nėptune
Caleb
non ricorda come sia cominciato.
Forse era successo per assecondare l’irrazionale bisogno del
genere umano di non essere soli.
Per cosa, poi? Per non essere compatiti?
In David aveva trovato una solitudine simile alla sua. entrambi si
usavano per salvarsi, ma la verità è che
fingevano di essere l’uno la roccia dell’altro.
Certi dolori sono troppo profondi e viscerali per essere cancellati
dalla sola presenza di qualcuno.
Caleb rientra a casa, in un grigio pomeriggio d’inverno.
Fuori ci sono nuvole cariche di pioggia e il mondo continua a girare
incurante di tutto e di tutti; dentro l’appartamento, invece,
regna il silenzio più totale, accompagnato solo dal buio,
fedele amico di sempre. I mobili sono sovrastati dal consueto strato di
polvere, mentre oggetto è rimasto nella posizione in cui
Caleb l’ha visto per l’ultima volta, quella
mattina, prima di uscire. I libri sui loro scaffali, le stoviglie della
colazione ancora da lavare posate nel lavello della cucina.
La porta si chiude alle sue spalle, e Caleb si lascia sfuggire un
sospiro pesante, permettendo alla sua giacca di cadere
sull’appendiabiti all’ingresso. Di rado gli era
passato per la mente il pensiero che andare a vivere insieme fosse
stata una cattiva idea, salvo poi scacciarlo via subito dopo,
passandosi una mano davanti al volto come allontanando un insetto
fastidioso. Certo, ai più la loro sarebbe potuta sembrare
una relazione basata solo sul sesso, ma Caleb sapeva che
c’era molto di più. All’inizio forse
erano stati proprio loro a pensarla così –
“nulla di impegnativo, niente di serio, sarà solo
un gioco per divertirci un po’” –, ben
presto tuttavia era stato evidente ad entrambi che non avrebbero mai
potuto permettersi quella leggerezza che tanto agognavano.
Caleb attraversa il corridoio in silenzio, l’unico rumore che
si rincorre lungo le pareti è l’eco dei suoi passi.
Trova ogni stanza vuota: la cucina, il soggiorno, perfino la loro
camera da letto. È un appartamento piccolo e modesto, eppure
ai loro occhi era sempre stato perfetto, arredato con lo stretto
necessario: pochi mobili, tutti volti ad un’unica parola
d’ordine, praticità.
In effetti, in quel suo essere così strettamente essenziale,
era ancor di più uno specchio delle loro
personalità. Il divano di seconda mano, i libri acquistati
al mercatino delle pulci, i piatti e i bicchieri tutti contraddistinti
da almeno una sbeccatura. David diceva di amarli per questo,
perché li rendeva unici – “sono come
noi, hanno tutti un difetto” – e, per quanto Caleb
potesse fare il duro e prenderlo in giro, in realtà sapeva
che aveva perfettamente ragione – e David era al corrente
anche di questo.
Erano una bella coppia, in fin dei conti: due ingranaggi che giravano
in un modo tutto loro, ma che, alla fine, funzionavano bene.
Quando arriva al bagno Caleb per poco non entra, iniziando a sospettare
che David sia uscito – ed è strano,
perché ormai è abituato a vederlo restare sempre
rinchiuso in casa. In realtà sarebbe felice di saperlo
fuori, con l’aria fresca del mondo esterno a riempirgli i
polmoni, solo che ne sarebbe sorpreso, considerate le condizioni in cui
riversa ormai da lungo tempo, le stesse in cui l’ha lasciato
prima di uscire, poche ore prima.
In bagno la luce del sole entra con violenza attraverso la piccola
finestra, illuminando intensamente il modesto ambiente. Per un momento
Caleb è costretto a portarsi una mano davanti agli occhi per
proteggersi da quell’esposizione improvvisa, e, nel mentre
che il suo sguardo s’abitua al nuovo ambiente ne approfitta
per fissare in basso. È solo così che si accorge
della figura distesa nella vasca.
Non c’è acqua. David è lì,
rannicchiato su se stesso, gli occhi chiusi e i capelli turchini sparsi
sulla superficie in ceramica candida. Ha ancora i vestiti indosso, e
questo fa pensare a Caleb ancora di più che non fosse
lì per farsi un bagno.
Caleb si siede a terra, in silenzio, premendo la schiena contro la
vasca. L’unico rumore percettibile è il gocciolio
costante del lavandino, e Caleb spera che quel silenzio basti a
contenere la sofferenza di David.
Erano rimasti insieme perché erano due anime sole.
All’inizio tutto sembrava andare per il verso giusto: il
sesso non era mai abbastanza, nessuno dei due riusciva a saziarsi delle
labbra dell’altro, del corpo dell’altro. Caleb era
solito lasciare segni sul corpo di David, morsi sul collo, il solco
delle dita sui fianchi stretti in una morsa ferrea. Voleva che tutti
sapessero che era suo, che il suo odore gli rimanesse sempre addosso.
Anche lontano dal letto tutto procedeva perfettamente: Caleb passava la
maggior parte del giorno fuori casa, alla ricerca di un lavoro che
potesse sostentare entrambi e, quando la sera rientrava esausto,
trovava David ai fornelli, intento a preparare la cena. Caleb lo
abbracciava da dietro, posandogli un bacio sul collo. ogni volta David
si lamentava, perché diceva che lo distraeva, e proprio per
questo Caleb continuava a farlo, perché quei suoi borbottii
lo divertivano troppo. Poi, dopo cena, si accoccolavano sul divano per
guardare un film, una coperta avvolta attorno alle spalle –
salvo poi, spesso e volentieri, addormentarsi lì.
Presto, furono proprio quei momenti a diventare i loro preferiti e a
far capire loro che la loro relazione stava cambiando, maturando sempre
di più.
Fu allora che le cose cominciarono ad andare male.
A volte David s’incupiva, all’apparenza senza alcun
motivo. Le prime volte Caleb aveva cercato di attirare la sua
attenzione, tuttavia ben presto aveva compreso che, in quei momenti, la
sua voce non aveva alcun effetto su di lui. L’unica soluzione
era aspettare: dopo qualche minuto, infatti, quel blocco sembrava
svanire nel nulla, con la stessa rapidità con cui era
apparso. Gli occhi di David smettevano di essere lucidi, il sorriso
ricompariva sulle sue labbra e lui tornava a dedicarsi a qualsiasi cosa
stesse facendo prima di fermarsi.
I primi tempi Caleb non ci aveva dato troppo peso. Aveva pensato che
fosse una stranezza qualsiasi – peculiare, certo,
però non sembrava avere particolari ripercussioni su David,
come un pensiero che per un poco interrompeva il normale flusso
d’idee. poi però quei momenti avevano cominciato
ad essere sempre più frequenti, David aveva smesso
progressivamente di uscire di casa e a rimanere in silenzio, senza
rivolgere parola ad anima viva.
A Caleb torna in mente quella volta in cui, diverso tempo prima, quando
David si arrischiava ancora ad uscire di casa di tanto in tanto, loro
due si erano attardati e nel mentre era scoppiato un temporale
improvviso. Ovviamente nessuno dei due aveva portato con sé
un ombrello, così Caleb gli aveva proposto di correre fino a
casa. David aveva accettato, così si erano precipitati sotto
il diluvio universale, vestiti fradici e piedi che affondavano nelle
pozzanghere. A un certo punto, tuttavia, Caleb aveva smesso di sentire
i passi di David alle sue spalle, così si era voltato e
l’aveva trovato immobile sotto la pioggia, gli occhi chiusi e
le braccia distese, come se stesse aspettando di essere cancellato da
quel rovescio.
Caleb avrebbe voluto sapere dove se ne andava David con la mente, in
quei momenti. Una volta avevano vagato per la città per
tutta la notte, salvo poi sedersi su una panchina metallica, in un
vecchio parco abbandonato, poco prima dell’alba, con
l’aria gelida della notte che ancora martellava loro le ossa.
Sorprendentemente, da lì il cielo si vedeva così
bene, complice forse la lontananza delle luci dei grattacieli e
quell’unico lampione dalla luce fioca che rischiarava a
malapena il viottolo in cui si erano fermati, così David ne
aveva approfittato per sfoggiare le sue conoscenze di astronomia. Caleb
non aveva neppure idea che ne fosse appassionato, tuttavia la luce che
David aveva negli occhi mentre parlava di pianeti e costellazioni era
troppo affascinante per non permetterle di conquistarlo,
così Caleb era rimasto ad ascoltarlo, le lattine con le
bibite gassate dimenticate in un angolo. Tra le altre cose di cui gli
aveva parlato, ricordava ancora ciò che gli aveva detto
riguardo al pianeta Nettuno: il colore bluastro che lo caratterizzava,
le sue temperature gelide e i venti che lo funestavano continuamente.
Col tempo, per Caleb era diventato impossibile non pensare che David,
in quei momenti d’assenza, non si trovasse proprio su Nettuno.
In fondo, andava bene così. Finché David fosse
stato bene, quei momenti avrebbero potuto continuare a presentarsi.
Quel silenzio era così grande da contenere la solitudine di
entrambi, forse.
Caleb avrebbe voluto amarlo quanto lo amava David.
Caleb avrebbe voluto che David si amasse quanto lo amava lui.
Una mano si sporge oltre il bordo della vasca, accarezzando una chioma
di capelli turchini.
▬
note
lo so, è difficile immaginarsi questi due come una coppia.
la verità è che all’inizio non avevo
neppure idea sul fandom da scegliere per questa storia, ed ero molto
confusa anche sulla storia stessa. avevo dei flash in mente, ma non
riuscivo a collegarli tra di loro. solo adesso mi rendo conto che
questo sia successo perché al posto di caleb e david ci
sarebbe potuto essere letteralmente chiunque.
quello di david potrebbe assomigliare a un disturbo realmente esistente
denominato fuga dissociativa. non me la sono sentita di scriverlo a
chiare lettere, perché non credo neppure di essere informata
fino in fondo sull’argomento, e sono convinta che non si
possa trattare di argomenti seri in maniera superficiale, sarebbe una
totale mancanza di rispetto verso chi magari soffre di determinate
malattie o disturbi. potrebbe trattarsi di semplice malinconia, oppure
di depressione – sfortunatamente, in questo campo sono
più ferrata. preferisco comunque restare sul vago, credo che
la scelta migliore sia lasciare libera interpretazione al lettore.
tornando a noi, la storia mi è venuta letteralmente in mente
sotto forma di flash. sapevo che dovevo collegare un ragazzo immerso in
una vasca da bagno – anche se in principio doveva essere
piena, ma si sa, alla fine quando si scrive la penna fa un
po’ quello che vuole –, una profonda sofferenza e
l’accenno al pianeta nettuno. da qui è nata questa
cosa, in parte diversa dal progetto iniziale che avevo in mente,
sebbene non fosse del tutto chiaro nemmeno a me. perfino la frase
più importante della storia doveva esserla diversa, ma
adesso non riesco più a modificarla, vuoi per pigrizia, vuoi
perché alla fine non è poi terribile neanche
così.
ma non importa. ho deciso di affrontare una fase di sperimentazione.
voglio uscire dalla mia comfort zone, provare cose nuovi, sia nei
generi che nelle coppie. la scrittura, in fin dei conti, è
anche evoluzione.
non ricordo la metà delle cose che dovevo dire, ma non credo
sia importante. sarà già tanto se qualcuno
deciderà di aprire questa storia, non mi aspetto che arrivi
fino a qui. spero che questo mio desiderio di voler variare non venga
mal giudicato, è solo che la monotonia, a lungo andare,
stanca.
prossimo progetto? probabilmente una fudofuyu ambientata in epoca del
proibizionismo, ma questo solo il tempo potrà dircelo.
grazie per la lettura
aria
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