I was born to love you
La verde
campagna del Sussex era immersa nel silenzio della sera, fresca e
illuminata dalla luna piena. La villetta era avvolta nel buio.
L’unica luce accesa era quella del bagno al piano superiore. John
sapeva che avrebbe dovuto alzarsi dalla sedia a dondolo per accendere
la luce del salotto, ma si sentiva molto stanco. Aveva scorso le ultime
fotografie alla tenue luce della luna. Quelle immagini raccontavano di
una vita felice, trascorsa con suo marito e i loro figli. Non erano
mancati momenti difficili, ma John e Sherlock li avevano sempre
superati. Insieme. Alle fotografie di Keiran e Rose bambini, presto si
sostituirono quelle di due adolescenti. John accarezzò i visi
dei figli, che lui amava definire: “I ragazzi più belli
del mondo,” provocando non pochi lamenti esasperati. John
sorrideva e scrollava le spalle: “Io sono il papà. Vi ho
portati in grembo e messi al mondo. Se non dico io che siete i ragazzi
più belli del pianeta, chi altro mai dovrebbe dirlo?”
Anche gli adolescenti erano cresciuti. Keiran si era sposato per amore
con Julia Baxter, una Omega dai capelli corvini e con gli occhi
nerissimi. Insieme avevano avviato una clinica veterinaria, nella
periferia di Londra. Avevano un bambino Alfa di due anni, che avevano
chiamato Ewan e che presto sarebbe stato raggiunto da una sorellina.
Rose stava studiando medicina. Quando Sherlock e John si erano
trasferiti nel Sussex, Eileen aveva promesso loro di tenere
d’occhio la giovane cugina. Del resto, non era una promessa
difficile da mantenere, per lei. Mycroft si era ritirato dalla vita
pubblica, ma non prima di avere lasciato il proprio posto alla figlia.
“La Corona avrà sempre bisogno di un Holmes che si prenda
cura della sua sicurezza,” aveva affermato Mycroft, lasciando le
chiavi del proprio ufficio alla figlia. Neil, invece, aveva seguito le
orme del papà e stava facendo carriera a Scotland Yard, con la
collaborazione dello zio Sherlock. Entrambi i figli di Greg e Mycroft
avevano trovato il loro Omega, si erano sposati ed erano diventati
genitori. “Il Regno potrà contare sui servigi di
un’altra generazione di Holmes,” aveva sogghignato
Sherlock. Malgrado la morte di Greg e i continui battibecchi fra i due
fratelli, la famiglia era sempre rimasta unita. John si era assicurato
che i figli e i nipoti mantenessero degli ottimi rapporti, oltre a
evitare che il marito e il cognato esagerassero nella loro testarda
necessità di dimostrarsi superiore l’uno all’altro.
La decisione di Sherlock e John di ritirarsi nel Sussex era stata
accolta con qualche borbottio, ma tutti avevano compreso la
necessità dell’Alfa e dell’Omega di trascorrere
insieme gli ultimi giorni che rimanevano a John.
Il dottore sorrise. Aveva completato il proprio lavoro. L’album
era esattamente come lo aveva pensato. Era sicuro che sarebbe piaciuto
anche a Sherlock. L’acqua stava ancora scorrendo, al piano di
sopra. John comprese che non era più la doccia. Sherlock stava
riempiendo la vasca da bagno. L’Omega rabbrividì. Il
freddo si stava facendo sempre più intenso. Era arrivato fino
alle ossa. La coperta, che il marito gli aveva messo sulle ginocchia,
non riusciva più a scaldarlo. L’idea di un bagno bollente
era molto allettante, ma una infinita stanchezza aveva assalito ogni
muscolo del corpo di John. Avrebbe voluto salire i pochi gradini e
raggiungere Sherlock in bagno, ma non riusciva a trovare le forze:
“Chiudo gli occhi. Solo per qualche secondo…”
I was born to love you
Sherlock aveva terminato di fare la doccia e si era scaldato. Lo
sguardo gli era caduto sulla vasca da bagno. John si stancava
facilmente e preferiva fare il bagno, piuttosto che la doccia.
L’Alfa era certo che il marito sarebbe stato contento di
scaldarsi dentro l’acqua bollente, mentre lui preparava la cena.
Le labbra di Sherlock si inclinarono in un lieve sorriso ironico. Se
quando era un ragazzo, qualcuno gli avesse detto che si sarebbe
ritirato in campagna per prendersi cura del proprio Omega morente,
Sherlock gli avrebbe riso in faccia, dicendogli che era un pazzo. Ora
sapeva che quello che era l’unico luogo, sull’intero
pianeta, in cui avrebbe voluto essere. Quel posto regalava una pace che
Sherlock era molto lontano dal sentire. John e lui si erano ritirati a
vivere lì da circa un anno. Da quando le condizioni di John
avevano iniziato a peggiorare. L’Omega non aveva voluto rimanere
a Londra. Non aveva voluto che i figli assistessero al suo lento
decadimento. In quel luogo sperduto nel nulla, nessuno li avrebbe
disturbati. Sherlock aveva sospeso ogni attività investigativa.
Non avevano bisogno di denaro e per lui non era stato un peso
rinunciare all’avventura per stare accanto al marito. Avevano
tutto ciò che serviva loro. John aveva Sherlock. Sherlock aveva
John. Ogni tanto Keiran e Rose arrivavano per trascorrere un paio di
giorni con i genitori, ma non si fermavano mai a lungo. Per Sherlock
era un’agonia vedere John spegnersi ogni giorno sempre di
più. Vedere le forze venire a mancare. Eppure, John aveva
conservato una serenità e una tranquillità, per cui
nessuno avrebbe mai detto che fosse giunto al termine del suo cammino.
Sherlock vedeva sempre una scintilla vivace e allegra illuminare gli
occhi azzurri del marito. Non sembrava che stesse morendo. Non sembrava
sul punto di abbandonarlo. Però sarebbe accaduto presto. I venti
anni che Rose aveva loro regalato stavano per scadere.
Si era dilungato a fare la doccia. Aveva capito che John stava
lavorando a un suo progetto segreto. A dire il vero, non era poi
così segreto. Sherlock aveva compreso da molto tempo che il
marito stava ordinato le fotografie della loro vita in un album. Non
era stato difficile mettere insieme tutti i pezzi, anche se al
consulente sfuggiva la motivazione di quel lavoro. John aveva scritto
un blog, molto seguito oltretutto, in cui raccontava le loro avventure.
Invece, non era mai stato particolarmente appassionato di fotografia,
anche se aveva sempre voluto immortalare quelli che lui riteneva i
momenti più importanti della loro vita familiare. L’Alfa
aveva sbuffato più di una volta, affermando con risolutezza che
nessuno avrebbe mai guardato quelle immagini e che era inutile perdere
tempo a mettersi in posa per scattare le fotografie. John sapeva che
Sherlock ricordava tutto, che non aveva bisogno di immagini stampate,
per ricordare la loro storia. Ogni istante della loro vita in comune
era custodito gelosamente nelle camere più belle del suo palazzo
mentale. “Per i posteri,” rispondeva l’Omega,
sorridendo a quelle lamentele. E Sherlock non poteva negargli nulla,
quando John gli sorrideva in quel modo.
Il salotto era al buio e c’era freddo, quando Sherlock scese,
indossando un pigiama e una vestaglia. Accese la luce e vide che John
si era addormentato, con un’espressione serena sul viso.
Sorrideva. Evidentemente stava facendo un bel sogno. Sherlock si
avvicinò a lui e lo scosse delicatamente: “Sveglia,
dormiglione. Ho preparato un bel bagno caldo per te. Ho messo
nell’acqua quei sali che ha portato Rosie e che ti piacciono
tanto,” sussurrò. Non ottenne alcuna reazione. Gli occhi
di John non si aprirono. Lui non si stiracchiò. Non
sussultò per essere stato svegliato. Non protestò per
essere stato strappato dal bel sogno che stava facendo. Sherlock lo
fissò, perplesso. John non aveva mai avuto un sonno così
profondo. Si svegliava sempre, a ogni minimo rumore. Forse a causa
dell’addestramento militare. Forse per gli anni in cui ascoltava
il respiro dei loro figli, accertandosi che tutto fosse a posto. Forse
per sentire rientrare Sherlock, quando usciva a svolgere le sue
indagini in solitario. L’Alfa scosse l’Omega con un
po’ più di decisione e alzò la voce: “John?
svegliati. È ora di cena. Ti ho preparato il bagno.”
Nulla.
Ancora nulla.
“John… oh, no… John…” mormorò
Sherlock, con disperazione. Sentì il polso. Cercò il
battito della giugulare. Tentò di sentire il lieve calore del
suo respiro.
Nulla.
Nulla.
Nulla.
Sherlock si lasciò scivolare in terra, accanto a John. Tolse con
delicatezza l’album dalle mani del marito e appoggiò la
testa sulla sue ginocchia. Chiuse gli occhi e rimase lì.
Immobile. Mentre la notte avvolgeva il villino. La luna si nascose
dietro nuvole nere. Una pioggia fitta e fredda iniziò a cadere,
bagnando il tetto, le finestre i muri. Era l’unico rumore che si
sentiva, nel silenzio di una vita che era giunta alla sua fine.
Erano stati trovati ancora così, il giorno dopo, dalla giovane
donna che andava a svolgere i lavori di casa. La giovane pensò
che fossero entrambi morti. Telefonò immediatamente a Mycroft,
che arrivò nel giro di pochissimo tempo, con i nipoti e con i
figli. Il maggiore degli Holmes capì subito che il fratello si
era rifugiato nel proprio palazzo mentale. Riuscì a riportarlo
alla realtà, ma Sherlock si chiuse in un ostinato mutismo.
Stringeva a sé l’album delle fotografie, come se fosse
l’unica cosa che avesse importanza. John aveva già dato
tutte le disposizioni per il proprio funerale. Non ci fu bisogno che
nessuno scegliesse o decidesse nulla. Sherlock guardò il sole
splendere accecante, mentre il prete parlava e benediceva la bara in
cui era rinchiuso il suo cuore. Era furioso. Come osava la Natura
essere così vitale e chiassosa, quando gli aveva sottratto
ciò che più di importante aveva nella vita? John era
morto. La Terra avrebbe dovuto sgretolarsi e inghiottire tutta
l’Umanità.
John era morto. Nessuno meritava di sopravvivere all’essere umano migliore che fosse mai esistito.
Sherlock aveva ignorato chiunque si era avvicinato a lui per porgergli
le condoglianze. Aveva trascurato chiunque aveva vicino. Stringeva
sempre a sé l’album delle fotografie, come se fosse la
cosa più importante al mondo.
La cerimonia era terminata e Sherlock si trovava nella cappella di
famiglia, nel piccolo cimitero non lontano da Hurst Green, in cui erano
sepolte generazioni di Holmes con i loro consorti. Sherlock sedeva
davanti a una fredda lapida di marmo chiaro, su cui erano scritti il
nome del suo amato marito e le date che ricordavano la sua nascita e la
sua morte. Sopra alla tomba di John, una lapide simile riportava il
nome di Gregory Lestrade Holmes. Sherlock sapeva che il loculo accanto
a quello di Greg era vuoto e pronto ad accogliere Mycroft, quando lui
avesse deciso di raggiungere il suo amato Omega. C’era un posto
per Sherlock proprio accanto a John e il consulente si chiedeva
perché non lo stesse già occupando. Non aveva ancora
aperto l’album. Non ne aveva avuto la forza. Non voleva ricordare
i momenti felici, perché non ce ne sarebbero stati altri.
Una mano gentile gli sfiorò una spalla: “Padre, è ora di andare,” mormorò Rosie.
“Dovresti tornare a Londra con noi,” propose Keiran.
Sherlock scosse la testa, ma non rispose. Aprì la prima pagina
dell’album e trovò la dedica, lasciata da John, in quella
calligrafia chiara e ordinata tanto familiare al consulente.
L’Alfa non lesse la scritta, ma vi passò sopra la punta
delle dita di una mano, gentilmente, come se stesse accarezzando John
stesso.
“A Sherlock, per ricordare la
famiglia meravigliosa che abbiamo costruito insieme e la vita piena che
abbiamo condiviso. Con tutto il mio amore. John,” lesse
una voce, accanto a Sherlock. Rosie si era seduta e fissava incuriosita
l’album. Per la prima volta dalla morte di John, Sherlock si rese
conto di non essere solo e di non essere l’unico a soffrire per
la sua perdita.
“Papà ha fatto un album di fotografie?”
Domandò Keiran, sorpreso. Anche lui si era seduto accanto al
padre, dall’altra parte, rispetto alla sorella.
Sherlock continuò a sfogliare l’album: “Questi sono
i vostri nonni e questi siamo noi, appena nati,” spiegò,
vedendo le prime fotografie.
“Che carini,” mormorò Rosie, con dolcezza.
“Non ho mai visto queste fotografie,” aggiunse Keiran, aggrottando la fronte.
“Credo che non vi abbiamo mai raccontato molto della nostra vita
passata. Abbiamo sempre vissuto il presente, senza preoccuparci del
passato o del futuro. Probabilmente è ora che conosciate meglio
la famiglia da cui venite,” sussurrò Sherlock.
Voltò ancora le pagine, spiegando chi fossero le persone che
comparivano nelle immagini, fino a trovare la fotografia del ballo alla
Casa delle Anime Gemelle.
“Questo è papà?” Domandò Rosie, sorpresa.
“Oh, sì. Questo è il vostro meraviglioso
papà. Si presentò così, al ballo organizzato dalla
Casa delle Anime Gemelle,” ridacchiò Sherlock.
“Vuoi dire che papà, quello ligio alle regole e guai a
sgarrare, si è presentato al ballo in divisa da rugby e tutto
sporco?!” Chiese Keiran, esterrefatto.
“Proprio così…,” ribatté Sherlock,
iniziando a raccontare la storia del suo primo incontro, anche se non
ufficiale, con John.
Non trascorse molto tempo, che dalla cappella della famiglia Holmes iniziarono a uscire risate ed esclamazioni di meraviglia.
“Direi che possiamo andare, padre. Lo zio John ha pensato anche a
questo,” constatò Eileen, raggiungendo Mycroft, fermo poco
distante dall’ingresso della piccola costruzione, che conteneva
le tombe degli Holmes.
“Immagino che tu abbia già spiegato ai custodi che
sarà una cosa lunga e che probabilmente stanotte il cimitero
ospiterà dei vivi, oltre che ai soliti morti,” il maggiore
degli Holmes sorrise alla figlia.
“Ovviamente, padre. Neil è tornato a Londra. Tu che cosa fai?”
Mycroft esitò un po’, poi fece un passo verso
l’ingresso della tomba: “Vai pure, cara. Io mi
fermerò qui. Non vorrai che sia solo il tuo papà a
sentire le storie che racconterà Sherlock. Inoltre, non vorrei
che la memoria tradisse il mio caro fratellino o che ingigantisse i
propri meriti a discapito di quelli di altri,” rispose serafico.
Eileen lo guardò entrare nella piccola costruzione. Girò
sui tacchi e si diresse verso l’auto nera che la stava
attendendo. Antwan, il suo assistente, era in piedi accanto alla
portiera posteriore. Stava osservando il proprio cellulare e ogni tanto
digitava qualcosa: “Qualcuno porterà cena e
colazione,” la informò, mentre salivano in auto.
“Bene. Torniamo a Londra. La Corona ha bisogno di noi,” annuì Eileen.
Fu una notte di risate e di lacrime. Di parole sussurrate e parole
pronunciate con esaltazione. Fu una notte di ricordi. Fino
all’alba, che li accolse con i suoi colori attenuati da una
leggera foschia. Fu allora che Sherlock arrivò all’ultima
pagina dell’album, dove li attendeva l’ordinata e chiara
grafia di John:
I was born to love you
With every beat of my heart
Yes, I was born to take care of you
[…]
Every single day of my life
You are the one for me
I’m the man for you
Riconosci la canzone? “I was
born to love you” dei Queen. Sembra scritta per noi. Ascoltala e
saprai quanto io sia stato felice con te, come non lo sarei mai stato,
se non ti avessi incontrato e conosciuto.
Con tutto il mio amore.
John.
“Siamo stati fortunati, vero Mycroft?” Sorrise Sherlock.
“Sì, fratello caro. Siamo stati molto fortunati,” sospirò Mycroft.
“Andiamo a casa,” disse Sherlock, chiudendo l’album e alzandosi.
I quattro Holmes uscirono dalla cappella e ne chiusero il cancello. Si
avviarono nella quiete dell’alba verso il loro futuro. John li
aveva lasciati, ma il suo cuore continuava a battere, custodito nelle
pagine di un album di fotografie.
Angolo dell’autrice
Con questo racconto, che spero non essere troppo melenso o lacrimevole,
si conclude questa lunga serie, che ci ha fatti incontrare ogni
domenica per circa cinque mesi.
Ovviamente i personaggi non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.
Spero che la serie vi sia piaciuta.
Grazie a chi la abbia seguita e a chi la leggerà un domani.
Ciao!
|