the Rose
Il sole
stava finendo il proprio cammino nel cielo. Il buio si stava
avvicinando sempre di più e con lui il freddo. John sentiva
l’acqua scorrere in bagno. Sherlock stava ancora facendo la
doccia. Gli rimaneva un altro po’ di tempo per perdersi nei
ricordi della vita che avevano condiviso, prima di giungere alla fine
dell’album di fotografie. Sorrise voltando la pagina,
perché sapeva che cosa lo stesse aspettando. La nascita di
Keiran, il loro primogenito, aveva portato una ventata di allegria
nelle loro esistenze. Il parto era stato difficoltoso. Era durato a
lungo e John aveva temuto di non uscirne vivo, ma alla fine Keiran
William Holmes era nato. Aveva i capelli neri e ricci, come il padre,
ma aveva ereditato gli intensi occhi azzurri del papà. Gli
zigomi erano accentuati, ma più morbidi e levigati, rispetto a
quelli di Sherlock. Era alto e magro, ma non troppo. Keiran era un Alfa
che non sarebbe mai passato inosservato. La sua prima fotografia era
stata scattata circa un’ora dopo il parto. John era semi seduto
sul letto, con le spalle appoggiate a un paio di cuscini e con i
capelli biondi ancora attaccati alla fronte. Gli occhi erano cerchiati
e si vedeva chiaramente quanto fosse stanco, ma il sorriso che gli
illuminava il viso era radioso. Il giovane Omega guardava dritto verso
l’obbiettivo della macchina fotografica e stringeva
orgogliosamente fra le braccia il frutto della propria fatica, che
stava dormendo placidamente. Sherlock era seduto accanto al marito. Con
un braccio circondava le spalle di John e con l’altro il figlio.
Le maniche della camicia bianca erano arrotolate fino al gomito. Non
aveva mai lasciato il fianco del marito, nemmeno nei momenti più
critici. L’andrologo, che stava seguendo il parto, aveva tentato
più volte di farlo uscire dalla sala operatoria, ma non
c’era riuscito. Sherlock era rimasto con John, tenendogli la mano
e incoraggiandolo. Nel momento dello scatto, l’Alfa stava
baciando il proprio Omega sulla testa. Seguivano le tipiche immagini
che caratterizzavano gli album fotografici di ogni famiglia. I primi
passi, i compleanni, le feste e le vacanze, con Keiran sempre in primo
piano e accanto uno dei genitori. Erano trascorsi nove anni, prima che
arrivasse la loro secondogenita. John si fermò ad osservare
quella fotografia. Era uno scatto fatto in ospedale, come il primo.
John era altrettanto radioso e felice, ma non guardava verso
l’obbiettivo. Osservava la piccola creatura che aveva appena
messo al mondo, con infinito amore. Keiran era seduto accanto al
papà e studiava la nuova arrivata in modo sospettoso. Per quanto
i genitori gli avessero spiegato che lo avrebbero amato quanto e come
prima, Keiran non riusciva a non considerare la sorellina come una
intrusa, che gli stava sottraendo la piena ed esclusiva attenzione del
papà e del padre. Sherlock era in piedi, dietro le spalle di
John. Un sorriso triste e malinconico gli piegava le labbra, mentre
guardava il propria famiglia.
Some say love,
it is a river,
that drowns the tender reed
La seconda gravidanza era stata una sorpresa. Una gradita sorpresa.
Ormai John pensava che non avrebbe avuto altri figli. Lui e Sherlock
non ne avevano mai parlato, ma sapevano entrambi quale conto alla
rovescia iniziasse, per un Omega, alla nascita di un bambino. Sherlock
non accettava di perdere John e a ogni Calore attendeva con speranza
l’esito del test di gravidanza. Ogni volta che era risultato
negativo, cresceva la sua disperazione. L’Alfa tentava di
nasconderla al marito, ma non ci riusciva. John lo notava, in quei
momenti in cui Sherlock lo osservava con una profonda tristezza,
pensando di non essere visto. La gravidanza era stata accolta come un
piccolo miracolo, ma i problemi erano iniziati subito. John era stato
messo a riposo, perché il primo parto, così difficoltoso,
aveva provocato dei danni all’apparato riproduttivo, che
mettevano a rischio sia la vita del nascituro sia quella
dell’Omega. John seguì scrupolosamente le istruzioni dei
medici. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per portare a termine quella
gravidanza. Sherlock sospese quasi completamente la propria
attività di consulente, accettando sporadici casi che non lo
tenessero troppo lontano dal marito. Si ritirarono nella piccola
casetta nel Sussex, dove avevano trascorso la luna di miele. Non si
erano recati lì molto spesso, nel corso degli anni. Giusto
qualche vacanza, ma non vi avevano mai abitato per lunghi periodi. In
quel momento, la casetta, che Mycroft aveva donato loro come regalo di
matrimonio, era sembrato il luogo ideale per trascorrere in assoluta
tranquillità tutto il periodo della gravidanza. E così
era stato. Fino al giorno del parto.
Some say love,
it is a razor,
that leaves your soul to bleed
Sembrava un déjà-vu. Il risveglio in un letto
sconosciuto, eppure in qualche modo familiare. Gli odori pungenti e
fastidiosi tipici di un ospedale. Una mano che stringeva
spasmodicamente una delle sue. Diverso era il dolore che provava al
ventre. Era latente, ma John sapeva che era colpa, o forse merito,
degli antidolorifici che gli erano stati somministrati. Capiva che
erano forti, perché si sentiva intorpidito e confuso, molto
più delle altre volte in cui gli erano stati somministrati.
Doveva essere accaduto qualcosa di grave. La mano di Sherlock lo
stringeva come se cercasse di trattenerlo, di ancorarlo alla vita. Con
un grande sforzo, John aprì gli occhi e cercò quelli del
marito: “Buongiorno, amore, tutto bene?” Domandò con
una voce ruvida e graffiante. Sul viso stanco di Sherlock apparve
un’espressione di sollievo, ma in quegli occhi chiari, John
poteva leggere un dolore disperato. Il cuore dell’Omega si
strinse in una fitta lancinante: “La bambina…”
mormorò, con un filo di voce.
“Sta bene. Lei sta bene,” rispose l’Alfa,
prontamente, spostando dalla fronte del marito un piccolo ciuffo di
capelli ribelli. John aggrottò la fronte. Qualcosa non andava.
Se la bambina stava veramente bene, che cosa preoccupava Sherlock?
“Ci siamo promessi di non mentirci mai. Che qualsiasi fosse il
problema, lo avremmo affrontato insieme. Perché siamo una coppia
e ci amiamo. Dimmi la verità, Sherlock. Mentirmi ora, non mi
aiuterà ad affrontare la sua perdita dopo,” lo
sollecitò John, con dolcezza e rassegnazione.
Un piccolo sorriso stanco si fece largo sulle labbra di Sherlock:
“Ti giuro che lei sta bene. È bellissima e perfetta. Una
piccola meravigliosa Omega, che assomiglia tutta al suo papà e
farà una strage di cuori, quando sarà grande.”
John osservò attentamente il marito. Non gli stava mentendo. La
piccola era veramente viva e sana. Allora, che cosa era
quell’espressione? Forse…: “Ti dispiace che sia una
Omega? Eileen e Neil sono due Alfa. Tu e Mycroft siete due Alfa. Tuo
padre e suo fratello erano due Alfa. Lei è una piccola
Omega…”
“NO! Non dirlo nemmeno per scherzo. Non mi importa che sia una
Omega. Anzi. con tutti questi Alfa in famiglia, ci voleva finalmente un
Omega che portasse direttamente il nome degli Holmes e non solo per
acquisizione. Sono sicuro che la piccola ci comanderà tutti a
bacchetta,” ridacchiò Sherlock.
“Allora, non capisco,” sospirò John.
Sherlock distolse gli occhi. Fissò il vuoto per qualche secondo,
prima di trovare il coraggio di riportare lo sguardo sul marito e
parlare. La sua voce tentava di essere neutra, ma ogni parola sembrava
una coltellata diritta al suo cuore: “Ci sono state delle
complicazioni durante il parto. Sono stati costretti a sedarti
completamente…”
“Ricordo…” sussurrò John, temendo di sapere che cosa avrebbe detto il marito.
“… non hanno potuto fare nulla. L’emorragia era
troppo estesa. I medici sono stati costretti ad asportare l’utero
e tutto l’apparato riproduttivo,” concluse Sherlock, in un
sussurro appena udibile.
“Non potrò più avere bambini,”
sentenziò John, sapendo di pronunciare la propria condanna a
morte.
Some say love,
it is a hunger,
an endless aching need
La mano di Sherlock strinse così forte quella di John da fargli
quasi male. I due uomini si fissavano negli occhi, entrambi
perfettamente consci di quello che significava ciò che era
accaduto. John poteva scorgere la rabbia di Sherlock, farsi strada
dietro al dolore. In quegli occhi di un azzurro quasi gelido,
l’Omega vedeva la furia dell’Alfa, montare nella sua anima
per la perdita che avrebbe subito. John sapeva che Sherlock aveva
sempre pensato che non si sarebbe mai innamorato. Che nessuno avrebbe
provato sentimenti intensi e passionali per lui. Che lui non avrebbe
mai ritenuto qualcuno così importante da non riuscire a
respirare, se non lo aveva vicino. Era stato l’unico e il
più grande errore di valutazione che Sherlock Holmes avesse mai
commesso in vita sua. L’Alfa aveva scoperto di essere amato e di
amare. In modo intenso. Profondo. Incondizionato. Sherlock aveva capito
che non avrebbe più potuto fare a meno di quell’amore,
dato e ricevuto, che aveva reso la sua vita ancora più bella e
interessante da vivere. Non voleva… no… non poteva
rinunciare al suo amore. Non poteva lasciarlo andare. Non sarebbe
sopravissuto senza di lui. Non era giusto… non era
giusto… non era giusto…
“Non morirò oggi o domani. Abbiamo venti anni da vivere
insieme, Sherlock. Per i prossimi venti anni non ti libererai di me.
Nemmeno se tu lo volessi. – lo rassicurò John, ricambiando
la stretta di mano – Farò in modo che ogni giorno sia
indimenticabile. Ti donerò tutto l’amore che
riuscirò a esprimerti, in modo che il suo ricordo ti accompagni
per tutto il tempo che ti servirà.”
Sherlock scosse la testa: “Non dovresti essere tu a consolare me.
Dovrei essere io a…” John mise un dito sulle labbra del
marito: “La mia posizione è più semplice. Io
morirò, fra vent’anni, mentre tu resterai. Però
è inutile pensarci ora, amore mio. Abbiamo una vita davanti. Ci
amiamo. Abbiamo due meravigliosi figli. Siamo felici. Non tutti possono
dire lo stesso, non credi? Alla morte penseremo quando giungerà,
non ora. Non roviniamo la gioia che possiamo ancora provare, pensando
all’angoscia di una morte lontana.”
I say love,
it is a flower,
and you,
its only seed
Sherlock abbassò gli occhi: “Chissà perché
tutti pensano che gli Alfa siano quelli forti. Che cosa facciamo per
meritare questa nomea? Nulla. Siete voi Omega che dovete sopportare di
essere sposati a uno di noi, per essere ingravidati, che lo vogliate o
no. Portate dentro di voi il nostro futuro, lo fate crescere e lo
accudite. Quanti Alfa abbiamo visto che, una volta concepito il figlio
richiesto, se ne disinteressavano completamente? Per voi Omega, invece,
non è possibile. Voi portate tutto il peso della gravidanza e
dell’educazione dei figli. E siete pure destinati a una vita
breve, come se, esaurito il vostro compito, non meritaste di essere
felici.”
“Io sono felice, con te. E tu sei un padre e un marito
fantastico. Ci sei sempre, per me e per Keiran. So che ci sarai sempre
anche per la nostra piccola. Non dico di non essere arrabbiato, ma
abbiamo venti anni davanti a noi, Sherlock. Guarda Mycroft e Greg. Non
sembra che il loro conto alla rovescia sia iniziato da più di
dieci anni. Sono felici e innamorati come la prima volta in cui li ho
visti. Noi dobbiamo prendere esempio da loro e goderci ogni istante,
che ci sarà concesso di condividere,” mormorò John,
con un sorriso triste.
It’s the heart afraid of breaking,
that never learns to dance
“Io non sono mai stato bravo con i sentimenti, John, e tu lo sai
benissimo. Non ho mai imparato a gestire le emozioni. Da bambino volevo
essere accettato, ma gli altri ragazzini non mi capivano. Pensavo che,
mostrando loro la mia intelligenza, mi avrebbero ammirato e apprezzato,
prendendomi come amico e facendomi entrare nel loro mondo. Non è
stato così. Loro mi consideravano strano. Anormale.”
“I bambini sanno essere molto crudeli, a volte. Non era colpa
tua, Sherlock. Erano loro che non ti comprendevano,” John
accarezzò una guancia del marito, mentre il cuore gli si strinse
con una fitta dolorosa. Il medico aveva notato quanto il consulente
osservasse Keiran, mentre interagiva con gli altri bambini,
assicurandosi che il figlio fosse a proprio agio e felice. Keiran aveva
l’intelligenza del padre, ma aveva ereditato dal papà la
sua solarità e la sua naturale empatia. Il piccolo Holmes non
aveva mai avuto problemi a relazionarsi con gli altri ragazzini. John,
però, aveva capito che Sherlock aveva sofferto da bambino, anche
se il marito non ne aveva mai parlato apertamente e il dottore aveva
rispettato la sua riservatezza.
“Adesso lo so, ma quando sei un bambino respinto ti assumi tutte
le colpe per questa tua incapacità di essere accettato. Mycroft
vide che io soffrivo e mi offrì una soluzione. Mi disse che
preoccuparsi per gli altri non era un vantaggio, che non serviva per
raggiungere i propri fini. Mi convinse che dovevo prefissarmi degli
obbiettivi e perseguirli, senza curarmi degli altri. Imparai a
costruirmi dei muri, che respingevano e tenevano lontano le persone,
così nessuno poteva più arrivare al mio cuore e ferirmi.
Ero forte. Indistruttibile. E solo,” continuò Sherlock,
fissando il vuoto davanti a sé, come se stesse rivivendo quei
momenti.
“Tutti ci costruiamo delle barriere. Tutti abbiamo paura di
essere respinti,” sospirò John, ricordando l’impegno
profuso per entrare nella squadra di rugby.
“Io mi ero convinto di essere insensibile ai sentimenti, poi sei
arrivato tu. Tu, che hai distrutto le mie barriere fin dal primo
momento. Tu, che mi hai accettato per quello che sono e come sono,
senza tentare di cambiarmi. Tu, che sei giunto al mio cuore e te ne sei
preso cura. Tu, che mi hai fatto capire che meritavo di essere amato,
come chiunque altro. Non posso perderti, John. Che cosa ne sarà
di me, senza di te?”
It's the dream afraid of waking,
that never takes the chance
“Ci saranno i nostri figli, Sherlock, e i nostri nipoti. Tu
dovrai prenderti cura di loro. Essere il loro faro e il loro porto
sicuro nelle tempeste che la vita potrebbe riservargli. E, comunque, io
non ho intenzione di andare da nessuna parte, per ora. Ti giuro che per
i prossimi venti anni io sarò sempre con te. Potresti persino
arrivare a stancarti di me e desiderare che me ne vada!”
Sogghignò John.
“No. Questo non accadrà mai. Potrebbe accadere il
contrario. Potresti essere tu a volere andare via da me. Potresti
trovare un Alfa che ti meriti più di me.”
“Oh, sì. Certo. Ho una fila di Alfa che non vedono
l’ora che io ti pianti per sposarmi. E ce ne saranno molti di
più, ora che non potrò più avere figli,”
John canzonò il marito.
“Se non c’è la fila per stare con te, è solo
la dimostrazione che gli Alfa sono più stupidi di quello che
tutti pensano.”
“È solo la dimostrazione del fatto che tutti sanno quanto
io ti ami e quanto io voglia stare con te, solo te e per sempre con te.
Il mio perfetto e meraviglioso Alfa.”
Sherlock strinse gli occhi e inclinò la testa, osservando
attentamente il marito: “Ti devono avere dato una dose molto
forte di un qualche tipo di droga. Mi farò dire che cosa sia,
così te la somministrerò tutte le volte in cui mi
brontolerai contro perché non ho fatto qualcosa o ho fatto
qualcosa su cui non concordi,” sussurrò, con un sorriso
sornione sulle labbra.
It’s the one who won’t be taken,
who cannot seem to give
John alzò gli occhi al cielo, sospirando in modo esagerato:
“Come se io non facessi altro che rimproverarti senza
motivo!”
“Certo! Tu hai sempre da ridire sui miei esperimenti…”
“… metti in frigorifero materiali sconosciuti, che
potrebbero nuocere alla salute nostra e di Keiran, oltre a non curarti
delle eventuali conseguenze di qualsiasi cosa tu stia
facendo…”
“… ti lamenti che non faccio mai la spesa o non pago mai una bolletta…”
“… potrei contare sulla punta delle dita di una mano anche
solo le volte in cui mi hai aiutato a portare in casa la spesa, non
solo a farla. Inoltre, se fosse per te, saremmo perennemente senza
luce, acqua e gas…”
“… brontoli se lascio in giro una giacca…”
“… una giacca?! Tu non sai dove stia di casa il cestino
della biancheria da lavare! Spargi la tua roba dove capita capita
peggio di un bambino…”
“… mi rimbrotti perché non mangio e non dormo,
quando sai che queste inutili attività mettono a rischio le mie
facoltà mentali, mentre mi occupo di un caso…”
“… come se tu non fossi già abbastanza magro! A
volte mi chiedo come tu faccia a stare in piedi! Se non ci fossi stato
io, saresti deperito da tanti anni…”
Calò il silenzio nella stanza. Sherlock e John si fissavano
negli occhi. Il dolore era tornato in superficie: “Vedi che ho
ragione? Lo hai ammesso tu stesso. Come farò senza di te? Non ci
sarà mai nessun altro che potrà prendersi cura di me come
fai tu. Io non so relazionarmi con la gente comune. Chi mi
sopporterà come fai tu?” Domandò l’Alfa,
tornando serio.
And the soul afraid of dying,
that never learns to live
“Ci saranno i nostri figli, Sherlock.”
“Certo, ma tu sei il cuore. Tu sei l’anima che tiene
insieme la nostra stranamente perfetta famiglia. Io amo e capisco i
sentimenti attraverso te. Io non ho un cuore, John. Non lo ho mai
avuto. Me lo hanno sempre detto. Io ho un cuore da quando conosco te.
Il mio cuore sei tu. Quando morirai, ti porterai il mio cuore nella
tomba ed io tornerò ad essere l’uomo freddo e insensibile
che tutti evitavano, che nessuno riteneva degno del proprio tempo e
della propria considerazione. Io tornerò a essere solo.”
John strinse forte la mano del marito: “Come ti sbagli, amore
mio. Non è vero che tu non abbia un cuore. Nessuno meglio di me
sa che tu lo hai e che è immenso. È solo che tu lo
nascondi, perché sei stato ferito e temi di soffrire ancora. Hai
celato il tuo cuore dietro alte mura per tanto di quel tempo, che ti
sei convinto di non averlo. Non so che cosa sia cambiato, quando ci
siamo incontrati. Non credo di aver fatto nulla per abbattere le tue
difese. Forse hai solo deciso che, visto che eravamo stati costretti a
sposarci, tu potessi tentare di essere te stesso. In fin dei conti,
dove potevo scappare? Tanto valeva provare. Ed io ho avuto
l’onore di vedere il meraviglioso uomo che si nascondeva dietro
quelle alte mura e innamorarmene perdutamente. Perché tu meriti
di essere amato.”
When the night has been too lonely
and the road has been too long
La porta della stanza si spalancò e andò a sbattere
contro la parete. Un ragazzino magro e lungo, con ribelli ricci neri si
precipitò verso il letto e vi si buttò sopra,
abbracciando John con foga: “Papà! Stai bene!”
Trillò con gioia.
“Certo che sto bene, Keiran. La tua sorellina è nata e
stiamo bene entrambi,” sorrise John, ricambiando
l’abbraccio del figlio.
“Non stringere il papà così forte, Keiran. Gli
hanno dato dei punti e non devono rompersi,” Sherlock
rimproverò il figlio, ma non fece nulla per allontanarlo dal
papà.
Il bambino smise di abbracciare John e si sedette composto accanto a
lui, con un’espressione seria e preoccupata sul giovane visino:
“Stai davvero bene, papà?”
“Sì, tesoro, sto davvero bene. È normale che diano dei punti. Con chi sei venuto?”
“Ci siamo tutti, zio John. Solo che Keiran è scappato
avanti, correndo per i corridoi dell’ospedale come se fosse in un
parco,” spiegò una splendida giovane donna dai lunghi
capelli corvini e con gli occhi verdi, entrando nella stanza. Accanto a
lei c’era un ragazzino alto, ma un po’ in sovrappeso, con
lo stesso colore di capelli e con gli occhi azzurri, di una
tonalità appena più scura di quelli di Sherlock.
“Buongiorno Eileen, buongiorno Neil. Grazie per avere accompagnato qui Keiran,” sorrise John.
“Mycroft e Greg dove sono?” Domandò Sherlock, con un mezzo sorriso stanco rivolto ai nipoti.
“Stanno parlando con i medici. Arrivano subito,” rispose
Eileen, guardandosi intorno, come se stesse cercando qualcosa o
qualcuno.
“Non hanno ancora portato la piccola. Le stanno facendo alcune
analisi,” la informò Sherlock, senza aggiungere altro.
Eileen passò uno sguardo fra i due zii, cercando di non apparire
preoccupata. La figlia maggiore di Mycroft e Greg era sempre stata una
ragazza perspicace ed empatica, molto legata a Sherlock e John. Aveva
compreso che qualcosa non era andato come si aspettavano, ma non fece
domande, sapendo che la presenza di Neil e soprattutto di Keiran
avrebbe costretto gli zii a mentire.
“La chiamate ancora piccola? Non le avete ancora trovato un
nome?” Si intromise Neil, ridacchiando divertito. In famiglia era
quasi diventato un gioco. Sherlock e John avevano iniziato a discutere
sul nome da dare alla secondogenita dal momento in cui erano stati
informati del suo sesso. Non si erano accordati su nessun nome e
avevano cominciato a chiamarla ‘piccola’, per evitare
discussioni.
And you think that love is only
for the lucky
and the strong
“Scegliere un nome per un figlio non è così
semplice. Soprattutto quando ogni nome ti porta ad associarlo a persone
poco raccomandabili. Nessuno ama chiamare il proprio figlio Jack,
se poi non fa altro che pensare a Jack lo Squartatore,” gli
rispose una voce dalla porta. Mycroft e Greg entrarono, portando una
sporta a testa con dentro un pacchetto regalo.
“Sì, padre, ma ora mi sembra il momento che gli zii
scelgano un nome. Non possiamo continuare a chiamare la piccola Baby
Holmes. Allora sì che potremmo causarle qualche problema di
identità e trasformarla in una serial killer,” Eileen rise
sommessamente, spostandosi ai piedi del letto, in modo che Greg potesse
mettersi di fianco a John: “Ti trovo bene. Abbiamo parlato con i
medici. Anche la piccola senza nome sta bene. Hanno detto che fra poco
la porteranno qui. Intanto, noi le abbiamo portato qualche piccolo
presente,” sorrise Greg, indicando le due sporte.
John sorrise al cognato: “Grazie, ma non avreste dovuto
disturbarvi a prendere degli altri regali. Credo che, ormai, abbiamo
più vestiti per la piccola di un intero negozio di abiti per
neonati.”
“Oh, zio John, tu non hai ancora visto questo abitino. È
semplicemente delizioso. Ci voleva finalmente un’altra
femminuccia in questa famiglia di maschiacci. Tu e zio Sherlock non
dovrete preoccuparvi di come vestirla. A questo ci penserò io.
Voi due sareste capaci di metterle solo tute deformi e scarpe da
ginnastica,” intervenne Eileen, con il bel viso illuminato da un
grande sorriso.
“Il tuo aiuto sarà gradito, Eileen, ma sarò io a
dare il mio consenso su cosa fare indossare a mia figlia, soprattutto
quando sarà più grande. Non vorrei che voi due esageraste
in altri sensi,” ribatté Sherlock, in tono secco.
John strinse la mano di Sherlock e strizzò l’occhio alla
nipote, rassicurante: “Saremo felicissimi se vorrai aiutarci con
la scelta degli abiti. Sei l’unica donna in famiglia e la piccola
avrà decisamente bisogno di qualcuno che dia un tocco femminile
alla sua vita. Inoltro, so che hai buon gusto e che saprai influenzarla
nel modo giusto.”
“Non ti offendere per i modi scortesi di tuo zio Sherlock, cara.
È sempre scorbutico, quando dorme poco,” sospirò
Mycroft, mettendosi a fianco del fratello e stringendogli una spalla
con una mano. Sherlock alzò gli occhi in quelli di Mycroft e
capì che lui sapeva che cosa fosse accaduto. Il maggiore degli
Holmes era riuscito a farsi dare dal medico tutte le informazioni sul
parto e sulle condizioni di John. Per la prima volta nella sua vita,
Sherlock fu grato al fratello per la sua capacità di sapere
sempre tutto di tutti, perché così non avrebbe dovuto
parlare di ciò che era successo. Non ne era pronto per farlo.
Quella stretta, però, gli fece comprendere che Mycroft sarebbe
stato lì per lui, quando ne avesse avuto bisogno.
Just remember in the winter,
far beneath the bitter snows
Sherlock sapeva che Mycroft poteva capire la sua situazione. La stava
vivendo in quel preciso momento con Greg. Il suo amato marito e Omega.
Neil aveva già tredici anni. Non erano riusciti a concepire
altri bambini. A Greg rimanevano solo altri sette anni di vita e i
primi segni dell’avvicinarsi della sua fine si stavano
manifestando. L’ex poliziotto era più giovane del marito
di un paio di anni, ma ora sembrava più vecchio di dieci. I
capelli erano diventati completamente bianchi. Malgrado il fisico fosse
ancora magro e asciutto, la pelle aveva iniziato a raggrinzirsi, nelle
mani e nel viso. Greg era in pensione da qualche mese. La legge
prevedeva che gli Omega si ritirassero dal lavoro quando mancavano
sette anni alla loro presunta morte. Presunta. A volte capitava che, a
causa di complicazioni dovute al progressivo invecchiamento del fisico,
gli Omega morissero anche prima dei venti anni dalla nascita
dell’ultimo figlio. Il cuore di Sherlock si strinse in una morsa
gelida. Sapeva perfettamente che, dal momento in cui si nasceva,
iniziava il cammino verso la morte. Era ingiusto, però, che gli
Omega fossero così coscienti e consapevoli di quando sarebbe
stata la loro. Erano stati fatti studi e ricerche. La scienza aveva
tentato di ingannare la Natura, per allungare l’esistenza di
coloro che perpetravano la specie, permettendo all’Umanità
di continuare a esistere. Non era servito a nulla. La Natura aveva
sempre vinto la guerra contro il desiderio degli Alfa di tenere i loro
amati Omega accanto a sé.
Sherlock doveva rassegnarsi. Non poteva fare nulla per prolungare la
vita di John. L’attenzione del consulente investigativo
tornò tutta al marito, che stava parlando allegramente con i
presenti nella stanza, come se nulla fosse. John aveva ragione. Avevano
ancora venti anni da condividere. Sherlock giurò che avrebbe
fatto qualsiasi cosa per renderli i più felici e indimenticabili
che John avesse mai vissuto.
Lies the seed,
that with the sun’s love
in the spring becomes
“Possiamo entrare? C’è qui una signorina che
vorrebbe incontrare la sua famiglia,” una allegra voce femminile
sovrastò il chiacchiericcio della stanza. Lo sguardo di tutti si
spostò verso la porta, dove una giovane infermiera Omega, bassa
e grassottella, ma con un sorriso tenero sulle labbra rosse, teneva fra
le braccia un fagotto avvolto in una coperta rosa.
“Certo che potete entrare! Non vediamo l’ora di conoscere
la nuova ragazza di casa Holmes!” Esclamò John, cercando
di sistemarsi il meglio possibile sul letto.
Sherlock si alzò dalla sedia e sistemò il cuscino di
John, aiutando il marito a sedersi. L’infermiera si
avvicinò e depose la neonata fra le braccia del papà:
“La piccola è veramente un amore, dottor Watson. Quando
sarà grande, avrà una miriade di ammiratori. Gli Alfa
faranno follie per conquistare il suo cuore.”
“E dovranno vedersela con me,” sibilò Sherlock.
“E con me,” aggiunse Mycroft, in un tono stranamente allegro, che suonava terribilmente minaccioso.
“E con me,” si unì Eileen, nello stesso tono del padre.
L’infermiera rise sommessamente: “Poveri Alfa, allora.
Però la piccola è veramente una bambina fortunata. Non
tutti gli Omega hanno una famiglia così unita e pronta a
proteggerli. Ora vi lascio. Torno più tardi a prenderla,”
salutò la giovane Omega e uscì dalla stanza, lasciando
soli gli Holmes.
La piccola dormiva, ma fece una piccola smorfia, simile a un sorriso,
come se fosse consapevole di essere al sicuro, fra le braccia del
papà. John le accarezzò prima una guancia paffuta, poi i
capelli biondi: “L’infermiera ha ragione, tesoro. Sei
veramente stupenda. Sembri proprio un fiore,” mormorò,
rivolto alla figlia.
“È piccola. Ed è una femmina,” Keiran storse il naso, in tono infelice.
“Certo, Keiran. È una neonata. È normale che sia
piccola. E sapevi già che avresti avuto una sorellina,”
gli sorrise John.
“Sarà noiosa…” si lamentò il figlio maggiore di Sherlock e John.
“Tutti i fratelli minori sono noiosi. È per questo che
esistono i fratelli maggiori. Per assicurarsi che i più piccoli
non si mettano nei guai e per essere pronti ad aiutarli, quando non
sanno come fare per rimediare agli sbagli che hanno fatto,”
sentenziò Mycroft, annuendo verso il nipote.
Sherlock emise uno strano verso, ma evitò ogni commento. Aveva
capito che il fratello stava tentando di aiutare il figlio ad accettare
l’arrivo dell’intrusa e decise di non contrastare questa
strana solidarietà fra fratelli maggiori. Se poteva aiutare
Keiran a non sentirsi messo in disparte, poteva sopportare
l’arroganza e l’alterigia del fratello.
“Credo di avere un nome per la nostra piccola,” esultò John.
“Davvero? Come vorresti chiamarla?” Chiese Sherlock.
“Rose Elisabeth Holmes.”
“Rose come il fiore ed Elisabeth come mia madre?” Rifletté Sherlock, inclinando la testa.
“Sarebbe un nome stupendo e appropriato. Le rose sono fiori
bellissimi, ma hanno le spine. Se pensiamo ai genitori da cui è
nata, la piccola saprà difendersi benissimo. Meglio mettere gli
eventuali pretendenti subito in guardia,” approvò Eileen,
con entusiasmo.
“La mamma sarebbe contenta, se sua nipote portasse il suo nome,” concordò Mycroft.
“Sì. Non è un brutto nome. Però possiamo chiamarla solo Rose, vero?” Domandò Keiran.
John guardò Sherlock, in attesa della sua ultima parola. Con un
sorriso, il consulente investigativo annuì: “Che Rose
Elisabeth Holmes sia.”
John sorrise e tornò a fissare la figlia, con infinito amore:
“Benvenuta nella tua famiglia, Rose Elisabeth. Ti prometto che
sarai amata e protetta,” sussurrò. Un flash
immortalò quell’attimo di gioia e lo reso eterno, per la
memoria di coloro che sarebbero venuti in futuro.
the Rose
Angolo dell’autrice
Ovviamente i personaggi non mi appartengono e questo racconto non
è scritto a scopo di lucro. Parto da qui, per darvi modo di non
maledirmi troppo per questa storia dai toni decisamente malinconici e
più lunga del solito. Non mi piace che i racconti siano
così lunghi, perché temo che possano stancare, ma non era
possibile dividere questa storia in più capitoli, perché
allora sì che sarebbe diventata noiosa. Spero che, malgrado
tutto, non mi vogliate troppo male. Siamo alla fine della serie. Chi la
sta seguendo fin dall’inizio, sa perfettamente quali fossero le
premesse, quindi non potevate aspettarvi qualcosa di diverso e sapete
già che cosa vi aspetti nell’ultimo racconto. Però,
sapete anche che hanno trascorso insieme 20 meravigliosi e intensi anni
di amore. A volte non si può pretendere di più.
Le parole in inglese e in corsivo appartengono a una canzone intitolata
“The rose”, molto struggente, ma che ho ritenuto essere
adatta a questa particolare storia.
Grazie a chi abbia letto fino a qui e a chi abbia segnato la storia in qualche categoria.
Grazie a paffy333 ed emerenziano per le bellissime recensioni lasciate
nelle storie precedenti. Cercherò di rispondere a tutte quanto
prima.
Siate buoni con me, se volete lasciare qualche riga su questo racconto.
Per chi si senta così coraggioso da affrontare l’ultimo
passo di questa lunghissima serie, l’appuntamento è per
domenica prossima.
Ciao!
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