Antiverso

di Briseide12
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Tutto iniziò in un piccolo stagno, i riflessi verdognoli e le piccole creature che timide emergevano la loro testolina da quella paludosa acqua rimestavano in me una serie di ricordi contraddittori. Ricordi dolci e di profonda rabbia, razionali e completamente favolistici.
Mentre le anatre sistemavano le loro piume e sceglievano di disporsi all’ombra del ponticello che rappresentava di fatto il mio punto di osservazione. Guardai il legno del ponticello che mi reggeva sull’acqua, legno marcio e fragile che mi teneva sospesa su quell’acquitrino in cui temevo di cadere.
Timore ed angoscia per quello che sarebbe potuto accadere.
Fissai i vari buchi che lo percorrevano e con indolenza mi posizionai su quei buchi. Sentivo il desiderio di provare il brivido di un’ipotetica caduta e dentro di me lo volevo. Volevo interrompere quella caotica monotonia, quell’incessante ed insensato giro di ruota del criceto in una gabbia. Sentii scricchiolare il legno ed il mio cuore accelerò, il respiro divenne più rapido.
Pensai sto per precipitare devo scappare da qui, ma rimasi immobile. Poi, accadde. Caddi con uno schianto sul pelo di quel melmoso abisso, pieno di ogni creatura che quel piccolo spazio poteva occupare, la pelle mi prudeva e non riuscivo a riemergere. Vedevo solo la luce del sole, stranamente così bella in un momento così tragico (per me).
In modo inspiegabile non riuscivo ad emergere e gioivo di ciò. Non volevo più vivere, da quando il mio ragazzo era morto non riuscivo più a sentirmi viva come un tempo e la morte mi sembrava un modo giusto per porre fine al mio dolore.
Chiusi gli occhi ed attesi, ma una mano mi tirò fuori. Era un anziano signore che si era immerso per salvarmi. Lo ringraziai anche se non ne avevo la minima voglia. Il dolore era troppo forte.
Ripercorsi il parco cercando di ritornare a casa, riconobbi le siepi che tanto spesso ho percorso sia da sola che in compagnia.
Il mio compagno di ogni viaggio, il mio Marco, l’unico a cui permettevo di attraversare i meandri della mia solitudine....non c’era più. Lui non c’era, ma le siepi erano ancora lì ed io ero ancora lì. Presi a calci i ciottoli che incontravo durante la camminata, su una strada percorsa diverse e svariate volte. Voltai l’angolo e mi stupii nel vedere un’altalena che in quel luogo fino a ieri non c’era, mi dissi che doveva essere stata posta ieri pomeriggio.
Continuai a camminare ed un negozio che fino a ieri non c’era, mi attirò con la sua insegna luminosa promettendomi capelli perfetti. Mi stupii della velocità delle costruzioni e continuai ad avviarmi verso casa. La mia palazzina rossa, sede del mio (sfavillante) appartamento, si trovava lì ad aspettarmi confortante. Solo che mi attendeva al lato destro, non al solito lato sinistro. Iniziai ad inquietarmi un poco, ma risolsi il tutto dicendomi che i miei antidepressivi mi avevano tratta in inganno di nuovo. Avevo confuso il nome del mio gatto con il mio animale domestico dell’infanzia, quindi ero abituata a questi stati mentali di eterna confusione.
Giunsi al mio pianerottolo ed il mio nome si trovava scritto al campanello alla mia sinistra e non più alla mia destra. Mi dissi che avrei dovuto smettere di prendere quei farmaci, tanto non faceva differenza, mi sentivo sempre molto depressa ed in più confondevo destra con sinistra.
Per tutto il giorno andò avanti così anche nel mio appartamento, le cose che credevo in un posto erano disposte in un altro. Iniziai a prepararmi il pranzo, optai per qualcosa di leggermente complesso, avevo il bisogno di capire che ero ancora in possesso delle mie facoltà mentali, cucinai una parmigiana. Impiegai 2 ore, ma potei dichiararmi impegnata per quel tempo e quasi avevo dimenticato il mio dolore. Ritornai a non aver fame e la lasciai nel forno. Optai per un po' di tv. Ormai ero in aspettativa dalla mia azienda, era stata così comprensiva da darmi 2 mesi per riprendermi....la morte di Marco aveva spiazzato anche loro. Avrei preferito immergermi nel lavoro.
L’unico inconveniente è che dovevo vestirmi e rendermi presentabile, cosa ampiamente difficile per me in questo momento. Chiamai il mio gatto, il piccolo Nairobi, regalo per il mio compleanno di Marco...poco dopo mi ha lasciato. Ogni volta che emerge all’improvviso, ricordo il dolce bacio che mi diede ed il suo volto, il suo bellissimo volto, quasi splendente di luce propria quando rideva e lo faceva spesso. Cercai di fissare il telegiornale e di concentrarmi, una notizia di telecronaca mi mise in allerta.
“Ragazza trovata morta nel laghetto del parco, sindaco chiede maggiori manutenzioni del pontile ed un indagine sui responsabili dei lavori”.

Pensai immediatamente che fosse impossibile che una ragazza fosse morta lo stesso giorno in cui io ero caduta nello stesso laghetto, ma non ponevo limite al caso.
Ricevetti la chiamata di mia madre, era l’unica che mi era rimasta, mi chiese se stessi bene. Mi disse che temeva che la ragazza annunciata al telegiornale fossi io. Io non dissi nulla, ma pensai ‘avrei voluto esserlo, quanto avrei voluto’. Il telegiornale descrisse a grandi linee la ragazza,in parte non riconoscibile, perché gli animali del laghetto avevano già fatto danni. Dalla descrizione quella ragazza sarei potuta essere io e mi sorpresi della coincidenza.
Cercai di omettere ogni cosa e di procedere oltre.
Pensavo sempre al mio caro Marco, il mio amico ed il mio tutto. Se voi lo aveste conosciuto capireste il dolore profondo che provo ad averlo perso. Era la mia anima migliore, era il mio pensiero più felice. Volevo con tutto il mio cuore che fosse accaduto a me. Mi chiesi come non potevo essere morta. Volevo la morte, la desideravo ardentemente.





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