è un paradiso.
Ma
la
grande forza e il messaggio positivo di Paradise Lost sta nel fatto che
ogni
uomo può trovare la forza di coltivare un suo paradiso
dentro di sé. Certo,
quel paradiso non richiamerà mai quello originale, ma ogni
uomo può farlo.
Rendere
il proprio mondo, il proprio posto, un paradiso. È una
lezione sulla quale
credo dovremmo riflettere in molti.
Grazie
a tutti per la lettura.
Ciao
ciao da UlquiorraSegundaEtapa!!
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