human
I.
Seconda metà del Duecento –
Firenze
La prima mano a mosca1 era
stata un disastro per Crowley. Aveva deciso di giocare pulito, senza
barare e senza sotterfugi di alcun tipo. Peccato, però, che
l'insetto, dopo aver svolazzato intorno al suo fiorino d'argento,
tanto che tutti i giocatori avevano dato per scontato che il demone
sarebbe stato il vincitore, avesse deliberatamente scelto di pulirsi
le zampe sulla moneta di bronzo di un provinciale contadino che prima
si era preoccupato di mordere tutti i fiorini d'oro sul banco per
provarne l'autenticità, e ora li stava spendendo, soddisfatto, in una
colossale bevuta di vino di bassa qualità.
Crowley scosse la testa sconsolato:
questa era la ricompensa per essere stato misericordioso con gli
umani. E adesso la mosca continuava a girare intorno alla sua mano
con sfacciata supponenza, tanto che ebbe la fugace sensazione di
essere perseguitato da Lord Beelzebub pure sulla Terra. Al solo
pensiero gli si arricciò il naso in una smorfia di puro disgusto.
«Lurida» berciò tra i denti in
direzione dell'insetto e sventolò la mano per scacciarla. Quella
ronzò via risentita e sparì oltre la porta della locanda.
«Forza, un altro giro!» esclamò
rivolto agli avventori, cercando di attirare l'attenzione. Tutti
quelli che già avevano giocato con lui si riunirono di nuovo attorno
al tavolo senza farselo ripetere due volte e Crowley ghignò.
Li osservò mentre sceglievano con cura
dalle loro sacche la moneta più scintillante a loro disposizione,
probabilmente convinti che le mosche fossero attratte dal bagliore
del metallo. Per quanto ne sapeva, Beelzebub tutto era meno che un
Lord dedito alle cose brillanti e piacevoli alla vista, ma c'era
qualche possibilità che quelle strategie tutte umane fossero il
frutto di una decennale esperienza al gioco. Se così non fosse
stato, il tizio accanto a sé che aveva appena ritirato il suo
fiorino intimorito da quello d'oro di un compare era solo l'ennesimo
coglione tra i tanti.
Quando Crowley posizionò davanti a sé
la sua modesta moneta di bronzo qualcuno di loro sghignazzò. Il
demone fu quasi tentato di vedere i loro giochi al lavoro, di provare
le teorie della gentaglia che lo circondava, ma poi decise di non
amare le sconfitte. Attese il ronzio di una mosca prima di schioccare
le dita sotto al tavolo: l'insetto girò in circolo sulle teste dei
contendenti per poi scegliere accuratamente la moneta di Crowley per
riposarsi.
«Barattiere!2» lo accusò
un uomo enorme con una camicia di un'allarmante tonalità di verde
sbiadito. Crowley ebbe la faccia tosta di mostrarsi del tutto
incredulo.
«Nah! Controlla, se non ci credi!
Tieni!». Gli lanciò il pezzo di bronzo e tutti si strinsero intorno all'omone: con rammarico dovettero constatare
di essere in presenza di un normalissimo fiorino di bronzo senza
alcuna traccia di miele.
Il demone si voltò verso gli altri
perditempo della taverna per fare un gesto teatrale, come a
sottolineare la gravità del fatto: qualcuno aveva osato
definirlo un baro! Tsk!
Fu allora che, gettando lo sguardo tra
la folla, notò una capigliatura bionda fin troppo familiare.
Automaticamente sorrise.
«Signori, è stato un piacere»
comunicò ai compagni di gioco dopo aver spazzolato via la vincita.
Nessuno di loro si sentì in vena di condividere lo stesso spirito e
tutti tacquero.
Crowley ancheggiò con stile fino al
tavolo di suo interesse, scostò l'unica sedia libera e vi si
accomodò gioviale.
«Ma guarda chi c'è in questa bettola
di Firenze» esclamò.
«Hai barato» ribatté Aziraphale
asciutto, guardandolo con occhi torvi.
«Mm» fornì Crowley, il ghigno ancora
stampato in faccia. «Certo, sono un demone: che altro ti aspettavi?»
L'angelo si mostrò piccato, le labbra
corrucciate e le sopracciglia supponenti inarcate. «Niente di
diverso, ne convengo»
Crowley annuì comprensivo. «Ovvio.
Quindi se ti offro da bere con i soldi della vincita, tu, da bravo
angioletto quale sei, rifiuterai: sono soldi vinti con l'inganno,
dubito che la tua fazione approverebbe»
Aziraphale non rispose subito e il
demone poté vedere la tentazione farsi strada nei suoi lineamenti.
«Suppongo che ormai siano soldi tuoi,
no?» tentò il biondo, una sfumatura leggermente rosata a colorargli
le guance. «E poi sarebbe scortese da parte mia rifiutare... Non
credi, caro?»
Crowely batté una mano sul tavolo:
«Ah! Ben detto!»
Furono serviti poco dopo con vino e
focaccia dolce: sul volto di Aziraphale tornò il solito caloroso
sorriso di sempre.
«Cosa ti porta qui?» chiese l'angelo,
più querulo con la pancia piena.
«Una tentazione per uno del posto,
solite cose. Anche per te, immagino»
Il sorriso dell'angelo si allargò:
«Sì, ma stavolta è molto avvincente». Crowley alzò un
sopracciglio scettico. «Devo ispirare un uomo di lettere» rivelò
Aziraphale tutto tronfio.
«Tutto qui?» fece il demone. Dalla
fronte aggrottata dell'altro capì di non aver colto tutta la
magnificenza di quell'impresa.
«Crowley, devo fare in modo che un
uomo scriva un poema!»
«Ah. Non l'hai già fatto a Roma
qualche secolo fa?»
Il viso dell'angelo si rabbuiò appena.
«Sì, ma non andò benissimo... Il finale non piacque ai miei
capi3», e puntò l'indice verso l'altro.
Crowley fece una smorfia al sentir
nominare gli Arcangeli. «Però ti hanno ridato l'incarico» rilevò
ottimista.
L'angelo annuì con vigore. «Questa
volta è difficile che sbagli. Il poema sarà religioso: il figlio di
Alighiero è molto legato alla Fede e-»
«Alighiero?» interruppe bruscamente
Crowley, sporgendosi sul tavolo. «Alighiero di Bellincione4?
Parli di Dante, per caso?»
Aziraphale strabuzzò gli occhi,
incredulo. «Proprio lui. Lo conosci?»
Il demone faticò a trattenere la
risata. «Se lo conosco? L'ho tentato qualche giorno fa!»
L'angelo spalancò la bocca ma non ne
uscì alcun suono. «Santo Cielo» venne poco dopo.
Crowley scosse il capo e sospirò. «Ci
siamo spostati nuovamente tutti e due per tentare la stessa persona.
Che spreco di tempo»
Probabilmente per Aziraphale non
sarebbe mai venuto il momento di accettare quel loro piccolo Accordo:
l'angelo deglutì visibilmente e lanciò intorno a sé occhiate
allarmate, come se si fosse aspettato di veder spuntare qualche
angelo sotto copertura pronto ad accusarlo di Alto Tradimento.
Crowley abbassò lo sguardo coperto dalle lenti e bevve un sorso di
vino.
«Qual era il tuo compito?» pigolò
Aziraphale dopo aver recuperato un po' di coraggio.
«Niente che interferisca con il poema»
rassicurò prontamente Crowley. «Credo. L'ho convinto ad aumentare i
capi d'accusa di quel borioso di Filippo Argenti»
«Argenti?». L'angelo batté le
palpebre più volte, pensieroso. «Dici... Cavicciuoli?»
«Lui» confermò il demone. «Gli ha
chiesto di mettere una buona parola con il giudice, ma io ho fatto
notare a Dante quanto sarebbe più giusto fargliela pagare per tutto
il resto5». Di fronte al sopracciglio corrucciato
dell'altro si sentì in dovere di aggiungere: «È una testa di
cazzo, sicuramente lo sai anche tu»
Da come Aziraphale non rispose capì di
avere il suo stesso pensiero.
«Dunque Inferno e Paradiso lottano per
quest'umano» considerò il demone. «Che ha di così speciale per
voi?»
L'angelo si strinse nelle spalle. «Non
ne ho idea, non l'ho nemmeno visto»
Crowley annuì. «Lo puoi facilmente
trovare a sbavare dietro le gonne della figlia di Portinari» rise.
«Oh! Un'anima innamorata!». Gli occhi
di Aziraphale brillarono.
«Un'anima stupida» corresse il
demone. «Lei è sposata e lui è già promesso»
Il viso del biondo si rattristò
immediatamente, ma non ribatté alcunché: c'era ben poco da
protestare quando si parlava di matrimoni combinati in giovane età.
Ma Crowley era sicuro che non ci fosse
solo il rammarico di vedere un amore infranto ad atteggiargli il
volto: dover competere con una tentazione già assestata stava
rodendo l'angelo dall'interno. Il che era un peccato: Crowley sapeva
bene quanto Aziraphale fosse legato alla conoscenza e alle lettere e
per lui fallire in quel compito specifico non avrebbe significato
solo ricevere dei rimproveri dall'Alto, ma anche una delusione
personale.
«Prendiamo una boccata d'aria, angelo»
suggerì alzandosi e indicando l'uscita con il capo. «Forza»
Fu veramente un sollievo uscire da
quella taverna puzzolente e fare due passi. Il biondo l'aveva seguito
con piacere e ora gli camminava al fianco con lo sguardo un po' più
brillante di prima.
«Andrà bene» provò Crowley. «La
tua missione» precisò.
Aziraphale lo guardò interdetto per un
attimo, poi sorrise con somma gratitudine. «Oh, lo spero proprio».
Quando l'angelo sorrideva in quel modo a Crowley tornava in mente
l'Eden, l'espressione che Aziraphale aveva rivolto così sinceramente
e con spontaneità a lui, un demone tentatore responsabile della
cacciata dell'uomo dal giardino. Ogni volta che questo succedeva,
Crowley doveva sforzarsi di nascondere il sorriso che faceva per
spuntargli sulle labbra.
Per un attimo ebbe l'idea di proporsi
di aiutarlo nell'impresa, ma desistette subito: quello era troppo
anche per loro due, e Aziraphale sapeva il fatto suo: avrebbe trovato
in qualche modo la giusta idea per riuscire al meglio nel suo lavoro.
«Tienimi-»
«Ser Crowley!»
Il demone non riuscì a finire la
frase. Entrambi si voltarono in direzione della voce che aveva urlato
il nome del rosso con così tanta foga in pubblico. Crowley di certo
non era il tipo che passasse inosservato, ma oltre ad Aziraphale
nessuno lo chiamava in maniera così entusiasta in giro per le
strade. Quando capì da dove fosse venuto il richiamo sgranò gli
occhi.
«Quello è...» cominciò l'angelo,
perplesso.
«Filippo Argenti, sì» concluse per
lui il demone. Che diavolo voleva quel pallone gonfiato da lui? Non
gli aveva mai parlato, di fatto, e non aveva alcun conto in sospeso
con il fiorentino.
«Che c'è?» berciò, costretto ad
alzare lo sguardo per cercare di guardare il volto
dell'interlocutore. «Guardalo, guardalo» bisbigliò rabbioso ad
Aziraphale. «Cavalca veramente con i piedi larghi6,
allora»
«Non sta scomodo?» considerò di
rimando l'angelo.
Crowley fece una faccia schifata: lui
su un cavallo stava scomodo sempre. «È per urtare i passanti,
Aziraphale». Il biondo sgranò gli occhi e non trovò nulla di
sufficientemente adatto da replicare.
Con stupore del demone, Argenti smontò
da cavallo e si diresse a passo spedito verso Crowley.
«Volevi forse conoscermi?» optò il
rosso. Ma il nerboruto non sembrava intenzionato a conoscerlo
nel senso proprio del termine: prima ancora che il demone potesse
vederlo, il pugno chiuso dell'umano si scagliò prepotente sul suo
naso. Il colpo fu così forte che Crowley perse momentaneamente
l'equilibrio e dovette usufruire del braccio di Aziraphale,
prontamente proteso verso di lui, per non rovinare a terra.
«Ehi! Che cazzo pensavi di
fare?!» sbraitò, coprendosi la parte offesa con la destra e
provando a slanciarsi verso il folle che aveva davanti e che
blaterava accuse alternandole al nome di Dante.
«No, Crowley!». Aziraphale si
interpose tra il demone e l'umano, schioccò rapidamente le dita e
l'Argenti, come colto da un'improvvisa illuminazione, smise di
parlare, tornò indietro verso il proprio cavallo, rimontò in sella
e si allontanò, stavolta con le gambe ben serrate intorno ai fianchi
dell'animale.
«Perché mi hai fermato, eh?» urlò
Crowley rivolto all'angelo. «Mi ha picchiato!»
«L'ho visto» assicurò Aziraphale,
truce. «Fammi vedere la ferita»
«Mi ha dato un pugno sul naso!»
continuò imperterrito il demone, schiaffeggiando la mano
dell'angelo. «Dante gliel'ha detto. Maledizione!»
Crowley digrignò i denti per il dolore
e continuò a sibilare ingiurie a volte verso quell'Adimari da
strapazzo e a volte nei confronti di Dante: era evidente che
si fosse fatto bello, il letterato, con la sua bravata. Si
guardò la mano appiccicaticcia che copriva la ferita e la vide
sporca di sangue. Premette indice e pollice sul ponte del naso e
avvertì gli occhi farsi lucidi per un mero riflesso involontario.
Si guardò attorno e in strada era come
se non fosse successo niente: nessuno sembrava aver notato il
fattaccio, ma Crowley era certo che non fosse il frutto di un
miracolo dell'angelo: per Firenze quella era la normalità e il
demone non era altro che l'ultimo di una lunga serie di uomini
malmenati dall'Argenti. In effetti, era il primo demone picchiato da Filippo, ma il rosso avrebbe
volentieri fatto a meno del premio per una buona volta.
Alzò gli occhi al cielo e cercò
Aziraphale accanto a sé per rendersi conto di quanto fosse mogio.
Era ovvio che si fosse offeso per il trattamento ricevuto: si teneva
a distanza, le mani in grembo a tormentare l'anello al mignolo e il
viso fisso sul selciato, ben attento a non incrociare la figura del
demone nemmeno per sbaglio. Seppe subito di essere il responsabile di
quel cambio di umore nell'angelo e sentì una spiacevole fitta allo
stomaco. In fondo sapeva bene che il provvidenziale intervento di
Aziraphale lo aveva salvato da danni fisici ben peggiori di quelli
appena subiti: con l'Argenti non c'era possibilità di vittoria, ne
era consapevole. L'angelo gli aveva fatto un favore, nessuno avrebbe
potuto negarlo, ma Crowley lo aveva attaccato lo stesso.
Il demone emise un sospiro che gli fece
afflosciare le spalle con rassegnazione. «Senti, non posso
rimettermi in sesto in pubblico. Vieni all'albergo dove alloggio»
Aziraphale sollevò subito la testa e
gli fornì un sorriso nonostante tutto.
La locanda dell'albergo non era diversa
da quella in cui avevano bevuto: lurida, puzzolente e troppo
frequentata. Crowley condusse l'angelo ad un tavolo appartato e
Aziraphale si posizionò di fronte a lui per coprirlo alla vista
altrui. Stavolta non chiese il permesso di visionare la ferita,
probabilmente per paura di ricevere lo stesso rifiuto di quando aveva
tentato in strada: scostò direttamente il polso del demone che non
ebbe il tempo di protestare in alcun modo.
Il biondo lo scrutò con occhio
critico. «Temo che il tuo naso sia rotto» decretò infine.
«Ma davvero?» fece Crowley. «Dimmi
qualcosa che non so, angelo»
Gli occhi blu di Aziraphale lo
fissarono con poca grazia e il rosso scoprì gli incisivi in un atto
derisorio. L'angelo non ne venne scalfito: alzò la mano e la fece
ondeggiare davanti al volto dell'altro. Crowley fu sul punto di dire
di poter fare da solo, che non aveva bisogno di aiuto, ma la
sensazione ambigua che gli solleticò il viso mentre si aggiustava
per il potere dell'altro fu sufficiente a farlo stare zitto.
«Ecco fatto» sorrise Aziraphale una
volta completata l'operazione. Crowley arricciò il naso e l'azione
gli risultò estremamente facile. Annuì un ringraziamento prima di
tastare la parte offesa ora tornata alla normalità. Emise un verso
disgustato quando toccò il sangue gelatinoso per la seconda volta e
d'istinto tenne le dita a distanza da sé, decisamente non
intenzionato a pulirsi sul suo surcotto7 rosso.
«Tieni questo» disse Aziraphale
porgendogli un fazzoletto appena miracolato.
«Mm» rispose Crowley accettandolo con
riluttanza: era umido e sul lato vi era ricamato il nome dell'angelo.
«Sul serio? E lo stemma della Casata dove sta?» chiese sarcastico e
vide le guance dell'amico infiammarsi. Ghignò prima di cominciare a
tamponare il viso con la stoffa.
«Non sappiamo dove finirà Dante,»
disse di punto in bianco Aziraphale con un sorriso accennato, «ma di
sicuro l'Argenti sarà dei vostri»
Crowley annuì senza entusiasmo. «Che
gioia»
L'angelo gli rivolse uno sguardo
sorpreso, ma non disse niente. Il demone aggrottò la fronte
dubbioso: Aziraphale era forse stupito di sentirlo così critico nei
confronti di un'anima sicuramente indirizzata all'Inferno? Non seppe
se considerarsi pesantemente offeso o solo irritato: insomma, Argenti
era un sadico, un violento... Come poteva Aziraphale pensare che a
Crowley potesse andare a genio un'anima del genere?
Il demone deglutì per controllare
l'impulso di rispondere di nuovo in maniera arrogante all'angelo.
Quel biondo riccioluto lo spiazzava sempre, nel bene e nel male. Era
l'entità più intelligente che avesse mai incontrato nel corso dei
millenni, eppure era in grado di dimostrare la più ingenua ottusità
con estrema naturalezza. Crowley non se ne capacitava: Aziraphale non
era così, il demone lo sentiva, ne era sicuro, glielo
dimostrava di tanto in tanto, ma Bene e Male continuavano ad essere
due categorie assolutamente valide per l'angelo, il suo filtro sul
mondo e su tutti, compreso Crowley, lo stesso demone con cui
condivideva i pasti e una segreta alleanza. Ma quando faceva così,
quando Aziraphale non onorava la sua stessa intelligenza e gli
ricordava tutte le loro differenze e i pregiudizi delle rispettive
fazioni, non era raro che il rosso fosse colto dall'improvvisa
urgenza di stuzzicarlo, di insinuare il dubbio nella sua mente e di
saggiarne l'autonomia.
Anche in quel momento Crowley avvertì
lo stesso impulso.
«Sai che cosa mi piace davvero di
Argenti?» iniziò, facendo sussultare l'angelo. «Che non dà la
colpa a noi»
Aziraphale lo guardò stralunato. «Che
cosa vuoi dire?»
L'interesse che il demone poté leggere
negli occhi del biondo gli fece capire di aver ottenuto la sua piena
attenzione. «Che si prende le responsabilità delle sue azioni senza
scaricarle sull'Inferno». Fece una studiata pausa per permettere a
quell'informazione di sedimentare nella mente dell'angelo. «Sai
quanti se ne vanno in giro a fare malefatte per poi incolpare noi o
addirittura Satana?». Rise e modulò la voce prima di riprendere.
«“Satana mi ha costretto”, “Non ero in me”, “Il demonio
mi ha indotto in tentazione”.
Stronzate, dico io!»
Aziraphale corrugò la fronte: «Vuoi
forse dire che Satana non c'entra mai niente con il Male?»
«Quasi mai» confermò il demone. «A
Satana non interessa di tentare gli uomini. Manda noi, ma
principalmente per mantenere una facciata»
«Una facciata?»
Crowley annuì. «Certo. Con tutto il
casino che ha combinato in Paradiso, angeli caduti e tutto il resto,
deve tenere alte le apparenze e buoni i diavoli, ma la verità è che
potrebbe lasciare gli uomini completamente da soli e ottenere lo
stesso risultato»
Aziraphale non parve affatto convinto e
fu sul punto di replicare, ma il demone anticipò qualsiasi risposta:
«Angelo, è il libero arbitrio, l'avete inventato voi. Beh, Lei...».
Fece una smorfia disgustata. «Comunque, il punto è che gli uomini
scelgono, possono farlo, e possono scegliere anche il male.
Satana lo sa, come lo sappiamo tu ed io, no?»
Aziraphale deglutì visibilmente: sì,
lo sapeva anche lui.
«Dunque... S-Satana...» cominciò
l'angelo dopo qualche attimo di silenzio e con un fremito sul nome
del Principe infernale.
«... non ti
induce a fare proprio un
bel niente» concluse Crowley. «È la natura
dell'uomo. Sono le condizioni in cui l'uomo vive, semmai, a fare il
lavoro sporco per noi»
Lasciò che quelle parole attecchissero
prima di riprendere le fila del discorso. «Argenti fa le cose che fa
perché vuole farle e se ne vanta amabilmente con il mondo. Questo lo
apprezzo»
Quando giocava con la mente
dell'angelo, quando cercava di pulire le note rosse sul registro
dell'Inferno8, Crowley non sapeva mai perché esattamente
lo facesse. Una parte di lui gli diceva di dover sfruttare la
possibilità di ampliare gli orizzonti di Aziraphale, di dovergli
dare l'opportunità di scoprire una nuova prospettiva da cui guardare
il mondo; d'altro canto, chi voleva prendere in giro? Era il primo a
sapere di essere circondato da una massa di demoni imbroglioni e
crudeli, dediti al sangue e alla disperazione, esseri che godevano
nel procurare il Male all'uomo, alla creatura preferita di Dio, senza
interrogarsi mai su quelle questioni. Quello che si poneva le domande
giuste e cercava di smacchiarsi la coscienza era solo lui, Crowley, e
il sospetto che volesse far vedere all'angelo quanto diverso fosse
dalla feccia dei Piani Bassi cominciava a farsi ad ogni incontro più
chiaro, anche se ricacciava indietro il pensiero con la stessa
velocità con cui veniva a galla. Per questo un po' si odiava, ma
odiava di più vedere l'espressione abbattuta sul volto di Aziraphale
ogni volta che il suo obiettivo andava a segno.
Passarono attimi di silenzio ben poco
rilassato in cui l'angelo evitò accuratamente di fissare lo sguardo
su Crowley per più di qualche secondo. Al demone si palesò la
necessità di dover sbloccare la situazione con qualsiasi cosa, ma
contro le aspettative fu Aziraphale a parlare per primo.
«Forse... Forse è meglio che vada a
cercare Dante». Il demone fu sollevato nel non sentire tracce di
rancore in lui. «Tu ti senti meglio, vero?»
Crowley annuì, sforzandosi di grugnire
il suo dissenso sulla preoccupazione dell'angelo. «Ci si vede in
giro, angelo»
Fu sul punto di augurargli buona
fortuna, ma le parole non gli uscirono di bocca e rimase a fissare la
porta della locanda per qualche secondo dopo la dipartita di
Aziraphale. Distolse lo sguardo solo quando si accorse di avere tra
le mani ancora il fazzoletto umido ormai insozzato del sangue del suo
involucro umano. Osservò per un attimo il nome ricamato sulla stoffa
per poi scuotere il capo. «Stupido angelo»
Note:
[1]: Mosca è un gioco da taverna che
consiste nel poggiare delle monete in circolo sul tavolo e attendere
che una mosca si posi sopra una di esse, decretando il vincitore. Di
solito si riusciva a barare cospargendo la moneta di miele o
zucchero.
[2]: G. Boccaccio usa “barattiere”
nel Decameron con il significato di “imbroglione”.
[3]: Sì, è un riferimento a Virgilio
e all'Eneide. Il finale non può essere piaciuto alla
“propaganda Celeste” perché Enea va contro tutto ciò che
doveva essere la pietas romana. Ho immaginato che il Paradiso
abbia cercato di giocare la carta della sua influenza in campi di
competenza altrui.
[4]: Alighiero di Bellincione è il
padre di Dante Alighieri.
[5]: Su Filippo Argenti le notizie sono
poche. Si hanno dei dubbi sulla scintilla che fece scattare la faida
tra le due famiglie, ma una delle teorie più accreditate è proprio
questa: Dante che promette all'Argenti di mettere una buona parola
per lui, ma finisce per aumentare i suoi capi d'accusa.
[6]: Di nuovo, queste informazioni sono
molto leggendarie. Gli autori che hanno parlato di Filippo Argenti
(in primis, Dante e Boccaccio) concordano su due aspetti
fondamentali: l'arroganza e la violenza. Si dice che camminasse con
le ginocchia divaricate e le piante dei piedi larghe per malmenare la
gente al suo passaggio.
[7]: Il surcotto è una sorta di
casacca in stoffa utilizzata dalla popolazione civile e mutuata dal
vestiario militare. Si chiama così perché veniva indossata sulla
cotta del soldato.
[8]: Rimaneggiamento della citazione di
Black Widow “I want to wipe out the red from my ledger” dal film
“Avengers” (2012).
Il titolo è un riferimento a “The
importance of being earnest” di Oscar Wilde.
Angolino di Menade Danzante:
Chiedo
scusa a tutti i personaggi storici citati. Penso sia il minimo in
queste circostanze! ^^”
Non ho veramente altro da dire, se non
che spero che questa prima parte vi sia piaciuta. Anticipo che per il
secondo e ultimo capitolo affronteremo un salto temporale!
Alla prossima!
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