Il viaggio

di Vipal
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“Non dovevi farlo di nuovo!” Pensò fra sé e sé.
“Lo sai che è più forte di me, la vetta mi chiama in ogni momento della mia vita”, si rispose.
Roberto da ragazzo, durante le normali attività scolastiche o ludiche, vagava come uno zombie, sembrava privo di interessi, mai una parola con alcuno a meno che non fosse del tutto necessaria. Un'unica passione lo rapiva portandolo via dalla sua apatica assenza e questa era il viaggio. Ma non un viaggio qualsiasi, bensì un cammino profondo, su di un sentiero pericoloso caratterizzato dalla sua paura e dalla gioia maturata dalla soddisfazione di vincerla.
Già da bambino, quando partiva per le sue spedizioni nell’ampio giardino di casa si perdeva completamente nelle pieghe del tempo, tanto che la madre mille e mille volte doveva chiamarlo per il pranzo. Raramente lui sentiva, poi la voce gli giungeva da lontano e lentamente lo riportava alla superficie di quel mondo che non gli interessava.
Quel giorno, quel fatidico giorno in cui lo sentì per la prima volta, uscì di casa come tutte le mattine per recarsi a scuola, frequentava la prima media in un istituto salesiano che in genere raggiungeva in dieci minuti di cammino spedito.
Ma quel giorno a scuola non ci arrivò.
«Cara, quando si mangia? Sono super affamato».
Roberto viveva in una famiglia agiata. Il padre gestiva una segheria molto conosciuta in zona, un uomo barbuto e nerboruto, che nonostante l’apparenza nutriva un acceso interesse per la cultura e l’arte. La madre casalinga, una signora ossuta e segaligna e con un bel sorriso, era provvista di un buon temperamento da leader che le permetteva di gestire una associazione di volontariato oltre che gli affari di famiglia.
«Ancora pochi minuti, appena Roberto torna da scuola metto in tavola».
Ma quel giorno Roberto non tornò.
Lo trovarono a sera prima dell’imbrunire, si era arrampicato su Rocca Sola un enorme masso erratico alto venti metri, riuscì a guadagnare la cima, ma non seppe più scenderne.
Rocca Sola si poteva scorgere in lontananza in prossimità del bivio sul sentiero che Roberto percorreva per andare a scuola. Tutte le volte che ci passava appresso lui si fermava un attimo a guardare l’imponente blocco di roccia e l’invitante sentiero che serpeggiando tra la vegetazione lo chiamava.
Quella mattina qualcosa cambiò: per la prima volta sentì un impulso irrefrenabile, un'attrazione magnetica verso l’ignoto, che lo spinse come fosse ipnotizzato a prendere il sentiero. Lo assalì quella miscela esplosiva di curiosità, dubbio, paura, coraggio e soddisfazione: sentiva che solo in quel momento stava vivendo. E lui finalmente comprese.
Anche oggi, dopo vent’anni, Roberto si sente vivo solo mentre è in cammino per raggiungere le sue vette, che però una volta raggiunte perdono di significato. E sempre, a ogni vetta raggiunta la stessa storia, la stessa domanda:
“Perché lo fai se una volta raggiunto lo scopo tutto è come prima?” pensò fra sé e sé.
“Perché durante il viaggio l’importante non è la meta, ma il viaggio” si rispose.




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