DISCLAIMER:
I personaggi sotto presentati non appartengono a me (MAGARI), ma al
genio di
ONE.
La storia
è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
Alla Luna, e al
Suo Sole
I
~ Luna Nuova
La misura della
lontananza
Non
è data dalla distanza.
Antoine
de Saint-Exupéry
Qualcuno
ha scritto che il tempo mette ognuno al proprio posto: ogni regina sul
suo
trono, ogni pagliaccio nel proprio circo[1].
…
A questo punto, chissà dove finirò io.
Fin
dal principio del mondo, le vie che avrebbero portato gli smarriti alla
redenzione sarebbero state ardue e ripide; e altrettanto certamente,
quella di
Minegishi Toshiki non avrebbe fatto alcuna eccezione.
Così,
a volte e sul far dell’alba, la notte tardava a lasciarlo: le
piante
dell’appartamento sentivano l’avvicinarsi della
luce e si preparavano ad
abbracciarla, grate del nuovo giorno; lui, invece, si rannicchiava su
sé stesso
mentre gli ultimi sogni si popolavano di tutto ciò che non
voleva, e gli
sembrava di obbedire ancora alla menzogna.
A
volte, nel cuore del sole, il buio tornava a trovarlo: l’aria
veniva scossa da
un tremito e si spezzava, la realtà si capovolgeva e
trasformava fino a perdere
i suoi colori e lasciare che fosse solamente un nero pece, assoluto e
terrificante,
a sorridergli dagli angoli dove affilava gli artigli, pronto a
dilaniare — alcune
persone non cambiano mai[2]; e anche
se tutto finiva in un
istante, anche se ogni giorno s’impegnava per vanificare
quelle parole,
ritornare a respirare doleva come una pugnalata.
A
volte, in mezzo alla gente o senza nessuno intorno, spalancava gli
occhi come alla
fine di un sogno sì bello, ma illusorio: ed era la strada
che aveva iniziato a
percorrere, riparazione agli errori, a sembrargli tale — il
passato è
un’ombra che non muore, e tu non ti puoi opporre alle sue
regole; e spesso,
pur dopo aver raggiunto traguardi inaspettati, si rendeva conto che
dentro di
sé c’era qualcosa che non aveva ancora trovato il
suo incastro e lo cercava
ogni istante, lasciando echeggiare il vuoto senza pace.
Minegishi
non era mai stato uno stupido: poteva essere benissimo definito un
solitario,
una persona che aveva compiuto azioni discutibili e un miracolato, ma
di certo non
qualcuno privo di razionalità o intelligenza;
così che presto aveva compreso
che cambiare vita non avrebbe risolto tutti i problemi con un colpo di
spugna,
né aveva ceduto alla tentazione di pensarlo. Al di
là del proprio carattere che
gli rendeva così grato il silenzio e dei motivi per cui,
fino a nemmeno tanto
tempo prima, aveva deciso di dimenticare chi fosse veramente, ben oltre
il
turbamento che lo aveva portato a rivedere tutte le sue autoindotte
convinzioni,
il mondo non si sarebbe dimenticato le azioni del prima;
e fin da subito
questi aveva iniziato a osservare i suoi sforzi, aprendoglisi davanti
per
metterlo alla prova, camminandogli al fianco.
Aveva
e stava lavorando duramente per armonizzarsi con la realtà,
cercato e dato un
poco di serenità a chi non se lo sarebbe mai aspettato,
sorpreso e recuperato
tanto di sé — non ricordavi questa
gentilezza, vero? —, così come aveva
finalmente compreso quanto fosse giusto poter rimanere da soli, ma
altrettanto curativo
sapere di non esserlo… e tuttavia doveva essere ancora
più forte e deciso
perché le sorprese erano tutte sul cammino, gli incubi
andavano e ritornavano,
e rimaneva la maledetta incognita che lo faceva sentire incompleto, una
domanda
che chissà quando avrebbe risolto.
…
Quindi, quando lui ritornò in
città, Toshiki stava dando tutto sé stesso
per essere una persona migliore; e solamente allora il Tempo si mosse,
deciso a
dare la sua risposta.
Quando
Minegishi lasciava il negozio, le ombre erano ormai lunghe e mutevoli
sulla
strada e nella sera incombente; ma nessuna era come quella che da
qualche
periodo lo seguiva costantemente nei suoi ritorni, rimanendo silente e
svanendo
quando la protezione dei viali alberati o la folla si diradavano, per
poi
rifarsi viva la giornata successiva.
Spesso
la scorgeva anche mentre lavorava: un guizzo nero che captava come una
sensazione ancor prima che con gli occhi, subito confuso nel crepitare
delle
innumerevoli vite che si incrociavano nello stesso luogo, che non
lasciava
tracce di sé ma che nemmeno faceva —
voleva fare — del proprio meglio
per nascondersi.
Le
piante non gli celavano quella presenza, sussurrando avvertimenti ogni
qual
volta l’energia estranea si avvicinasse; ma il ragazzo era
ben deciso a non
forzare le cose e a lasciare che fosse lei a mostrarsi apertamente, con
i
propri tempi e se lo avesse davvero voluto.
Sapeva
bene chi fosse l’ombra e di non dover
temere nulla da lei: le era stata
vicino così tanti anni da poterla riconoscere senza nemmeno
guardarla, tanto
quanto gli era chiaro che niente e nessuno avrebbe potuto limitare la
libertà
del suo proprietario. Doveva solamente avere pazienza e lasciare alla
figura il
giusto spazio nel quale infilarsi: magari, la sua reticenza era data
dal
trovarsi in un mondo che non riconosceva più, e che quindi
non sapeva come
avvicinare.
E
come non comprendere.
Doveva
giungere una giornata diversa dalle altre, scossa da un vento nuovo,
per poter
mutare qualcosa… o una notte; quella che davvero venne nel
mezzo dell’autunno e
spense l’energia della città, facendo cadere tutti
nel sonno più profondo, e
che infine svegliò lui.
Per
una volta, il buio fitto andò a bussare alla sua porta senza
portare nessun
incubo; e non era nemmeno mezzanotte quando l’esper
aprì gli occhi e si mise a
sedere nel letto, il battito del cuore regolare ma la mente non
completamente
lucida. Aveva appena sognato, così ricordava, e nelle
orecchie portava un suono
ritmico e calmante che i secondi si divoravano; e, a giudicare dalle
guance
umide, aveva pianto, anche se non avrebbe mai saputo dire il
perché. Al di là
delle mura che lo circondavano, sentiva che ogni fiore, pianta e albero
del
quartiere si era destato e vibrava piano insieme al suo respiro, mentre
le azalee
che teneva sul comodino si allungavano verso di lui come per accertarsi
che andasse
tutto bene; a queste diede una piccola carezza per calmarle, la quale
si
propagò poi al resto della flora come un’onda.
Onde!
Il suono era quello… il canto della risacca.
Con
uno scatto, Toshiki si alzò e andò alle larghe
finestre che lasciavano
penetrare le luci della città, rese sopportabili dalla
discreta distanza dal
centro; le guardò, e subito dopo gli parve di sentire il
mare scivolare tra vie
e palazzi, mormorando a chiunque volesse ascoltare.
È
la stessa sensazione che si prova a…
Il
ragazzo chiuse gli occhi e appoggiò la fronte contro il
vetro, rimanendo immobile
per qualche istante. Non aveva la completa certezza che avesse sognato
il luogo
a cui stava pensando, ma ne aveva riscosso il ricordo e improvvisamente
lo
sentiva presente, come se fosse veramente là.
Tu
sei sempre così calmo… non vuoi volare? Su, dammi
la mano e corri con me, ti
farò provare la libertà.
Perché
quell’espressione? Non ti accadrà nulla di male,
ci sono io.
Le
ultime tracce di sonno svanirono nell’accenno di un sorriso,
e in poco tempo
Minegishi si ritrovò in strada, nell’eco della
marea. Sotto il velo delle
stelle, l’aria profumava di sale e pioggia: probabilmente
c’era un temporale in
arrivo, rigonfio di umore marino, e presto le onde si sarebbero davvero
riversate
sulla città… ma questo non aveva una grande
importanza, se poteva respirare a
pieni polmoni il loro odore.
Perso
nei suoi pensieri, si accorse che le gambe lo avevano portato al suo
negozio
solamente quando vi fu davanti e sentì i fiori al suo
interno animarsi. «È troppo
presto per l’alba», sussurrò allora,
chinandosi davanti alla vetrina e
osservando le camelie rosa che accarezzavano il vetro,
«dovete dormire. Su, da
brave, riposate ancora un po’.»
«Dovresti
farlo anche tu: tra qualche ora devi lavorare.»
Minegishi
rimase nella stessa posizione per qualche attimo, quindi si
raddrizzò e voltò
verso la direzione dal quale la voce era provenuta. «Siamo
svegli in tanti, questa notte.»
Come
si aspettava, non vide nessuno; ma sentiva la sua presenza, non poteva
sbagliarsi. Quella volta stava resistendo più del solito:
evidentemente nel
buio si sentiva sufficientemente al sicuro.
«Ormai
non conto più le notti che passo insonne, non è
una novità.»
Toshiki
annuì, quindi aggrottò la fronte. «Non
comparire così, turbi le piante. La
confusione non fa loro bene.»
«Oh
oh, pensare che prima non ti erano mai piaciute… sei
cambiato.»
«Da
quando il loro benessere è diventato il mio
lavoro.»
«Mezza
verità, perché ora ci tieni davvero.»
«…
Mi chiedo se fai lo stesso anche con gli altri tre.»
«Loro
mi notano di meno; o sono io che li visito più di rado, non
lo so.»
Un
fruscio, e spostando appena lo sguardo sopra di sé il
giovane vide il buio farsi
da parte davanti alla figura seduta sul tetto del negozio. Il suo
caratteristico ghigno serafico era riconoscibile anche da
lì; nel notarlo, lui
si accorse di provare tutto, tranne biasimo o disprezzo.
Almeno
per Shimazaki Ryo, forse, la realtà non aveva picchiato
duramente.
Ma
allora non se ne sarebbe andato così, Toshiki. Ha vissuto le
tue stesse cose,
ma ha reagito diversamente: e forse le sta ancora nascondendo.
Sicuro
che quel sorriso sia lo stesso di prima?
«Sei
scomparso per un bel pezzo.» Lo disse tanto sottovoce che
l’altro non lo udì; o
così parve, visto che non ci fu alcuna replica fino a quando
il moro non saltò
giù dal tetto e si fermò a pochi metri di
distanza da lui. «Sì; il tempo non ha
mai freni.»
Minegishi
guardò l’esper senza rompere il silenzio:
perché, appena se l’era trovato davanti,
tutte le sue parole si erano annullate. Nella mente esplose una
moltitudine di pensieri,
una girandola di domande, e si aprì il vuoto che tutto
quanto inglobava; e il
petto improvvisamente doleva, come se provasse nostalgia. Dopo un primo
attimo
d’immobilità, sorse anche qualcosa di simile
all’amarezza; e sentì in gola il
sapore acido di un rimprovero che era ingiusto solamente in parte,
seguito poi
da una stanchezza che lo attenuò.
Shimazaki dovette
percepire qualcosa del tumulto d’emozioni che
l’altro provava dietro l’apparente
imperturbabilità, perché voltò il capo
altrove senza dire nulla. La sua
maschera di tranquillità s’incrinò ma
senza aprirsi, e Toshiki sospirò nel
chiuso dell’anima: non era ancora il momento di ritrovarsi. «Già.
Buonanotte, Ryo… ci vediamo.»
«Quel
giorno ho avuto paura: ecco il motivo per cui sono sparito. Me ne sono
andato
perché ho creduto davvero di poter…»
Una pausa. «Ho lasciato indietro tutto e
tutti, senza curarmi di nessuno di voi, per salvarmi la
pelle.»
Minegishi
si era già voltato, ma si bloccò. Per un istante
sentì ovunque il dolore
lancinante e il terrore che aveva provato quando Mogami stava per
annientarlo,
e il respiro si ruppe; e si girò di nuovo, senza stupirsi
nel trovare l’esper
cieco più vicino a sé. Lo sentì
bruciare dalla voglia di parlare, e allo stesso
tempo aver timore di farlo. «L’abbiamo
immaginato», mormorò poi, «sono bastate
poche ore per cambiarci la vita. Avremmo voluto sapere come stavi,
dov’eri, ma
era impossibile raggiungerti. Ne è valsa la pena?»
Shimazaki
alzò il viso come se avesse potuto contemplare le stelle,
quindi si sedette e
appoggiò la schiena contro la vetrina del negozio.
Il
fiorista non resistette che qualche minuto prima di sedersi accanto a
lui, teso
a vedere ciò che sarebbe venuto dopo: quella notte era
già iniziata in modo
atipico, così come il loro incontro, ma se c’era
di mezzo il moro tutto poteva
prendere una piega inaspettata.
«Dopo
quello che è successo non ho fatto altro che vagare in giro,
per tutto il
Giappone e anche all’estero: mi sentivo come se avessi perso
qualsiasi capacità
d’orientamento, braccato e desideroso solo di starmene con me
stesso, senza
dover nulla a nessuno. Mi sono fermato solo quando il silenzio ha
iniziato a
fare effetto e a vincere sulla paura, e allora è stato
chiaro che non c’era
alcuna caccia aperta nei miei confronti, che non interessavo
più a nessuno; quindi
ho cercato un posto che potesse bastarmi e dove avessi dei legami, ma
non trovavo
niente a cui aggrapparmi o qualcosa che mi facesse stare
bene… e così ho
iniziato a far visita ai luoghi dove c’erano dei ricordi, o
qualcuno da cui
ritornare.
Non
che abbia grandi cose da raccontare, può bastarti
questo.» Una pausa, poi il
tono dell’esper si fece più sommesso e Toshiki si
ritrovò a pensare che se Ryo
non fosse stato cieco, in quel momento i suoi occhi sarebbero stati
impossibili
da reggere. «Sembra che ve la stiate cavando bene, voi
altri.»
«Abbiamo
ricominciato, chi in un modo chi in un altro. Le nostre
abilità ci stanno
aiutando a costruirci uno spazio, e—»
S’interruppe,
perché Shimazaki aveva di nuovo alzato il volto e sembrava
non ascoltarlo più.
L’aria, se ne accorse allora, era diventata ancora
più satura di mare e si era caricata
d’umidità, e questa stuzzicava tutti i sensi del
moro. «Questo odore… sai,
Toshiki, c’è solamente una città dove
non sono ritornato, e vorrei tanto averlo
fatto.»
«E
perché non ci sei andato, se è così
importante per te?»
«Perché
ero da solo.»
Minegishi
s’irrigidì un istante mentre un brivido scivolava
dalla nuca lungo tutta la
schiena, quindi fissò l’altro con maggior
attenzione e fece una domanda. Nell’attimo
che la seguì seppe di aver indovinato ancor prima che le
parole lo
confermassero, e nell’animo montò una vampa
bollente.
Allora…
«La
voglio sentire di nuovo: l’acqua che durante l’alta
marea oltrepassa le sue
mura, il profumo della pietra che si confonde con il sale, le onde.
E
poi, io e te non abbiamo un tesoro da trovare?»
Facciamo
una promessa, Ryo. Promettiamo che…
«Dimmi
una cosa.» Ryo si voltò verso di lui, pronto a
rispondere di nuovo. «È per
questo che sei qui?»
Ci
fu silenzio; quindi il ragazzo sorrise. «Non solo. Te
l’ho detto che—»
Toshiki
si alzò di scatto e Shimazaki fermò la voce,
sorpreso. Non solo.
«Praticamente
sei tornato perché ti servo.»
Il
moro spalancò le palpebre e le orbite nere incontrarono lo
sguardo buio
dell’altro, che avanzò di un passo.
«È così, vero? Ma le cose sono
cambiate»,
disse questi, con una freddezza che tradiva molto di più e
senza lasciare
all’amico alcuna possibilità di parola,
«lo sai benissimo; e se sei venuto per
giocare, per far finta che tutto sia come prima, devi rivedere i tuoi
piani.
Scompari
per mesi e quando riappari non hai il coraggio di mostrarti apertamente
nemmeno
a me, e mi dici che vuoi ritornare nella
città dove abbiamo fatto una
promessa che per me è importante quanto
la mia stessa vita.» Si accorse
di tremare leggermente, poi non ci fece più caso.
«“Non interessavo più a
nessuno”, così hai detto, e io non
riesco a definirti… proprio non ce la
faccio. Finché non trovo le parole ti consiglio di
andartene, prima di sentire
qualcosa di veramente spiacevole.»
Ryo
non disse nulla per qualche istante, quindi chinò il capo.
«Credi che non lo sappia
di meritarmi ogni maledizione? E no, non ho intenzione di giocare e
ingannarti,
specie su una cosa del genere.» Un sospiro. «Sono
stato in quella città tre
volte, come te, e l’ho evitata sempre quando non eravamo
insieme, perché è la nostra
città e chiederti di ritornarci non è sfruttarti.
Se
dobbiamo riprendere… il nostro tempo, non potremmo
ricominciare da lì? Tu non
la vuoi rivedere?»
Minegishi
voltò il viso altrove. Si sorprendeva della rabbia che aveva
provato così in
fretta, ma quello che pensava non doveva tacerlo. «Mi manca,
non posso negarlo.»
E non solo lei.
«Allora…»
«Allora
non sei tu a decidere! Non so quando potremmo ritornarci.
Dovrei
organizzarmi con il lavoro, e comunque sia, se anche dovessi dire di
sì,
sarebbe qualcosa di breve.»
«Mi
accontenterei.»
Il
fiorista tornò a guardare il compagno e socchiuse gli occhi,
gli si avvicinò ancora
di più. «Non pensare di risolverla facilmente.
Bastava poco, Ryo,
maledettamente poco: un solo istante, per farci capire che non ti era
successo
nulla che non si potesse aggiustare… la consapevolezza che
tu ci fossi, anche
se lontano da noi. Ti avremmo lasciato il tuo spazio, tutta la pace di
cui
avevi bisogno.»
«Ho
fatto i miei errori, lo so», rispose l’altro mentre
si alzava e faceva per
sfiorare le braccia di Toshiki, lasciando ricadere le mani quando lo
sentì
indietreggiare, «e la tua rabbia è giustificata;
però non credo che aver deciso
di ritornare sia uno di questi.»
«Lascialo
dire al tempo.»
Ryo
non ribatté più e Minegishi fece lo stesso,
quindi si allontanarono di un passo
entrambi. «E così sarà. A presto,
Toshiki, passa una buona notte.»
Il
ragazzo guardò l’amico recuperare
un’ombra della sua solita espressione e teletrasportarsi
altrove, quindi prese un respiro e si lasciò scivolare di
nuovo lungo la
vetrina, chiedendo che il silenzio rimanesse intatto.
Il
temporale non arrivò: il fantasma del mare si
ritirò e solamente le stelle
rimasero a occhieggiare nel buio, ballando nella loro insensibile
quiete.
…
Fu forse lo scherzo di qualcuno più grande di loro, o il
fatto che anche la
loro splendida città marina voleva rivederli; ma dopo
nemmeno tre giorni, Toshiki
si ritrovò con l’intero fine settimana libero e
Ryo al corrente di ciò ancor
prima di sentirselo dire. Era già scesa la sera quando
s’incontrarono fuori dal
negozio e nessuno li vide andarsene per quelli che dovevano essere solo
un paio
di giorni di vacanza; in realtà non lo furono, come sempre.
NOTE
[1] La
citazione esiste davvero, ma è anonima.
[2] Sono
le parole che Mogami rivolge a Mob durante la World Domination Arc,
quando il
primo sta per uccidere Minegishi.
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