Poisonous.

di _fixiall12_
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Lo osservavo mentre stravaccato sulla sedia, scarabocchiava distrattamente il tovagliolino che teneva tra le mani.
Era tornato ormai da più di una settimana e da più di una settimana non gli rivolgevo la parola. Mi cercava, mi scriveva, veniva a casa ma io non avevo il coraggio di rispondergli. Avevo paura, era successo tutto così velocemente che non avevo ancora elaborato il fatto che lui fosse davvero davanti a me, che fosse tornato. Anche se era impossibile non pensarci, dato che ovunque andassi lui era presente.

Ma comunque il pensiero che lui ci stava provando così seriamente, che mi cercava, che pensava a me mi faceva quasi stare meglio. Era come se mi sentissi ricambiata, come se lui stesse provando quello che avevo provato io per così tanto tempo. Non era nessuna sottospecie di vendetta ma semplicemente mi faceva piacere il fatto che in una piccola parte della sua mente ci fossi anche io.
Il bar era pieno di gente, ma il mio sguardo cadeva solo e soltanto su di lui, continuamente, non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Osservavo come impugnava la penna, come teneva piegata la testa mentre scriveva, come i capelli neri gli ricadevano sulla fronte. Mi concentravo sul suo viso cercando qualche particolare che potesse farmi dire di non conoscerlo. Ma in realtà all'esterno era il Lochan di sempre. Era sempre il solito, quello che piaceva alle ragazze, che portava le felpe sette giorni su sette, che odiava il telefono perchè 'preferisco guardarti negli occhi che scriverti un messaggio'.
Sembrava comunque essere cambiato in meglio, certo, il suo atteggiamento era più disponibile e gentile, sorrideva più spesso ma qualcosa era rimasto, una parte cattiva, qualcosa che non lo lasciava respirare, qualcosa con cui lottava da anni. Non era così facile guarire, tornare alla vecchia vita, questo è certo. Lo conoscevo troppo bene da dire che qualcosa prima poi sarebbe esploso, avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per uscire e non sarebbe finita bene.

Senza neanche rendermene conto continuavo a mettere il suo dolore davanti a tutto, anche se mi ero ripromessa di non farlo. Dovevo capire che se continuavo così non sarei mai riuscita a staccarmi da lui. Ma, volevo davvero farlo?

Cercai di scacciare quei pensieri dalla mente, non potevo non pensare a lui senza che dei ripensamenti sulle decisioni che avevo preso, si presentassero.
Le sopracciglia gli si unirono in un cipiglio quando si cominciò a sentire osservato, con lo sguardo perso e minaccioso si guardava intorno, e non passò molto prima che mi scoprì. Avrei potuto benissimo distogliere lo sguardo, far finta di nulla, ma non mi importava, volevo che mi vedesse. Così rimasi immobile, incapace di fare qualsiasi cosa. Incapace di allontanarmi da quella figura così familiare.

Mi scrutava, mi penetrava con quegli occhi marroni che erano tutto tranne che banali, erano caldi tanto da farti sentire al sicuro, a casa.
“Signorina?” la voce di un cliente mi fece tornare alla realtà, persa com’ero nei miei pensieri, il poveretto doveva aver aspettato un bel po’ quel caffè. Mi scusai e dopo averlo servito ripresi ad armeggiare dietro al bancone, cercando di non abbandonarmi di nuovo alla tentazione di guardarlo, senza però riuscirci.
I suoi tratti si erano addolciti, la fronte rilassata. Mi rivolse un sorriso sghembo, uno dei suoi, non quello da rubacuori e neanche quello intimidatorio, uno di quelli per me, che rivolgeva solo a me e a nessun altro che mi faceva tremare, che mi faceva tornare la voglia di viverlo, fino in fondo. Una fossetta si presentò sulla guancia destra, non ricambiai ma questo non lo scoraggiò.
Notai che l’occhio sinistro era più gonfio, segno che quella notte doveva averla passata alzato, che i capelli erano più spettinati del solito, che un accenno di barba gli ricopriva le guance ormai non più scavate come una volta. Quasi mi sentii sollevata pensando che ormai era in salute, stava bene. 
Riposò la mano sul tovagliolo di carta calcando con la penna per scrivere qualcosa passandosi lento la lingua sulle labbra secche, bagnandole, i tagli sanguinanti della volta scorsa ormai erano quasi del tutto scomparsi. 
L’occhio poco dopo mi cadde sulle sue Nike sporche di fango. Quella mattina aveva sicuramente preso la via più lunga, quella che passava per il parco, per la parte più desolata e incolta.
Avrebbe potuto semplicemente prendere la macchina e in cinque minuti essere qui, ma aveva preferito farsi più di venti minuti a piedi, come era suo solito.
Poteva mettere un po’ di ansia se vista da lontano, una strada buia con i lampioni rotti, i fili d’erba secchi, le panchine piene di scritte, mura di edifici mai completati, ma a lui non importava, credo la amasse per il semplice fatto che il terreno era segnato solo dai suoi passi pesanti; la sentiva quasi come un posto suo, dove poteva stare solo.

Riportai l’attenzione sul suo viso quando alzò il foglio. Mi ci volle qualche secondo per inquadrare bene la parola tra tutte quelle scritte, quei disegni, quelle cancellature.
Ciao.
Anche se stavo cercando di mantenere una facciata da dura tutta la mia maschera crollò e sorrisi, con un semplice ciao scritto su un foglio spiegazzato e sporco di inchiostro.
Ciao.
Gli mimai con le labbra, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio ma subito mi incupii rendendomi conto della mia reazione: Il cuore a mille, il petto colmo di speranza e felicità. 

Mi girai di scatto tornando al mio lavoro.
 Mi sentivo così stupida, ad ogni mio passo in avanti ne facevo venti indietro.




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