La
pioggia, fragorosa, si riversava sulle strade di Torino e lampi
lividi dilaniavano il cielo, grigio di nubi, illuminando la città
di una luce spettrale.
Decine
di corpi di Arcieri di Sirio, mutilati, dilaniati da orribili ferite,
contorti in pose innaturali ingombravano le vie del capoluogo
piemontese e il sangue si mescolava all’acqua, tingendola d’un
rosso chiaro.
Lo
sguardo di Claudio Serafino, vitreo di stanchezza, contemplava il
campo di battaglia.
Il
suo braccio destro, rosso di sangue, squarciato dall’artiglio
di un demone, pendeva inerte sul suo fianco e decine di strappi si
aprivano sulla sua divisa, rivelando la carne, offesa da lividi e
ferite sanguinanti.
Sotto
i suoi occhi, si allargavano, come macchie di petrolio, due ecchimosi
e la sua bocca, tumefatta, era arrossata da una bava sanguigna.
–
Quanti
miei compagni sono morti… – mormorò, incurante
del dolore. Fino al giorno prima, credeva che la guerra contro i
demoni fosse una santa impresa, che circonfondeva gli Arcieri di
Sirio d’una aureola di gloria…
Vedeva
negli Arcieri di Sirio dei sacri guerrieri, che lottavano senza posa
contro i demoni, animati da una indomabile brama di giustizia..
Ma
quella era la luce, proclamata dalle parole di Santa Romana Chiesa?
Scorgeva
solo un immondo carnaio.
Era
quello il battesimo di ogni esorcista?
Guardò
il cielo. L’acqua era stata considerata un simbolo di
purificazione e di rinascita.
Eppure,
in quel momento, il gelido tocco della pioggia novembrina acutizzava
le sue sofferenze.
– Per
cosa abbiamo combattuto? – si domandò, il cuore pesante
d’amarezza. Fin da quando erano fanciulli, erano stati
addestrati a considerare gloriosa la guerra alle creature demoniache,
che abitavano le etre profondità dell’Inferno.
Eppure,
in quel momento, avvertiva un senso dilaniante di tradimento
stringergli la gola in una morsa d’acciaio, che gli rendeva
difficoltoso il respiro.
A
stento, trattenne un singhiozzo. Come avrebbe voluto tornare indietro
al giorno prima e recuperare le illusioni del suo cuore…
Desiderava
riconquistare i sogni, che, nel corso di quella battaglia, si erano
frantumati.
Sospirò
e, con un gesto lento, meccanico, si passò una mano tra i
folti capelli neri. No, non sarebbe stato possibile.
Quella
battaglia, così cruenta, aveva scolpito un confine, irto di
spine, che lui non avrebbe più potuto oltrepassare.
Ormai,
era un soldato, appartenente alla gloriosa organizzazione degli
Arcieri di Sirio.
Non
poteva più rifugiarsi nelle sue fantasie di gloria ed eroismo.
Una
mano, leggera, si appoggiò sulla spalla di Claudio,
interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Il
giovane, d’istinto, si girò e i suoi occhi d’ardesia
si fissarono nelle iridi di carbone, dal taglio rotondo, di un
giovane uomo alto e robusto, il volto circondato da una criniera di
ricci castani, che, umidi di pioggia, si abbandonavano sul suo collo
taurino.
Diversi
tagli si aprivano sul suo volto, macchiandolo di sangue e la sua
divisa, strappata, era rossa di sangue sulla spalla.
–
Gabriele…
– sussurrò Claudio, il tono vibrante di commozione. Il
suo caro amico, figlio della splendida città di Napoli, era
sopravvissuto a quella battaglia, che aveva richiesto le vite di
tanti loro compagni…
Gli
prese le mani e gliele strinse. Poteva sentire il calore delle sue
grandi mani contro le proprie.
Non
era un sogno, ma una luminosa realtà, in quell’incubo
insanguinato.
La
sua mente, in quel momento, era inondata dai ricordi dolci e amari
della loro comune infanzia…
Forse,
era rimasto un frammento dei suoi sogni.
L’altro
esorcista, silenzioso, allargò le braccia e lo strinse contro
di sé.
– Ce
l’hai fatta… – mormorò Gabriele, la voce
lenta e calma. Durante la battaglia, erano stati separati e, nel
corso dei suoi combattimenti, aveva temuto per la vita del suo sagace
amico piemontese.
Grazie
alla sua fedele amicizia, era riuscito a superare i momenti più
duri del suo addestramento.
Quando
erano bambini, si erano ripromessi di combattere sempre insieme, ma,
nel corso di quella battaglia, avevano scoperto la dissonanza tra le
loro aspirazioni e la crudele realtà.
Quale
orribile scoperta era stata la guerra.
E,
presto, il suo amico sarebbe stato costretto a sopportare
un’ulteriore pena…
Ad
un tratto, con un lungo gemito, Gabriele si afflosciò su
stesso, come un sacco privo d’aria.
Claudio,
allarmato, lo strinse con più forza contro di sé, poi
si lasciò cadere a terra e, pur con fatica, lo aiutò a
sollevare il busto e gli fece appoggiare la testa sulle sue
ginocchia.
Il
suo sguardo, sgomento, indugiò sul corpo dell’amico.
Certo, era ferito, ma le sue ferite, per quanto gravi, non parevano
mortali…
Vedendo
l’espressione sgomenta negli occhi dell’amico,
l’esorcista napoletano accennò ad un sorriso.
–
Vorrei
poterti seguire, amico mio… Ma la sorte ha preteso altro…
– mormorò, il tono dispiaciuto. Certo, entrambi avevano
liberato il mondo da una potenziale minaccia, che aleggiava sul
mondo, ma tale risultato aveva richiesto uno straziante tributo.
Claudio
sarebbe rimasto solo e il peso degli Arcieri di Sirio si sarebbe
abbattuto sulle sue spalle.
L’esorcista
piemontese provò a muovere le labbra, ma le parole si persero
in un flebile mormorio, e lacrime rigarono le sue guance, portandosi
via il sangue.
No,
amico mio… Non voglio perderti…, pensò il
giovane esorcista. La chiarezza della situazione si esplicava nella
sua crudeltà…
Presto,
la solitudine sarebbe stata sua compagna.
E
lui, in quel momento, desiderava gridare il suo dolore, ma la sua
forza si spegneva nella sua gola, come una candela priva di ossigeno.
Con
uno sforzo supremo, sollevò le braccia, scosse da tremiti.
–
Claudio…
Te ne prego… Dammi la tua mano… – lo supplicò.
In quell’estremo momento, desiderava una ulteriore intimità
col suo fraterno amico…
Serrando
a stento i gemiti di dolore, questi allungò il braccio sano e
Gabriele sfiorò la sua mano con le proprie dita.
Poi,
girò un poco la testa e i suoi occhi si specchiarono nelle
iridi, lucide di lacrime, dell’altro.
– Sei
stato per me un fratello… Addio, figlio delle Langhe… –
sussurrò.
Qualche
istante dopo, le sue braccia caddero al suolo, con un sinistro tonfo,
e il suo corpo si rilassò nella morte.
Claudio
rimase immobile, lo sguardo vitreo.
– No…
– soffiò, il tono stralunato. In quel momento, avrebbe
desiderato precipitare nella silenziosa oscurità della morte,
pur di non avvertire nessuna sensazione.
Invece,
la chiarezza della realtà, come un mostro crudele, urlava la
perdita delle sue illusioni e dei suoi sogni.
Ormai
non poteva più cullarsi in fantasie d’eroismo e di
gloria.
Quel
grido spietato si mescolava con la pioggia novembrina, che, crudele,
straziava il suo corpo ferito di brividi di freddo.
Aveva
creduto di potere mantenere il legame terreno con Gabriele, ma
l’imperscrutabile volontà divina aveva preso altre
decisioni.
Quale
disegno era celato dietro simili scelte?
Una
risata stridula, isterica, folle ad un tratto, risuonò sulle
sue labbra e il suo corpo, di scatto, si inarcò all’indietro.
Perché perdeva tempo in simili, stupidi quesiti?
La
realtà, sincera, urlava la sua infinita crudeltà e
pretendeva il suo cuore.
E,
forse, era meglio così.
Le
emozioni lo condannavano ad un atroce tormento ed era meglio
liberarsene...
– Sì,
Dio… Prenditi le mie illusioni… Fai quello che devi…
Affinché io non soffra più! – urlò.
Un
tuono esplose in una violenta detonazione e le sue parole si persero
nella pioggia.
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