L'unica via di fuga

di karter
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Storia partecipante al contest "Sitting in my room, with a needle in my hand" indetto da Soul_Shine sul forum di EFP
 

 
 
 
La pioggia cadeva fitta quel giorno. Enormi nuvoloni impedivano ai raggi del sole di risplendere e lampi sempre più vicini illuminavano il cielo a giorno, prima che tuoni, man mano più violenti, facessero tremare i vetri delle case e delle auto.
Era una tempesta quella che si era abbattuta sulla sua cittadina, eppure a Lux non importava. Se ne stava seduta a gambe incrociate sulla nuda terra con un paio di cuffie alle orecchie e gli occhiali da sole a coprire le iridi blu arrossate e gonfie di pianto, osservando una lastra di granito bianca.
 
 
Asher Jason Walker
12/08/1989
30/05/2012
Nessuna tenebra dura per sempre. E anche nell’oscurità c’è sempre qualche stella.1
 
 
Erano trascorsi sei anni da quel maledetto giorno, eppure le sembravano passate solo poche ore.
Ogni volta che abbassava le palpebre non poteva fare a meno di rivedere il suo corpo così pallido da sembrare iridescente, le pupille dilatate quasi fino a celare il ghiaccio di quelle iridi che l'avevano sempre guardata con amore, le labbra screpolate e la bava schiumosa che gli colava dalla bocca. Ma cosa più importante, non sarebbe mai riuscita a dimenticare quella siringa vuota e il laccio emostatico ancora legato al braccio sinistro.
Si era chiesta spesso perché l’avesse fatto, perché avesse deciso di abbandonarsi a quel modo ma non aveva mai avuto una risposta. Era sempre stata convinta che il suo fratellone fosse speciale, pieno di vita e di talenti e che niente e nessuno potesse allontanarlo da lei.
Invece se n’era andato. Aveva preso una dose di troppo e l’aveva abbandonata.
Una lacrima le rigò il volto mentre posava un pupazzetto dei Pokemon (una delle sue più grandi passioni), l’ennesimo, davanti a quella lapide prima di alzarsi ed allontanarsi, senza voltarsi indietro.
Aveva amato Asher con tutto il suo cuore e la sua anima, ma non era ancora pronta a perdonarlo per averla abbandonata, non quando le aveva promesso che ci sarebbe sempre stato.
 
 
 
 
L'unica via di fuga
 
 
 
 
23 settembre 2000
 
«Ciao, Ash!»
Una bambina di sei anni corse incontro al fratello maggiore lanciandogli le braccia al collo e aggrappandosi con le gambe alla sua vita. Sembrava una scimmia quando si comportava a quel modo e l’undicenne non esitava a farglielo notare.
«Ciao, scimmietta» la salutò con un sorriso dolcissimo, stringendola, prima di fare un mezzo giro su se stesso sotto gli occhi divertiti della loro mamma.
Vederli andare così d’accordo le scaldava il cuore. Erano il suo orgoglio. Quasi non si capacitava essere stata in grado di dare alla luce due ragazzini così pieni di vita e sereni. Per quanto avesse odiato gli uomini che l'avevano abbandonata dopo averla messa incinta, non poteva fare a meno di ringraziarli per averle donato due tesori come Asher e Lucinda. Erano le luci che avevano illuminato il tunnel senza uscita che era stata da sempre la sua vita.
«Com’è andata la giornata?»
La voce di Ash ruppe la bolla nella quale Hannah, questo il nome della donna, si era rinchiusa. Il ragazzo, infatti, dopo aver posato in terra la sorellina l'aveva presa per mano e insieme si stavano dirigendo in cucina mentre la bambina non smetteva di chiacchierare un solo secondo volendo rendere partecipe il fratello di tutto ciò che le era accaduto durante il tempo che non si erano visti.
Sorrise la madre. Lucinda le assomigliava così tanto. Anche lei, da bambina, era stata un uragano di vita, peccato che il fato le avesse giocato un brutto scherzo rendendola sempre più riservata e malinconica. Sperava che non accadesse lo stesso anche a lei. Scosse il capo. Lucinda aveva Asher e con lui al suo fianco la piccola non si sarebbe dovuta preoccupare di nulla. Suo fratello non  avrebbe permesso a nessuno di spegnere il sorriso che tanto amava.
Sorrise rincuorata a quel pensiero, prima di seguire i suoi due figli nell'altra stanza ed essere travolta dalle parole del maggiore ancor prima di varcarne la soglia.
«Non vado da nessuna parte, senza di te» aveva detto l’undicenne per poi essere travolto dalle esili braccia della sorellina.
Era una promessa così dolce che scaldò il cuore di tutti in quella stanza, peccato che a quel tempo nessuno dei tre avrebbe potuto immaginare ciò che sarebbe successo in seguito e come quella promessa sarebbe stata infranta.
 
 
 
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7 giugno 2002
 
«Perché?»
La voce di Asher era un sussurro mentre, con occhi lucidi, osservava una delle donne più importanti della sua vita, coperta solo da un lenzuolo, guardarlo ad occhi sbarrati.
Quando il tredicenne aveva notato qualcosa di strano nel comportamento della madre, mai si sarebbe aspettato di ritrovarla in uno di quei motel ad ore a vendere il suo corpo. Sapeva che la loro situazione economica non fosse delle migliori, ma aveva sempre pensato che insieme ce l’avrebbero potuta fare.
«Tesoro, io...» iniziò Hannah cercando di trovare le parole adatte per spiegare, a quello che avrebbe sempre considerato il suo bambino, il perché di un simile comportamento.
«No!» la interruppe il corvino «Non pensi a me o a Lux?» aggiunse tentando di non piangere.
Per quanto gli avesse fatto male vedere il padre di uno dei suoi compagni di classe uscire dalla stanza nella quale aveva trovato sua madre mezza nuda, non poteva permettersi di essere fragile. Era lui l’uomo di casa e da tale si sarebbe dovuto comportare.
«Hai idea di come ci tratterebbero se si venisse a sapere che a permetterci di sopravvivere sono i soldi che guadagni scopandoti i genitori dei nostri amici?»
Le urlò quasi quelle parole il ragazzino mentre stringeva i pugni delle mani fino a far sbiancare le nocche.
Hannah fu travolta da tutto il risentimento che trasudava il figlio mentre le sue iridi color ghiaccio la inchiodavano su quel letto, spettatore di atti che un ragazzo di quell'età non avrebbe dovuto associare alla propria madre.
«Ti prego, mamma, non farlo più» sussurrò poi con voce flebile il ragazzino e la donna non poté che sentirsi ancor più sporca «Faremo delle rinunce, io potrei vendere la mia collezione dei Pokemon e magari provare a trovarmi un lavoretto, tipo dare ripetizioni, sono bravo a scuola. Sono certo, poi, che a Lux non dispiacerà vendere i giochi che non usa più o quei fermagli assurdi di quando era piccola. Potremmo organizzare un mercatino e aggiungere anche le cose che non ci servono dentro casa...»
La donna sorrise mentre calde lacrime le scorrevano sul volto nel sentire il suo primogenito cercare soluzioni per poter sopravvivere e impedirle di andare avanti in quel modo. Anche se aveva tredici anni era un bambino così responsabile. Era il suo piccolo ometto ed era maledettamente orgogliosa di lui. Nonostante tutto, era una donna incredibilmente fortunata anche se spesso tendeva a dimenticarlo.
 
 
 
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17 luglio 2003
 
«Spiegami di nuovo»
Asher osservò con sguardo corrucciato Malcom, il fratello maggiore di Lucas, il suo migliore amico.
«Se io porto questo pacchetto al “White Tiger”, tu mi dai duecento euro?»
Era scettico, come poteva essere che per fare una semplice consegna venisse pagato tanto?
«È merce pregiata, amico mio, ma se non ti fidi posso sempre trovare qualcun altro bisognoso di un facile guadagno» rispose il diciottenne con finta noncuranza.
Quando suo fratello, parlando con i genitori, aveva raccontato della difficile situazione in cui si trovava la famiglia del ragazzo davanti a lui aveva subito deciso di cogliere al balzo l’opportunità. Sapeva che il quattordicenne non si sarebbe tirato indietro, non se con un paio d’ore del suo tempo avrebbe potuto  portare un così solido contributo in casa.
«Aspetta» lo richiamò il minore.
Malcom poteva leggere la battaglia nel suo sguardo, ma sapeva avrebbe ceduto. Sarebbe stata la disperazione a farlo cadere.
«D’accordo»
Il maggiore sorrise a quell’assenso prima di iniziare a spiegargli ogni cosa del suo incarico vedendo la sua espressione incerta diventare sempre più convinta nel momento in cui gli sventolò il suo facile guadagno sotto il naso. Sapeva di aver appena fatto una cattiveria, ma quel ragazzino era piovuto a fagiolo. Chi avrebbe mai sospettato di una simile faccia d'angelo? Nessuno avrebbe potuto immaginare che in quel pacchettino che aveva appena messo nello zaino vi fossero duecento grammi di cocaina purissima.
«Bene, se questo lavoro andrà bene potrei anche pensare di affidartene altri, ti andrebbe?» chiese dopo un attimo prima di lasciarlo andare.
Asher sbarrò gli occhi. Non era stupido, sapeva di star facendo qualcosa di illegale, eppure la necessità di poter aiutare a casa più di quanto facesse già l'aveva fatto crollare. Sospirò. Avrebbe mai accettato di fare da corriere, ancora?
Davanti a sé comparve l'espressione triste di Lux alla quale non avevano potuto comprare quell’orsetto di peluche che tanto le piaceva.
«Hai il mio numero» rispose prima di voltargli le spalle e allontanarsi.
Era finito in un brutto giro, eppure non se ne pentiva. Se quei traffici avrebbero permesso alla sua sorellina di continuare a sorridere, ne sarebbe valsa la pena.
 
 
 
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30 febbraio 2004
 
Una bambina di dieci anni osservava il fratello maggiore con espressione concentrata. C'era qualcosa di diverso in lui. Per quanto con lei si comportasse sempre allo stesso modo, aveva un’aurea diversa, più ombrosa, come se qualcosa lo stesse divorando da dentro.
«Stai bene, Ash?»
Il quindicenne spostò lo sguardo dalla ciotola di latte e cereali con la quale stava giocando distrattamente per permettere ai suoi occhi grigi di specchiarsi in quelli blu della sorellina che lo guardava con curiosità.
«Certo» rispose sorridendo dolcemente di quel sorriso che solo a lei dedicava facendole sciogliere quel magone che la stava divorando.
Suo fratello non le avrebbe mai mentito con quel sorriso sul volto.
Contenta annuì tornando a mangiare il suo pane e Nutella non accorgendosi così dell’adombrarsi di quelle iridi grigie e dello spegnersi di quel sorriso.
Asher non avrebbe mai permesso che Lux si accorgesse del malessere che lo stava divorando dall’interno. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per preservare il suo sorriso.
 
 
 
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6 aprile 2005
 
«Ragazzino, ti vedo stanco»
Malcom si lasciò cadere accanto al sedicenne con un sospiro. Era tutto il giorno che era in giro a spacciare e aveva decisamente bisogno di una pausa. Che i guadagni fossero ottimi aiutava la causa, però.
Asher alzò le spalle prendendo un tiro dalla canna che stava fumando. Se pensava che era sempre stato contrario a tutto ciò gli veniva da ridere. Alle volte la vita era proprio strana. Lui che aveva sempre disprezzato le droghe e tutto ciò che le circondava si era ridotto a fare, inizialmente solo consegne, dal momento in cui la madre si era ammalata, invece, si era introdotto nel mondo dello spaccio. Un vero schifo, però lo aiutava a pagare le bollette e un minimo di cure per la donna che lo aveva messo al mondo.
«Dovresti prenderti una pausa» gli suggerì il maggiore rubandogli la canna dalle dita e beccandosi un’occhiataccia che non lo toccò minimamente «Se continui così rischi di addormentarti sul lavoro»
Il sedicenne scosse il capo. Sapeva che l’amico aveva ragione, ma non poteva fermarsi. L’esame che la madre avrebbe dovuto fare la settimana dopo era particolarmente costoso e non era ancora riuscito a mettere da parte l’intera cifra.
«Sei uno zuccone» lo rimproverò il diciannovenne iniziando a frugare nelle sue tasche «Ma non mi va di vederti cadere a pezzi» aggiunse prima di porgergli una bustina trasparente con dentro della polvere bianca.
Il corvino sbarrò gli occhi a quella vista. Sapeva fin troppo bene cosa Malcom gli stava porgendo e non riusciva a capacitarsi della cosa. Davvero pensava ne avesse bisogno per non crollare?
«Ti reggi a malapena in piedi e so che questa notte ti è stata affidata la zona del “Reys” questo vuol dire che ti toccherà fare una sola tirata fino a domattina a scuola. Non sei in forze per riuscirci da solo. Con questo potresti» spiegò davanti allo sguardo corrucciato del più piccolo.
Sapeva che, nonostante la vita che conducevano, Asher aveva sempre desiderato tenersi pulito e lo capiva. Quel ragazzino era uno di sani principi, se era riuscito a piegarlo due anni prima era stato solo a causa della situazione della sua famiglia. In condizioni normali lo avrebbe mandato al diavolo con un biglietto di sola andata.
Eppure glielo leggeva nello sguardo. Quella volta ne aveva bisogno se voleva rimanere in piedi.
Asher osservava con espressione corrucciata quella polvere bianca con la quale era entrato in contatto già da un paio di anni. Sapeva essere una delle cose più sbagliate al mondo. Sapeva che una volta iniziato non ne sarebbe più uscito. Sapeva che avrebbe dovuto allontanarsi dalla tentazione. Ma come poteva farlo quando Malcom aveva ragione. Era così stanco da reggersi a malapena in piedi, ma non poteva andare a riposarsi altrimenti non avrebbe mai raggiunto la cifra per salvare la madre.
Cosa fare?
Frustrato sollevò gli occhi al cielo e in quell’azzurro così vivo non poté che vedere gli occhi sorridenti della sua sorellina.
Sorrise allungando una mano ed accettando quel piccolo aiuto. Avrebbe stretto i denti e continuato a lottare, solo per lei. Non avrebbe mai potuto sopportare il peso delle sue lacrime in caso non fosse riuscito a salvare la loro mamma. Lux meritava solo il meglio e avrebbe fatto qualsiasi cosa per darglielo anche andare all’inferno e provare a tornare indietro.
 
 
 
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19 agosto 2005
 
Asher era chiuso nella sua stanza. C’erano quasi quaranta gradi eppure non riusciva a smettere di tremare per il freddo. Si sentiva dilaniato dentro, come se un buco nero stesse cercando di inghiottirlo e lui non avesse le forze per contrastarlo. Eppure non voleva smettere di combattere. Sapeva di essere stato uno sciocco. Era conscio della cazzata che aveva fatto la prima volta che aveva scelto di arrendersi alla cocaina, ma gli era parsa l’unica soluzione.
Una volta e poi basta.
Se lo era ripetuto talmente tante volte da riuscire a convincersi, peccato che non fosse stato così.
Non era stata una volta.
Erano state due. Tre. Quattro. Cinque. Fino a perdere il conto. Fino al punto di rendere naturale lo sniffare quella polverina bianca per potersi reggere in piedi ed affrontare una lunga giornata tra scuola, lavoro e madre malata.
Si era illuso di avere tutto sotto controllo, che sarebbe riuscito a smettere in qualsiasi momento, che la sua forza di volontà sarebbe stata più forte di quella dipendenza.
Era stato uno sciocco.
E ne stava pagando le conseguenze.
Una lacrima gli rigò il volto.
Come aveva fatto a cadere così in basso? Come aveva potuto ridursi in quel modo?
 
 
 
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2 febbraio 2006
 
«Ehi, Ash!»
Lucas sorrise correndo incontro a quello che, fin da quando era solo un bambolotto in pannolino, era il suo migliore amico. Era un po' che non lo vedeva. Tra le scuole diverse e i pomeriggi che passava a lavorare per aiutare a casa era davvero difficile anche solo riuscire a parlargli. Gli sarebbe piaciuto poter fare qualcosa per aiutarlo, ma il corvino era stato categorico. Non voleva l'aiuto di nessuno, avrebbe salvato la sua famiglia da solo. Peccato che quella sua testardaggine lo stesse uccidendo. Aveva sempre delle occhiaie terribili in volto e il suo corpo? era così magro che alle volte si chiedeva come riuscisse a restare in piedi.
Scosse il capo, non doveva pensarci o avrebbero finito per litigare, per l'ennesima volta e non ne aveva proprio la forza. Voleva passare qualche minuto con il suo amico senza essere travolto da uno dei suoi scatti d'ira improvvisi.
«Ehi, Luc» lo salutò il ragazzo dagli occhi color ghiaccio accennando a sua volta un sollevarsi di labbra.
Ma era così diverso dal sorriso che aveva una volta, Asher. Quella che gli si era dipinta in volto era una smorfia terribilmente stanca, come se anche quel piccolo movimento gli costasse un'enorme fatica.
«Come te la passi, amico?» chiese il fratello di Malcom tentando di ignorare la fitta che lo aveva travolto al petto nel momento in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli dell'altro.
Non stava bene, Asher. Tutto in lui gridava sofferenza e stanchezza, eppure non si era mai lamentato. Andava avanti con le unghie e con i denti. Se non fosse stato così maledettamente fragile avrebbe creduto disponesse di qualche super potere.
Il corvino alzò le spalle in un gesto di on curanza, come a dire che non c'era male, che non doveva preoccuparsi, che era un periodo un po' più difficile ma che sarebbe riuscito a rimettersi in carreggiata.
Era una bugia, lo sapeva bene, Lucas, eppure volle credergli. Volle sperare che presto il suo migliore amico sarebbe tornato quello di una volta. Aveva bisogno di crederci.
«Vieni alla festa di Andres?» gli chiese dopo aver accettato quella riposta.
Sperava davvero gli dicesse di sì. Era così tanto che non passavano del tempo insieme e poi distrarsi non avrebbe potuto che fargli bene, ne era sicuro.
Lo spacciatore chiuse gli occhi per un secondo a quella domanda. Gli sarebbe piaciuto, eccome se non gli sarebbe piaciuto prendere parte a quella festa, ridere e scherzare con i suoi amici e mettere da parte, per una sera ogni pensiero. Se la immaginava già la sensazione di euforia che l'avrebbe travolto e magari avrebbe anche potuto evitare la dose per quella sera.
Sbarrò gli occhi a quel pensiero.
Lui non era un ragazzo normale, non lo era mai stato e mai sarebbe potuto esserlo. Era l'uomo di casa, quello che pagava le bollette e per farlo doveva lavorare, non poteva perdere tempo in simili stronzate.
Strinse forte i pugni fino a far sbiancare le nocche, prima di dare le spalle all'amico e riprendere la sua strada senza neanche degnarlo di uno sguardo.
Lucas scosse il capo osservando la schiena dell'amico allontanarsi. Si sarebbe dovuto infuriare per il modo in cui l'aveva lasciato lì, ma non ci riusciva. Asher portava sulle spalle un peso troppo grande per la sua età, sperava solo non ne venisse schiacciato.
 
 
 
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26 marzo 2007
 
«Ash!»
Lucinda aveva le lacrime agli occhi mentre correva incontro al fratello e si lanciava tra le sue braccia.
Non poteva credere a ciò che era accaduto. Non riusciva a capacitarsi del malore improvviso che aveva colto la loro mamma e li aveva costretti a correre in ospedale d’urgenza.
«Va tutto bene»
Asher strinse forte la sorellina contro il suo petto mentre le sussurrava parole piene di affetto e speranza e le accarezzava la lunga chioma corvina per tranquillizzarla.
Per quanto fosse scosso anche lui tentava di non darlo a vedere. Lux era la sua priorità e farla stare bene era lo scopo che aveva scelto nella sua vita fin dalla prima volta che i loro occhi si erano incontrati e quello scricciolo gli aveva sorriso stringendogli l’indice destro.
«Credi starà bene?» chiese la tredicenne senza allontanare il volto dal petto del fratello.
Non voleva mostrargli le sue lacrime. Per quanto l'avesse sentita piangere tra le sue braccia non voleva farlo preoccupare ulteriormente. Sapeva che la cosa che più odiava era vederla soffrire e non voleva dargli un altro motivo per preoccuparsi. Ne aveva già così tanti il suo fratellone. Se non fosse stato per lui probabilmente avrebbero abitato sotto un ponte già da parecchio.
«Vorrei dirti di sì» iniziò il corvino osservando la luce rossa sopra la porta della sala operatoria nella quale medici e infermieri avevano condotto la loro mamma «Ma non lo so» confessò stringendola un po' più forte.
Si aggrappò a quel corpicino con disperazione per celare i brividi che l’attraversavano. Aveva un disperato bisogno di farsi, ma non avrebbe mai abbandonato Lux, non in quel momento.
 
 
 
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31 maggio 2008
 
Fu un istante.
Un momento prima riusciva a vedere la punta dell’ago sfiorargli la pelle tesa del braccio, l'attimo dopo quella punta era scomparsa all’interno della vena.
Sorrise, Asher, buttando la testa all’indietro e lasciandosi ammaliare dalla magnifica sensazione che gli procurava sentire la cocaina scorrere nelle sue vene.
Era una sensazione completamente diversa rispetto a quando la sniffava. Era così intenso, sarebbe potuto scomparire in tutte quelle sensazioni.
Sorrise.
Era la prima volta che si buca a e non poteva immaginare sarebbe stato così bello.
Sentiva la testa completamente vuota. Finalmente tutti i pensieri e le preoccupazioni erano scomparsi. Almeno per qualche ora avrebbe potuto mettere da parte tutto ciò che era accaduto in quei giorni e comportarsi come un normale ragazzo della sua età.
Per quella sera non c'erano ringraziamenti da mandare, tombe da visitare, liti da affrontare, lacrime da asciugare.
No, per quella sera avrebbe potuto illudersi di essere un normale ragazzo di diciannove anni, con una famiglia amorevole alle spalle, degli amici fidati e una sorellina estremamente viziata capace di strappargli sempre una risata.
Sorrise. Gli piaceva quell’universo in cui non aveva responsabilità più grandi di lui sulle spalle e dove sarebbe potuto essere finalmente felice.
Forse avrebbe dovuto visitarlo più spesso.
 
 
 
☎ ☆ ☎
 
 
 
12 settembre 2009
 
«Fratellone, che ti succede?»
Era notte fonda quando un urlo l'aveva svegliata di soprassalto. Terribile era stato scoprire che quel grido provenisse dalla stanza del fratello. Silenziosamente, allora, era sgattaiolare fuori dalla sua stanza e in punta di piedi aveva percorso la parte di corridoio che la separava dalla porta dI Asher. Era stato strano per la quindicenne osservare, nel buio di quella camera illimitata solo dalla luce della luna il suo amato fratello rigirarsi nel letto senza tregua. Sembrava non avere mai pace.
Preoccupata, si era avvicinata e l’aveva scosso dolcemente per una spalla tentando di svegliarlo, invano. Allora aveva preso a chiamarlo e scuoterlo e finalmente, dopo diversi tentativi aveva visto gli occhi di Asher aprirsi e osservarla come se non la vedesse davvero.
Si era sentita morire quando aveva visto quelle iridi grigie diventare fredde come il ghiaccio e fulminarla. Non era mai capitato che il ventenne la trattasse a quel modo e Lucinda ne era stata spaventata.
Era stato il suo urlo trattenuto a far dilatare le pupille al maggiore che subito si tirò seduto per abbracciarla e provare a rassicurarla.
Non era arrabbiato con lei, semplicemente non l’aveva riconosciuta e gli dispiaceva di averla spaventata in quel modo.
La quindicenne si lasciò cullare da quelle parole, mentre stretta tra le braccia del fratello ascoltava i battiti frenetici del suo cuore. Doveva essere davvero preoccupato per lei. Sorrise a quella constatazione stringendo più forte la maglia dell’altro. Sembrava essere tornato tutto normale, eppure sentiva ci fosse qualcosa che non andava, ma non riusciva a capire cosa.
Che Asher le stesse nascondendo qualcosa?
Non voleva nemmeno pensarlo. Lui era il suo eroe, le aveva promesso che per lei ci sarebbe sempre stato e Lux gli credeva, voleva credergli anche perché se avesse perso anche lui la sua vita non avrebbe avuto più senso.
Era stato per quello che aveva raccolto il coraggio a due mani e gli aveva posto quella domanda che l’aveva lasciato boccheggiante per un paio di secondi che per sua sfortuna la più piccola non notò.
Odiava mentire, ma non le avrebbe mai permesso di finire nei casini al suo stesso modo. Un drogato in famiglia bastava e avanzava, non voleva che la sua sorellina si preoccupasse.
«Se sei con me, va tutto benissimo» le rispose il ragazzo stringendola un po' più forte prima di invitarla a distendersi con lui nel proprio letto.
Per quella notte avrebbero combattuto i loro demoni insieme.
 
 
 
☎ ☆ ☎
 
 
 
31 ottobre 2010
 
Una gocciolina di sudore gli attraversò la fronte, subito seguita da un'altra e un'altra ancora. Stava sudando freddo, Asher, e tremava da capo a piede mentre, arrancando provava a raggiungere la sua ancora. Sorrise o per lo meno ci provò. Era sempre stato un tipo previdente, per questo aveva nascosto una dose nel cassetto della biancheria. Sapeva che quello era l'unico posto nel quale Lux non avrebbe mai curiosato.
Con mano tremante lo aprì e andando alla cieca cercò ciò di cui aveva bisogno.
Un sospiro soddisfatto gli abbandonò le labbra nel momento in cui le sue dita entrarono in contatto con il freddo della plastica.
L'aveva trovata, doveva solo scioglierla e iniettarsela nelle vene e finalmente sarebbe tornato ad andare tutto bene.
 
 
 
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9 marzo 2011
 
Aveva lo sguardo spento, cerchiato da occhiaie violacee che risaltavano particolarmente sulla pelle lattea. I capelli corvini, un tempo morbidi e indisponenti, erano stati lasciati crescere e raccolti in un codino. Era coperto da vestiti troppo grandi per il suo fisico troppo magro, ma Asher non ci badava. Si sentiva a suo agio sotto quegli starti enormi e poco gli importava se lo consideravano una specie di barbone, l’unica opinione che gli interessava era quella di Lux. Sorrise pensando alla sorellina. Non riusciva proprio a capire come potesse considerarlo ancora il suo eroe.
Lucinda Ania Walker, diciassette anni, vivaci occhi blu, sorriso gentile, fluenti capelli biondi e un corpicino capace di attirare troppe attenzioni per i suoi gusti. Sua sorella era una delle ragazze più carine del loro paese ed era estremamente popolare. Tutti le volevano bene e si preoccupavano per lei. Come poteva, un angelo simile, vedere in lui, un’anima dannata, incapace di tornare sulla retta via, un punto di riferimento?
«Mi manchi» sussurrò specchiandosi negli occhi blu di quella foto.
L'avevano scelta con cura, volevano che chiunque posasse gli occhi sulla loro mamma la vedesse meravigliosa come la vedevano loro. Sorrise, erano ancora così innocenti. Sì, anche lui nonostante vendesse droga per sopravvivere, in quel periodo era solo un ragazzino volenteroso che avrebbe dato qualsiasi cosa per la sua famiglia.
E lo aveva fatto.
Aveva sacrificato la sua adolescenza per aiutare la madre a mandare avanti la baracca, ma quando quel mostro2 era arrivato a bussare nelle loro vite, tutto era andato a monte. Come potevano sconfiggere un tumore quando riuscivano a sopravvivere a stento?
Spesso si era chiesto se avesse fatto di più, ma di più cosa? Era arrivato a mettere da parte tutti i suoi principi ed entrare in quel giro maledetto per provare a salvarla. Non era servito. La mamma era volata in cielo troppo presto e lui si era ritrovato incatenato mani e piedi in un mondo che aveva sempre disprezzato ma che lo stava trascinando sempre più giù.
Era entrato in un tunnel e non riusciva a trovare l’uscita.
Sospirò lasciandosi cadere in terra.
Era così stanco. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e non svegliarsi più. Gli pareva così bella l’idea di abbandonare tutto e lasciarsi andare, per sempre. Niente più preoccupazioni, niente crisi d'astinenza, niente affittuari con il fiato sul collo che pretendono il mensile, niente più paura. Il nulla assoluto.
Ci aveva pensato spesso, ma l’idea di abbandonare Lux l'aveva sempre fermato. Come poteva essere così egoista? La sua sorellina non aveva già sofferto abbastanza nella sua vita?
«Ricordo ancora quella vecchia promessa» riprese chiudendo gli occhi per tornare indietro a quel giorno di tanti anni prima quando erano solo due bambini e il mondo sembrava ancora un luogo meraviglioso «Le dissi che non sarei andato da nessuna parte senza di lei, e all’epoca ci credevo davvero» aggiunse mentre un sorriso malinconico gli andava a piegare le labbra «Ora mi sembra così difficile mantenerla» sussurrò alzando gli occhi al cielo e contemplando quella distesa di stelle che veglia a sul mondo «Credi mi odierebbe tanto se la infrangessi?»
 
 
 
☎ ☆ ☎
 
 
 
29 maggio 2012
 
«Mi sembri più sereno, oggi»
Lucinda sorrise pronunciando tali parole mentre si lanciava con tutto il peso accanto al fratello sul letto.
Asher la strinse a sé permettendole di posare il capo sulla sua spalla.
Era diverso tempo che non passavano una serata insieme. Lui impegnato a “lavoro”, lei sempre con gli amici. Avevano davvero bisogno di ritrovarsi un po'.
«Vorrei questo momento non finisse mai» sussurrò la bionda mettendosi più comoda tra le braccia del fratello che le posò un bacio sul capo.
Per quanto suo fratello fosse mingherlino e sempre con il volto stanco, per lei non esisteva luogo più accogliente e sicuro del suo abbraccio. Sapeva che Asher stava vivendo una situazione difficile, non era stupida, ma sperava davvero che la sua vicinanza fosse sufficiente per superarla. La sola idea di vivere senza di lui la devasta a. Suo fratello era il suo tutto.
Il corvino la strinse più forte senza rispondere. Anche lui avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, ma aveva smesso di farsi illusioni. Nessuno aveva mai ascoltato le sue richieste, e di certo non avrebbero iniziato a farlo in quel momento.
Perciò si limitava a vivere il momento e sperare, di non lasciarla sola troppo presto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
Note:
1. La frase scritta sulla lapide di Asher è di Ursula Kroeber Le Guin.
2. Il mostro in questioni è il cancro che si è portato via la madre troppo presto.
 
 




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