Every lie is trying to break me
Da sinistra verso destra: Roddy Botum, Mike Patton, Jim Martin,
Bill Gould e Mike "Puffy"
Bordin
Every
lie is trying to break me
«Per oggi
metterà da parte
anche questo, anche l'ennesimo sguardo, anche l'ennesimo abbraccio,
anche
l'ennesima carezza.
Anche
l'ennesimo senso di colpa.»
falcediluna_ - Today
“Dai Jim, devo andare.”
Ridacchiavo mentre mi mettevo a
sedere sul letto da una piazza e mezzo.
“Hai fretta?” Il
ragazzo al mio fianco, che fino a poco
prima mi dava le spalle, si mise supino, poi afferrò la mia
mano e la portò tra
i suoi capelli, dove era stata per interminabili minuti, fino a quel
momento.
“Va bene che mi piacciono i tuoi
capelli, ma mi sa che te ne
stai un pochino approfittando” borbottai, facendo scorrere le
dita tra i suoi
riccioli scuri.
Mi sporsi leggermente su di lui e lo vidi
socchiudere gli
occhi, come faceva sempre quando giocavo con la sua fluente
capigliatura,
mentre un leggero tanfo di alcol mi pizzicava le narici.
Jim aveva alzato un po’ il gomito
quella sera, lo capivo dal
suo volto arrossato e lo sguardo appannato.
“Dai, resta qui. Fammi
addormentare” mormorò, strattonandomi
per il bordo della maglietta.
Mi arresi e mi sdraiai nuovamente accanto a
lui, posando la
testa sulla sua spalla. Alla fine ci cascavo sempre, non mi stancavo
mai di
quel calore che mi invadeva quando gli stavo così vicino.
E poi era così tenero quando si
ubriacava e richiedeva a
gran voce le mie attenzioni, come un bambino bisognoso di coccole.
Sbadigliò e mi strinse ancora
più forte a sé, posandomi una
mano sul fianco.
“Tu ti stai già
addormentando, cosa ci faccio qui? Vuoi che
ti racconti la favola della buonanotte?” scherzai.
“Potresti anche farlo.”
Sorrisi. “Non sono bravo in
queste cose.”
“Va bene, allora la racconto
io” biascicò; anche se non
potevo scorgerlo, immaginai che un sorriso sghembo gli si fosse dipinto
in
faccia. “C’era una volta una band di cinque ragazzi
che erano in tour e
litigavano sempre. Un giorno arrivarono in quest’hotel e
fecero giusto in tempo
a entrare nelle camere che tutta la struttura
crollò.”
Storsi il naso. “Così
però mi fai venire gli incubi.”
Lui sollevò la mano che teneva
sul mio fianco e me la posò
sulle labbra. “Shh, non ho finito, adesso arriva la parte
bella. C’era sangue
ovunque, era una carneficina, ma per fortuna – o per
sfortuna, questo non lo so
– tutti e cinque i componenti della band sopravvissero. Solo
che a ognuno di
loro mancava una parte del corpo: al chitarrista mancava un piede, al
batterista un braccio, e così via. Tutti si misero alla
ricerca delle parti
mancanti, ma in mezzo ai detriti era impossibile, ovviamente. Per
fortuna
arrivò la polizia e l’ambulanza, e sai cosa fecero
i ragazzi della band?
Staccarono la parte del corpo che mancava loro da un paramedico o da un
poliziotto e si ripresero ciò che gli apparteneva di
diritto. Fine della
storia.” A ogni frase le sue parole erano sempre
più biascicate e confuse.
Mugolai. “È terribile,
Jim. E quale sarebbe la morale?”
“Morale? Ah già, non
ci avevo pensato… è che cambiando
l’ordine degli addendi, il risultato non cambia.”
Scoppiai a ridere: era troppo spassoso
quando delirava in
quel modo. Per chiunque sarebbe stato paradossale sentirlo portar fuori
certe
cose macabre e disgustose mentre giocherellava in maniera smaliziata
col bordo
della mia maglietta, solleticandomi appena la pelle, ma per me era la
routine.
Era semplicemente Jim.
Mi liberai dalla sua stretta, ormai debole
per via del
dormiveglia che stava assorbendo il ragazzo, e mi misi finalmente a
sedere sul
bordo del materasso, stiracchiandomi. Un brivido di freddo mi
attraversò il
corpo, ma non cedetti alla tentazione di tornare tra le confortanti e
calde
braccia del chitarrista.
“Okay, è il caso che
io vada, si è fatto tardi. A domani”
conclusi, dirigendomi verso l’uscita.
Lui bofonchiò qualcosa di
incomprensibile, rigirandosi
scompostamente nel letto, e io mi lasciai sfuggire un sorriso prima di
lasciare
la stanza.
Ma quando piombai nell’anonimo
corridoio dell’albergo, una
sensazione terribilmente fastidiosa mi invase, rivoltandomi lo stomaco.
Avevo appena lasciato Jim per intrufolarmi
nella stanza di
Mike, ed entrambi sapevamo cosa sarebbe successo.
Non sarei dovuto andare da Jim prima di
correre da Mike.
O forse non sarei dovuto andare via dalla
stanza di Jim per
raggiungere Mike.
Scossi il capo, ripetendomi ancora una
volta quanto fosse
patetica quella situazione.
Ero un mostro.
L’acqua mi scorreva sul corpo,
dividendosi e riunendosi in
piccoli rivoli, talmente bollente da farmi male. Avevo sempre saputo
che il
calore era in grado di cancellare e purificare; era proprio quello
l’effetto
che volevo ottenere, desideravo eliminare ogni traccia dello sporco
rapporto
tra me e Mike che era rimasto incastrato sulla mia pelle.
L’idea di essere il suo
giocattolo sessuale mi faceva star
male, tuttavia non riuscivo a dirgli di no, mai, in nessun caso. Anche
quella
notte ci eravamo ritrovati a condividere la camera d’albergo
e anche quella
notte mi ero ritrovato a desiderarlo con tutto me stesso.
Come al solito, Mike aveva soddisfatto sia
le mie che le sue
voglie, sempre col suo fare rude e poco avvezzo agli scambi
d’affetto.
Tenevo davvero tantissimo a lui, ero
profondamente
affascinato dalla sua stravaganza e mi sarebbe davvero piaciuto essere
il suo
uomo, l’unico a renderlo felice.
Ma Mike non voleva. Non era questo che
cercava in me, a lui
bastava prendersi il mio corpo per essere soddisfatto e credere che
anche io lo
fossi.
Io glielo lasciavo credere.
Con un sospiro, versai
un’abbondante dose di bagnoschiuma
sulla spugna e presi a strofinarmela sulle braccia, sul petto, sulle
spalle; la
premevo forte, con rabbia, quasi volessi scorticarmi la pelle.
Poi c’era Jim. Quel ragazzo
burbero e strano, che si vestiva
sempre di nero e faceva discorsi sconclusionati, quello che tutta la
band
odiava, ma nessuno lo conosceva come lo conoscevo io. Con me si apriva,
mi
coccolava, diventava affettuoso fin quasi alla nausea, mi riempiva le
orecchie
delle sue idee bizzarre e il corpo di carezze.
Colmava il vuoto che Mike lasciava.
E nemmeno a lui sarei mai riuscito a
rinunciare.
Mi sentivo così sporco,
così corrotto.
Mentre gli occhi cominciavano a bruciarmi
– proprio come la
mia pelle – il mio flusso di pensieri venne interrotto da un
rumore quasi
impercettibile: la porta del bagno era stata aperta.
Rabbrividii, sapendo già cosa
sarebbe accaduto: una sola
persona si trovava in stanza insieme a me quella sera.
“Ehi, Roddy” sentii
mormorare Mike con quel tono di voce
basso e profondo che mi s’insinuava fin nelle ossa.
Rimasi in silenzio, in attesa.
Diversi secondi più tardi, il
pannello in plexiglass che
delimitava il box doccia scorse di qualche centimetro rivelando la
figura di
Mike, del tutto vestito e coi capelli ancora arruffati. I suoi occhi
scuri e
penetranti percorsero con voracità il mio corpo nella sua
interezza, mentre sul
suo viso si dipingeva un sorrisetto sornione.
Non fui in grado di sostenere il suo
sguardo e abbassai il
capo, sentendomi indifeso e disarmato, come ogni volta che mi ritrovavo
in sua
compagnia.
Tuttavia non poteva che farmi piacere la
consapevolezza di
essere l’oggetto dei suoi desideri.
Mosse un passo avanti, infischiandosene del
fatto che i
vestiti si sarebbero bagnati, e mi intrappolò in quello
spazio angusto,
continuando a inchiodarmi con lo sguardo.
Eravamo così vicini che il suo
respiro si mischiava al mio e
la cosa non poteva che eccitarmi ed elettrizzarmi.
“Non ci stiamo, Mike”
sussurrai, ma il luccichio che
attraversò i suoi occhi mi dissuase dal dire qualsiasi altra
cosa.
Non mi volevo opporre, quella era la
verità.
Mike si avvicinò ancora di un
passo e io fui costretto a
schiacciarmi contro le piastrelle per fargli spazio. Ormai i suoi
indumenti
erano zuppi e aderivano deliziosamente al suo corpo.
“Ops, sono completamente
fradicio. Che disastro, bisogna
porre rimedio” mormorò in tono ironico e
malizioso, poi si sfilò via la
maglietta con movimenti frenetici e la scaraventò fuori.
A me non rimaneva che guardare. Mike non mi
permetteva mai
di spogliarlo o di toccarlo, o almeno, potevo farlo solo quando era lui
a
dirmelo.
Mentre lui si liberava dei suoi indumenti,
io sentivo una
grande eccitazione crescere in me; improvvisamente l’acqua mi
sembrava troppo
calda e il vapore in cui era immerso il bagno sembrava volermi
soffocare.
Mugolai quando le mani di Mike mi furono
addosso, sapevano
esattamente cosa cercare, come muoversi; sapeva ormai cogliere ogni mio
segnale.
Mi lasciai andare ancora una volta, la
seconda di quella
sera, sentendomi nuovamente sporco.
Non mi importava nemmeno di ciò
che Mike pensasse di me, non
mi importava se lui provasse dei sentimenti nei miei confronti.
Mi importava di Jim.
Stavo tradendo entrambi.
Errore, errore, errore.
Che parola strana: dolorosa, in un certo
senso.
Sentivo tutto il peso, tutto il dolore, dei
miei
schiaccianti errori. E non potevo far finta di niente mentre eravamo in
tour,
dovevo stare a contatto ventiquattro ore al giorno sia con Mike che con
Jim.
Per fortuna quella sera ci sarebbe stata
l’ultima data
inglese e poi avrei avuto del tempo per staccare, per pensare e
decidere come
venir fuori da questa situazione senza offendere nessuno.
Sospirai e perdetti lo sguardo fuori dal
finestrino, dove si
estendeva la brughiera inglese. Doveva fare davvero caldo là
fuori, mentre io
dentro il tour bus quasi tremavo per via dell’aria
condizionata troppo forte.
“Ehilà!”
Bill mi raggiunse e lo sentii prendere posto su una
poltroncina accanto a me.
Non mi voltai a guardarlo finché
qualcosa non mi venne
posato sulle ginocchia: si trattava di un piatto con dentro una sghemba
omelette mezzo bruciacchiata.
Sollevai lo sguardo sul bassista,
perplesso, e lo trovai che
sorrideva appena.
“Mia nonna mi diceva sempre: un
buon pasto sostiene il
cammino di colui che ama profondamente il buon cibo.
Generalmente mentre mi
versava la terza porzione di tacchino ripieno”
affermò in tono allegro.
Storsi il naso. “Ha delle parti
carbonizzate… l’hai fatta
tu?”
“Ma certo che no, io so cucinare
molto meglio. L’ha fatta
Puffy.”
Sospirai, afferrando la forchetta posata
sul piatto e
giocherellandoci. “Non si offenderà se non la
mangio, vero?”
“Perché non dovresti
mangiarla? Puoi togliere le parti
bruciate e…”
“Non ho fame, ho lo stomaco
chiuso.”
Bill sbuffò e fu sul punto di
dire qualcosa, ma si bloccò e
si guardò intorno con circospezione, assicurandosi che non
ci fosse nessuno
intorno a noi. La privacy in tour era un miraggio, ma quando avevamo
qualcosa
di cui discutere in privato sceglievamo sempre il fondo del tour bus,
la zona
meno frequentata, quella in cui il rombo del motore era più
forte e copriva
almeno in parte le nostre parole.
Il mio amico tornò a
concentrarsi su di me e mi fissò con
un’espressione serissima, che assumeva sempre quando si
entrava in qualche
argomento spinoso. “Roddy, non puoi andare avanti
così. Insomma, quei due già
non si sopportano e sognano di farsi fuori l’un
l’altro, se poi scoprono il tuo
doppio gioco lo scontro sarà inevitabile.”
Colpito e affondato. Bill aveva capito
esattamente quali
fossero i miei pensieri senza che io li esternassi; il mio amico aveva
una
sorta di sesto senso per quel tipo di questioni.
Ma ora parlarne sarebbe stato dannatamente
difficile.
Sospirai. “Lo so, so tutto, pensi
che io non l’abbia tenuto
in conto? Ma non riesco a dire di no a nessuno dei due
perché… io non so se li
amo, ma sicuramente tengo tantissimo a entrambi e adoro le loro
attenzioni. Sì,
perché entrambi mi danno importanza, anche se in maniera
diversa. Si completano
a vicenda.” Ero arrossito nel pronunciare quelle parole, mi
vergognavo un sacco
ad ammettere ad alta voce quella situazione che era davvero troppo
squallida.
“Okay, senti: da uomo a uomo, non
puoi farti scopare da
Patton e mezz’ora dopo fare gli occhi dolci a Jim.
È scorretto, lo capisci? E
non solo nei loro confronti, ma anche e soprattutto nei tuoi.”
Abbassai lo sguardo. Bill era stato diretto
come sempre,
senza peli sulla lingua, nonostante sapesse di potermi far male con
quelle
parole.
Io lo apprezzavo, avevo bisogno che
qualcuno mi sbattesse in
faccia la verità.
“Non puoi fare la puttanella
della band, cazzo. Se ci
servisse una puttana, sapremmo come procurarcela, no?”
Senza staccare lo sguardo
dall’omelette ancora intatta –
ormai si stava sfreddando – presi un respiro profondo e
parlai con calma,
cercando le parole giuste per esprimermi: “Hai ragione, ci
sto male, ma ormai
il danno è fatto e non esiste un modo per tornare indietro
senza ripercussioni e
senza far male a nessuno. Ogni giorno io mi sveglio, apro gli
occhi e queste
bugie si moltiplicano e mi divorano: mento all’uno,
mento all’altro, loro
sono felici e anche io. Cosa dovrei fare secondo te?”.
“Semplice: scegliere tra uno dei
due” replicò prontamente
Bill.
“Semplice?! Billy, io…
io non voglio che qualcuno soffra a
causa mia” mormorai, trovando finalmente il coraggio di
incrociare i suoi
occhi.
“Appunto! Quindi non vuoi nemmeno
che si uccidano a vicenda
a causa tua, giusto?”
“Esatto.” Annuii, poco
convinto. “Per adesso lasciamo le
cose come stanno, oggi è l’ultima data del tour e
poi avrò tempo per pensarci.
Credo che un po’ di lontananza da entrambi mi
aiuterà a schiarirmi le idee… o
almeno spero.”
Bill sorrise. “Ancora non ho
capito come fai a stare
appresso a uno di loro, figuriamoci a entrambi.”
Risi. “Mike e Jim sono
particolari, ma hanno anche tanti
pregi, bisogna solo saperli cercare.”
Bill ghignò e mi si
avvicinò, mentre una scintilla maliziosa
gli illuminava gli occhi. “Per esempio, un pregio di Patton?
Scopa molto bene?”
Lanciai un gridolino scandalizzato e lo
spinsi via. “Che
coglione! Certe volte sei davvero bastardo, sai?”
Lui si abbandonò sulla sua
poltroncina, in preda alle
risate.
“Allora, piaciuta
l’omelette?” Anche Puffy ci raggiunse, ma
la sua allegria si tramutò in preoccupazione quando
notò il piatto ancora pieno
sulle mie ginocchia.
Gli rivolsi un’occhiata
mortificata. “Scusa Puffy, non ho
molta fame. Grazie comunque, ha un aspetto davvero delizioso.”
“Prima a me non hai detto
questo” puntualizzò Bill con un
sorrisetto innocente.
Gli tirai una gomitata. “Zitto,
razza d’idiota!”
Puffy ridacchiò e prese posto
davanti a me, posando i gomiti
sulle ginocchia e il mento sul palmo di una mano. “Dovrai
mangiare qualcosa
durante la giornata, altrimenti finirai per svenire sul
palco.”
“Tanto è
l’ultimo concerto, poi non servo più a
niente”
scherzai, ma nel mio tono di voce c’era una nota lugubre che
non avevo in
programma di lasciar sfuggire.
“Oh sì, ci servi a un
sacco di cose! Innanzitutto sei un
tastierista molto talentuoso, poi ci offri sempre da bere quando
dimentichiamo
di portarci i soldi appresso” cominciò a elencare
Bill.
“E sei utile anche a mantenere
gli equilibri in questa
gabbia di matti, altrimenti ci saremmo già uccisi tutti a
vicenda” proseguì
Puffy, prendendo a giocherellare con un suo dread.
“A proposito, Mike e Jim dove
sono?” si domandò il bassista,
gettando un’altra occhiata intorno a sé.
“Li ho lasciati in testa al tour
bus, che litigavano per non
mi ricordo quale motivo” spiegò Puffy con un
sospiro.
Mi morsi il labbro inferiore: le liti mi
mettevano sempre
ansia. Non ci avevo mai fatto l’abitudine, nonostante fossero
all’ordine del
giorno.
Soprattutto quando coinvolgevano proprio
loro due.
“Allora, per che ora dobbiamo
farci trovare pronti?”
“Dipende da molti fattori. Volete
fare il soundcheck? Volete
assistere anche ai live dei gruppi spalla?”
Una volta conclusasi
l’assegnazione delle stanze, la band
per intero si era radunata in corridoio insieme al tour manager per
definire le
ultime cose, prima di andare a riposarsi in previsione del concerto.
Mentre seguivo con attenzione la
conversazione che si stava
tenendo, sentii qualcuno alle mie spalle sfiorarmi appena la spalla e
poi
immergere le dita tra i miei capelli.
Non ebbi bisogno nemmeno di voltarmi per
capire di chi si
trattava.
“Jim, che fai?”
bofonchiai, sollevando una mano per posarla
sulla sua e scostarla gentilmente dal mio capo.
In genere non commetteva gesti del genere
quando eravamo in
mezzo agli altri, era troppo riservato per farsi scoprire, e
soprattutto non
volevo che Mike lo intercettasse.
“Vieni nella mia stanza quando
finiamo qui?” bisbigliò in
modo che solo io potessi sentirlo.
“Non lo so”
temporeggiai, mordendomi un labbro. La
tentazione era forte, ma non volevo destare sospetti nei nostri
compagni di
band.
“Dai…”
“Potrebbe essere” gli
concessi con un sorriso.
Quando mi concentrai nuovamente sul resto
dei presenti,
l’occhiata tagliente di Mike mi trafisse come un coltello
affilato.
Cercai di non mostrarmi troppo turbato, ma
fui certo che il
sangue fosse defluito dal mio viso e i miei occhi si fossero sgranati.
Cazzo, Mike se n’era accorto.
Però se ci aveva lanciato
quell’occhiata di fuoco voleva
dire che la cosa non lo lasciava indifferente. Forse era geloso?
Eppure quando stavamo insieme si mostrava
così distaccato…
lo sapevo, per lui esisteva soltanto la musica e non aveva il tempo
né la
voglia di concentrarsi su una relazione seria, ma quello sguardo mi
aveva
comunicato qualcosa di diverso.
Tuttavia, quando lo osservai nuovamente con
la coda
dell’occhio, lo trovai disinteressato e indifferente come al
solito.
Intanto il tour manager aveva finito di
spiegarci i
programmi per quella sera e io mi ero perso tutto, non avevo ascoltato
una
singola parola.
“Bene, buonanotte” si
congedò Puffy con una risatina,
intrufolandosi nella sua camera.
“Non vorrai davvero dormire prima
del concerto!” gli gridò
dietro Bill, ma il batterista aveva già richiuso la porta.
Il bassista si strinse nelle spalle.
“Va bene, ci vediamo
dopo” concluse, dirigendosi a sua volta nella sua stanza.
Mike era sul punto di fare lo stesso, mosse
qualche passo in
corridoio e stava per dire qualcosa, ma contemporaneamente accadde
qualcos’altro.
Fu una questione di istanti: se Mike avesse
distolto lo
sguardo un attimo prima, non avrebbe notato Jim che mi sfiorava quasi
accidentalmente il fianco, come a ricordarmi la richiesta che mi aveva
fatto
poco prima.
Se solo Jim avesse spostato la mano in
maniera più discreta…
Invece Mike lo notò. Se ne
accorse e guardò Jim fisso negli
occhi.
Il chitarrista sostenne
l’occhiata senza battere ciglio.
“Roddy, vieni un secondo con
me?” se ne uscì il cantante in
tono tranquillo, lasciandomi spiazzato.
Merda. E adesso cosa avrei dovuto
rispondere? Entrambi mi
avevano chiesto la stessa cosa!
Ero fottuto.
Ma ci pensò Jim a intervenire,
facendo un passo avanti e
superandomi. “Roddy viene con me.”
Un sorriso sarcastico increspò
le labbra del cantante. “In
che senso viene con te?”
insinuò in un sussurro quasi impercettibile,
dovetti decifrare il labiale per capire le sue parole.
Sentii una fitta al cuore. Oddio,
no… questo era il tipo di
commenti che faceva perdere le staffe a Jim.
Il chitarrista infatti inspirò
profondamente prima di dire
qualsiasi cosa. “Sei un pezzo di merda, Patton.”
“D’accordo, sono un
pezzo di merda, okay.” Mike azzerò la
distanza tra lui e Jim e gli si piazzò di fronte.
“Però tu tieni giù le mani da
Roddy, mmh?” scandì.
“Ragazzi, per
favore…” cercai di intervenire, ma non riuscii
a concludere la frase, paralizzato dalla scena che mi si svolgeva di
fronte.
Jim infatti, in preda alla rabbia come
poche volte l’avevo
visto, si era scagliato contro Mike e gli aveva assestato una potente
spallata,
facendo barcollare il cantante all’indietro; ma
quest’ultimo vacillò soltanto
per qualche istante, poi cominciò a tirare una serie di
pugni ai danni del
chitarrista.
Mi coprii gli occhi con le mani per non
vedere, mentre un
nodo sempre più stretto e soffocante mi si stringeva in
gola. Non poteva essere
vero, erano davvero arrivati alle mani per colpa mia.
Mi sentivo morire.
“Roddy fa il cazzo che vuole
senza rendere conto a te, hai
capito?” ringhiò Jim.
Ero davvero sorpreso dalla sua reazione:
non era certo il
tipo da risse e accese discussioni, se ne stava sempre in disparte e si
lasciava scivolare addosso le provocazioni. Perché se
l’era presa così?
Quando ebbi il coraggio di guardare di
nuovo, lo trovai che
bloccava Mike per le braccia, sovrastandolo di diversi centimetri; il
cantante
cominciò a gridare e a divincolarsi finché non
riuscì a liberare un braccio,
allora afferrò una ciocca dei capelli scuri e lunghi di Jim
e prese a tirarla
con forza.
“Smettetela, vi prego”
piagnucolai, trattenendo a stento le
lacrime, avrei dovuto fare qualcosa per fermarli, ma i miei muscoli non
rispondevano ai comandi.
“Sei un figlio di
puttana!” sbottò Jim, spingendo indietro
il cantante fino a bloccarlo contro una parete. “Arrivi qui
per ultimo e credi
di poterti prendere quello che vuoi, eh? Ti sei preso i miei amici, hai
deciso
tu il destino della band e mi hai messo contro il mondo intero. Vuoi
anche
Roddy?”
“Roddy è perfettamente
in grado di scegliere da solo da che
parte stare. E non si rifugia da te tutte le notti, vero
Jim?” replicò Mike,
spingendolo via con forza.
“Basta, smettetela! Porca
puttana!” strillai,
improvvisamente reattivo e consapevole di ciò che stava
accadendo. Mi fiondai
verso di loro e mi gettai in mezzo per cercare di dividerli, ma
l’unico effetto
che ottenni fu ricevere un pugno ben assestato sullo zigomo da parte di
Jim.
Tutto si fermò per un istante:
la vista mi si appannò, ma
nonostante ciò scorsi l’espressione scioccata sul
viso del più grande, mentre
Mike respirava affannosamente alle mie spalle.
“Che cazzo sta succedendo
qui?” La voce di Bill esplose in
corridoio e solo allora mi accorsi che lui e Puffy erano usciti dalle
rispettive camere, ma non mi curai di loro, ancora sconvolto dal colpo
appena
ricevuto.
“Visto che hai fatto, stronzo?
Gli hai fatto male. E questo
si aggiunge alla chilometrica lista dei tuoi errori”
mormorò Mike, per poi
afferrarmi un polso; mi costrinse a voltarmi e mi scrutò con
apprensione – era
la prima volta che lo vedevo così sinceramente interessato e
preoccupato per
me, avevo paura di sciogliermi sotto il suo sguardo così dolce.
“Ti si sta gonfiando, forse
è meglio metterci del ghiaccio”
affermò il cantante, sfiorandomi con delicatezza il punto
contuso.
“Che cosa…”
tentò di intervenire Jim, ma Mike lo incenerì
con lo sguardo e gli fece cenno di rimanere indietro.
“Non. Toccarlo.” Il
cantante mi attirò ancora più a sé con
fare protettivo, quasi mi abbracciava.
“Adesso basta!”
esplosi, veramente stanco di quella
situazione. Mi scrollai di dosso la mano di Mike e mi allontanai da lui
e Jim,
gli occhi pieni di lacrime. “Sono uno stronzo, va bene? La
verità è che voglio
bene a entrambi e non posso sopportare di vedervi nel bel mezzo di una
rissa
per colpa mia! Ci sono mille motivi validi per saltarvi al collo a
vicenda, ma
vi prego, non per colpa mia, non per questo coglione di Roddy
Bottum!” gridai,
per poi correre nella prima stanza che trovai aperta e rannicchiarmi in
un
angolo. Non sapevo se fosse la stanza di Bill o di Puffy, ma in quel
momento
desiderai che nessuno entrasse da quella porta.
“Roddy.”
Stretto tra il letto e un piccolo comodino,
mi asciugavo
quell’unica lacrima che avevo lasciato sfuggire al mio
controllo. Mi ero
imposto di non piangere perché non lo meritavo, non ero io
che potevo
concedermi di soffrire in quella faccenda. Ero soltanto lo stronzo che
aveva
tradito due persone, che aveva mentito senza pudore.
Quasi non mi accorsi delle voci di Bill e
Puffy che mi
richiamavano.
“Roddy, dai.” Bill si
accovacciò sul pavimento di fronte a
me, mentre Puffy si appollaiò sul bordo del materasso.
Non risposi.
“Non è colpa tua.
Qualsiasi cosa sia successa, non è colpa
tua” cercò di confortarmi il batterista.
“Oh, sì che
è colpa mia.” Sollevai il capo giusto il tanto
per incrociare lo sguardo di Bill. Era stato lui, del resto, a gettarmi
la
verità in faccia giusto qualche ora prima; mi aveva fatto
capire che, se Jim e
Mike si fossero scontrati, sarebbe stata solo colpa mia.
Il bassista ricambiò
l’occhiata con gli occhi velati di
dolore, ma non replicò.
“Roddy… quei due si
sarebbero distrutti a vicenda in ogni
caso” proseguì Puffy in tono calmo.
“Non è
rassicurante” mormorai, tirando su col naso.
“Ascolta, non pensiamoci ora,
dobbiamo fare qualcosa per
quello zigomo che ti sta diventando il doppio
dell’altro” affermò Bill,
posandomi una mano sul viso e costringendomi a sollevarlo.
Ma io mi ritrassi e mi lasciai sfuggire un
gemito affranto.
“Non pensiamoci? Non pensiamoci?! Billy,
porca puttana, non esiste
un’altra cosa a cui riesco a pensare in questo momento, la
cagata che ho fatto
sta occupando ogni mio neurone! E ogni singolo pensiero
disperato sta
cercando di prendermi e farmi fuori, così come
io… ho fatto fuori la nostra
band, la nostra amicizia. Spiegatemi come cazzo dovrei fare a entrare
in sala
prove o a salire su un palco al fianco di Mike e Jim fingendo che nulla
sia
accaduto, come se nulla fosse!” Riversai
all’esterno ogni granello della mia
frustrazione e intanto avevo cominciato a tremare per la rabbia.
“Io penso che loro già
lo sapessero, hanno solo trovato un
pretesto per venire alle mani e risolvere una marea di questioni che
avevano in
sospeso, molto prima che si andasse a creare questa
situazione” affermò
pazientemente Bill.
“Hanno fatto rissa per colpa
mia” ribadii.
Puffy sospirò. “Va
bene, mettiamo pure caso che sia colpa
tua. Ti sei beccato un pugno che ti ha quasi spaccato la faccia, hai
già
scontato la tua pena. O sbaglio?”
Un’altra lacrima
scivolò sul mio viso. “Fosse così
facile.
Ho davvero paura per quello che succederà, temo le
conseguenze.”
Bill si sporse verso di me e mi strinse in
un abbraccio,
facendomi rannicchiare contro di lui. “Si
sistemerà tutto, okay? Non so come,
ma in un modo o nell’altro troveremo un modo. In fondo non
hai fatto nulla di
male, hai solo un cuore troppo grande.”
Trascorsero diversi secondi di silenzio, in
cui il mio amico
mi tenne stretto a sé e Puffy mi posò una mano
sulla spalla con fare
rassicurante. La loro vicinanza fu terapeutica, mi aiutò
almeno per qualche
istante a rilassare i nervi e smettere di tremare, mi permise di
sperare che
davvero le cose sarebbero potute andare per il meglio.
Finché la voce di Mike non
raggiunse le mie orecchie e
trafisse il mio povero cuore a pezzi.
“Roddy è
qui?”
Non risposi e non cambiai posizione,
stringendomi ancora più
forte a Bill.
“Sì”
confermò Puffy. “Oh, hai portato il
ghiaccio!”
Davvero Mike si era premurato di portare il
ghiaccio da
mettere sul mio livido? Davvero si preoccupava per me? Al solo ricordo
dell’occhiata che mi aveva rivolto qualche minuto prima, il
cuore mi si
scioglieva nel petto.
Nonostante la sorpresa, non mi sentivo
affatto pronto per
affrontarlo e sperai con tutto me stesso che consegnasse
l’impacco ghiacciato
ai miei amici e uscisse dalla stanza.
Ma ovviamente non fu così. Quel
giorno tutto doveva andare
contro i miei piani.
Mike si accovacciò a terra
accanto a Bill, avvertii la sua
presenza senza bisogno di guardare. “Posso?”
Il bassista allora mi afferrò
per le spalle e mi costrinse a
rimettermi seduto dritto, nonostante le mie proteste: a nulla
servì appigliarmi
alla sua maglietta e cercare di fargli capire che non mi volevo
staccare.
Mike si sostituì a lui; con una
delicatezza inedita in lui,
posò due dita sotto il mio mento e mi sollevò il
viso, per poi appoggiare sul
mio zigomo contuso il siberino freddo avvolto in un asciugamano. La
guancia
finalmente smise di bruciare e il dolore parve attenuarsi.
Non mi potei impedire di sospirare
sollevato.
“Roddy, perché ti sei
messo in mezzo?”
Trasalii a quelle parole e, se fino a quel
momento ero
riuscito a evitare il suo sguardo, i miei occhi si tuffarono nei suoi,
così
scuri e penetranti.
Così dolci, ancora una volta.
E dov’erano finiti Bill e Puffy?
Non potevo crederci, si
erano volatilizzati e mi avevano lasciato in quella situazione di merda.
Presi un profondo respiro, tentando di
placare l’ansia.
“Perché
l’hai fatto?” ripeté Mike.
Mi leggeva dentro, mi scavava
nell’anima, esplorava ogni
anfratto di me con quei suoi occhi così belli.
“Perché io…
non volevo vedervi così, non sopporto che sia
successo per colpa mia, so di aver sbagliato ma pensavo di avere tempo
e… Mike,
io e Jim non abbiamo quel tipo di rapporto, cioè non andiamo
a letto insieme…”
presi a biascicare.
“Lo so” mi interruppe
lui annuendo appena. “Ma detesto
vederlo così vicino a te. Proprio lui.”
Mi morsi il labbro inferiore. “Ho
paura di cosa succederà
ora.”
“Io non sono stato qui
da prima e non vedrò la fine.
Sono stato l’ultimo ad arrivare e sarò
l’ultimo ad andarmene: qualsiasi cosa
accadrà, io non cederò, non ora”
sussurrò Mike in tono estremamente serio, poi
posò l’impacco freddo sul letto accanto a noi e
fece l’ultima cosa che mi sarei
aspettato da lui: mi abbracciò.
Non mi aveva mai stretto in quel modo prima
di allora.
Mentre mi appigliavo a lui con
disperazione, col cuore che
batteva a mille, non potei impedire alle lacrime di sgorgare fuori,
tanto ero
commosso da quel gesto dolce e naturale. E finalmente il mio rapporto
con Mike
aveva assunto un senso, si era ingrandito, era andato oltre il semplice
soddisfacimento di un desiderio fisico.
Ma sapevo com’era fatto e avrei
dovuto capire fin dal
principio che non sarebbe durata a lungo: dopo qualche istante Mike
sciolse
l’abbraccio e si ritrasse, per poi rimettersi in piedi.
Lasciandomi lì, freddo,
solo, a terra.
“Dov’è
Jim?” fui soltanto in grado di mugugnare d’istinto,
pur
sapendo che avrei rovinato tutto. Ma ero davvero in pensiero per il
chitarrista, non riuscivo a fingere che non me ne importasse.
A quelle parole Mike mi diede le spalle.
“Fanculo a Jim
Martin. Non lo so e, anche se lo sapessi, non te lo direi”
sibilò con rancore
prima di lasciare velocemente la stanza.
Perfetto. Ormai non tenevo più
il conto di quante cose
avessi sbagliato quel giorno.
Sospirai e mi presi la testa tra le mani.
Avevo anche un
concerto da affrontare quella sera…
Non vidi Jim finché tutta la
band non si ritrovò radunata
nel backstage, qualche minuto prima dello show. Tutti sapevamo bene che
era un
tipo silenzioso e riservato e quel giorno non faceva eccezione, ma
stavolta
c’era qualcosa di diverso.
Stavolta teneva lo sguardo basso e non
osava sollevarlo su
di me, come se si vergognasse, nonostante fossi l’unico con
cui non si
vergognava mai.
Stava in un angolo a sorseggiare la sua
birra, in disparte,
perso in chissà quali pensieri.
Dal canto mio, non riuscii ad avvicinarmi e
a rivolgergli la
parola, non avrei saputo cosa dirgli. Così come a Mike.
C’era tantissima tensione quel
giorno. Sarebbe stato un live
grandioso, come sempre capitava quando i componenti della band erano
particolarmente nervosi, ma a me non importava poi tanto, anzi, speravo
di
svenire sul palco come aveva presagito Puffy e risvegliarmi con la
memoria
resettata.
“Vado in bagno”
mormorai a Bill qualche minuto prima di
salire sul palco, poi mi diressi con passo strascicato verso
l’ala del
backstage dedicata alle toilette. Era deserta, tutti i musicisti e lo
staff si
trovavano nei pressi del palco per l’imminente entrata in
scena della band.
Stavo per aprire una delle porte socchiuse
e rinchiudermi in
bagno, quando una mano si posò all’improvviso
sulla mia spalla. Sobbalzai e mi
voltai di scatto, poi sgranai gli occhi sorpreso: era Jim. Mi aveva
seguito.
Incapace di parlare, mi limitai a scrutarlo
in viso per la
prima volta quella sera: vi era dipinta un’espressione
estremamente seria e
triste, i suoi occhi erano lo specchio di un’anima distrutta
e tormentata.
Non mi si doveva serrare la gola, non mi
dovevano bruciare
gli occhi. Non era il momento.
“Jim” farfugliai
soltanto.
Ma lui non mi diede il tempo di aggiungere
altro: si chinò
su di me e intrappolò le mie labbra in un bacio.
Non era la prima volta, tra di noi ne era
scappato qualche
altro ogni tanto, ma quella volta fu diverso.
Jim mi strinse forte a sé con
disperazione mentre
approfondiva quel contatto con impeto, con urgenza, come se da quel
singolo
bacio dipendesse la nostra intera esistenza.
Io ero talmente frastornato che non riuscii
a ricambiare, ma
non mi opposi, lasciai che lui si impossessasse di quella parte di me,
lasciandomi tra le labbra il suo sapore di alcol e tristezza.
Poco prima di separarsi da me, fece
scorrere la sua mano
destra sul mio fianco – quel gesto che ormai lo
caratterizzava – ma non si
fermò, giunse fino alla tasca dei miei jeans e vi fece
scivolare qualcosa
dentro.
Infine si scostò da me giusto il
tanto per potermi guardare
e, col fiato corto, sussurrò: “Perché
non posso vincere?”.
Senza attendere una risposta,
posò per un istante i
polpastrelli sulla mia guancia dolorante – coperta alla
bell’e meglio con un
po’ di ridicolo trucco – e il suo viso si distorse
in una smorfia. “Non lo meritavi.”
E corse via, veloce, lasciandosi alle
spalle me e tutto ciò
che era successo.
“Jim, aspetta!” cercai
di gridargli dietro, ma non si voltò.
Rimasi qualche istante impalato
là, cercando di realizzare
cos’era appena accaduto, poi mi ricordai che Jim aveva
infilato qualcosa in una
delle mie tasche; vi frugai dentro e trovai un biglietto minuziosamente
ripiegato. Lo distesi davanti ai miei occhi, tenendolo in punta di
polpastrelli, e vi scorsi frettolosamente il contenuto.
A
volte spero in una cura,
ma
è difficile curarmi, ora sono a pezzi.
Tutto
ciò cerca di distruggermi costantemente,
ma
non mi importa più:
ho
scoperto che muoio dalla voglia di salvarmi.
Rimasi basito, tentando di decifrare il
senso di quelle
parole. Si poteva pensare che fosse uno dei soliti deliri di Jim, ma
erano
frasi davvero troppo potenti per non significare niente, mi avevano
colpito nel
profondo.
Jim era a pezzi per colpa mia. Forse non
solo a causa mia,
ma anche per via della difficile situazione che viveva nella band
già da diversi
anni. Era questo che lo stava distruggendo.
Ma a cosa si riferiva quando parlava di
cura? E come pensava
di potersi salvare?
“Roddy, due minuti e si sale sul
palco! Che fai?” richiamò
la mia attenzione un roadie, facendomi un cenno a distanza.
Già, il concerto.
Riposi il foglietto in tasca ed entrai
velocemente in bagno.
Intanto avevo così tanti dubbi
per la testa che pensavo
sarebbe esplosa. Un effetto scenico niente male per il nostro ultimo
concerto
del tour.
Ancora elettrizzato dallo show, scrutavo
fuori dal
finestrino oscurato mentre sbocconcellavo una pizza d’asporto.
Alla fine avevo avuto un piccolo
svenimento, ma per fortuna
quando ero già sceso dal palco; reazione normale, dato che
non avevo toccato
cibo per tutto il giorno.
Bill, preoccupato come non mai, mi aveva
scaricato addosso
tutta la sua ansia con una paternale degna della migliore mamma
chioccia, mi
aveva gridato contro fino a farsi mancare la voce, rimproverandomi e
ricordandomi tutti i rischi a cui potevo andare incontro se non mi
nutrivo
adeguatamente; per fortuna il nostro staff si era già
adoperato per farci
trovare qualcosa da mangiare e con la bocca piena non avevo avuto modo
di
replicare.
Però era stato uno show
pazzesco, il pubblico era infuocato
e avevamo suonato alla grande. Una degna conclusione per il nostro
tour, dopo
un anno trascorso on the road.
Tutto ciò mi aveva anche aiutato
a svuotare la mente e
svagarmi per qualche ora, concentrarmi sulla musica che più
amavo e a cui avevo
donato l’anima, ma una volta dietro le quinte il peso della
giornata mi si era
rovesciato addosso, sommergendomi.
Scendemmo dalle auto che ci avevano
riportato in albergo e
ci ritrovammo tutti nell’andito su cui si affacciavano le
nostre stanze – era
assurdo pensare che in quello stesso punto si fosse tenuta una rissa
qualche
ora prima – stanchi morti e pronti ad andare a letto.
Tutti tranne Jim. Mi guardai attorno
diverse volte, ma non
lo trovai da nessuna parte.
“Bene, allora a domani,
l’ultimo giorno che passeremo
insieme!” esclamò Bill con un sorriso stanco ma
soddisfatto, dirigendosi verso
la sua stanza.
“Un attimo, devo dirvi una
cosa.” Puffy allungò una mano e
gli fece cenno di fermarsi, poi ci osservò uno per uno, il
volto contratto per
la tensione e la preoccupazione.
La cosa mi confuse e mi allarmò
parecchio: il nostro
batterista era una delle persone più tranquille e rilassate
che conoscessi,
doveva essere successo qualcosa di veramente grave.
Sgranai gli occhi e lo fissai in attesa,
col cuore in gola.
“Jim se n’è
andato.”
Mike si strinse nelle spalle. “Lo
vedo, non è qui con noi.
Dove si è cacciato, in qualche bordello?”
Ma Puffy scosse il capo. “Se
n’è andato dalla band, ci ha
proprio lasciati. Ed è già partito, aveva
già fatto le valigie prima del
concerto.”
Il mio cuore perse un battito, mentre
sentivo il sangue
lasciare il mio viso di colpo.
Stavo per avere il secondo svenimento della
giornata, me lo
sentivo.
“Ma dici sul serio?”
sbottò Bill incredulo.
“Ci toccherà cercare
un altro chitarrista, magari meno
stronzo di lui” liquidò in fretta la questione
Mike, per nulla turbato da
quella notizia. Del resto lui e Jim non si sopportavano e probabilmente
era
chiaro a tutti che quest’ultimo se ne sarebbe andato presto:
non poteva
sopportare il peso dei continui scherzi che Mike e Bill gli giocavano,
non
poteva reggere le prese per il culo pubbliche e soprattutto la continua
discordanza, sia artistica che caratteriale, col resto della band.
Già. L’avevano capito
tutti, tranne me.
Jim se n’era andato.
Aveva lasciato i Faith No More in maniera
definitiva.
Non l’avrei più visto.
Aveva lasciato anche me.
Ecco cosa intendeva in quel biglietto,
quando diceva che si
voleva salvare.
“Cazzo, no” riuscii
soltanto a bofonchiare. Barcollai verso
la porta di camera mia, infilai a stento la chiave nella serratura e,
senza
nemmeno assicurarmi che la porta fosse ben chiusa, mi gettai sul letto
e
seppellii il viso nel cuscino.
Ero talmente incredulo che non riuscivo
nemmeno a piangere,
rimasi semplicemente in silenzio, immobile.
Non poteva essersene andato.
L’avevo davvero ferito tanto?
Non riuscivo a farmene una ragione, a
metabolizzarlo. Per me
era come se Jim fosse ancora là fuori, a battibeccare con
Mike come al solito,
e avevo l’impressione che sarebbe entrato nella stanza da un
momento all’altro,
chiedendomi di giocare con i suoi capelli e facendomi posare il capo
sul suo
petto.
Infilai una mano nella tasca dei jeans e
strinsi forte tra
le dita il bigliettino ripiegato, come se lo volessi distruggere.
Quelle frasi
apparentemente sconclusionate erano tutto ciò che mi
rimaneva di Jim.
Trascorsero minuti, forse ore, in cui i
rumori fuori in
corridoio si attenuarono sempre più fino a lasciare posto al
silenzio.
Mi rimisi in piedi, stordito, e mi diressi
verso la soglia
per capire se almeno fosse chiusa a chiave.
Ma quando la schiusi, trovai gli occhi di
Mike che mi
scrutavano nella penombra e per poco non lanciai un grido spaventato.
Lui mi
posò due dita sulle labbra per intimarmi di tacere e mi
spinse dentro la
stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Dovevo ammetterlo: Mike in quel momento era
l’ultima persona
con cui volevo passare il mio tempo. Avevo troppe cose per la testa e
non avevo
voglia di essere il suo giocattolo erotico, non quella sera.
“Non mi va, Mike”
mormorai in tono piatto, osservandolo
mentre andava a distendersi sul mio letto come se fosse il suo.
“Tranquillo, non voglio scopare
nemmeno io. È un peccato
sprecare così la nostra ultima notte, ma nemmeno un paio
d’ore fa sei svenuto.”
Picchiettò su una porzione di materasso vuota accanto a
sé. “Vieni qui.”
A disagio, feci come mi chiedeva e mi
sedetti sul bordo del
materasso, lasciandomi sfuggire un sospiro stanco.
“Come va il livido?”
domandò.
D’istinto mi tastai lo zigomo:
era ancora gonfio e faceva
male. “Passerà.”
“Sdraiati, se vuoi.”
Esitai per qualche istante, ma il mio corpo
affaticato
reclamava a gran voce un letto morbido, così mi rannicchiai
sul bordo del
letto, steso su un fianco. Non volevo disturbare Mike o invadere i suoi
spazi,
sapevo che la cosa lo mandava in bestia.
Socchiusi gli occhi mentre formulavo una
domanda che mi
ronzava da un po’ di tempo in testa, ma non avevo ancora
avuto il coraggio di
porre; tuttavia in quel momento, mentre davo le spalle a Mike e lui
sembrava
così tranquillo, mi sentivo più sicuro.
“Ce l’hai con me?”
“No, Roddy. E anche se fosse, non
avrebbe senso. Tu invece?”
Se ce l’avevo con lui? No,
assolutamente. Non avrebbe avuto
senso neanche da parte mia, ero stato io a combinare il casino.
“È colpa mia se se
n’è andato” dichiarai con un filo di
voce,
più rivolto a me stesso che a Mike. Le lacrime cominciarono
a pungere agli
angoli degli occhi, ma le ricacciai indietro.
Il cantante non replicò, si
limitò a posarmi una mano sul
fianco, per poi attirarmi a sé e stringermi in un dolce
abbraccio.
Mi aveva posato la mano sul fianco.
Come faceva sempre Jim.
Allora non fui più in grado di
pormi un freno e scoppiai a
piangere come un bambino, portando fuori tutta la sofferenza che avevo
accumulato nelle ultime ore. Jim non c’era più ed
era troppo doloroso da accettare;
nessun Mike sarebbe stato in grado di sostituirlo, semplicemente
perché Jim era
Jim, con tutte le sue stranezze e peculiarità.
D’altra parte Mike era
lì accanto a me, mi abbracciava e mi
cullava tra le braccia, lasciava che soffocassi i singhiozzi col volto
affondato nel suo petto e mi stava dando ciò che da lui
avevo sempre
desiderato: un po’ di affetto.
Dentro di me sapevo che non sarei mai
riuscito a scegliere
tra loro due, che per me ognuno era a suo modo speciale e inimitabile,
ma in
quel momento decisi di godermi quell’attimo di dolcezza,
decisi di abbandonarmi
a quel calore nuovo e lasciare che attenuasse il dolore delle mie
ferite.
♠ ♠
♠
♠
♠
Partecipa alla
“Infinity Prompt Challenge” indetta da
HarrietStrimell.
I prompt utilizzati,
entrambi dalla lista “Citazioni varie”,
sono:
#014. “Errore,
errore, errore. Che parola strana: dolorosa, in un certo
senso”.
– Lauren
Oliver, Before I Fall
#002. Mia nonna mi
diceva sempre: «Un buon pasto sostiene il cammino di
colui che ama profondamente il buon cibo».
– Flavors of
Youth
Arrivo frastornata alla fine di questa
storia che, seppur
sia nata in soli tre giorni, è stato un parto plurigemellare
e mi ha messo non
poco alla prova. Purtroppo per voi vi dovrete beccare non solo le mie
lagne post
stesura difficile, ma anche delle NdA piuttosto lunghe!
Ma non perdiamoci in chiacchiere!
Chi conosce il fandom dei Faith No More sa
bene che esistono
due filoni narrativi principali, uno sviluppato da Kim WinterNight (in
cui c’è
questo rapporto particolare tra Roddy e Mike) e uno – ancora
nascente –
sviluppato da me, in cui invece esiste un rapporto particolare tra
Roddy e Jim.
Per chi non conosce il fandom, lo spiego
brevemente:
nell’immaginario di Kim, Roddy è follemente
innamorato di Mike, che però non è
avvezzo a relazioni serie, romantiche o stabili, quindi si avvicina a
Roddy in
maniera prettamente fisica e si diverte con lui tra le lenzuola, senza
mai
essere troppo dolce o affettuoso (diciamo che lo è solo e
unicamente quando lo
vuole lui, ovvero raramente).
Nel mio immaginario invece, Roddy e Jim
hanno sempre avuto
un bel legame di amicizia e Roddy è l’unico con
cui Jim (di natura chiuso e
riservato) riesce ad aprirsi; allo stesso modo il tastierista
è l’unico a stare
appresso al chitarrista, dato che il resta della band non ci va molto
d’accordo. Tra i due nasce quindi un rapporto di affetto
reciproco che
ovviamente va oltre l’amicizia, ma assume toni soffusi e non
viene mai definito
dai due.
Così in questa storia ho pensato
di unire i due filoni
narrativi, immaginando che Roddy vivesse questi due rapporti
contemporaneamente, perché… dai, era troppo
divertente immaginare una
rissa/scenata di gelosia che coinvolgesse Mike e Jim XD
Per quanto riguarda il rapporto
conflittuale tra i due, questo
prende spunto dalla realtà: Jim a un certo punto ha
cominciato a non andare più
d’accordo con il resto della band, soprattutto per colpa di
divergenze
artistiche, e le liti più frequenti erano proprio con Mike,
che gli giocava
pure brutti scherzi sul palco. Insomma, in quel periodo specifico le
tensioni
erano palesi, addirittura parlavano male l’uno
dell’altro nelle interviste!
Rimanendo fedele alla realtà, ho
deciso di ambientare la
storia nell’estate 1993, precisamente il 17 luglio, quando i
FNM hanno suonato
in Inghilterra e chiuso il tour di promozione per il loro album Angel
Dust.
Scelta non casuale: quello fu l’ultimo live di Jim Martin
prima che lasciasse
la band. Anche se la notizia del ‘divorzio’ dalla
band venne diffusa
pubblicamente diversi mesi dopo, ho pensato che potesse aver preso tale
decisione in quel giorno ^^
Poooi… quando Jim accusa Mike di
“essere arrivato per
ultimo”, si riferisce al fatto che il cantante sia entrato
nella band solo sul
finire del 1988, mentre i Faith No More esistevano fin dai primi anni
Ottanta e
hanno avuto altri cantanti prima di lui.
Similmente, Mike si riferisce a questo
quando dice che lui
“non era lì da prima” ed effettivamente
non ha visto nemmeno la fine: è ancora
nella band ;)
Un altro fatto vero è che Roddy
è veramente omosessuale e ha
fatto coming out soltanto nei primi anni Novanta, anche se i suoi
compagni di
band lo sapevano già da tempo.
Come avrete notato, ci sono diverse frasi
in corsivo durante
i dialoghi. Non solo altro che delle traduzioni (un pochino riadattate
a
seconda della situazione) di alcuni versi del brano Breaking Now
dei From Ashes To New, fornitomi nel pacchetto del contest a cui
partecipa la
storia; anche il biglietto che Jim lascia nella tasca di Roddy contiene
alcuni
spezzoni (non in ordine) del testo. sinceramente non sono molto
convinta
dell’utilizzo che ne ho fatto e non so nemmeno se sono
riuscita a cogliere
appieno il senso della canzone, ma ho pensato che alcune frasi si
adattassero
perfettamente alla situazione e le ho inserite!
Il titolo è una fusione di due
versi della
La citazione all’inizio, invece,
proviene da uno scritto di
falcediluna_, autrice efpiana che adoro e stimo, che mi ha permesso di
citare
come mia fonte di ispirazione la sua Today (passate a darci un’occhiata,
è
fantastica!). La sorte ha voluto che leggessi questo suo scritto proprio
durante
la stesura di questa storia, che presentava le stesse tematiche da lei
descritte, e devo ammettere che è stato parecchio
illuminante! Grazie ancora,
cara *-*
Penso di aver detto e spiegato tutto! Per
il resto, spero
che la storia sia stata esaustiva di suo e che i personaggi si siano
raccontati
tramite i loro gesti!
Grazie di cuore ai coraggiosi che
arriveranno fin qui, spero
davvero di non avervi traumatizzato con tutto quest’angst XD
Alla prossima!!! ♥
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