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Il mattino dopo, mi svegliai di
buon’ora.
Svegliata per modo di dire, si intende.
Non avevo chiuso occhio.
Chissà
se Kevin ci era riuscito.
Mi si imporporano le guance.
Ma perché
pensavo a
lui... cosa mi stava succedendo?
Erano le 8 in punto.
Io avevo le lezioni
individuali con Cato (tremavo al pensiero) alle 2 del pomeriggio, dopo
pranzo.
Cosa avrei
fatto tutta mattina? Sentivo che avevo dimenticato qualcosa di
importante... ma
cosa?
Mi scaraventai giù dal letto, e dopo mezz’oretta,
uscii
dal bagno tutta pronta e vestita anche se non sapevo dove sarei dovuta
andare.
Per fortuna risolse il
problema Ronalda, che cominciò a bussare fortissimo alla
porta... non ero
mica sorda!
Andai ad aprire e mi ritrovai
la faccia di Ronalda che, appena mi vide, tirò un sospiro di
sollievo: “Meno
male che sei già sveglia e pronta, temevo di trovarmi
davanti un mostriciattolo
appena svegliato”.
Cercai con tutte le mie forze di ignorare la frecciatina
della capitolina e sorrisi forzatamente.
“Buongiorno, Ronalda. E’
successo qualcosa?” - lei rise sonoramente e fece segno di no
con la testa - “Oh
no, cara, solo dobbiamo andare. Ricordi che c'è la sfilata
sul carro, a
mezzogiorno, dove sfilerai davanti a tutta la
città?!” - vedendo la mia espressione
di sorpresa, ne assunse una contrariata - “Ma non dirmi che
te ne si dimenticata!”
Io riuscii solo a stamparmi in faccia un sorriso falso.
Probabilmente interpretando il
mio sorriso come una negazione, senza lasciarmi il tempo di
controbattere, lei
strillò di seguirla e così, dopo aver chiuso la
porta, le corsi dietro. Dopo
essere scese con l’ascensore, arrivammo a un lungo corridoio,
con delle
porte ai lati. Avvicinandomi, notai che su ogni porta c’erano
scritte che
indicavano la funzione della determinata stanza - tipo “sala
trucco", oppure
“centro di controllo salute”. Tuttavia non varcammo
nessuna di quelle porte,
ma proseguimmo dritte, Ronalda sculettando.
Dio quanto mi stava
antipatica.
Alla fine arrivammo a una vasta
sala d’aspetto con delle sedie a ferro di cavallo sui lati. A
destra c'era
una porta, contrassegnata dalla scritta “Centro stilismo per
sfilata e
intervista”.
Improvvisamente Ronalda si
fermò, e dovetti sbilanciarmi all’indietro per non
finirle addosso.
Poi, si voltò con un
sorriso
raggiante in volto, manco stessimo andando al Luna Park... e
cominciò con la sua
parlentina inarrestabile.
“Questo è il
posto che serve
per casi
irrecuperabili come voi, e...” - casi
irrecuperabili? Ma lei si era mai
vista allo specchio? -“...verrete qui anche per prepararvi in
vista
del’intervista con il mio caro amico Ceaser, te e tutti gli
altri tributi, si
intende” - concluse con un risolino.
Mi chiesi se quella donna fosse capace di
formulare una frase che non includesse risatine.
Probabilmente no.
“Allora io ti lascio.
Ora
siediti e aspetta che la ragazza prima di te esca, dopodichè
ti chiameranno ed
entrerai" - e se ne andò. Ah, che sollievo. Era
insopportabile quella
donna.
Mi sedetti, ubbidendo.
Chissà
chi era la ragazza prima di me. Non mi rimaneva che aspettare.
Non dovetti aspettare molto.
Infatti, dopo circa dieci minuti la sudetta ragazza uscii dalla porta.
Cavolo, stava molto bene. Era
vestita con un abito abbastanza attillato, rosso fuoco, tutto
tempestato da
cristalli e pietre preziose. Era un incanto. Ipotizzai che dovesse
essere
dell’Uno, dato che era il Distretto del lusso.
Ah, quindi era anche la ragazza
che forse avrei avuto come alleata. Non mi sembrava male. Di sicuro
aveva
diciotto anni compiuti.
Mi passò davanti senza
degnarmi
di uno sguardo, come se non mi avesse notato.
Subito dopo ecco uscire una
stilista che, sorridente, disse - “Tu sei la
ragazza del Due, vero? Entra pure.” - sorrisi, mi stava
simpatica.
Non mi guardava con compassione e questo mi faceva piacere.
Mi fece entrare nella
stanza.
Era enorme, circa il doppio
della mia stanza, calcolai.
Mi fece accomodare su una
poltroncina e mi disse di aspettarla.
Subito dopo ritornò
con un
pacco di fogli in mano, sul primo dei quali era scritto a grandi
lettere
“DISTRETTO DUE”.
Immediatamente cominciò con una valanga di domande, del tipo
quale colore mi piacesse, la forma dell'abito che avrei voluto
indossare, e così via.
Man mano che rispondevo, e indicavo come mi sarebbe piaciuto il
vestito, lei cercava veloce tra i fogli.
A un tratto la sua espressione si
tramutò da confusa a soddisfatta. Evidentemente aveva
trovato qualcosa.
Subitò
sventolò in aria un
foglio, esultando. Poi, me lo mostrò.
Rimasi a bocca spalancata.
L’abito che mi stava mostrando era semplicemente magnifico.
Era di colore blu
elettrico, senza spalline e con un corpetto da urlo. La parte sopra era
fatta
di tulle bianco, sotto invece sembrava quasi un’armatura,
dato che riportava
crepe, in memoria del Distretto Due, il distretto delle armi. La gonna
invece era ampia, ma non troppo, e scendeva con delle balze molto armoniose.
La stilista si rese conto della mia reazione e sorrise ancora
di più. Era evidentemente soddisfatta.
“Sono contenta che ti
piaccia”.
Io in tutta risposta le sorrisi.
“Tra poco lo potrai
indossare,
ma prima dobbiamo sistemarti”.
Detto questo, mi
indicò un
lettino, su cui io mi stesi. Dopo avermi fatto la ceretta, che mi aveva
fatto
anche cacciare qualche urletto, mi stese sulle braccia e sulle gambe
una specie
di crema, che poi mi rivelò essere un illuminante per il
corpo. A detta sua,
sarei stata splendida sul carro.
Finito il lavoro,
iniziò a truccarmi, impresa piuttosto faticosa.
Ma ne valse la pena.
Infatti, una volta truccata e vestita con quell’abito che si
era fatta
consegnare dai magazzini, ero bellissima. Il trucco non era esagerato,
data la
mia giovane età, ma comunque splendido. I miei boccoli neri
erano lasciati sciolti
sulle spalle e... insomma, non c’erano parole per
descrivermi. Ero bellissima.
Soddisfatta salutai la
stilista, che mi aveva congedato, e mi recai fuori dalla stanza.
Di certo non mi aspettavo di
trovare la ragazza del Tre ad aspettare fuori dalla porta.
Era una ragzza sui
sedici anni e sembrava
piuttosto
spaventata. Mi lanciò uno sguardo fugace per poi ritornare a
fissarsi le mani.
Le passai davanti e, ignorando
la strana sensazione di pericolo che mi attanagliava lo stomaco, mi
recai verso
il secondo piano.
Subito venni bloccata da Cato
che spuntò fuori all’improvviso da un'angolo.
Ma perché
doveva fare il ninja
anche in una situazione simile?!
Mi squadrò da capo a
piedi.
“Carina." - si limitò a dire.
“Grazie” - risposi semplicemente.
Poi,
aggiunse - “Seguimi".
Ubbidii e, quasi subito, ci trovammo all’anticamera dei
carri. Davanti a noi,
il lungo viale dei
tributi. Non me l’immaginavo così largo e lungo!
Il mio carro (e quello di
Kevin) era il secondo della fila, ovviamente.
“Sali” - mi
ordinò Cato.
Salii senza fiatare... era
piuttosto traballante.
“Uhm... sei troppo bassa". Io lo guardai con sguardo
truce, come a dire grazie,
come se non
lo sapessi già.
Aveva una mano sul mento, rifletteva. Infine, sembrò
arrendersi poiché sospirò e disse
“pazienza”.
“Oh, scendi pure”, disse poi.
Scendendo, quasi inciampai. Nell’ansia
del momento non mi ero accorta che non eravamo soli
nell’anticamera. Infatti c’erano già
quasi tutti i tributi, che tra l’altro non avevo ancora avuto
l’opportunità
di vedere.
Spostai subito lo sguardo verso
il Carro dell’Uno, curiosa. Beh, la ragazza la conoscevo
già, l’avevo vista.
Il ragazzo invece no: sembrava forte,
se sarebbe stato un mio alleato era un bene, se non lo fosse stato... un male. Non sapevo identificarne
l’età.
Volevo continuare a vedere gli
altri tributi ma non ne ebbi l’opportunità,
perché in un baleno la stanza si
era riempita...quindi, doveva essere mezzogiorno. Era ora, sarebbe
iniziata la
sfilata. Un po’ ero preocccupata, ma non impaurita.
Finchè era solo una sfilata…
Cato e Ronalda, che nel
frattempo era arrivata, mi ordinarono di salire sul carro. Salii,
raggiunta da
Kevin, che correva come se fosse in ritardo.
Era vestito con un
completo elegante, blu scuro, e con una cravatta nera. Sulla giacca
erano
riportati ricami di spade e altre armi... interessante. Mi
raggiunse sul carro.
Mi guardò, e sorrise -
“Stai
molto bene” - sorrisi a mia volta - “grazie, anche
tu non sei male” lo punzecchiai.
Lui fece finta di non aver sentito e volse lo sguardo dritto davanti a
sè,
sempre mascherando un sorrisetto.
E, prima che ce ne potessimo
rendere conto, il carro era partito. Tra pochi secondi saremmo stati
davanti
agli occhi di tutta Capitol City.
Involontariamente, strinsi la
mano di Kevin a fianco di me. Poi arrossii e subito la ritrassi. Lui
fece finta
di niente, ma sapevo che anche lui era imbarazzato.
Le mie orecchie erano
distrutte. I capitolini urlavano e acclamavano, come sempre.
Ad un tratto, a metà
strada,
Kevin mi afferrò la mano e io, spaventata, la ritrassi
nuovamente, ma lui la ripree
lanciandomi un'occhiata.
Avevo
capito: strinsi la sua e, insieme, alzammo le braccia e le nostre mani
incorciate. Il messaggio che volevamo dare era chiaro: eravamo uniti in
onore
del Distretto Due e contro Capitol City.
A vedere il nostro gesto, la
folla acclamò e ci lanciò rose e monete. Proprio
come l’anno prima con Katniss
e Peeta, che avevano compiuto lo stesso gesto.
Le nostre mani rimasero unite
fino a quando il carro non si fermò davanti alla tribuna
degli strateghi.
Ad un
tratto Snow salutò con la mano, facendo
esultare maggiormente la folla.
Poi, come ogni dannato anno, iniziò il suo
discorso di benevenuto ai tributi.
“Benvenuti, tributi
della 74esima edizione degli Hunger Games! Che la fortuna sia sempre a
vostro
favore!” - applausi riempirono le nostre orecchie.
“Sappiamo
tutti il motivo del
vostro essere qui, come ogni anno. Per far si che non accada
più quel successo
nei Giorni Bui è necessario il vosro sacrificio. Nessun
crimine può essere
impunito. Buoni giochi!” - e con questo concluse il suo
discorso, pieno di
menzogne, ancora una volta.
Poi i carri ripresero la
marcia e si fermarono in
un’anticamera sotto le tribune dei capi. Cato e Ronalda erano
già lì,
sembravano entusiasti.
“Bravi
ragazzi, è stato fenomenale, anche se il pubblico
l’aveva già visto.” - era stato Cato a
parlre. Per la prima volta si stava
congratulando con noi.
“Ora
andiamo” - disse Ronalda.
Prima di seguirli, volsi
lo
sguardo verso il ragazzo del Sei.
Mi stava fissando con
uno sgaurdo carico di
odio: lo ignorai, e, senza più voltarmi,
raggiunsi i tre.
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