Rosa Nera

di Aperonzina
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Il suo sorrisetto iniziava ad innervosirmi.
Mi guardava con fare divertito, seduto difronte a me in quella vecchia osteria in cui stavamo passando la nostra pausa pranzo.
Per lui era facile, aspettava un figlio dalla donna che amava e credere di avere una ragazzina che gli gironzolava per casa non era un’idea poi così assurda o lontana.
Ma Ginevra non poteva restare a casa mia e Daniele lo avrebbe dovuto sapere più di chiunque altro. 
Tutti sapevano che avevo chiuso con i giovani, non mi piacevano, non volevo immischiarmi nei loro affari e soprattutto non volevo avere un'adolescente problematica in casa.
«Lei non può restare Dan, sono serio».
Il mio amico mi osservò, ora con più serietà, facendo un’ispezione accurata della mia figura e soffermandosi sul viso, che ormai da settimane era più sciupato di quanto non lo fosse mai stato «Ascolta Carlo, non so che rapporto avevi con la tua famiglia e con Arianna, d’altronde tu non ci parli mai di quella che è stata la tua vita a Pordenone» io feci un veloce cenno con la mano, come a scacciare le sue parole e invitarlo a continuare, lui si limitò a sospirare, «insomma, questa ragazza non ti fa un po’ tenerezza? È tua nipote e ti sta chiedendo di ospitarla, hai una casa enorme in cui non passi molto tempo, che sarà mai?».
Tenerezza… 
Ginevra era entrata nella mia vita da meno di un giorno e mezzo e tutti non facevano altro che preoccuparsi per lei. 
Eppure, nessuno pensava a come mi sentissi io, messo alle strette, invaso nella mia stessa casa. Nessuno metteva in conto che io non le dovevo nulla.
Eravamo come perfetti sconosciuti, perché avrei dovuto darle una mano?
«Non è una bambina, non può presentarsi a casa mia senza dire nulla a nessuno e pretendere ospitalità».
«Se lo avesse chiesto a qualcuno glielo avrebbero permesso? E soprattutto, tu l’avresti aiutata?» Daniele mi guardò severo, «nessuno ascolta veramente i giovani, forse se è andata via aveva le sue ragioni».
Ricambiai lo sguardo del mio amico con fare rassegnato, non sapevo più come fargli capire il concetto «I suoi problemi non mi riguardano».
«Allora perché non la cacci via?» mi provocò, «la lasci dormire nella tua stanza degli ospiti, le paghi l’istruzione e le permetti di vivere in casa tua fino a fine anno, sinceramente non ti capisco»
Non seppi rispondere, principalmente perché nemmeno io mi capivo.
La mia non era pena o dispiacere, di questo ne ero certo e se dovevo essere sincero, egoisticamente avrei preferito fosse così.
Purtroppo, però il futuro della ragazza non mi interessava, non provavo nulla per lei, se non fastidio e un’insana ansia quando ero in sua presenza. 
Quello che provavo era senso di colpa, non nei suoi confronti, certo, non avevo nessun debito con lei, ma con sua madre forse sì, forse, con Arianna, qualcosa in sospeso era rimasto e in quei giorni non facevo altro che pensarci.
Non praticavo nessuna religione e non avevo mai creduto a fato, destino e altre sciocchezze simili, ma iniziavo a chiedermi se quella non fosse una punizione da parte di Arianna, il pegno che avrei dovuto pagare per rifarmi nei suoi confronti.
Non avevo mai creduto a certe cose, ma ero stanco, chiamatelo senso di colpa, chiamatelo destino, quel giorno mi alzai per chiedere il conto e mentre guardavo il volto familiare della proprietaria dell’osteria, decisi che avrei pagato, che avrei estinto il mio debito una volta per tutte.
Infondo, si trattava solo di quattro mesi.

Note dell'autore: Ciao! questo è un breve capitolo di passaggio, spero vi sia piaciuto! Arriveranno presto aggiornamenti.




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