My Fate is Your Name

di Flos Ignis
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Sherlock Holmes era una creatura strana e particolare, il destino in cui non aveva mai creduto era stato generoso e crudele con lui.

Era stato cresciuto da due genitori affettuosi, ma per qualche ragione sconosciuta tra la moltitudine di parenti, zii, cugini più o meno acquisiti, in tutta la sua famiglia solo lui e suo fratello erano venuti fuori con un quoziente intellettivo minimo necessario per condurre una conversazione di un certo livello.

Le scuole primarie invece furono un incubo; suo fratello maggiore Mycroft era l'incubo degli insegnanti con la sua lingua d'argento, capace di abbindolare e mettere in imbarazzo adulti laureati e cosiddetti esperti da cui lo portarono i loro genitori. I bambini gli stavano lontani, sia per i suoi incomprensibili insulti che per la sua mole considerevole che lo proteggeva dai bulli ignoranti. Tutto sommato, più che un incubo, quei primi anni per il maggiore degli Holmes furono un interminabile limbo di noia.

Per Sherlock fu più dura. Un simile acume in un bambino dalla lingua biforcuta e dal carattere introverso e solitario come il suo creava un mix letale che gli causava guai giorno dopo giorno sempre peggiori. Una correzione a lezione di matematica gli procurava una nota per comportamento irrispettoso, una risposta acida ai compagni di scuola gli faceva spuntare lividi ovunque, scoprire i segreti e le bugie di chi gli stava intorno e svelarle ad alta voce finiva con una sospensione, un naso rotto, la rovina dei suoi amati libri... cose sempre più gravi, in tutte e sei le scuole che cambiò dall'infanzia all'adolescenza.

E più cresceva, più il mondo non capiva la verità che perseguiva in ogni campo del sapere, più il suo carattere si inaspriva e si chiudeva in un muro di spine e la sua intelligenza si acuiva e scatenava contro gli altri. 

A cosa gli servivano gli altri, quando con il poderoso cervello che madre natura gli aveva fornito poteva tranquillamente bastare a se stesso?

Lui si affidava ai fatti, alle prove, alla solida sequenza del pensiero logico che gli consentiva di trovare sempre una soluzione a qualsiasi problema.

Che spazio trovava il Fato nella pura logica che Sherlock applicava a ogni anfratto di se stesso e del mondo? Nessuno, ovviamente. Mai, impossibile.

Ecco perchè, quando compì diciotto anni, tutta la sua amata logica non gli servì minimamente a comprendere, nè tanto meno ad accettare, lo scherzo del destino che gli capitò.

Non si trattava di una regola fissa, nè un evento comune, tutt'altro: i casi come il suo erano mere eccezioni, casi talmente rari ed eccezionali da rasentare una vera e propria rarità, un caso da uno su un milione. E per quanto ciò fosse degno di un certo interesse accademico, i confini di tali eventi sfioravano troppo spesso i campi teorici del sovrannaturale per interessare veramente una mente analitica come Sherlock. 

Quando era stato costretto a studiare tali eventi al collegio, aveva ipotizzato una possibile mutazione genetica come spiegazione, ma i suoi insegnanti l'avevano quasi bollato come eretico per aver cercato di spiegare un evento che loro definivano "miracoloso".

Che branco di idioti senza cervello, aveva pensato. E sebbene non si fosse mai applicato in prima persona per provare la sua teoria, non aveva neppure accettato passivamente gli insegnamenti di coloro che parlavano di miracoli a lezione di biologia. Aveva semplicemente rimosso che quelle persone tanto speciali esistessero.

E quando compì diciotto anni, si scoprì a essere uno di loro. Una rarità, un'anomalia genetica, perchè si rifiutava di pensare a un miracolo divino: come fa un essere inesistente a fare qualcosa? Inutile anche solo pensarci.

Ma la macchia indelebile di inchiostro che gli era apparsa sul pettorale sinistro, poco sotto la clavicola, lasciava poco spazio ai dubbi.

Un nome e un cognome si erano marchiati a fuoco sulla sua pelle, reclamandolo come sua anima gemella.

John Watson.




John Watson aveva avuto un vita difficile, dove tempo per speranze e sogni non ce n'era. 

In mancanza di una figura paterna, sparita così presto dalla sua vita da non lasciarsi dietro neppure l'ombra di un ricordo, si era fatto uomo in fretta per badare a sua madre e a sua sorella. A nove anni preparava i pasti per lui e sua sorella quando la madre faceva doppi turni in ospedale per arrivare a fine mese, a dodici prendeva a calci i bulletti che prendevano in giro Harriet per la sua corporatura massiccia, a quattordici aveva iniziato a dare ripetizioni ai fratellini dei suoi amici per mettere da parte dei soldi.

Aveva sempre avuta ben chiara in mente la differenza tra i concetti di giusto o sbagliato e si era battuto come un leone per le battaglie che gli erano capitate quotidianamente, piccole o grandi che fossero, perchè non aveva mai accettato che fossero gli altri a dirigere le sue scelte: era diventato indipendente da così giovane che, quando qualcuno si arrogava il diritto di decidere per lui, il sangue gli andava dritto al cervello facendogli vedere rosso dalla rabbia.

A lui, e a lui solo, spettava scegliere la sua strada.

Diffidava delle persone, ma proteggeva strenuamente la famiglia e quei pochi, buoni amici che si era scelto con criteri rigidissimi.  

Aveva combattuto per tutta la sua vita, perciò nessuno si era sorpreso quando, all'età di diciassette anni, aveva annunciato di voler diventare un militare, per calmare il fuoco di giustizia che gli bruciava nelle vene, ma anche un medico, perchè sua madre era stata l'eroe della sua infanzia e stimava profondamente lei e il suo mestiere di infermiera, che le permetteva di salvare delle vite.

Quella volta vide sua madre in lacrime per la prima volta da quando lui e Harriet da bambini erano caduti da un albero e avevano passato la notte al pronto soccorso. Erano lacrime di commozione e orgoglio però quel giorno, tanto che anche il cuore di John scoppiò di felicità.

Aveva costruito la sua intera esistenza intorno alle poche persone care al suo cuore, alla sua ferrea morale e ai valori che intendeva proteggere: onore, famiglia, fede, vita.

Cose pratiche, poco concrete forse, ma scegliendo di diventare un medico militare era sicuro di aver trovato la sua vocazione e al tempo stesso il modo di mettere in pratica tutto ciò che per lui era importante.

Aveva inviato tutti i documenti pratici, entro un mese si sarebbe diplomato e tutto sembrava filare liscio come l'olio. Era pronto a rimboccarsi le maniche e a lavorare sodo, aveva ottenuto una borsa di studio in medicina e non appena pronto sarebbe partito per salvare le vite dei coraggiosi soldati americani sui fronti caldi.

Era pronto a una vita di lavoro, dolore e sacrifici... ma al suo diciottesimo compleanno il destino che si era fatto tante beffe di lui gli fece un dono.

Inaspettato, a tratti persino sgradito, un peso che John non avrebbe mai voluto portare.

Naturalmente, per ottenere la sua borsa di studio aveva iniziato ben prima del suo diploma a rifornirsi di manuali di medicina per potersi preparare, quindi sapeva esattamente di che fenomeno si trattasse. Gli ignoranti lo definivano "miracolo", ma alcuni luminari avevano iniziato già a fare ipotesi ben più attendibili. Aveva imparato a non credere nelle probabilità e anche se si trattava di casi estremamente rari, potevano accadere a chiunque al compimento della maggiore età.

Certo, John non si aspettava che capitasse proprio a lui.

Lungo tutto l'avambraccio sinistro, in un elegante corsivo nero, si era inciso il nome della sua metà predestinata, dell'unica anima nell'universo in grado di completarlo, a quanto aveva letto nei suoi libri.

Sherlock Holmes.







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