Rosa Nera

di Aperonzina
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Quella telefonata non era prevista, era strano che mi chiamasse un numero sconosciuto e quando accadeva, in genere non mi riservava belle sorprese.
Era stata davvero una bella serata, avevamo quasi finito di cenare, avevamo brindato al bambino che sarebbe arrivato e che aspettavamo tutti con ansia e ci eravamo davvero divertiti.
Stare con Rachele e Daniele era un po’ come staccare la spina, era come dimenticare quanto la mia vita stesse andando a rotoli pur non andando da nessuna parte e mi illudevo che mi andasse bene così.
Tutto sommato erano dei grandi amici, non potevano ridarmi ciò che avevo perso, ma erano uno spiraglio di luce in quelle notti che se trascorse da soli sembrano sempre troppo buie.
Già, era stata una bella serata, eppure ora mi ritrovavo con il telefono appoggiato all’orecchio a sentire la voce fastidiosa dell’ultima persona che avrei voluto ascoltare.
Avrei potuto riagganciare, è un gesto tanto semplice, quanto complicato quando la persona dall’altra parte ha fatto parte della tua storia, quella vera, quella prima della tua disfatta come individuo.
Quella voce era proprio come la ricordavo, fastidiosa, acuta e ora aveva quel tono che usava quando tentava di farmi pena. Di pena ne avevo provata varie volte nei suoi confronti, ma mai tenerezza o tristezza. Solo disgusto.
Ero stanco e volevo che arrivasse al dunque, avevo acceso un’altra sigaretta, in modo tale da evitare di sbraitarle addosso e darle almeno dieci minuti per parlare, dieci minuti, non glie ne avrei concessi altri.
Dopo uno sproloquio insostenibile, la notizia arrivò di getto, senza preavviso, senza che il mio cervello avesse il tempo per elaborarla.
Le mie labbra si dischiusero e la sigaretta che tenevo tra di esse cadde al suolo, la osservai spegnersi e riagganciai, non l’avevo salutata, non mi importava granché farlo.
Tornai nel ristorante e sedendomi osservai i volti felici dei miei amici, avrei voluto imitarli, non era giusto che io stessi così in un momento perfetto per loro.
Inevitabilmente i loro volti si incupirono, sentì la voce di Rachele che sembrava lontana come non lo era mai stata «Carlo» mi chiamava ma era come se avessi dimenticato come rispondere.
«Carlo, chi era al telefono?» fu Daniele ad interpellarmi la seconda volta e riuscì a girarmi, anche se in maniera quasi meccanica.
«Mia madre» dissi in un sussurro.
Percepì la perplessità dei due, come biasimarli, dopo vent’anni che non si hanno notizie della propria famiglia, dopo vent’anni che si è fuggiti dal proprio paese d’origine, una chiacchierata con la propria madre non è un evento così comune.
«È successo qualcosa?» Daniele lo chiese con dolcezza, sapevo che lo turbava la mia instabilità, sapevo di sembrare un pazzo e avrei voluto negare, fare finta di nulla, ma una sola parola uscì dalle mie labbra  «Arianna».
La coppia mi osservava confusa e io sapevo di non starmi spiegando, sapevo che un nome non poteva significare nulla, ma in quel momento era tutto per me e così articolai, pronunciai quello che non avrei voluto sentirmi dire «Arianna è morta».
Li vidi li sguardi confusi, come vidi la domanda che sorse nei loro occhi.
Chi era Arianna?
Mi ritrovai a chiedermelo io stesso.
Non risposi, il suo volto era impresso nella mia mente, mi chiesi se fosse invecchiata, mi chiesi come la malattia l’avesse consumata, mi chiesi che vita avesse fatto fino ad ora.
Poi ricordai l’ultima volta in cui la incontrai e mi risposi che forse non dovevo essere in lutto, mi dissi che forse, come me, anche lei era già morta sei anni fa.
 
Note dell’autore: Ciao! Ecco qui il secondo capitolo, so che al momento sono capitoli brevi e ancora è difficile capire dove voglia andare a parare la storia, ma voglio concentrarmi bene sull’interiorità dei personaggi, comunque presto sarà tutto un po’ più chiaro.
Intanto spero che questi capitoli vi piacciano, fatemi sapere cosa ve ne pare, accetto volentieri critiche e consigli! Tengo molto a questa storia, quindi se credete che possa migliorarla non esitate a farmelo sapere, grazie di essere arrivati fin qui!
 

 





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