__Let
the world end__
{ I'll be safe in your arms }
Il pizzo solletica le palpebre chiuse di
Bucky. È una precauzione inutile, che Steve gli ha legato intorno
agli occhi per puro vezzo, quando gli ha accarezzato la guancia con
il foulard e all’orecchio gli ha sussurrato di tenere gli occhi
chiusi.
«Non spiare» aggiunge, mentre fa saltare
un bottone alla volta della sua camicia. È nera – un tempo sarebbe
stata bianca, immacolata, un tempo un paio di bretelle gli avrebbero
attraversato il petto per reggere i calzoni o al collo si sarebbe
chiusa una cravatta che, ora di sera, sarebbe finita talmente
allentata da avere il nodo all’ombelico.
«Forse non te ne sei accorto, ma questo
braccio funziona a tutti gli effetti come uno normale. Posso
spogliarmi anche da solo.» Bucky lo prende in giro, ma Steve non si
ferma, e in silenzio, raggiunge il cavallo dei pantaloni.
Al primo tocco sopra la stoffa, Bucky
sussulta. È un’ondata che lo coglie alla sprovvista, la sente salire
dai fianchi e accumularsi al bassoventre, insieme al sangue e al
calore e allora non parla più nemmeno lui, perché teme che la voce
lo tradirebbe.
È la cecità a renderlo così ricettivo –
nel buio, il tocco di Steve gli lascia sulla pelle impronte di luce
e lampi di calore. Sente la sua mano alla lampo dei jeans, ai
fianchi, le dita a uncinargli i boxer, gli strattoni lenti che lo
spogliano di ogni vestito.
Trema ogni volta che la punta delle sue
dita gli sfiora le carni.
Geme piano, sottovoce, singulti che si
arrotolano sulla lingua, che si bagnano di saliva ed eccitazione,
quando si scopre nudo, spogliato di ogni barriera e ogni difesa.
Stringe i pugni, al freddo della stanza
che gli scorre sulla pelle. Brividi, fremiti e di fronte a lui,
intenso e penetrante, lo sguardo concentrato di Steve.
«Ancora un attimo.» La sua voce si posa
sulle labbra.
Bucky dondola in avanti, cerca il
contatto, ma trova il vuoto e una mano aperta allo stomaco, perché
non rischi di cadere.
Vorrebbe dirgli che è più agile di
così, che è stato il Winter Soldier, che si è lanciato da
palazzi, da helicarrrer in volo ed è sfuggito alla furia di una
Pantera Nera. Ma quella mano, per ora, è l’unico punto di contatto
che ha con Steve e il suo corpo sta già pregando per averne ancora.
«Cristo Steve, ora apro gli occhi e spero
per te che tu sia altrettanto nudo. Non posso essere l’unico a
crepare di freddo in questa stanza.»
«Non ancora» insiste l’altro.
Bucky si morde un labbro, affonda il
morso a sangue e quando Steve se ne accorge, gli passa la lingua
sulla bocca, raccogliendo gocce rosse e il sapore di un bacio.
«Steve…»
«Ci sono quasi.»
Sulle labbra si posa qualcosa di diverso
dalla lingua di Steve; denso, segue docile il disegno della bocca di
Bucky.
Un rossetto.
Bucky serra gli occhi più forte, si
obbliga a resistere alla voglia di aprirli, di guardare oltre il
pizzo nero che li benda e scoprire quale sfumatura di colore Steve
abbia scelto per lui.
Le code lunghe del foulard si muovono
lente dietro la sua schiena, una carezza accennata del pizzo che gli
si accoccola tra le scapole. Steve le sposta di lato quando armeggia
intorno al suo collo e qualcosa di freddo e di lungo serpeggia sul
suo petto.
Bucky inarca la schiena e Steve non
resiste all’impulso di stringerlo in un abbraccio. Gli circonda le
spalle, gli bacia una guancia e Bucky si ritrova al punto di
partenza, a dondolare in avanti, desiderando solo di cadere perché
sa che Steve lo prenderà al volo a qualsiasi costo.
Ma Steve lo sposta indietro. «Ho quasi
finito, promesso.» gli dice e aspetta che sia di nuovo stabile sulle
gambe, che si regga in piedi da solo e lui possa allontanarsi
ancora.
Quando lo fa, Bucky ha di nuovo freddo.
Sbuffa e pizzica le labbra con la punta
della lingua; il rossetto sa di chimico, di fragola e di nuovo.
Non è uno dei suoi.
Qualcosa gli sfiora la guancia, tintinna
come cristalli sul metallo e si appoggia al collo, facendolo
rabbrividire. È il respiro di Steve a scaldarlo, una boccata lunga e
concentrata, come quando è impegnato a studiare i dettagli di una
missione – lo sente muoversi con cura, sollevare i cristalli vicino
al suo orecchio, sente l’ago bucare la carne, riaprire un foro mai
del tutto chiuso e poi il peso di un orecchino appeso al lobo.
Prima uno.
Poi l’altro.
E anche a occhi chiusi riesce a sentire
quando Steve sorride, mentre lo guarda e scioglie il nodo del
foulard.
«Ora puoi riaprire gli occhi, Buck.»
Una sventolata di ciglia. Bucky li apre
un po’ alla volta, ritrovando frammenti di immagini che ritraggono
tutte il corpo di Steve: il suo petto, il suo collo, il suo volto, i
suoi occhi. Il suo sguardo innamorato.
Arrossisce per quello, perché può essere
completamente nudo nella camera da letto di un uomo e non farsi
problema alcuno, ma gli basta un’occhiata sola di Steve per
sciogliersi come burro.
Al loro fianco, uno specchio intero li
riflette.
Steve è ancora vestito, ha ancora gli
abiti con cui l’ha portato a cena.
Bucky, invece, quando si volta a
guardarsi allo specchio, trova un corpo nudo e labbra dipinte di un
rosso scuro come il vino che hanno bevuto quella sera. Borgogna. Al
collo un sottile pendente d’oro gli taglia il petto in due metà – ad
inciderlo una scritta; a te ho affidato la mia anima. E alle
orecchie penzolano orecchini d’oro e cristallo.
Le braccia di Steve gli serpeggiano
addosso; si muovono dal basso verso l’alto, dal suo torace fino a
circondargli il fianco e dal petto verso le spalle.
Lo imprigiona in un abbraccio e vezzeggia
il suo collo con una tempesta di baci. «Buon compleanno, Buck.» gli
occhi a guardare il riflesso, la bocca a conquistargli la pelle.
Bucky geme e sorride, si aggrappa alle
sue braccia e a capo ruotato gli cerca la bocca.
Un bacio. Due baci. Tre. Fino a perdere
il conto.
«Ti piacciono?» gli chiede Steve.
Ansimano entrambi, bocca contro bocca,
occhi negli occhi e mani ovunque riescano ad arrivare.
Bucky annuisce. «Tanto. Grazie.»
«Ti avevo comprato anche un vestito… ma a
essere onesti è tutta la notte che ho voglia di averti nudo tra le
mie braccia.»
Bucky ride e spinge indietro il
fondoschiena; un colpetto che non ha nemmeno la pretesa di fingersi
innocente, ma si struscia con irriverenza tra i calzoni di Steve,
sul suo bassoventre, strappandogli un gemito roco. «Non mi starai
viziando troppo?»
Steve gli morde un orecchio. La bocca
gioca con la chiusa dell’orecchino, la lecca e lecca il lobo – in
bocca sapore di carne e metallo, tra le braccia lo stesso. «Anche
fosse? Sei mio marito, è il tuo compleanno e ti amo. Ho tutte le
scuse che voglio per viziarti.»
Incrocia le dita con quelle di Bucky.
Mano destra su mano destra e all’anulare due fascette gemelle dorate
tintinnano nello scontrarsi l’una con l’altra. «Cento di questi
giorni, Buck.»
Bucky sorride.
E se anche quei giorni non dovessero
arrivare, non gli importa. Il mondo potrebbe finire domani e Bucky
sarebbe comunque l’uomo più felice di questa terra.
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