Spiel mit mir

di Nocturnia
(/viewuser.php?uid=13712)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Spiel mit mir
"We share a room and bed,
brother dear, come and be so kind,
brother dear, come, touch me,
slide closely to me."
- Rammstein -



Spiel mit mir



#0

Sua madre è giovane - troppo.
Canta filastrocche tristi, malinconiche: sussurri di una terra che l'Umbrella ha schiacciato come fosse niente.  
È una sposa di guerra, sua madre, e gli guida le mani sul ventre appesantito - una nascita ormai prossima.
"Sarà una femmina." gli dice, e Albert schiude le dita tra le sue, un'espressione perplessa sul viso infantile.
"Proteggila." gli chiede.
"Insegnale." lo supplica.
"Amala." mendica, regina caduta ancora prima di ascendere.
Albert si ritrae sorpreso quando qualcosa si muove sotto la sua mano e lo cerca.


#1

Ha tre anni anni quando la vede per la prima volta.
È un fagotto piagnucolante e pallido - le dita chiuse a pugno, le sopracciglia aggrottate in un'espressione confusa.
"Tua sorella." gli dice Spencer, e stende il braccio verso la culla "Alexandra Wesker."
Albert le riserva un'occhiata disinteressata, fredda.

Hai ucciso mia madre.

La bambina apre gli occhi e cerca i suoi.


#2

Ha quattro anni, e non riesce a rialzarsi.
Spencer si è infuriato con lui (ancora) e gli ha quasi spezzato un ginocchio.
Non combatte abbastanza bene, non cavalca con eleganza, non risponde con le dovute parole.
È bravo a fare male, Spencer.
Sa dove colpire, con quanta forza.
Albert libera un rantolo sfiatato (lasciatelo lì, per terra; il posto che gli si addice) scivola nel suo stesso sangue.
"Guh."
Tossisce, trattiene un rigurgito acido su per la gola.
"Abet."
È piccola, Alex; un anno o poco più.
È piccola, e Spencer l'ha semplicemente dimenticata lì, appoggiata sulla poltrona, come un oggetto.

Una femmina, aveva detto quando era nata, il suo valore è pari a quello dei suoi lombi. Prima, poco o nulla.

"Abet." ripete, e Wesker capisce che sta provando a dire il suo nome.
"Sto bene." risponde, e solo dopo si renderà conto che ha assistito a tutto - alle percosse, al dolore, alla sconfitta.
"Sto bene, Alex." si solleva sul ginocchio sano, le allunga la mano - si dice che vuole rassicurarla, ma in realtà è lui a cercare un conforto in quel fagotto azzurro e bianco.
Alex non ha paura del sangue che vi scorre sopra e stringe.


#3

Ha cinque anni quando si accorge delle voci che girano a palazzo - dei sussurri che solo il pugno di ferro di Spencer tengono lontani dal trono.
"Ha ucciso sua madre venendo al mondo." mormora una delle cuoche, spellando un coniglio "Anna, e sai che Anna non mente mai, mi ha assicurato che era deforme quando è nata. Orribile. Una coda squamata e due teste di serpente."
Mary, la serva, sussulta, si porta una mano alla bocca con fare sorpreso - una moina leziosa e frivola.
"Dice anche che Spencer ha chiamato il Culiebra in persona per darle un volto umano - grazioso."

Occhi trasparenti, pelle pallida; Alexandra Wesker già esibiva una bellezza elegante e silenziosa.

"Sono solo dicerie, chiacchiere tra la servitù." le interrompe Marguerite, frollando la carne "Il padrone è un uomo spietato, ma non asservito al demonio."
Mary sbatte le ciglia, le palpebre - un cervo spaventato, pronto per essere macellato.
"Forse." le concede la cuoca, strappando dei rami di rosmarino "Ma ricordati le mie parole: quella bambina è insana, sporca. Uccidendo la Lady si è portata dietro cose che non dovevano essere risvegliate."
Marguerite sbuffa, le dà le spalle - controlla che l'acqua sia alla temperatura giusta e vi versa dentro le carote.
Albert incide nella memoria i loro nomi.


#4

Ha tre anni, Alex, ed è una bambina silenziosa, quieta.
Capelli così biondi da essere quasi bianchi, occhi artici - da lupo; Alex fissa i dignitari uno per uno, non concede alcun sorriso.
Albert la trova... interessante.
La osserva alzare leggermente un sopracciglio (irritazione) trattenere un angolo della bocca (sarcasmo).
Alex inclina il viso nella sua direzione, gli rivolge uno sguardo indecifrabile - intenso.
Albert le risponde con altrettanta forza.


#5

Alex è piccola; bianca e rosa.
Corre al suo fianco - lo (in)segue.
Cade con lui, per lui.
Sanguinano le sue mani, le sue ginocchia, ma ride Alex.
Ride, e cerca di stare al suo passo - di raggiungerlo.
Ha quattro anni, Alex.
È sottile, e pallida e non ha paura.
Si arrampica con lui lungo le mura del palazzo, si getta tra le sue braccia senza alcuna remora.
Precipita Alex, ciglia delicate che ombreggiano occhi spietati, artici.
Non vale nulla adesso, gli aveva detto Spencer, ma quando crescerà sarà almeno utile a qualcosa.
Albert la guarda raccogliersi la gonna attorno alle gambe, un'espressione concentrata sul viso ancora piccolo e infantile.
Si annoda la stoffa di lato, lo fissa.

Gli tende la mano, morbida - calda sotto la sua, già indurita dagli allenamenti con la spada.

Albert intreccia le dita alle sue, si lancia in avanti - le insegna come squarciare il cielo e vivere.
Volano insieme, Alex e Albert: anni dopo cadranno nello stesso modo.


#6

Ha otto anni quando Alex gli rivolge la parola per la prima volta.
L'ha già sentita parlare per le stanze del castello, e sa che ha una bella voce; tagliente, dura - elegante.
"Insegnami." gli chiede, e deve sollevarsi in punta di piedi per guardarlo negli occhi.
Albert alza un sopracciglio, abbozza una risata.
"Cosa?" la deride "Ad accogliere gli ospiti e a scrivere sonetti?"
Alex indurisce lo sguardo, arriccia le labbra sui denti - una smorfia orribile sul volto di una bambina di appena cinque anni.
"No." e Albert la studia - la valuta "A combattere."
Tra le sue mani la spada si è fatta improvvisamente pesante.


#7

Ha sei anni Alex quando le viene inflitta la prima punizione.
Sangue sotto le unghie, tra le dita; Alex trattiene le lacrime, cerca di piegare prima l'indice, poi il pollice.
"Non sono rotte." la rassicura Albert, sfiorandogliele "Ma dobbiamo pulirle."
Alex annuisce, libera un sospiro esausto.
"Ha trovato la spada che ti ho prestato?"
Un sorriso a metà; una scintilla divertita sul fondo di quegli occhi artici.
"No."
Albert inclina appena il viso nella sua direzione, la invita a continuare.
"Non ho mangiato abbastanza composta."
Wesker sa già che quella bambina sarà la sua maledizione.


#8

Ha dieci anni la prima volta che trova rifugio nel suo letto.
La tempesta ruggisce da giorni, squarcia il cielo - percuote la terra.
Qualcosa gli tocca il fianco, la spalla.
Albert si volta di scatto, estrae il coltello che nasconde sotto il cuscino.

Alex.

Non c'è paura nei suoi occhi, incertezza.
Scorre con lo sguardo sulla lama che le sfiora la pelle tenera del collo, cerca i suoi occhi - lui.
"Posso dormire con te?"
Una domanda innocente; innocua.
Albert la studia, ritrae il pugnale.
"Se dicessi di no?"
Alex imbroncia le labbra, si stringe le braccia al petto.
"Ti ignorerei."
Un tuono distrugge il silenzio, grida di un orizzonte che sa - che ha già visto.
"No." replica allora, e sorride.
Alex alza il mento, emette un suono contrariato - stizzito.
L'alba li troverà ancora insieme.


#9

Ha undici anni quando si trascina tra le sue lenzuola con sguardo spento, sfibrato.
Albert le sfiora la schiena, conta le ferite che Spencer le ha inflitto una per una.
Carne strappata, morta.
Grumi di sangue, una perfezione rovinata - segnata dalle pretese di un vecchio e dai suoi deliri.
"Ha trovato la spada."
Alex digrigna i denti, si flette in avanti - lascia che Albert veda la sua debolezza.
"Ha trovato la spada e tu l'hai usata."
Alex annuisce, soffoca un lamento quando le pulisce un taglio particolarmente profondo.
Comincia a bendarle la prima ferita, dita fredde e ruvide lungo la spina dorsale, sulla pelle slabbrata dalla frusta.
"L'hai colpito?"
Alex inspira, espira; tossisce.
"Sì."
Albert emette un suono basso,  vibrante.

Soddisfatto.

"La prossima volta t'insegnerò come tagliare la gola di un uomo con un solo affondo."
Alex chiude gli occhi e sorride.


#10

Ha nove anni Alex quando scopre di non esser l'unica: che Spencer ha lasciato più di una cicatrice anche su Albert - sul suo figlio prediletto.
Fissa una linea irregolare e rossastra, una bocca oscena che gli divora mezzo fianco.
Albert stende le mani verso il camino, lo sguardo perso nelle fiamme.
"Un giorno te lo dirò." le promette "Quando tutto questo sarà finito."

Quando io sarò sul trono.

Alex si siede al suo fianco e aspetta.


#11

Ha tredici anni, Albert.
È un uomo, gli dicono. Quasi.
Tra poco potrà prendere parte ai consigli di guerra, a quelli diplomatici.
Tra poco potrà scegliersi una puttana, una moglie.
Tra poco potrà avere eredi, legittimi e non.
Albert si scopre indifferente a ogni loro parola.


#12

Hanno quattordici e undici anni quando si accorgono che qualcosa è cambiato.
Alex cerca ancora rifugio nel suo letto, Albert glielo concede - sempre.

Ma.

Hanno quattordici e undici anni, e dormono dandosi le spalle - il respiro trattenuto, la schiena rigida.
Non si toccano, non si sfiorano.
Alex ha le ginocchia sollevate verso l'alto, Albert fissa il fuoco morente con un'intensità spaventosa.
Piove sul regno dell'Umbrella.
Piove e il cielo grida - s'illumina quasi a giorno.
Albert deglutisce, reprime l'istinto di cercarle la mano e stringere.
Nessuno dei due dormirà quella notte.


#13

"Cosa farai una volta sul trono?"
Ha dodici anni, Alex.
Ha dodici anni, e sta crescendo in fretta (troppo).
Ha dodici anni e il viso si sta affilando, gli zigomi pronunciando.
Ha labbra piene, occhi freddi - un riflesso spietato dei suoi.
Albert storna lo sguardo dalla sua bocca, le accarezza le tempie, i capelli.
"Ti farò regina."
Alex ride a quella promessa impossibile.


#14

"Sanguino."
Alex è raggomitolata tra le sue coperte quando succede, gli occhi spalancati - sperduti.
"Non glielo dire." supplica, e la sua voce ha una strana inflessione "Non devono saperlo."
Alex ha tredici anni quando diventa una donna.
Ha tredici anni e libera un grido frustrato - disperato.
"Mi cercheranno un marito." e strappa le lenzuola, le riduce a un pugno informe di seta rossa.
"Mi mariteranno a qualcuno di vecchio, osceno; qualcuno con cui Spencer possa stringere alleanze, consolidare commerci."
È frenetica, Alex: spaventata.
Si volta di scatto, le lenzuola strette al petto e i capelli aggrovigliati.
"Dovrò dargli un erede. Dovrò concedermi a lui."
Inspira con forza, si piega in avanti.
"Non posso."
Albert si alza, le si avvicina.
"Non voglio."
Lascia che nasconda il viso tra le sue braccia, che lenisca quel grumo che gli opprime il petto - indignazione, rabbia, gelosia.
"Non succederà." le promette, e Alex si aggrappa alle sue spalle come se fossero l'unica cosa che contasse "Non  lo permetterò."
Il primo capitolo della loro storia è appena stato scritto.


#15

Ha quattordici anni Alex, e Spencer le ha trovato un degno consorte.
Ha quattordici anni Alex, e vuole che lui lo uccida.
Non posso sposarlo, gli aveva detto, non posso. Non voglio. Mi fa schifo. È ributtante, vecchio.
Albert le aveva preso il viso tra le mani, studiando i suoi occhi, le sue labbra - ferite rossastre che grondavano sangue e veleno.
Lo farò io stessa, se necessario, gli aveva anche promesso, incidendogli i polsi con unghie piccole e lucide, non vivrò la vita che Spencer ha deciso per me.
Si era aggrappata a lui, alle sue promesse - a un corpo che avrebbe solo voluto strapparle la pelle e sapere che sapore avesse la sua carne, la sua voglia.
Il mattino seguente del signore del Veltro non rimarrà nulla più che un grumo di polvere e domande.


#16

È stanco, Albert.
È stanco di quella ragazzina che gli scivola alle spalle e lo colpisce con l'elsa della spada.

Di quel pensiero bagnato che lo tiene sveglio ogni notte.

È stanco, e le assesta un pugno al plesso solare, sulle costole - si flette, facendole perdere il piede d'appoggio e falciandola all'altezza della caviglia.
La osserva rovinare nella sabbia grigia dell'arena, ringhiare - spellarsi i palmi delle mani, i gomiti.
Cade, Alex, e geme quando una pietra sporgente le ferisce il fianco.
Snuda i denti, allunga il tallone verso il suo ginocchio - non si arrende.

Nemmeno quando la sogna nuda tra le sue lenzuola e si sveglia poi umido di sudore e altro.

Crolla su di lei Albert, affonda la punta della spada a pochi centimetri dal suo viso.
Alex socchiude la bocca, lo fissa con uno sguardo rabbioso - combattuto.

"Ti odio."

Albert percepisce il sangue colargli tra le dita, lungo l'impugnatura della lama - là, dove preme per non stringerle la gola e rovesciarle la testa all'indietro e...

"Ti odio." lo dice sfiorandolo tra le cosce.
"Ti odio." ripete, e allunga le mani verso l'acciaio della sua spada - si ferisce con lui, per lui.
"Ti odio." mormora, e disegna figura rossastre tra i suoi capelli mentre lo bacia - mentre si arrende a un sentimento osceno.
Albert chiude gli occhi soffoca ogni altra replica sulla sua bocca.


#17

Ha sedici anni Alex quando la gelosia le mastica il cuore - i pensieri.
La ragazza la fissa con occhi spaventati, accecati da qualcosa che vibra e ruggisce e brucia nella pupilla di Alex.
"Devo parlare con mio fratello."
Non dovrebbe esserci. Non dovrebbe esistere.
Quel pugno che minaccia di stritolarle la gola, che le inasprisce la voce.
Non dovrebbe neppure poter essere concepito.
La ragazza scivola con malgrazia fuori dal letto, sfugge - ha lo stesso odore di Albert addosso, maninka e cuoio.
Alex ne segue il profilo fino a quando non scompare nel buio del corridoio, libera un respiro che non si era accorta di aver trattenuto.
"Aelita." le offre Albert, e Alex posa lo sguardo su di lui - pelle uguale alla sua e nuda, scoperta "Si chiama Aelita."
"Un'edoniana." e sono incrinate agli angoli le sue parole, frastagliate.
Albert inclina il mento nella sua direzione, la osserva - la studia.
"Dunque?" la incita "Cosa avevi da dirmi di così importante?"
Alex apre la bocca, la richiude - non se lo ricorda più.
Sfiora con lo sguardo le lenzuola sgualcite, i vestiti di suo fratello abbandonati sul pavimento.
Viene catturata dalle ombre della stanza, dall'assoluta calma con la quale Albert la fissa.
È nudo Albert, e le fiamme blandiscono la linea tesa dei muscoli, quella spigolosa degli zigomi - tra le cosce un desiderio evidente, non ancora saziato.
Albert alza un sopracciglio, si avvicina - s'inclina poi verso di lei, blandendole la curva morbida del collo.
Alex non arretra (dovrebbe) non fa nulla quando le cattura un polso tra le dita e tira - sobbalza solo quando lo tocca, ed è caldo sotto le mani, umido della bocca di un'altra.
"Vuoi forse darmi una mano a finire, sorella?"
La pupilla di Alex si dilata, ingoia quasi tutta l'iride e...
Albert libera un gemito sorpreso quando Alex sorride e stringe.


#18

Alex si fissa le mani, le macchie traslucide che le sporcano - fili biancastri che osserva rapita, affascinata.
"Oh." dice solo, e Wesker le riderebbe in faccia se non  si trovasse in una posizione così scomoda - inaspettata.
Schiude le dita a ventaglio, le alza - controluce studia il marchio di una voglia indecente e proibita.
"Alex." la chiama, e lei gli riserva un'occhiata in tralice, furba - e non è più sua sorella, ma qualcosa di diverso.
È un profilo pallido e aristocratico vestito d'oro e rosso, zigomi alti e labbra che si piegano in un sorriso sfacciato.
È una donna che si porta l'indice alla bocca e assaggia - ride quando si accorge della sua espressione attonita.
Albert ha come la sensazione d'aver perso una battaglia ancora prima d'averla potuta combattere.


#19

"Sei mia sorella." le dice, e suona debole persino alle sue orecchie.
"Non possiamo." si convince, e le dà le spalle.
"Torna nella tua stanza." le intima, e la ignora.
Alex si tormenta una pellicina, osserva il sangue fiorire lungo i bordi dell'unghia piccola e rosa.
Tende una mano verso di lui, libera un guaito sorpreso quando Wesker le afferra il polso e gira - quasi glielo spezza.
"Se vuoi tanto fare la puttana possono sempre trovarti un posto nel bordello di palazzo: non dovrebbe essere poi così difficile. Non ce ne sono tante come te."
S'inclina verso di lei, l'avvicina - il braccio schiacciato contro il suo torace, flesso in una posizione innaturale.
"Così disponibili, sempre pronte all'uso - bagnate. Ne ho trovate davvero poche, sai?"
Alex sgrana gli occhi, socchiude la bocca - attonita.
Albert rafforza la presa, l'allontana - la osserva incespicare e poi riacquistare subito l'equilibrio.
Per alcuni secondi Alex si sgretola - crolla.
Albert può vederne le crepe allargarsi e aprirsi, una donna ferita - umiliata, che sanguina.
Deglutisce, Alex, indurisce lo sguardo - la linea pallida della bocca.
Alza il mento nella sua direzione, gli offre un sorriso sgradevole - crudele.
"Come preferisci." ed è veleno la sua voce, priva d'inflessioni "D'altronde, cosa direbbero giù nel bordello se sapessero che è proprio tua sorella a fartelo venir duro? Sai, potrei anche farci un pensiero: perché fermarsi con te quando è possibile avere tutto?"
Albert irrigidisce la mandibola, i muscoli delle spalle - brucia.
Alex amplia il sorriso e lo abbandona alla sua stessa miseria.


#20

La tempesta morde il cielo sopra Raccoon, ne strappa gli angoli, i colori.
Si piegano sotto la sua forza gli alberi che costeggiano le mura della città, latra il vento, sferza una pietra che nessuna guerra è riuscita ancora ad abbattere.
Wesker si appoggia al bordo della finestra, lascia che la pioggia gli bagni il viso, le spalle.
Due mesi; da tanto Alex lo evita.
All'inizio aveva pensato che fosse un bene; una provvidenza che lo liberava dai suoi istinti, da un desiderio che aveva sfogato su Aelita e altre donne - sempre diverse, mai lei.

Si era sbagliato.

Nulla l'aveva soddisfatto - nulla era servito.
Tra le cosce non avevano mai il suo sapore, il suo odore.
Non si flettevano nel modo giusto, non chiamavano il suo nome con la giusta cadenza - con quell'inflessione febbrile, urgente.
Un tuono rumoreggia in lontananza, e Albert ricorda quando erano piccoli: quando Alex correva da lui e si nascondeva tra le sue braccia.
Chissà se ha ancora paura del buio, si chiede, e fissa il complicato arazzo che nasconde il passaggio sotterraneo per la sua camera.
Scivola con lo sguardo sulle lenzuola fredde, chiude gli occhi - si arrende.
Certe tragedie sono state scritte ancora prima d'essere vissute.


#21

Alex percepisce il materasso piegarsi sotto il peso di qualcuno, le coperte scostarsi dal suo corpo; scivola con le dita sul pugnale che nasconde sotto il cuscino e si volta di scatto - preme, soffermandosi sulle gocce di sangue che ne impregnano la punta.

Albert.

"Ti ho insegnato bene." le dice, e nell'oscurità della stanza può intravederne solo il profilo - ascoltarne il respiro.
Alex tace, aspetta - la lama ancora contro la sua gola.
Albert le stringe il polso tra le dita, si china verso il suo viso - le sfiora la bocca a ogni parola.
"Alexandra." la chiama - la invoca.
Un fulmine squarcia il silenzio, delinea la curva dei suoi fianchi sotto la camicia, il seno - la piega generosa dell'inguine.
Alex indurisce lo sguardo, pupille dilatate e ferite.
"Non sono la tua puttana."
"Lo so."
"Non un pezzo di carne in vendita."

Non sono quello che Spencer vuole che io sia.

"Lo so."
Gli cerca gli occhi, lo studia.
"Non sono tua sorella."

Non stanotte.

Albert annuisce contro la sua pelle e sorride.


#22

Quando aveva sette anni Alex affrontava il freddo dei corridoi sotterranei per raggiungerlo e nascondersi tra le sue braccia.
Si raggomitolava contro il suo fianco e mormorava una serie d'insulti rivolti alla tempesta da far invidia a un fabbro consumato.
Gli rubava sempre una parte delle coperte, e se c'era una pelliccia di lupo se la stringeva addosso di diritto.
Si contavano a vicenda le ferite che Spencer aveva lasciato sulla loro pelle - affilavano la rabbia, la diffidenza; ne facevano una lama e uno scudo.
Per un po' era andata bene così; per un po' era bastato.

Quando Alex aveva compiuto undici anni e lui quattordici qualcosa era cambiato.
Dormire insieme non era più sembrato così giusto, e gli spazi erano aumentati - le distanze.

A tredici anni Alex era diventata una donna - per lui sempre e solo la sua sorellina, un fagotto bianco e azzurro che possedeva i suoi stessi occhi, la stessa pelle.

A sedici anni si era accorto che quello che lo scuoteva la notte non era affetto, ma qualcosa di diverso - di più forte, vorace e che si raccoglieva in un nodo umido a basso ventre.

A diciotto anni il suo autocontrollo aveva ceduto - miseramente.
A diciotto anni aveva smesso di chiedersi che sapore avesse la bocca di Alex, ed era affondato - aveva compreso.

A diciannove era soffocato tra le sue stesse parole, le mani di Alex tra le cosce - lungo la sua erezione, a blandire un orgasmo che aveva rischiato di annientarlo.

A venti l'aveva rifiutata - ancora.
A venti era crollato - senza più difese, limiti.
A venti la rovescia tra le stesse lenzuola sgualcite di sempre, ascolta i suoi gemiti, la sua voglia.
S'inarca sotto le sue mani Alex, lascia che le divori il cuore, la bocca.
Schiude le cosce per lui, a lui.
Le sfila la camicia sottile, sfiora il suo corpo in punta di lingua - si sofferma vicino all'ombelico e la guarda, aspetta.
Alex replica alla sua domanda inarcando i fianchi verso il suo viso, libera un ansito indecente quando la sua lingua la trova già umida e morbida.
Gli preme le unghie nella pelle debole del polso, segue i suoi movimenti - dita che si arcuano, premono, affondano.
"Albert." mormora, ed è la tempesta a inghiottire il suo nome.
"Ti prego." supplica, e neppure lei sta cosa sta chiedendo - implorando.
Wesker si allontana appena, le cerca gli occhi - l'ultima, definitiva, resa.
"Sei mia sorella." ripete, e non ci crede più neppure lui.
Alex flette la schiena verso il suo viso, libera un suono frustrato.
"Non so più chi voglio essere." ammette, e chiude gli occhi quando le labbra di Albert la trovano - ancora.
"Non so più cosa voglio essere."
Wesker blandisce, lecca - guida un orgasmo improvviso, rapido, che si spegne in un rantolo sfiatato.
Alex si rilassa tra le sue braccia, chiude gli occhi - si abbandona.
La tempesta frusta ancora le pareti del palazzo, ruggisce tutta la sua empia forza - condanna quello che si è appena consumato nel silenzio di un sangue condiviso.
"Riposa." sussurra Albert tra i suoi capelli, e Alex sorride sulla sua bocca - assaggia se stessa, lui.
Il calamo della storia ha appena scritto la loro fine.


#23

Ha diciassette anni Alex, ed è bella.
Si veste di rosso e oro, al collo un serpente d'ossidiana e rubini.
Le scivola lungo la linea della carotide, arrotola la coda poco sotto la gola - nasconde un morso vorace e che sanguina ancora.
Spencer la guarda con disapprovazione, la corte con sospetto.
Qualcuno parla - mormora; Alex li ignora e corre con lui nella notte, quando la città dorme e il silenzio si riempie dei loro ansiti.
Ha imparato a combattere, a difendersi: brilla un'intelligenza feroce sotto quella massa di capelli biondi e Albert ammira la sua ambizione - la sua crudeltà.
Ride quando la solleva di peso e la rovescia nell'erba umida, si stende all'indietro come un gatto sotto il sole.
"Non mi sposerò."
"No." concorda Albert.
"Non me ne andrò da qualche parte sperduta al nord per rafforzare un accordo politico."
"Non te lo chiederei mai."
Si solleva sui gomiti, aggrotta le sopracciglia.
"Siamo nati nella pagina sbagliata della storia, Albert."
Un pettirosso plana vicino a loro, li fissa.
"Forse."
Lo segue un cardellino, si litigano una mollica di pane dimenticata da qualche contadino.
Alex si porta le ginocchia al petto, inclina il mento nella sua direzione.
Percorre la sua figura con lo sguardo, si chiede se qualche parte, in un altro mondo e in un altro tempo, siano ancora fratello e sorella: se il destino abbia deciso di metterli sempre sul piatto perdente della bilancia.
Albert coglie la sua preoccupazione - la sua paura.
Cerca la sua mano, intreccia le proprie dita alle sue - stringe.
Vent'anni dopo quel gesto sarà l'unica cosa che la guerra non ridurrà in polvere.


#24

Lo hanno notato: lo hanno capito.
Non ci sono più puttane nel letto di Albert, sono fredde al mattino le lenzuola di Alex.
Le serve parlano, chiacchierano.
È un abominio, dicono.
È un peccato mortale, sussurrano.
È la punizione divina per aver ucciso la signora, proclamano.

Li ho visti, dice qualcuna.
Non erano più umani, conferma un'altra.
Avevano assunto le sembianze di bestie, fottevano allo stesso modo, sostiene la più vecchia.
Bruceranno per questo, la sentenza definitiva.

Alex si nasconde nelle ombre delle loro parole e aspetta.


#25

"Non è quello il modo di cavalcare."
Spencer studia la mimica arrogante di Alex, alza un sopracciglio.
"I guerrieri montano a quella maniera; gli uomini, Alexandra."
Alex lo ignora, sotto il vestito le cicatrici bruciano - gridano.
Indossa i paramenti reali, strisce di sangue e oro che le scivolano sulle spalle, tra i seni - tra i capelli un intricato rovo di serpenti d'ossidiana.
Alex ha diciannove anni appena compiuti, e aspetta gli eredi di Rockfort al fianco del fratello, un suo crudele riflesso.
"E poi perché non hai scelto Aram? John mi ha detto che l'hai lasciato riposare nelle stalle."
"Un castrato." replica, asciutta.
Spencer digrigna i denti, spinge Astra nella sua direzione.
"Un cavallo tranquillo."
Il viso di Alex rimane impassibile, le dita strette attorno alle redini, la schiena rigida.
"Non monto castrati, padre."
Zanor sbuffa irritato, scuote la criniera - si muove inquieto sotto di lei.
"È un cavallo pericoloso, Alexandra. È uno stallone: testardo, aggressivo. Potrebbe disarcionarti."
Piega appena un  angolo della bocca Alex, rivolge ad Albert un'occhiata sfuggente - nascosta.
"Non lo farà."
Spencer ruota una spalla con un pop! ottuso, le sue ossa ormai vecchie e stanche.
"Non rimarrò qui a guardare mia figlia cadere nel fango come una contadina qualsiasi."
"Non succederà." li interrompe Albert, lo sguardo fisso sulla piana sottostante, occhi di lupo e bestia.
"Alexandra non cadrà. Non certo davanti agli Ashford." e blandisce con la punta delle dita Zanor, osservandolo chinare il muso sotto le sue carezze.
Spencer tossisce, raschia un grumo di catarro e sputa, schiarendosi la voce.
"Sarà meglio per lei."
I vessilli della Libellula spezzano l'orizzonte, la delegazione di Raccoon rientra nei ranghi - Spencer si allontana, indossando la sua maschera migliore.

Quella del politico e del bugiardo.

Alex spinge i talloni nel fianco di Zanor, osserva Albert fare altrettanto con Hela, una femmina ribelle e che nessuno era ancora riuscito ad accoppiare.
Sulle loro spalle mantelli di sangue e cenere.


#26

Ci sono volte in cui è evidente che quello che stanno facendo è sbagliato.
Ci sono volte in cui non basta essere silenziosi - tacere orgasmi proibiti e gemiti sfacciati.
Ci sono volte in cui le sue mani la cercano comunque; istanti in cui Alex lo sorprende alle spalle e rischia tutto dietro una delle colonne in marmo della sala padronale.
Ci sono volte in cui si ricordano chi sono - cosa sono.
Alex è raggomitolata contro il suo fianco quando bussano alla porta della sua stanza, un profilo nudo e tiepido.
"Sua altezza." ed è la voce di Cindy, la serva personale di Albert "I delegati l'aspettano per la battuta di caccia. È già in ritardo."
Alex si porta il lenzuolo al petto, scivola fuori dal letto - raccoglie la sua camicia da notte, il mantello con il quale era arrivata.
"Arrivo." replica Albert, ed è già in piedi, le mani alla pesante cintura in cuoio e argento "Scusati con loro e di' a John di sellarmi Hela."
"Sarà fatto." replica Cindy, e Alex può percepirne i passi piccoli e veloci che si allontanano.
Albert si volta, la vede lì, una mano al petto e l'altra che stringe i suoi vestiti in un pugno di stoffa.
Ha diciannove anni Alex, ma sembra la stessa bambina che si graffiava i gomiti per rincorrerlo attorno alle mura del palazzo.
Le scosta una ciocca di capelli, ne osserva il profilo accigliato, le labbra strette in una linea sottile.
"Alex." la chiama, e lei gli rivolge uno sguardo incredibilmente triste.
"Una puttana." dice, e sorride - una smorfia malinconica e spenta "Devo scappare dal tuo letto come una puttana. Anzi, no: quelle potevano rimanere. In fondo, stavano solo facendo il loro lavoro."
Albert apre la bocca, la richiude - non sa cosa dire.

Perché le parole li definirebbero per quello che sono - sbagliati, rotti.

Alex sospira, lascia che la baci tra i capelli, sulla fronte.
L'uno tra le braccia dell'altro tornano a essere quello che sono sempre stati: due bambini spaventati da un futuro più grande di loro.


#27

"Tua sorella è vecchia, ma virgo intacta."
Spencer tamburella con le dita piegate dall'artrite sul bracciolo del trono, incassa la testa nelle spalle.
"I rapporti con Terragrigia stanno peggiorando; dobbiamo fare qualcosa."
Un potere logoro, parole stantie.
"Un matrimonio. Un erede. Una soluzione."
Tendaggi pesanti, che oscurano la sala - la soffocano.
"Che almeno la sua vita abbia un valore."
Albert s'inchina a Spencer per l'ultima volta.


#28

"Non possiamo continuare così."
Albert appoggia il fodero della spada contro il camino, la osserva in tralice.
"Cosa vuoi dire?"
Alex raddrizza le spalle, sposta il peso da un piede all'altro.
"Sei mio fratello." replica, come se questo bastasse a spiegare il tutto.
Wesker libera una risata secca, asciutta: derisoria.
"Un po' tardi per accorgersi di questo, sorella."
Alex accorcia la distanza che li separa, lo sfida.
"Se lo scoprono..."
"È questo che ti preoccupa?"
Silenzio.
"Rispondi." la incita, inclinandosi verso di lei "È la possibilità che ci scoprano..." le sfiora i fianchi, risale lungo le costole - stringe la curva del seno, strappandole un gemito sorpreso "... o il fatto in sè?"
Gli occhi di Alex cercano i suoi, si allontanano, perdendosi nelle fiamme.
Le mani di Albert blandiscono, non hanno pace; le contano le vertebre una per una, sfiorano vecchie cicatrici, percorrono ogni curva, ogni linea di un corpo che è sempre stato suo.
"Rispondi..." e le infrange il respiro, una mano a sollevarle la gonna pesante, l'altra attorno al collo - a esigere una resa totale e assoluta "... sorella."
Per un attimo, un terribile istante, Alex potrebbe porre fine a tutto.
Potrebbe ritirarsi, consegnare le armi e dire che no, è stato tutto un errore; una voglia, un capriccio.
Che non è successo ancora niente; che un paio di orgasmi rubati e una lingua esigente non cambiano il suo status di virgo intacta - di perfetta e devota sposa.
Potrebbe.
Alex si allunga verso il suo viso, gli artiglia i capelli della nuca.

Chiede. Vuole. Ordina.

"Mostrami." gli dice, e Albert comprende - brucia.
"Insegnami." e affonda Wesker sulla sua bocca, la cerca in un bacio umido e scomposto.
La solleva di peso e lascia che scivoli tra le sue lenzuola - che si mostri a lui come la bestia terribile e affamata che è sempre stata.
Alex geme il suo nome - lo evoca.
E c'è qualcosa di eccitante nel modo in cui lo pronuncia - nell'assoluta devozione che gli mostra.
C'è qualcosa che lo spinge a morderla fino a sentire il sapore del sangue (di Alex, suo - loro) sotto la lingua, contro il palato.
Alex gli percorre il petto in punta di dita, scende - lo trova già duro.
S'inarca tra i suoi fianchi, ride quando la sua voglia le bagna le dita - attraversa la stoffa sottile dei pantaloni.
Non gli chiede se farà male, o di essere più delicato - più gentile.
Asseconda i suoi movimenti, si lascia condurre - trema tra le sue braccia, e chiude gli occhi quando la sfiora tra le cosce con la bocca, liberando un guaito esausto.
È umida, e si schiude per lui - con lui.
Ha il suo stesso odore, Albert, il suo sapore.
È carne della sua carne, sangue del suo sangue.
È qualcosa di diverso, eppure di così simile da essere crudelmente sovrapponibile - uno specchio spietato.
Alex lo osserva da sotto palpebre pesanti, languide; la pupilla un'orbita nerissima che ha ingoiato quasi tutta l'iride.
Albert è un profilo rosso e oro - lambito dalle fiamme del camino.
È una linea di pelle e muscoli che si muove tra le sue gambe, che non le concede pietà - che la riduce in ginocchio, a gridare il suo nome.
Viene, Alex, e Wesker soffoca il suo orgasmo con le labbra - tumide, bagnate dallo stesso desiderio.
Si scosta da lei quanto basta a sfilarle la gonna, il corpetto.
È nuda, Alex, e si allunga verso il suo corpo - lo cerca, lo vuole.
Fragile, pallida; Albert ha quasi paura di spezzarla.

Quasi.

Ma poi Alex sorride; lo prende tra le mani e non mostra alcuna incertezza - nessuna paura.

Lo conduce da lei - in lei.

È nel destino della loro casata essere maledetti.
È nel destino di una famiglia che ha scelto il tradimento, la violenza, la paura per regnare.
È nella storia di un simbolo che solo ora trova il suo significato - Uroboro; il serpente che divora se stesso.
Albert le cerca gli occhi, li incatena ai suoi - azzurro e azzurro.

Ah.

È un attimo; un istante solo.
Alex gli offre una debole resistenza, un gemito senza suono.
S'inarca all'indietro, e Albert osserva affascinato il punto in cui uniscono - i muscoli tesi nelle cosce di Alex, la sottile linea pallida che le percorre il pube, il modo in cui si contrae attorno alla sua erezione.
Si china su di lei, affonda - avverte qualcosa rompersi, e l'appiccicoso del sangue gli sporca inguine, le lenzuola.
Alex gli pianta le unghie nella schiena, libera un unico, frastornato, grido - e poi ride, libera.
Il fuoco muore, si raggomitola sotto la cenere e aspetta - un serpente in caccia.
Tra le tende del baldacchino si consuma un amplesso blasfemo, immorale: qualcosa capace di accecare gli dèi e la loro morale.
È tiepida sotto le dita, tra le cosce - stretta, morbida.
Geme e supplica e ansima solo per lui - con lui.
È bella, Alex, e accetta le sue spinte come se fosse nata per questo - come se entrambi fossero stati creati per questo unico, tragico, momento.
Gli percorre la schiena con l'indice, lambisce in punta di lingua la linea pulsante della carotide - frenetica, piena.
"Albert." chiama - invoca.
Wesker si lascia condurre dalla sua voce e viene.


#29

"È lo stesso sangue." gli dice, sfiorando con i polpastrelli la macchia che va allargandosi sul lenzuolo "Mio e tuo."
Albert le circonda le spalle, la vita - stringe.
"Non c'è alcuna differenza."
Respira tra i suoi capelli, le concede un morso delicato sulla nuca, tra le scapole.
"Non più."
Alex si reclina all'indietro, socchiude le cosce - lo accoglie, ancora.
Inspira, e per un attimo le manca l'aria - per un istante l'enormità di quello che stanno facendo (che sono) le strappa il respiro dai polmoni.
Ma poi Albert le bacia il polso, risale lungo il braccio - le prende il viso tra il pollice e l'indice e le cerca gli occhi, languidi sotto le sue spinte.
Cattura la sua bocca - respira con lei, per lei - e Alex sorride.
Al suo corpo consegna ogni altro dubbio.


#30

"Sto morendo."
Albert fissa Spencer con la coda dell'occhio, si trattiene dall'arricciare le labbra sui denti.
"La Febbre, la chiamano. Io dico che qualcuno mi sta avvelenando."
Spencer scivola con lo sguardo sulla figura di suo figlio - il perfetto enfant prodige.
Spalle larghe, occhi vuoti, Albert è una stella malevola e spietata - che brucia, annientando tutto quello che tocca.
Sorride, Spencer, ed è una smorfia ributtante - disgustosa.
"Non mi rimane molto."
Wesker rimane immobile, una mano al pomolo della spada e l'altra abbandonata lungo il fianco.
"Devo sapere che la nostra casata sopravviverà."
Un tremito all'anulare sinistro: impercettibile.
"Che mariterai degnamente tua sorella."
Il sole sporca l'orizzonte di rosso e giallo, un cielo che sanguina.
"Con Morgan Lansdale, il signore di Terragrigia."
Albert inspira, decide.
Spencer è un sacco di carne flaccida e ossa fragili, un uomo putrescente - un vecchio al suo ultimo giro di clessidra.
Wesker si avvicina, segue con la punta dell'indice il bordo del letto - ne increspa le lenzuola maleodoranti.
"C'è aria viziata qui, padre."
Spencer gli rivolge un sorriso liquido, untuoso.
Albert apre la finestra, accoglie l'aria notturna sul viso, lungo gli zigomi.
"Mariterò Alexandra."
Estrae lo stiletto della casata dalla cintura, lama d'acciaio, un serpente d'ossidiana e rubini attorno all'elsa.
Inclina il viso nella sua direzione da sopra la spalla, lascia che il freddo dell'inverno scuota il corpo marcescente di Spencer.
"So che lo farai; sei sempre stato il mio successo migliore."
Spencer artiglia la coperta vinaccia, inasprisce i lineamenti del viso - si riduce a nulla più che uno scheletro dalla pelle tesa e malsana.
"È stata una tale delusione tua sorella."
C'è fastidio nella sua voce, vergogna.
"Una tale perdita."
Albert si avvicina, aspetta.
"Buona neanche a lasciare un erede prima di morire."
Wesker sfiora con lo sguardo la fiamma della candela, la osserva ondeggiare, resistere al vento che spira da nord.
"Farai la cosa giusta, Albert."

Snap.

Qualcosa si rompe. Qualcosa divampa.
Forse è il modo in cui lo guarda: con approvazione.
Forse è per quello che gli ha chiesto; regalare i lombi di sua sorella a qualcun altro.
Forse è per tutte le volte che l'ha schiacciato al suolo come fosse niente, frustato e piegato e umiliato e lasciato solo a sanguinare e a pensare.
Forse è solo perché lo odia: perché il potere lo chiama - lo invoca.

"L'ho già fatta, padre."
E sorride, chinandosi verso di lui.
"Non mariterò Alexandra, perché lei non appartiene a nessuno."
Spencer aggrotta le sopracciglia, apre la bocca - la richiude.
Wesker gli sfiora il collo con la punta della lama, lo sente irrigidirsi sotto le sue mani - provare un futile, patetico, tentativo di fuga.
"Non la concederò a un altro uomo perché lei mi appartiene. Perché mentre tu complottavi e uccidevi e congiuravi, noi fottevamo alle tue spalle."
Spencer boccheggia, libera un gemito agonico.
Wesker amplia il sorriso, preme sulla carotide, risale la curva cadente del collo.
"Perché il primo sangue è stato versato - da me. Perché lei non vuole, e non lo farà. E sì, padre, salirò sul trono. Prenderò il tuo posto."
Spencer è cereo in volto, tremante - furioso.
Wesker si allontana il tempo necessario per mostrarsi un'ultima volta - per godere del momento.
"E sarà Alexandra a regnare con me. Cancelleremo il tuo nome, il tuo sogno. Di te non lasceremo altro che polvere e pagine bruciate."
"No!" esclama, e prova ad alzarsi - rischia di cadere al suolo.
Albert lo afferra in tempo, sistemandolo con premura contro i cuscini, tra le lenzuola di raso color avorio.
"Oh no, padre, no: non dovete agitarvi." e si siede sui talloni, rivolgendogli uno sguardo fintamente preoccupato "Potreste avere un altro infarto."
"Tu..." dice, e sputa veleno e saliva tra i denti serrati "Tu, maledetto ingrato, figlio di una cagna rabbiosa. TU, che avresti dovuto essere il mio erede, il mio successo migliore! Tu, a cui ho dato tutto - ho insegnato tutto! Non bastavano le puttane che ti ho portato dall'Edonia, le baldracche con le quali ti ho lasciato scapricciare!" e ansima, portandosi una mano al petto "Tua sorella." e c'è  un guizzo nei suoi occhi, bieco e astioso come quando era giovane e lo picchiava fino allo sfinimento "Lo sapevo: la levatrice me l'aveva detto che quella bambina era maledetta. Che mi avrebbe rovinato. E ci è riuscita! Ha allargato le gambe come la più sporca delle puttane e..."

Silenzio.

La lama di Wesker gli penetra nell'orecchio, attraversa il timpano, perfora il cervello - interrompe il delirio di un vecchio senza più alcuna importanza.
Gli occhi di Spencer si fanno opachi, privi di vita.
Albert gli sostiene il capo fino all'ultimo rantolo sfiatato, lo adagia sui pesanti cuscini che adornano la testiera del letto.
Sfila la lama con un movimento preciso, veloce: asciuga poi un filo di sangue che gli cola lungo il lobo dell'orecchio.

Nessun segno evidente, nessuna ferita d'arma da taglio.
Una dipartita tranquilla, placida.
Ozwell. E. Spencer è morto per cause naturali.

Fissa il corpo raggrinzito di Spencer per alcuni minuti, si porta una mano guantata al naso quando il tanfo di piscio e merda si fa insopportabile.
"Albert."
Si volta, e Alex è- che lo guarda, lo cerca.
"L'ho ucciso."
Alex sposta lo sguardo su Spencer, poi su Albert; si avvicina, camminando in punta di piedi e sollevandosi appena l'orlo della gonna.
Studia l'espressione di Spencer, piega le labbra in un sorriso folle - libero.
Chiude la mano a pugno sotto al mento, ridacchia - una bambina felice.
Si volta, allungandosi poi verso il suo viso e baciandolo -  ed è giù umida sulla bocca, tra le cosce.
Tre giorni dopo sarà il capo di Albert Wesker a essere pesante d'una corona fatta di spine e sangue.


****


Play a game with me,
give me your hand,
and play with me a game.

"Re." mormora, e scivola con le dita lungo l'elaborata decorazione che cinge lo schienale del trono "Sarai re."
Velluto rosso, foglia d'oro: il seggio reale è una bocca spalancata, una testa di serpente che snuda i denti e sibila - minaccia, insidia, uccide.
"Così sembra." e sorride Wesker, le braccia incrociate al petto, gli occhi socchiusi - famelici.
Alex emette un suono di gola pieno, soddisfatto.
Wesker studia la sua figura, il suo corpo; il modo in cui il bliaut le fascia i fianchi, i polsi sottili, esposti sotto la stoffa nera del lutto.
"Nostro padre è appena morto, Albert." l'ammonisce, è c'è una risata nascosta sul fondo delle sue parole, un serpente che si arrotola e si tende nell'erba alta - in caccia.
"Una vera disgrazia." si avvicina, segue con lei un fregio particolarmente complicato.
Alex inclina appena il viso nella sua direzione, alza un sopracciglio.
"Una totale disgrazia." concorda, e intreccia le dita alle sue - lo cattura, la serpe.
Le cerca la bocca in un bacio leggero - delicato.
Le solleva il mento con l'indice, sorride quando Alex morde - chiede, e lo spinge all'indietro, lasciandolo cadere sul trono che da lì a poche ore sarà ufficialmente suo.
Si solleva la gonna, schiude le cosce - sotto la stoffa niente.
Si siede sopra di lui, a terra il clang metallico della pesante cintura che cade - tra le sue braccia un profilo che si tende, si arcua sotto le sue mani, la sua lingua.
Wesker rovescia la testa all'indietro quando Alex lo accoglie, umida, pronta - stretta attorno a lui come una maledizione.
"Potrebbero vederci." le mormora, e snuda i denti quando Alex gli lambisce l'incavo del collo, affonda.
"Lo so."
"Potrebbero processarci."
Alex gli circonda il collo con dita sottili, pallide: stringe, e dondola tra i suoi fianchi, contro il suo petto.
Geme, Albert, e artiglia il bracciolo del trono - un grandioso arco di pelle e muscoli che si flette per lei, in lei.
"Potrebbero giustiziarci."
Alex soffoca il suo nome, si apre su di lui - alle sue spinte.
"Saresti torturata, distrutta: bruciata viva."
E ride, Alex.
Ride tra i denti serrati, lascia che quel suono grondi tra di loro, lungo le pareti della sala.
Ride, e viene - si lascia andare contro il suo petto, consumata.
Albert affonda - una, due, tre volte - estingue il suo orgasmo in un ansito spezzato.

Silenzio.

"Domani sarai re."
Un cenno del capo; una debole conferma.
"Domani sarai re, e nulla potrà più farci del male."
Albert le infila le mani sotto le gambe, sfiora la curva della natica - la solleva, lasciando che reclini la fronte contro la sua spalla e respiri, viva.
Neppure il suo così terribile cuore ha il coraggio di dirle la verità.


Under the navel, in the branches
a white dream is already waiting
brother dear, come hold tightly
and shake the leaves from the tree for me.

Scaglie nerastre, rosse sulle spalle, lungo i muscoli delle braccia: Wesker indossa la lorica del guerriero e brilla sul suo petto il simbolo della serpe che divora se stessa.

Uroboro. Nomen omen.

Tra i capelli biondi lei, una corona d'ossidiana e rubini - un intrico di serpenti catturati nell'atto di mordersi e uccidersi e fottersi a vicenda.
La corte lo guarda, in attesa.
I dignitari mormorano, inquieti.
Temono per loro vite. Le loro famiglie. Le loro ricchezze.

Hanno paura.

Wesker appoggia un gomito sul bracciolo, li fissa uno per uno con quei suoi orrendi e inquietanti occhi artici - da lupo.
Scivola tra le sue gambe un mantello liquido come sangue, una statua nera e rossa.
Ripete con l'indice sempre lo stesso disegno, là, in un punto ben preciso del seggio, dove il suo desiderio l'aveva sporcato senza alcuna vergogna.
Si schiarisce la voce, e la corte trattiene il respiro - prega.
Wesker sposta poi lo sguardo sui pesanti tendaggi che oscurano la navata, alza un sopracciglio.
"Toglieteli." dice - ordina - e c'è un momento d'incredulità tra gli astanti, di sorpresa.
"Non li voglio più vedere."
Qualcuno scatta in avanti, esegue.
Wesker inclina il viso alla sua sinistra, tende poi la mano a una figura finora rimasta nell'ombra.
"Alexandra." dice - proclama.
Alex avanza, un profilo pallido e aristocratico di bianco vestito.

Una sposa segreta. Un'alleata fedele. Una sorella vorace. Una donna libera.
 
Sale i tre gradini porpora che la dividono dal seggio reale, accoglie la sua mano - il suo invito.
Albert sorride...

"Cosa farai quando salirai sul trono?"
"Ti farò regina."

... e le indica il trono alla sua destra - quello della regina.
Alexandra Wesker si siede senza alcuna incertezza e sorride.


****



In front of the bed, a black hole
and every sheep falls inside
I am already too old, yet still count them
because I cannot sleep.

"C'è stato un tempo in cui correvi tra queste lenzuola perché spaventata dal buio."
Alex geme, s'inclina verso il suo petto.
"Notti in cui ti arrotolavi al mio fianco e nascondevi il viso nelle coperte."
Ansima il suo nome, si schiude per lui - al suo desiderio, alla sua voglia.
"E al mattino sparivi. Nulla più che un'impronta dall'altro lato del letto. Un ricordo. Un fantasma."
Wesker le solleva il mento di scatto, l'indice nella pelle tenera della guancia, il pollice a sfiorarle le labbra.
"Apri." le dice, e Alex socchiude la bocca - percepisce il proprio sapore, la propria indecente fame.
Le stringe le cosce, gli incide mezzelune di sangue sulle spalle.
Alex s'inarca all'indietro, un profilo illuminato solo dalle fiamme morenti e da una luna che non ha alcuna vergogna.
La rovescia sulle ginocchia (una regina piegata, fottuta come un animale) intreccia le dita nei suoi capelli e tira - l'attira contro il suo corpo, tra le sue gambe.
"Alex." mormora - invoca - e si spinge in lei fino a quando non la sente crollare, un grido che Alex soffoca tra pesanti tendaggi e lenzuola rosso sangue.
Ingoia il suo orgasmo Albert, morde - le cattura le labbra in un bacio che è solo denti e voglia.
Ed è bella, Alex.
È bella tra le sue braccia, mentre viene.
È bella con i capelli dorati sparsi sul cuscino come una corona, stretti tra le sue dita.
È bella con gli occhi persi nei suoi, le palpebre pesanti - languide.
È bella, ed è sua sorella.

La sua piccola, innocente, sorellina.

Albert respira nell'incavo del suo collo, segue i movimenti dei suoi fianchi - morbidi, umidi.
C'è un momento in cui si rende conto di quello che stanno facendo; di cosa significhi.
C'è un momento, un preciso istante, in cui Albert vede quasi la scena dall'esterno.

Le cosce di Alex lucide di sudore, la schiena arcuata all'indietro - che si flette a ogni spinta dei suoi fianchi.
Le sue loro mani ovunque - l'uno il riflesso dell'altro: uno specchio blasfemo e iniquo.
Gemiti indecenti, promesse oscene: oro e rosso, serpenti che si combattono e accoppiano con la stessa, devastante, intensità.

La corte sospettava - temeva.
Le serve si erano accorte di tutte quelle notti in cui il letto di Alex rimaneva vuoto e freddo - in cui il suo si bagnava d'entrambi.
Chissà se avevano anche scoperto che il primo sangue era stato versato proprio da lui -proprio, su quel letto dove anche adesso Alex gemeva e chiamava il suo nome e...

Albert.

L'orgasmo lo libera d'ogni altro pensiero.


Dear brother's hand hurts
he turns to the wall again
the brother helps me now and then
so that I can sleep.

Ci aveva provato tante volte, Alex.
Sapeva che era sbagliato: immorale.
Che avrebbe dovuto fare ammenda, espiare; probabilmente ritirarsi a vita monacale e chiedere perdono mille e mille volte.
Scivola invece lungo il suo fianco, un corpo plasmato dai combattimenti e dalla disciplina - pelle tesa su muscoli che avrebbero potuto schiacciarla in qualsiasi momento.
Lo bacia - percorre con la punta delle dita la sua erezione ormai appagata.
È tutto ciò che ha, Albert.
È una lingua esigente, una forza nascosta che brucia - divora, reclama, conquista.
È una simmetria crudele, un profilo che si sovrappone al suo.
È l'unica cosa che conti - l'unico che la faccia sentire protetta, viva.
È suo fratello, Albert.

E non si pente di nulla.

Intreccia le gambe alle sue, ricorda la prima volta che l'ha toccata senza l'innocenza dell'infanzia - che ha mormorato il suo nome in modo diverso, affamato.

Lo stupore, l'imbarazzo.
Il desiderio, quella strana sensazione di nausea che le dava le vertigini - l'eccitazione di fare una cosa nuova, proibita.

Albert snuda i denti, le sfiora la linea pulsante della carotide in un'innocua minaccia.  
Alex sorride a un uomo che indossa la sua stessa vergogna.


****




Play a game with me,
give me your hand and play with me a game.
Play with me, because we are alone,
play with me a game,
father, mother, child.

"La guerra sta arrivando."
"Lo so."
"Posso sentirne l'odore: il suo cupo latrato."
È invecchiato, Albert.
Ci sono nuove cicatrici tra le sue dita, sul suo corpo - ferite che Alex ha contato ogni notte.
Gli occhi hanno assunto un'espressione più dura, più feroce.
Scivola con il pollice sul pomolo della spada, un serpente dalle fauci spalancate.
"Si muoveranno presto."
Ondeggia piano alle sue spalle un mantello rosso e nero, schinieri scuri di sangue e fango.
"Lansdale non ti ha mai perdonato."
Abbozza un sorriso Albert, ed è lo stesso ragazzo di vent'anni prima - quando il mondo era ancora loro da stringere nel pugno e piegare.
"Mi ricordo ancora la sua espressione indignata. Oltraggiata, sarebbe meglio dire, quando hai rifiutato la sua proposta di matrimonio per me."
Alex inclina il viso contro la sua spalla, spazza la piana sottostante con lo sguardo - Raccoon e tutta la sua triste bellezza.
Ed è cresciuta, Alex: è cambiata sotto le sue mani, mentre gli anni scorrevano e le battaglie aumentavano.
Ha mentito, torturato, ucciso per un sentimento che era nato forse da un atto innocente - da un bisogno spasmodico d'esserci, di sentire il calore di qualcuno sulla propria pelle da chiamare casa.
Albert conosce ogni piega del suo corpo, ogni curva; ogni imperfezione, ogni avvallamento - una mappa che gli regala qualcosa di nuovo ogni volta.
"Simmons ha i numeri per vincere."
Inspira, Albert, e sposta il peso da un piede all'altro.
"Lansdale la strategia."
Un lupo solitario ulula in lontananza - infrange il silenzio.
"Se i Gionne gli forniranno i soldi..." e si ferma Alex, lascia quella frase sospesa lì, tra un dubbio e una terribile profezia.
Albert chiude gli occhi, china il capo.
"Non succederà." le promette "Non vinceranno."

Ma noi perderemo comunque.

Alex annuisce, si frappone tra lui e la pesante balaustra in pietra - gli cerca la bocca in un bacio che è tutto (l'inizio, la fine.)
Albert respira tra i suoi capelli, nasconde il viso nell'incavo morbido del suo collo.
Alex sceglie di credere a una promessa fragile come il loro futuro.





"To love is to destroy,
and that to be loved is to be the one destroyed."
- Cassandra Clare -




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3890394