Hara-gei

di Vanya Imyarek
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Yotsuya Kaidan?

 Daisuke davvero voleva impressionare la gente. Era più che comprensibile, aveva appena ereditato il titolo di Danjuro Namikaze XIII, i critici e gli appassionati  di teatro kabuki avrebbero avuto gli occhi puntati su di loro come dei falchi, in attesa di sentenziare se fosse degno o meno di ereditare il titolo del loro padre. Quella classica storia, una delle più celebri opere kabuki, traboccante di passioni e violenza e immagini raccapriccianti, era una garanzia per avere la sala gremita di ogni genere di persone, dal critico più severo al turista occidentale più ignorante.

 Ad Atsuko Namikaze, personalmente, l’idea non dispiaceva affatto. Aveva recitato in Yotsuya Kaidan solo una volta prima di allora, quando suo padre era ancora stato in vita; era ancora molto giovane come attrice, e aveva avuto il ruolo piuttosto marginale di Oume Ito. Adesso, aveva l’esperienza necessaria per poter, se suo fratello avesse voluto così, interpretare Oiwa.

 Si era impegnata con Oume, come si impegnava sempre in tutti i suoi ruoli, ma quella donna era piuttosto un pretesto di trama, la spinta perché Tamiya Iemon decidesse di sbarazzarsi della moglie. Oiwa, la moglie in questione, era la vera star dell’opera: come avrebbe potuto rendere la sua crescente disperazione di donna debilitata e non più amata con un marito scialacquatore e infedele, perché poi si trasformasse in furia vendicativa dopo che questi l’aveva sfigurata e ne aveva causato la morte?

 Sarebbe stata una vera sfida, considerando quanti altri celebri attori si erano dedicati al ruolo; ma Atsuko adorava l’idea di riportare in vita una donna simile, e la competizione agli occhi del pubblico non la intimoriva minimamente. Tutto questo, però, a patto che Daisuke le desse la parte; al momento era impegnato, così come lo era stato nelle ultime due ore, in un lungo discorso su quel che voleva fare con quell’opera, e che serviva principalmente a spiegare perché il loro teatro era disseminato di macchinari che sembravano più degni di un set cinematografico.

 A quanto pareva, la parola d’ordine della nuova direzione di Danjuro Namikaze XIII sarebbe stata ‘svecchiamento’. Il teatro kabuki non era un pezzo da museo, aveva  detto; andavano integrate novità, richiami al mondo moderno, cose che le folle della società attuale potessero comprendere. Il kabuki non era nato per l’apprezzamento distaccato delle élite, il kabuki era nato nel letto di un fiume in secca da delle specie di sketch comici improvvisati da una danzatrice per far ridere la folla dei popolani; perdi l’interesse della gente comune, e perdi l’anima del kabuki.

 Dal momento che il loro padre esordiva regolarmente i suoi incoraggiamenti alla famiglia di attori con prediche su come fosse loro dovere portare la gente indietro nel tempo, all’epoca in cui l’opera era stata creata, Atsuko aveva questo leggerissimo sospetto che Daisuke volesse porsi in netta contrapposizione a lui.

 “Quello che dobbiamo fare, è dare agli spettatori stessi il dubbio di essere finiti nel bel mezzo delle magie di Oiwa. I keren sappiamo tutti come si usano, e potevano andare bene nel 1800, ma adesso abbiamo tecnologie più avanzate dalla nostra”

 “Cioè i proiettori e le macchine del fumo?” replicò Hiroshi.

 Il secondogenito della famiglia non pareva particolarmente convinto. Secondo Atsuko, ne aveva ben ragione: proiettori e macchine del fumo, pur non facendo parte del classico arsenale kabuki, non erano esattamente innovazioni tecnologiche dell’ultimo grido; Daisuke avrebbe dovuto farne un uso molto creativo se non voleva vedersi tempestato di articoli di critica che paragonavano il suo spettacolo a una messinscena da parco divertimenti.

 Sperava davvero … lei ed Hiroshi non potevano esattamente dirglielo in faccia, non potevano metterlo in imbarazzo a quel modo davanti a tutta la troupe; piuttosto, la donna sperava che il fratello riuscisse a parlarne privatamente al maggiore, lei non era esattamente brava o efficace nelle discussioni.

 “Quelli, e la magia del graphic design” fu la risposta di Daisuke. “Ci ha pensato Chiyoko”

 La sorella minore della famiglia diede un sorriso soddisfatto. In quanto fisicamente donna, non poteva recitare nel teatro kabuki come i suoi fratelli, e i genitori l’avevano lasciata libera di scegliere la sua professione senza le pressioni che a suo tempo avevano fatto capitolare Hiroshi alla carriera recitativa. E lei aveva scelto il graphic design, che a quanto pareva era stato la porta di accesso al contribuire alla famiglia. Bel trucco, Atsuko aveva una certa stima per questo.

 “Ho passato tutto il mese a non dormirci sopra” dichiarò la sorellina, con un ghigno soddisfatto che tutto sommato le si poteva perdonare “Non proietteremo vaghe ombre o luci strobo come se fossimo in discoteca. Il fumo ci farà da telo; quello che proietteremo saranno rielaborazioni di classici elementi del folklore, con uno stile ispirato alle stampe classiche”

 Ecco, già quello aveva forse più chances coi critici.

 “Ora!” riprese Daisuke “Dovremo imparare a lavorare con i nostri fantasmagorici effetti speciali, e abbiamo solo cinque giorni prima di andare in scena, quindi passiamo ai ruoli e al copione. Eiji, prendi, fallo girare … ecco. Io assumerò il ruolo di Tamiya Iemon. Shinobu, tu avrai Oiwa”

 Perfetto! Ora Atsuko voleva solo leggere il copione, pensare a come renderla …

“Per loro non c’è molto da dire: li reciteremo alla maniera classica e tradizionale, lui stronzo e lei inferocita. La loro è una storia senza tempo, non ci sarà alcun problema a farla capire al pubblico e a far sì che simpatizzino con lei” il che significava che Atsuko aveva quasi assoluta autonomia con la sua interpretazione di Oiwa, Daisuke non sarebbe stato troppo puntiglioso.

 “Quelli che danno i problemi più grossi sono i personaggi secondari. Osode – tu, Daiki - e Yomoshichi – lui è tuo, Hiroshi, soprattutto. Come facciamo a far accettare al pubblico moderno che una prostituta potesse essere una donna regolarmente sposata, e che andare con lei dopo aver pagato il marito andasse bene mentre senza sarebbe stato adulterio? La cosa effettivamente si faceva ai bei tempi che furono, ma adesso sarebbe difficile far accettare una disinvolta puttana come personaggio degno delle simpatie del pubblico”

 Un silenzio non troppo convinto aleggiò sulla famiglia. Atsuko cercò di immaginare quale sarebbe stata la reazione del padre a una cosa del genere, e rabbrividì appena.

 “Nella nostra versione, Osode sarà una vittima quasi quanto Oiwa, costretta a vendersi da un marito crudele. Yomoshichi sarà qualcuno che la vede solo come un oggetto da poter concedere al miglior offerente; anche quando alla fine si impegnerà a vendicare la sua morte dovrà essere solo perché indispettito dal fatto che qualcun altro abbia cospirato per portargli via qualcosa che è suo”

 Stava cercando di accattivarsi la critica femminista? Certo, dato il famoso testo originale, era un’interpretazione che poteva anche starci; e forse sarebbe anche stata applaudita da una certa fetta di pubblico. Ma altri si sarebbero indignati nel vedere una donna considerata come indegna di compassione solo in quanto prostituta.

 Inoltre, questo avrebbe tolto la risoluzione alla storia di Osode. Trattata come un oggetto dal marito, ingannata da un altro uomo, uccisa e infine ‘vendicata’ da qualcuno che la vedeva solo come una sua proprietà? Altro che ‘vittima quasi quanto Oiwa’, Osode lo sarebbe diventata ancora di più, soprattutto perché al contrario della sorella non avrebbe avuto la possibilità di tornare al mondo dei vivi come fantasma per vendicarsi. E forse lo avrebbe notato anche qualcuno nel pubblico.

 “E in tutto questo Naosuke come va a inserirsi?” Daiki ruppe quell’alquanto sconcertato silenzio.

 “Naosuke in tutto questo avrà un atteggiamento sprezzante di Yomoshichi, deridendolo per la sua convinzione di poter possedere la moglie pur mettendola in vendita; e he questo fatto da solo renda accedere alla donna un suo diritto”

 “Stai cercando di compiacere i critici femministi?” chiese Eiji.

 “Sto cercando di rendere l’opera adatta al pubblico moderno, cosa che con gli spettacoli teatrali è stata fatta fin dall’inizio dei tempi” sospirò Daisuke.

 “I vecchi fan di papà non saranno molto contenti” obiettò Chiyoko.

“Hai detto bene, vecchi” sbottò Daisuke. “Il teatro è un’arte in movimento, ogni copione è stato rivisitato infinite volte per adattarsi meglio al cambiare dei tempi. Non possiamo renderlo statico per compiacere una mandria di vecchi puntigliosi, andrebbe contro la natura dell’arte stessa”

 Nessuno osò rispondere nulla a quel breve sfogo.

 “Bene. Se questa faccenda è sistemata, andiamo avanti. Per quanto riguarda il personaggio di Takuetsu: Kazumi, lui è tuo. Voglio una persona fondamentalmente viscida e codarda, arrogante finché ha la possibilità di farla da padrone su persone più deboli ma che cerca subito di parlamentare o scappare non appena è minacciato seriamente. Oume Ito: Akira, la interpreterai tu” giustamente, il ruolo femminile di minor rilievo andava all’attore meno esperto.

 A suo tempo, il padre di Atsuko aveva insistito per la rappresentazione di una donna egoista, viziata e priva di empatia verso gli altri nelle sue brevi scene, il ritratto di qualcuno che non avrebbe esitato a tramare di uccidere un’altra donna perché si era invaghita del di lei marito e lo voleva per sé. Chissà ad Akira come sarebbe andata?

 “Nel nostro caso, Oume sarà la componente più innocente del complotto ai danni di Oiwa. Sarà una ragazza giovane e ingenua, invaghita dell’affascinante samurai e da lui plagiata, solo perché vuole la sua ricchezza. Se Iemon non se la fosse lavorata per bene, non le sarebbe mai venuto in mente di avvelenare Oiwa”

 “Ehm, eh?” sfuggì ad Akira.

 “Perché il pubblico moderno reagirebbe male a una donna che trama volontariamente contro un’altra donna?” suggerì Atsuko.

 “Grazie, Shinobu. Lasciassimo l’opera com’è all’inizio, ci accuserebbero di pensare che tutte le donne sono stronze che tramano le une alle spalle delle altre pur di avere un maschio”

 “E allora ci accuseranno di pensare che tutte le donne sono ragazzine ingenue e manipolabili dagli uomini” obiettò Hiroshi. “E’ praticamente il lavoro del pubblico reagire male a tutto

 “Ma noi mostreremo che le donne possono sfuggire alle manipolazioni degli uomini, proprio tramite la vendetta di Oiwa, che è la cosa che la gente viene qui a vedere” gli rispose Daisuke, con un tono lento e ben scandito, come se stesse parlando a un bambino molto piccolo e confuso.

 Per Atsuko, Hiroshi aveva assolutamente ragione, qualche critica sarebbe arrivata in ogni caso, probabilmente quella di sforzarsi troppo a fare i femministi. Erano già successe cose simili con finali ‘female-power’ alternativi di opere occidentali, le pareva di ricordare.

 Riassumendo quello che aveva appena detto Daisuke, tutti i maschi della vicenda erano appena diventati le peggiori versioni di loro stessi, mentre le donne erano diventate le migliori possibili. Già poteva immaginare i commenti sulla sottigliezza. Poteva solo sperare che suo fratello non la prendesse troppo male, proprio al primo spettacolo da lui diretto.

 Hiroshi sbuffò. Nessun altro degli attori ebbe altro da obiettare.

 “E adesso che abbiamo chiarito, passeremo alle prove. Il problema più grosso sarà capire come interagire con gli oggetti di scena, poi confido nelle vostre capacità di ricordarvi il copione. Oggi e domani li dedicheremo tutti alle scene clou, quelle in cui avremo bisogno dei proiettori; dopodomani e giovedì faremo le scene più tranquille, venerdì ripasseremo le scene più movimentate. Sabato prova generale” e la domenica avrebbero dato la prima rappresentazione al pubblico, in un ciclo di spettacoli che si sarebbero ripetuti per tutto il mese.

 “Quindi il pellegrinaggio lo facciamo stasera?” chiese Atsuko.

 “Il pellegrinaggio? Quello alla tomba di Oiwa?”

 Daisuke pareva quasi incredulo. Eppure il pellegrinaggio era una tradizione teatrale consolidata per le troupe che volevano rappresentare Yotsuya Kaidan. Suo padre li aveva portati tutti al tempio di Myongo-ji, dove era presumibilmente seppellita la protagonista dell’opera, immediatamente dopo aver assegnato le parti!

 Chiedere ad Oiwa  il suo permesso e benedizione per rappresentare la sua storia era importantissimo: era da quando quell’opera era stata creata che circolavano storie sulla maledizione di Oiwa, le sventure che si erano abbattute su chi le avesse mancato di rispetto, i costanti incidenti in produzione e le ferite degli attori, talvolta con esiti fatali. Daisuke non voleva assicurarsi il massimo successo, per la sua prima opera?

 “Non abbiamo tempo per queste superstizioni, l’unica cosa che ci serve a garantirci un buono spettacolo è l’olio di gomito. Dovremo restare tutti i giorni la sera fino a tardi, e la mattina arrivare presto, non avremo tempo per quello stupido pellegrinaggio”

 “Ma sei sicuro? Poi porta sfiga …” provò a obiettare Daiki.

 “E’ una stupida diceria, un mucchio di coincidenze e suggestione! Ora muoviamoci. Shinobu, Akira, venite qui, ti devo spiegare che proiezioni useremo nella scena del matrimonio …”

 

Atsuko urtò accidentalmente un uomo mentre scendeva dal treno.

 “Mi scusi tanto, signore”

 Una frase semplicissima, ma lo stesso lasciò l’uomo a fissarla perplesso, probabilmente dal pronome comunemente femminile da lei usato per riferirsi a sé stessa. Ma la gente non poteva semplicemente accettare come gli altri si riferivano a sé stessi senza fare quelle facce da pesci lessi – no, quel pover’uomo aveva ragione. Non era molto normale vedere un uomo ben vestito riferirsi a sé con il femminile. Non era neanche la prima volta che Atsuko riceveva occhiate simili per il suo discorso.

 Forse avrebbe dovuto passare a un pronome neutrale? Ma no, poi in scena avrebbe dovuto ricordarsi di cambiare. E poi, era solo una forma verbale, gli altri avrebbero potuto attribuirla a una qualche innocua eccentricità, giusto?

 E almeno era stata solo un’occhiata perplessa, invece che di aperto disprezzo. Poteva concederselo.

 Poteva concedersi un linguaggio che potesse essere facilmente spiegato con la sua professione; i passi brevi e leggeri, non piccoli come quelli che avrebbe usato sul palco ma lo stesso più delicati di tutti gli uomini; le spalle leggermente inclinate in avanti, per farla sembrare più minuta e meno squadrata. Piccoli accenni, niente di esplicito.

 Hara-gei. Non stava disturbando la società come se si fosse apertamente vestita da donna, o peggio, se avesse fatto l’intervento di transizione. Poteva concedersi quella femminilità implicita.

 Ma non poteva neanche biasimare gli altri per la loro perplessità, del resto non si stava neppure comportando in modo esattamente conforme. Doveva assumersi le sue responsabilità, la società non poteva cambiare per i suoi comodi. Avrebbe mostrato la sua abilità nel mantenere un equilibrio tra le necessità degli altri e l’esprimere il suo essere donna in quel costume da uomo che la vita le aveva rifilato.

 C’era poca gente al tempio di Myongo-ji, a quell’ora di tarda sera. Per quel che poteva dirne Daisuke, non aveva il diritto di decidere cosa lei facesse nel tempo libero, e non le pareva affatto una cosa saggia trascurare del tutto il pellegrinaggio, soprattutto per lei che avrebbe dovuto interpretare Oiwa. Si sarebbe ammazzata di caffè la mattina dopo, per sopperire alla mancanza di sonno.

 La piccola tomba era vicino all’ingresso del tempio: una lastra e un cartello che spiegava cosa fosse di preciso, e informava i visitatori che in realtà Oiwa aveva avuto un matrimonio felice con il suo Iemon. Chi poteva mai sapere?

 Certo, l’ispirazione per Yotsuya Kaidan era venuta a Tsuruya Nanboku IV da un paio di fatti di cronaca non correlati, due servi che avevano ucciso i padroni e un samurai che aveva ucciso la concubina infedele e il suo amante; quella Oiwa era probabilmente stata associata solo per una curiosa omonimia. Era dubbio che fosse anche solo esistita davvero. Comunque, meglio non rischiare con le maledizioni, specie per lei che avrebbe dovuto interpretarla.

Posò sulla tomba il piattino di riso e accese il bastoncino di incenso che si era portata da casa.

 Chiedo il vostro permesso e la vostra benedizione per rappresentarvi, Lady Oiwa. Chiunque voi siate stata. Qualunque sia stata la vostra vita. Io non desidero altro che onorare voi e la vostra storia con la mia arte. Ve ne prego, se ciò vi è gradito, di darmi la vostra approvazione e il vostro sostegno.

  Non si alzò subito, finita la sua breve preghiera. Rappresentare Oiwa … certo, Yotsuya Kaidan era ispirata a tutt’altre vicende, ma se Oiwa fosse stata reale … come avrebbe potuto Atsuko rendere un dramma simile?

 Immaginava Oiwa, devota e fiduciosa nel marito e padre di suo figlio, che cercava di mandare avanti la famiglia malgrado i suoi lutti familiari e l’incapacità di gestire le finanze di lui; immaginò cosa doveva aver provato ad essere stata così debilitata dal parto, da essere più un peso che la guida della casa come la tradizione avrebbe voluto; immaginò la sua speranza nel ricevere quella medicina così gentilmente fornita dai vicini; il terrore nel tentato stupro da parte di Takuetsu, e la scoperta che era stato ordinato dal marito, solo perché lui voleva divorziare senza rimetterci la faccia; infine scoprire cosa le avesse fatto in realtà il medicinale, il suo volto orrendamente sfigurato; e infine morire così per caso, trafiggendosi da sola nel tentativo di difendersi dal suo assalitore.

 Quanto orrore e sofferenza poteva essere infilato in una vita sola? Non c’era da sorprendersi, poi, della furia vendicativa che aveva rivolto a Iemon e alla famiglia della sua nuova moglie da oltre la tomba.

 Atsuko sarebbe davvero riuscita non solo a rappresentare quelle emozioni, ma a farlo talmente bene da renderle belle, estremamente belle, al punto da segnarle e imprimerle nella mente dello spettatore?

 Voleva farlo, voleva disperatamente farlo; avrebbe dato tutta sé stessa in questo ruolo. Lo doveva a questa donna … che fosse davvero esistita o meno, non importava quasi.

 Era il compito della sua arte: rendere il dolore splendido senza addolcirlo.

 

Nei cinque giorni che seguirono, poco mancò che Daisuke prendesse a calci i suoi amati proiettori in circa una dozzina di occasioni diverse.

 Quei benedetti affari si rifiutavano categoricamente di funzionare come avrebbero dovuto. In certe occasioni, semplicemente non proiettarono nulla. In altre, le immagini uscivano strane, come glitch di videogiochi. In un numero più ristretto di casi, le immagini uscirono mescolate tra loro, spezzate e fuse insieme in modi talmente astrusi e insensati che la troupe non riusciva a reprimere un collettivo brivido di ribrezzo. In una occasione, i proiettori si collegarono misteriosamente al computer di Hiroshi invece che a quello di Daisuke, e il perseguitato samurai Iemon si ritrovò circondato da immagini hentai.

 “La maledizione di Oiwa raggiunge nuovi livelli di orrore!” gridò nel tono più sofferente che gli riuscì prima di scoppiare a ridere, mentre un imbarazzatissimo Hiroshi si affrettava a spegnere i proiettori.

 “Ragazzi, ma senza scherzi” disse Chiyoko quando tutti furono riusciti a smettere di ridere. “Magari dovremmo farlo davvero quel pellegrinaggio”

 “Perché, secondo te è questa la maledizione di Oiwa? Stiamo avendo dei problemi tecnici, tutto qui. Non si è ancora fatto male nessuno”

 “Daisuke, perdona se, con tutto il lavoro che ho messo nelle allucinazioni di Iemon, vorrei che il pubblico vedesse quelle invece delle loli di mio fratello”

 “Ehi …”

 “Chiameremo un tecnico, va bene?” rispose Daisuke, sovrastando le deboli proteste di Hiroshi. “Ci sarà un esperto che controllerà in ogni singolo istante che non ci siano problemi durante lo spettacolo. Poi vedremo se la ‘maledizione di Oiwa’ continua”

 Intanto, Atsuko lavorava sulla sua Oiwa. Che tipo di donna doveva essere, prima di diventare una onryo? Un modello di femminilità, di cui nessuno tranne un bastardo come Iemon avrebbe avuto di che lamentarsi, questo era sicuro. Ma oltre a questo? Quali sarebbero state le sue emozioni verso Iemon? Perché avrebbe dovuto mostrare tanta devozione a un uomo che la disprezzava e sperperava i loro soldi malgrado il figlio neonato?

 Forse era una giovane donna ingenua? Non le sembrava convincente: ai livelli di stronzaggine con cui Daisuke stava rappresentando il suo Iemon, più che di ingenuità si sarebbe dovuto parlare di stupidità.

 Forse era in diniego? Forse era perfettamente consapevole di che tipo d’uomo fosse suo marito, ma ammettere la verità, ammettere di aver dato un figlio a quest’uomo e di essere ora bloccata con lui, sarebbe stato troppo doloroso. Forse sperava che, mostrandosi come la donna ideale, facendo di tutto per non essere un peso malgrado la sua debolezza fisica, il marito si sarebbe ravveduto. Era un tipo di pensiero piuttosto comune, nelle donne abusate.

 Ma doveva avere, già allora, del rancore represso … qualcosa che magnificasse la sua vendetta finale, che rendesse il suo feroce accanimento contro il marito uno sfogo finale e assolutamente meritato ... per quanto Atsuko provasse un certo fastidio all’idea di una simile rabbia repressa … ma perché mai?

 Non le sembrava giusta, in qualche modo. Ma lo era: Oiwa era stata trattata in modo orribile, e questo avrebbe provato, checché ne pensasse la sua interprete.

 Ideale di femminilità; diniego della realtà e speranza in un cambiamento; rancore represso. Atsuko avrebbe dovuto rendere tutto questo, avendo a sua disposizione pose ed espressioni molto stilizzate. Poteva farcela.

 Hara-gei. Gli stilemi avrebbero fatto risplendere la femminilità di Oiwa, e dentro essi le inflessioni, il parlato, avrebbe reso la sua vera interiorità, compresa quella che lei stessa non riconosceva. Poteva farcela. Doveva farcela.

 La sera della prima, il teatro era semplicemente gremito. La combinazione di ‘nuovo erede di una rinomata famiglia di attori’ e ‘Yotsuya Kaidan’ aveva dato l’effetto sperato. Atsuko finì di applicare gli ultimi tocchi del trucco di scena.

 Daisuke aveva avuto buon gusto nel scegliere il kimono, un pezzo non particolarmente decorato ma proprio per quello molto elegante. La posizione dell’obi confondeva completamente la sua figura, che sotto avrebbe potuto essere di qualunque tipo; la parrucca di lunghi capelli donava più grazia al suo volto rotondo. La pelle resa candida e perfetta dall’oshiroi, le labbra rosso vivo, un tocco di rosso più delicato agli angoli degli occhi: una donna, nessuno l’avrebbe messo in dubbio a vederla così.

 Ma tutti avrebbero saputo che era un “uomo” travestito … e non ci avrebbero visto nulla di strano!

 Atsuko era stata fortunata almeno nell’essere nata in una famiglia di attori. Perfino i suoi genitori non avevano visto nulla di strano nel suo desiderio di diventare onnagata, attore specializzato in ruoli femminili. Avevano anzi approvato che ‘Shinobu’ si dimostrasse così volenteroso verso la tradizione di famiglia. Gli stessi genitori che, quando una Chiyoko ancora bambina aveva innocentemente chiesto cosa fosse un ‘transessuale’, avevano risposto “un brutto scherzo della natura”!

 La società risentiva di tutto ciò che usciva dalle sue regole; ma si potevano pur sempre trovare scappatoie nelle sue strutture complesse al limite della contraddizione. Atsuko trasse un respiro profondo. Rassicurata nel suo aspetto, che entro breve avrebbe dovuto cambiare in quello di un mostro – ma pur sempre una donna – si concentrò nel diventare Oiwa.

 A questo punto della sua storia, non aveva avuto alcun problema, se non la consapevolezza di dissapori tra suo marito e suo padre; forse in dubbio tra la devozione di moglie e la devozione filiale. Forse sperava che le cose si risolvessero da sole, tra gli uomini … sì, certamente lo sperava, lei davvero non avrebbe saputo chi dei due onorare di più, era solo una donna …il suo turno di entrare in scena nel primo atto.

 Avanzò a passi piccoli, le spalle abbassate, le dita delle mani racchiuse, l’immagine di una donna delicata e composta. L’aria serena, ma privatamente preoccupata, speranzosa in una riconciliazione … sì, i litigi erano stati davvero brutti di recente, sarebbe stato problematico continuare a vivere in una famiglia divisa … e Iemon le diede la notizia della morte di suo padre. Ammazzato, probabilmente da qualche ladro che si era introdotto nella casa.

No, suo padre … non era ancora così vecchio, avrebbe avuto ancora tanta vita davanti …il loro unico genitore, che moriva a quel modo, scannato come un animale per portar via qualche gingillo. Come l’avrebbe detto a Osode, come avrebbe potuto confortarla?

E Iemon giurava di vendicarlo … quanta fiducia aveva provato verso suo marito in quel momento, quanta tenerezza, la sicurezza di aver sposato un uomo onorevole che si sarebbe preso carico della giustizia per la sua famiglia … certamente gli sarebbe rimasta accanto, per sostenerlo in qualunque modo lui avesse bisogno … era il momento di uscire di scena.

 Per poco Atsuko non sussultò. Quegli ultimi pensieri, da dove le erano usciti? Era normale per lei calarsi nei personaggi, ma quelle non erano cose che aveva pensato riguardo a Oiwa … era come se fossero stati dei pensieri estranei.

 Ma era andato tutto bene, la sua parte l’aveva detta, e anche recitandola nel modo corretto. Nessuno degli altri attori pareva essersi accorto di nulla, l’importante era quello. Probabilmente la sua immaginazione, il suo desiderio di rendere la vera anima di Oiwa, le erano un po’ sfuggiti di mano.

 Un incidente strano, ma nulla di cui preoccuparsi; ora doveva solo concentrarsi sul recitare al meglio nelle scene successive.

 

Come previsto da praticamente tutti tranne il povero Daisuke, una discreta fetta della critica non guardò favorevolmente alle sue innovazioni.

 Il suo uso di proiettori e maschere di fumo fu definito ‘un adattamento ai tempi nel vero spirito del kabuki’ da alcuni, ma la maggior parte lo definì una trovata terribilmente pacchiana; pochi sprecarono due parole sull’effettiva qualità dei disegni di Chiyoko.

 Le sue modifiche al copione e ai personaggi furono più controverse: molti lodarono l’intento di esaltazione delle donne, ma diversi altri criticarono l’assenza di sottigliezza, accusando suo fratello di non aver capito nulla di femminismo e di star goffamente cercando di approfittarne per attirarsi le lodi del pubblico di bocca buona.

 Perlomeno, la sua performance come Iemon fu generalmente molto apprezzata; quasi tutte le recensioni che Atsuko lesse, in effetti, a prescindere di che ne pensassero delle innovazioni, lodavano la qualità degli attori come uno dei punti forti della rappresentazione.

 Tutto sommato, l’esordio di Danjuro Namikaze XIII non era andato peggio di quello di molti altri eredi di famiglie di attori; ma era ben lontano dall'adorante fronte unito che Daisuke pareva essersi aspettato. E già di per sé, questo non metteva certo di buon umore suo fratello – e anche sua sorella, assolutamente livida perché il lavoro che aveva messo nel progettare le visioni di Iemon era stato ignorato da praticamente tutti.

 A questo si andavano ad aggiungere i problemi con gli effetti scenici. Durante lo spettacolo vero e proprio, il costante controllo da parte del tecnico di Daisuke aveva impedito che i proiettori si esibissero durante le stesse stranezze dei primi giorni di prove; adesso che erano alle prove della seconda settimana, questi parevano decisi a vendicarsi, e aver coinvolto anche le macchine del fumo.

 Adesso le immagini partivano a caso, alternandosi a una tale velocità che non si vedeva nulla tranne un intermittente flusso di colori, che Eiji e Daiki si sentirono quasi male ad osservare, e quelle poche immagini che riuscivano a trattenere erano talmente confuse e distorte dai glitch da rendere un sollievo il fatto che non durassero per più di pochi istanti.

 Quanto alle macchine del fumo, si erano messe a emetterlo a intervalli irregolari e imprevedibili, e quando Eiji provò a controllare il problema, una per poco non gli scoppiò direttamente in faccia, e lui passò la notte in ospedale. A Chiyoko, sul fronte delle ferite fisiche, andò appena meglio, prendendosi una brutta storta a una caviglia mentre azionava un palco girevole alquanto riottoso.

 Gli attori erano nervosi, alcuni avevano difficoltà a concentrarsi nel ruolo, le chiacchiere nei momenti di pausa erano poche e forzate. Nessuno faceva più battute sulla maledizione di Oiwa, ma nessuno la menzionava apertamente come causa dei loro problemi.

 Atsuko faceva del suo meglio per mantenere un contegno calmo e rassicurante, un valido sostegno per gli altri; se Daisuke e Chiyoko erano troppo impensieriti per tranquillizzare gli altri, e gli sforzi di Hiroshi consistevano di battute piuttosto volgari che facevano ben poco per risollevare l’atmosfera, il ruolo di pacificatore spettava a lei. Non che stesse funzionando molto, i suoi tentativi di indurre gli altri a mantenere la testa sulle spalle non le procuravano molto altro che sorrisi molto forzati.

 Del resto, chi l’aveva mai vista davvero come persona solida e rassicurante? No, quando mai lei era riuscita a rassicurare davvero qualcuno? Sempre troppo impegnata a tenere gli altri a distanza perché non si accorgessero di nessuna stranezza, aveva finito per farsi vedere come strana lo stesso.

 Se solo non fosse nata così! Se solo fosse stata … fisicamente una donna, o mentalmente un uomo, non quella specie di stato di confine che … era da quando era ragazzina che le impediva di socializzare propriamente.

 Fin dal primo anno di elementari, quando si era attirata la nomea di bambino capriccioso per i suoi rifiuti a mettere la divisa maschile, una partenza in piena regola; poi il modo in cui aveva esasperato le maestre, insistendo nel cercare di giocare con le bambine e fare le attività extracurriculari per le bambine. Gli altri bambini avevano reagito prevedibilmente, e presto chiunque, sia maschi che femmine, si era rifiutato di giocare con lei, e non passava giorno in cui non arrivasse in classe per trovare il suo banco decorato da insulti e si improvvisassero filastrocche quasi peggiori da recitare al suo passaggio.

 Gli insegnanti in tutto questo non avevano fatto nulla, e in effetti era stata lei a tirarsi addosso tutto questo con il suo modo di essere, loro non avevano alcun obbligo a intervenire qualcuno che aveva solo dato loro problemi. Almeno i suoi genitori avevano notato la situazione e cercato di farle cambiare scuola, ma la situazione non aveva fatto che ripetersi, e alla fine continuare a trasferirla sarebbe stato imbarazzante e un detrimento al suo studio.

 Era stato solo alle medie, dopo aver sentito la parola magica ‘disforia di genere’ che le aveva dato l’illuminazione, che si era decisa a mettere la testa a posto, ad accettare di mettere quell’uniforme sempre più odiosa e a fare le attività per i maschi. Si rendeva conto, già allora, che la situazione era senza speranze.

 La Legge 111 permetteva il cambio di genere nei documenti solo a seguito di intervento di cambio di sesso e di sterilizzazione; questo a seguito della diagnosi ufficiale di disforia di genere, il che avrebbe richiesto andare da un psicologo, come i malati mentali, e per chissà quanto tempo, per giunta. E lei avrebbe dovuto fare tutto questo rigorosamente nel lasso di tempo dopo il compimento della maggiore età e prima dell’ingresso nel mondo del lavoro, altrimenti avrebbe causato confusioni inutili a capi e colleghi. Da sola, per giunta: l’atteggiamento dei suoi familiari verso ‘queste tematiche’ metteva bene in chiaro che non avrebbero mai accettato il suo cambiamento. Era nata con il corpo di un uomo, e quello si sarebbe dovuta tenere fino alla morte. Si era rassegnata.

Ma aveva smesso di cercare di socializzare e comunicare con gli altri, perché c’era sempre il rischio che, ora che situazioni come le sue erano a conoscenza di più ragazzi, qualcuno l’avrebbe riconosciuta in quanto tale, e allora il bullismo sarebbe semplicemente esploso, per non parlare di quel che avrebbero detto i suoi genitori.

 Così era rimasta per le sue, sempre attenta a svolgere bene i suoi compiti e a non essere mai meno che una studentessa modello, ma il genere di persona talmente isolata che è come se non ci fosse. Perfino i bulli avevano smesso di prestare attenzione alla sua esistenza, da un certo punto in avanti.

E nella sua vita adulta aveva solo continuato su questo modello di comportamento: persona talentuosa e diligente, ma blanda. Sul palcoscenico risplendevano i suoi personaggi, non lei.

 E adesso ne veniva punita, perché non aveva mai imparato a interagire con gli altri in maniera positiva ed essere per loro un buon modello.

 Perché questa era stata la sua infanzia. Questi erano i suoi ricordi. Non quelle … strane scene … che le si presentavano alle mente nelle ultime settimane.

 Scene brevi, disassociate tra loro. Le sue mani di bambina impegnate a suonare lo shamisen, sotto lo sguardo attento di un’insegnante in abiti tradizionali; un tipo di musica che adorava ma era sicura di non aver mai imparato a suonare, di non aver mai visto quella donna in vita sua, e soprattutto di non aver mai indossato abiti così femminili. La stessa tutrice, molto spazientita, che la riprendeva per i suoi errori nel condurre la cerimonia del tè: o meglio, credeva che quella fosse cerimonia del tè, non l’aveva mai imparata in vita sua!

 Due bambine erano un ricordo ricorrente: anche loro vestite in abiti molto tradizionali, comparivano in scene in cui chiacchierava e rideva con loro, cercavano di imitare le loro madri nel sembrare donne adulte e rispettabili e finivano inevitabilmente per ridere a crepapelle, e sulle sponde di un fiume, mentre lei mostrava orgogliosamente una rana appena catturata, a reagire una con gran risate e l’altra con assoluto disgusto.

 Questi erano sicuramente i ricordi più strani e improbabili: non solo non aveva la minima idea di chi fossero quelle bambine, era sicura di non aver mai avuto relazioni così positive con sue pari! Perfino con i suoi fratelli biologici c’era sempre stata della distanza, per un motivo o per l’altro.

 E poi, le emozioni che accompagnavano questi ricordi … un poco di irritazione verso la vecchia insegnante così severa, il divertimento nel riscontrare i propri miglioramenti nel suonare; più forti e insistenti i sentimenti di affetto verso le due bambine; ma soprattutto, uno struggente senso di rimpianto come raramente ne aveva mai provato in vita sua, come se quei ricordi fossero di un tempo meraviglioso che non sarebbe mai più tornato indietro, e un dolore quasi fisico nel ricordare le due bambine, come se le avesse entrambe perse in modo terribile.

 Ma che accidenti stava succedendo? Lei non aveva mai vissuto nulla del genere, quei ricordi, quelle emozioni, erano completamente estranei a lei! Era un sintomo di qualche problema mentale? Avrebbe dovuto farsi vedere da uno psicologo?

 No, dannazione, si sarebbe accorto della sua disforia e l’avrebbe detto ai suoi familiari, come avrebbero reagito i suoi fratelli al rendersi conto di avere una persona così disturbata in famiglia, cosa avrebbero detto le altre persone di lei e di loro? Non poteva diventare un problema, si era sforzata tutta la vita per non esserlo!

 Doveva ignorare queste sciocchezze … forse erano solo sogni ad occhi aperti, effetti della stanchezza, Daisuke non aveva certo scherzato quando avrebbe detto che li avrebbe fatti lavorare fino all’osso. Doveva solo concentrarsi sul continuare a rendere Oiwa, magari tutto il resto si sarebbe risolto da sé.

 Il secondo fine settimana di rappresentazioni li trovò tutti quanti stanchi e stressati, ma pronti a dare il meglio di sé, con un tecnico delle luci e del fumo in totale allerta. Di nuovo Atsuko indossò i vestiti giusti, tornando ad essere una donna con l’approvazione della società.

 E di nuovo quegli strani pensieri! Quei sentimenti di lutto e fiducia verso Iemon, durante il primo atto. Non ebbe molto tempo per soffermarvisi, presto sarebbe arrivata la sua scena successiva. Era ormai passato del tempo, più di un anno, dalla morte di suo padre, e ancora Iemon non era riuscito a trovare il suo assassino e a vendicarlo.

 Certo, lei era solo una donna, non avrebbe dovuto insistere, per quanto la faccenda le stesse a cuore. Piuttosto, era anche più urgente richiedergli prudenza con le spese. Suo marito non era mai stato un uomo particolarmente economo, ma finché lei si prendeva la responsabilità e richiedeva poche necessità, potevano permetterselo. Ma adesso era nato il loro bambino, avevano una bocca in più a cui pensare, per non parlare di quanto sarebbero stati scontenti i servi se si fossero visti decurtare ancora la paga.

 Certo, era suo diritto prendersi un po’ di riposo, certo, gli era grata per quello che stava facendo per cercare gli assassini di suo padre, ma non poteva permettersi spese così sfrenate!

 Naturalmente, lei non avrebbe dovuto insistere. Era stato un parto difficile, il suo, l’aveva lasciata così debole, così facile a stancarsi. Stava venendo meno al suo dovere di moglie, di donna, lo sapeva benissimo, era la prima a vergognarsene. Non era certo così che aveva immaginato di diventare, da bambina, non si stava dimostrando la moglie ideale che era stata cresciuta per essere, e se avesse potuto, avrebbe fatto qualunque cosa per sostenere la sua famiglia.

 Ma riusciva a malapena a prendersi cura del bambino e della casa senza collassare esausta! Per quanto si stesse sforzando, di più non riusciva a fare, le sarebbero servite delle medicine, ma non potevano permettersele … certo, se fosse stata più forte, non ci sarebbe stato neppure bisogno di quella spesa aggiuntiva. Era colpa sua, e finché persisteva in quello stato, una donna debole e incapace di far trovare una casa davvero accogliente e dignitosa al marito, non avrebbe avuto diritto di accampare pretese.

 Per non parlare, poi, del fatto che difficilmente avrebbe potuto dargli altri figli! E anche al di sopra di tutto il resto, quella restava una macchia sul suo onore. Era giusto che fosse disprezzata per quello, lei stessa avrebbe disprezzato una donna che fosse stata nelle sue condizioni. Ma il bambino che era riuscita a dare alla luce meritava di crescere in una casa migliore, e per quello servivano soldi.

 Iemon la ignorò e se ne andò, come sempre aveva fatto. Ma perché, perché le cose erano andate così? Lei non desiderava altro che rispettare la sua educazione, essere una buona moglie e madre per un marito onorevole e figli che ne potessero essere i degni eredi. Perché non era riuscita a non finire così, debole e sempre malata, con un marito che tornava ubriaco più spesso che no?

 Il palcoscenico, c’era un palcoscenico da lasciare. Passi piccoli e delicati, spalle anche più incurvate del solito. Atsuko si sentiva girare la testa, e al contempo stranamente leggera. Fu un vero sforzo concentrarsi nell’andatura.

 Era successo di nuovo! Maledizione, questo non era essere coinvolti nel personaggio, era qualcos’altro, e non capiva cosa! Che le stava succedendo?

 E gli altri parevano non essersi accorti di niente, gli altri attori le rivolsero sorrisi di approvazione quando tornò dietro le quinte, prima di uscire per le loro scene. E per il resto dell’opera, non provò più quelle sensazioni, e fu solo Atsuko a provare l’angoscia di Oiwa e la sua furia vendicativa.

 Tornata a casa, fece alcune ricerche su internet, nella speranza e insieme il timore di trovare i suoi sintomi sulla descrizione di qualche patologia mentale. Almeno avrebbe avuto un nome da dare loro! Ma tutto quello che riusciva a trovare erano articoli e titoli di blog che davano informazioni contraddittorie e non descrivevano mai davvero la sua situazione.

 Atsuko si sentì terribilmente stanca. Lasciò perdere le sue ricerche. Magari era solo suggestione. Magari le cose sarebbero davvero migliorate per conto loro.

 

Osode e Akemi.

Adesso ricordava chiaramente anche i nomi delle bambine in quei ricordi che non potevano essere i suoi. Akemi non le diceva nulla –era sua cugina-, ma Osode! Osode era il nome di – sua sorella – la sorella di Oiwa. Cosa voleva dire? Stava impazzendo, e si stava convincendo di essere il suo stesso personaggio? No, no, doveva tenere duro, resistere a queste assurdità. Lei era Atsuko, Atsuko. Non poteva perdere la sua identità, dannazione! Non poteva permettersi di dare ulteriori problemi alla sua famiglia.

 Gli incidenti stavano peggiorando. Le macchine del fumo avevano rifiutato di spegnersi e li avevano quasi intossicati tutti quando le avevano provate il lunedì, erano stati costretti a evacuare e a chiamare dei tecnici specializzati, e il teatro era stato molto veloce ad affibbiare il conto a loro. I proiettori … quando funzionavano, non proiettavano certo le belle immagini stilizzate di Chiyoko, ma delle cose, degli orrendi ammassi di forme che andavano a comporre … meglio non pensarci.

 I suoi fratelli ne stavano risentendo. Hiroshi aveva abbandonato qualsiasi tentativo di alleggerire l’atmosfera, rassegnandosi a fare la sua parte e stare zitto per la maggior parte del suo tempo fuori scena.

 Chiyoko era sempre più frustrata nel vedere le sue creazioni rischiare di essere tagliate fuori dallo spettacolo, quando tornava a casa era ancora meno in vena del solito di sopportare il fidanzato, litigavano furiosamente, e il giorno dopo si presentava al lavoro ancora più stressata e meno propensa a sopportare i problemi tecnici.

 A Daisuke andava anche peggio, in quanto responsabile di tutto lo spettacolo che rischiava di chiudere i battenti. La pazienza del suo povero fratello era ridotta ai minimi storici, e principalmente destinata a spiegare i problemi ai direttori del teatro; per le macchine malfunzionanti, che venivano regolarmente prese a calci, e per gli attori, che venivano regolarmente presi a parole, non gliene restava proprio nessuna. Ed era comprensibile, anche se un atteggiamento più collaborativo da parte di tutti avrebbe aiutato.

 “Forse potremmo provare a fare quel pellegrinaggio” suggerì Atsuko il martedì mattina.

 “Ma che cazzo c’entrano quelle superstizioni di merda!” esplose Daisuke. “Già ci sta capitando di tutto, non possiamo sprecare tempo con delle stronzate da ragazzini!”

 “Ma l’effetto placebo è qualcosa di scientificamente dimostrato” obiettò Atsuko. “Magari potrebbe aiutare gli altri a sentirsi meglio, ad affrontare i problemi con …”

 “Tutto quello che gli serve è più concentrazione su quello che stanno facendo! È letteralmente l’unica cosa che sta andando bene al momento!”

 “Scusa se insisto, ma proprio per questo credo che …”

 “Credi a delle stupidaggini, finiscila. Shinobu, non so se te ne sei reso conto, ma il resto di noi ha finito il liceo! Torna al tuo mondo tra le nuvole, quello che devi fare è recitare, lascia che quelli che hanno problemi seri se ne occupino senza rompere!”

 Come osava rivolgersi a lei in quel tono. Mondo tra le nuvole? Problemi seri? Questo idiota non aveva idea di cosa fosse un problema serio. Tutto quello che gli era mai successo era qualche litigio con papà, ma non c’erano mai stati dubbi che lui sarebbe stato l’erede della famiglia di attori. Che avrebbe avuto un posto pronto e rispettabile nella società, e che lui si era affrettato a reclamare, senza mai dare cenno di preferire altro, di avere altri progetti e inclinazioni nella vita che adagiarsi su quello che era stato approntato per lui.

 Non si era mai dovuto rendere conto di essere essenzialmente diverso dagli altri, di essere bloccato a vita in un corpo che lo rivoltava, di essere uno scherzo di natura che né la famiglia né la società avrebbero potuto accettare, di non poter diventare quello che sentiva di essere senza chirurgia invasiva e il ripudio da parte di tutti quelli che l’avevano conosciuto? E veniva a dire a lei che non sapeva quali fossero i problemi della vita?

 “Dice quello che non sta facendo assolutamente nulla per migliorare la situazione” gli soffiò in faccia. “Ma guardati. Lì a strillare e colpire i tuoi preziosissimi strumenti perché hanno un malfunzionamento. Comprarne di nuovi?”

 “Ma che cazzo dici?” sbottò Daisuke, allontanandosi da lei di un passo. “Hai idea di quanto mi siano costati? Non possiamo permetterci una spesa simile un’altra volta!”

 “E allora facciamo senza! Sono duecento anni che danno questo spettacolo senza i proiettori, l’unica cosa su cui la critica concorda è che la recitazione in sé è buona, lasciamo perdere gli effetti speciali e concentriamoci su quella! È così facile, dannazione!”

 “Questi strumenti sono parte integrante del nostro spettacolo! E’ l’unica cosa che ci distingua da una produzione qualsiasi! Ci arrivi?”

 “Se tu che devi arrivare a una cosa: noi rischiamo di restarci secchi! Questi affari stanno impazzendo, abbiamo già avuto due persone all’ospedale e va sempre peggio, la prossima cosa deve fare, crepare?”

 “Stai esagerando, sono degli incidenti del cazzo e tu li fai sembrare delle tragedie!”

 “E tu stai minimizzando, e mettendo a rischio la sicurezza di ogni singola persona qui, per un dannato capriccio che non vuoi che la gente ti paragoni a papà!”

 “Io sto cercando di traghettare la nostra famiglia ai tempi moderni …”

 “Quello che stai facendo non è affatto diverso da quando da ragazzino ti sei tinto i capelli di verde e ascoltavi musica metal occidentale e hai saltato la lezione ben due volte. Il tutto per dimostrare a papà che volevi la tua indipendenza come persona, che eri così tanto diverso da lui, che non avevi paura dei terribili sguardi di disapprovazione che avrebbe rivolto al suo figlioletto preferito!”

 “Adesso non farne una questione di rivalità …”

 “E sai la cosa migliore? Che sapevi benissimo che tutte le tue ribellioni non avrebbero avuto la minima ripercussione su di te. Ti saresti rimesso a posto i capelli, avresti smesso di ascoltare musica, avresti recuperato con un voto alto, e avresti potuto dire di aver mostrato una personalità autonoma, un individuo che non ha bisogno del supporto di nessuno, senza giocarti il posto di erede e il lavoro assicurato e una comoda nicchia già ritagliata nella società. Il mio mondo senza problemi, dici? Di’ un po’, per tutto quel che ti piace dire sul migliorare quello che papà ovviamente stava facendo male, dove pensi che saresti se non fossi stato suo figlio adesso?”

 Daisuke si limitava a fissarla, adesso, gli occhi un po’ sgranati. Si affrettò a distogliere lo sguardò, marciò via, e ordinò a Eiji, Hiroshi e Daiki di provare la scena di Naosuke al bordello di Osode.

 I tre, che fino a quel momento avevano fatto da spettatori al litigio con assoluto sconcerto, si riscossero e filarono sul palco, non senza lanciare ad Atsuko occhiate tra l’esterrefatto, lo spaventato e il preoccupato. Davvero credevano che dire il fatto suo a un vigliacco simile fosse cosa tanto straordinaria?

 … No. Un momento, che cosa aveva appena fatto?! Che cosa aveva appena detto?! Si era davvero rivolta così a suo fratello? Che le era preso, come aveva potuto dire quelle cose? Aveva sempre saputo che quella consapevolezza, di non essere davvero libero dell’ombra di suo padre come avrebbe voluto, era un tasto doloroso per suo fratello.

 Come aveva potuto dimenticarsi di quanto fosse la gioia che aveva sempre ostentato crescendo, al diploma col massimo dei voti circondato da genitori orgogliosi, a una laurea altrettanto buona, e per ultimo, il suo contegno demoralizzato in modo palese, ma travestito da lutto, alla cerimonia shumei con cui aveva ricevuto il nome di scena del padre?

 E lui, si è ricordato dei tuoi problemi? Sibilò una voce così rabbiosa da essere quasi estranea nella sua testa. Si è ricordato che tu non hai affatto avuto una vita facile? Si è degnato di trattarti come una persona meritevole di rispetto?

 Ma che c’entrava, lei lo aveva contraddetto, anche davanti agli altri, aveva addirittura insistito!

 Oh, certo, non gli hai leccato le scarpe. Assolutamente meritevole di un derisione in pubblico. Ha solo seminato quel che ha raccolto.

 No, non doveva pensare così! Suo fratello non sapeva nemmeno i suoi veri problemi – e pensi che ti rispetterebbe, se li sapesse? – e non meritava certo di essere ferito a quel modo – perché, tu sì?.

 Basta, doveva ammettere di aver sbagliato, andare a scusarsi!

 Fu un fallimento. Ovviamente, Daisuke si rifiutò persino di riconoscere di aver sentito la scusa. Imbecille – no, era lei in torto, dannazione! Ma cosa le stava succedendo?

 Il resto del giorno trascorse in uno stato di tensione anche peggiore di prima: tutta colpa sua. Se solo fosse stata un vero supporto per suo fratello, invece di aggredirlo a quel modo! A fine giornata, i saluti tra tutti furono distaccati e formali.

 Atsuko dovette impegnarsi per non sembrare completamente uno straccio ma una persona relativamente normale mentre tornava a casa. Niente hara-gei, qui, piuttosto una finzione spudorata. Non infastidire o mettere a disagio il mondo con la consapevolezza che stava passando un inferno. Come quando cercava di mantenere un contegno con le vicine che venivano a trovarla, i primi tempi quando la sua famiglia non era ancora uno sfacelo completo. Mantenere una buona postura e un contegno sereno malgrado il dolore e la debolezza fisica, proclamando la sua felicità per quel bambino il cui futuro era spaventosamente incerto e la sua affettuosa devozione a quel marito che sperperava tutti i loro soldi … no, ma che c’entrava?

 Lei non aveva mai vissuto tutto questo! Di sicuro non era mai stata sposata, e avere figli era decisamente al di fuori del reame delle sue possibilità!

 Ma quei ricordi … somigliavano spaventosamente alla situazione di Oiwa. Stava davvero impazzendo? Stava avendo allucinazioni che la convincevano di essere il personaggio che interpretava? No, no, no, non poteva permetterselo, non poteva permettere che la vita e l’equilibrio che era così attentamente riuscita a costruirsi crollassero in questo modo, non poteva essere rinchiusa da qualche parte o vivere con un’assistente e rischiare di avere la sua situazione scoperta e gettare nell’imbarazzo la sua famiglia! Basta, queste cose dovevano andare via! Non voleva le allucinazioni, non voleva gli scatti d’ira, voleva solo che la sua vita tornasse alla normalità!

 Ma che ci poteva fare. Non era mai riuscita a controllare sé stessa. Non era mai riuscita, fin da quando era bambina, ad essere normale, a non essere un simile scherzo di natura. No, non era davvero quello … aveva fatto pace con sé stessa da tempo, ormai. Si era creata lo stesso una sua vita. Che non sarebbe mai stata piena come quella che avrebbe voluto, ma comunque non era colpa sua.

 Se però avesse continuato a dare di matto, sarebbe finita nelle mani di un qualche terapeuta, che avrebbe senz’altro scoperto chi fosse in realtà e imputato a quello, alla sua vera natura, la causa di tutti i suoi problemi. Tutti avrebbero concordato con lui, e Atsuko non sarebbe mai tornata a una vita normale. Motivo in più per darsi una calmata e impegnarsi a recitare la parte di qualcuno che ha il completo controllo di sé stesso.

 E infatti il giorno dopo ebbe una furiosa litigata con Chiyoko.

 Erano nel bel mezzo del provare le scene clou dell’opera, quelle più complicate da gestire, tra le emozioni violente dei personaggi e l’abbondante uso dei trucchi scenici, e questi ultimi davvero non stavano collaborando. Nella fattispecie, una delle macchine del fumo si era messa a spararne fuori all’impazzata, con una violenza mai vista prima, proprio a pochi centimetri da dove il povero Akira stava cercando di interpretare Oume.

 Il disgraziato fu buttato a terra dal getto, e lì rimase a contorcersi come se fosse stato scottato in qualche modo. Atsuko si affrettò a mollare il ruolo, e dopo una breve lotta con comandi che sembravano diventati di pietra riuscì a spegnere lo strumento malefico.

 “Akira, tutto bene?”

 Lui rispose con un verso a metà tra un grugnito e un gemito.

 “Non si può andare avanti così …” le sfuggì.

 “Sì, perché ovviamente, non appena qualcosa va un po’ storto è il mio lavoro che viene buttato nel cesso”

 “Chiyoko, questa non era una critica a te, semplicemente questi cosi si rifiutano di …”

 “Semplicemente, mi avete fatta lavorare per un mese e mezzo come una pazza, rimandando tutti i miei altri progetti e la mia vita in genere, per poi dirmi che non userete la mia arte, perché è troppo sforzo operare un proiettore!”

 “Non abbiamo soldi per la sostituzione, e queste macchine stanno diventando pericolose …”

 “Ma hai idea di cosa sia lavorare sul serio? Di cosa sia passare giorni attaccata al computer, a cercare di pensare a idee decenti, disegnarle alla perfezione, studiare come si incastreranno proiettate nell’architettura del teatro, ricercare le stampe feudali per riprodurne il più possibile il tratto, litigare con altre persone che vogliono darti lavoro perché questo mese sei già presissima, dire sempre di no agli amici e beccarti le lamentele del cavolo di ragazzo perché lo trascuri? Tu devi solo dire qualche battuta su un palco, sembrare una donna carina, non hai un cane che ti calcoli e quindi zero amici o ragazza …”

 “E perché non lo molli, se ti dà tanti problemi?” sbottò Atsuko. “Siete stati bene insieme per la prima settimana, subito dopo hai iniziato a lamentarti ogni santa volta che ti trascura, che ti critica, che urla, che non ti fa mai regali. Poi ti incazzi, e vieni a sfogarti urlando contro di noi, che non c’entriamo un accidenti con i tuoi problemi –“

 “Io non ho problemi! I problemi sono il suo carattere e voialtri che mi guardate dall’alto al basso solo perché sono una donna, dopo il culo quadrato che mi sono fatta per il vostro fottutissimo spettacolo …”

 “I tuoi problemi sono che sei patologicamente incapace di rimanere sola, o lo avresti già piantato da un pezzo. È perché sei vicina ai venticinque anni? Hai così tanta paura che nessuno ti vorrà più? Credi così poco in te stessa da aver bisogno di avere in giro qualcuno che non ti calcolerebbe se arrivassi a ventisei anni e un giorno?”

“E me lo vieni a dire tu, che alla tua età non hai mai avuto una donna?”

 “Io almeno non dipendo da nessuno. Il tuo adorato ragazzo? Non sa capirti, non sa appoggiarti, urla per delle cazzate, qualche volta hai detto che ti ha spaventata. Prima o poi ti farà del male sul serio, magari ti ammazzerà anche. Metti su un po’ di spina dorsale e mollalo, ci guadagnerai soltanto”

 “Ma ti senti?! Stai accusando Ren di essere un violento assassino perché ogni tanto litighiamo. Nemmeno Daisuke arriva a questi livelli! Di’ la verità, ci speri che io resti ammazzata per poter dire che l’avevi previsto?”

 “Ma sei fuori?!”

 “Piantala di essere assurdo. Io non ci spreco un minuto di più, a parlare con te”

 Detto fatto, la ragazza girò sui tacchi e si allontanò in tutta fretta. Di nuovo, le occhiate allibite degli astanti furono tutte per Atsuko. Daisuke dichiarò che era meglio che tutti si prendessero una pausa.

 Atsuko marciò dritta ai camerini, per cercare di sbollire la rabbia. Ragazza cretina, non si  rendeva conto che avrebbe avuto solo dei guai? Cosa aveva la solitudine di tanto spaventoso, da rischiare di essere sfigurata o ammazzata o tutte e due le cose insieme?

 No, un momento, ma che stava pensando? Da dove erano partite quelle conclusioni? Come aveva appena trattato sua sorella?! Certo, Ren non le era mai piaciuto; aveva sempre pensato, anche se si era detta che non erano affari suoi, che Chiyoko ci stesse assieme perché temeva di diventare troppo vecchia per sposarsi; ma pensarlo già come il potenziale assassino di sua sorella?! Ma che le passava per la testa?!

 Succederà.

 Una sensazione strana, come un pensiero forte e chiaro nella sua testa … ma non suo. Cos’era successo? Era la voce del suo subconscio o roba del genere?

 Tua sorella è una discendente della famiglia Yotsuya. È condannata, se non farai qualcosa.

 Che razza di pensieri erano? Che delirio era? La famiglia Yotsuya, quella dell’opera? Stava uscendo di testa, oddio, stava uscendo di testa …

 No. Non provare a sminuirmi come una semplice allucinazione. Io sono reale.

 ‘Chi sei?’ pensò Atsuko di rimando, realizzando pienamente la squallida situazione del parlare alle voci nella propria testa.

 Oiwa.

 Era impazzita, non c’era altra spiegazione. Era un caso clinico. Come poteva continuare a nasconderlo?

 Smettila di agitarti. Atsuko. Io posso aiutarti. Io posso darti tutto quello che desideri, se tu in cambio mi aiuterai.

 ‘No. Zitta. Tu non esisti!’

 A te serve un corpo di donna e la liberazione dalle catene della famiglia e della società. Io posso darteli. A me serve un corpo vivo. Tu puoi darmelo.

 ‘No, è assurdo, non posso essere arrivata a questo punto!’

 Avremmo entrambe quello che meritiamo. Tu la tua libertà, io la mia vendetta.

 ‘Non ha senso, dannazione, tu ti sei già vendicata! Sono solo io che sto delirando!’

 Non ho finito. Non sono neanche lontanamente arrivata a tutti i responsabili.

 ‘Basta! Non lo voglio questo delirio! Vattene, vattene, vattene, vattene, vattene …’

 Silenzio. Nessuna voce estranea nella sua testa. Atsuko tirò un sospiro di sollievo. Ma che sollievo? Fino a quanto sarebbe riuscita a tenere nascosta la sua condizione? Quanto tempo sarebbe passato prima che si mettesse a delirare in pubblico, umiliando la famiglia e facendosi rinchiudere da qualche parte?

 Ad Atsuko parve di avere fisicamente problemi a respirare, nei giorni che seguirono. Nessuno più parlava, a teatro, se non per recitare e dare disposizioni. I loro strumenti continuavano a dare problemi.

 Kazumi, appena un paio di giorni prima della rappresentazione, cadde dalla scala mentre cercava di aggiustare un proiettore, e picchiò la testa. Non riuscirono a rianimarlo, la ferita sanguinava, fu necessario chiamare in tutta fretta un’ambulanza. All’ospedale chiamarono in seguito per dire che sarebbe sopravvissuto, ma sarebbe dovuto rimanere in ospedale a lungo, per controllare che non vi fossero state ripercussioni a livello neurologico.

 Fu necessario trovare un sostituto in fretta e furia, un ragazzo di conoscenza di Akira che non aveva nemmeno finito l’accademia, e costringerlo a uno sprint di apprendimento delle battute. Il poverino faceva del suo meglio, ma l’ambiente in cui era stato ficcato non lo aiutava esattamente, tra il continuo silenzio cupo e gli ordini furibondi di Daisuke.

 Quando tornava a casa, Atsuko non riusciva esattamente a rilassarsi.

 A parte il costante tarlo di stare impazzendo e non saper cosa fare al riguardo, la sua casa stava diventando un disastro per il poco tempo che ormai ci trascorreva. Tutti gli specchi non facevano che rimandarle l’immagine di un corpo che di questi tempi le faceva anche più schifo del solito.

 Quando andava sui social, sembrava che l’algoritmo non avesse altro da proporle che post e video di ‘scienziati’ che insistevano su come omosessuali e transessuali dovessero ricevere estensivi interventi di rieducazione per rientrare nell’ordine naturale delle cose, non essere assecondati; politici conservatori che lamentavano l’indegnità di essere brutalmente obbligati a riferirsi a un uomo come a una donna se questi così insisteva; articoli da riviste di gossip sull’ultimo commento transfobico della celebrità di turno; post di pagine femministe che lamentavano l’essere costantemente messe in pericolo da uomini travestiti che, con la scusa di essere transessuali, invadevano i loro spazi al chiaro scopo di violentarle, e pretendevano di essere riconosciuti come donne e strappare loro i diritti che si erano guadagnate con tante lotte.

 Non sapeva più nemmeno perché apriva internet, ormai, forse perché quando tornava a casa era troppo stanca per fare qualunque altra cosa.

 La terza sessione di spettacoli arrivò come un miraggio. Finalmente poteva avere il breve conforto di abiti adatti a lei e di avere il ruolo che aveva desiderato, ma il fatto di sentire la voce del suo personaggio come quella di uno spettro che cercava di possederla la rendeva lo stesso alquanto nervosa durante il tutto. Ma se fosse successo di nuovo, se si fosse trovata ancora a perdere la cognizione di sé stessa … non ebbe molto tempo di pensarci sopra, perché fu esattamente quello che successe.

 I primi due atti furono forti come le prime volte; e poi arrivò il terzo. La scena dell’avvelenamento.

 Per una frazione di secondo, Atsuko pensò di rifiutarsi di recitarla. Aveva un bruttissimo presentimento, una sensazione che qualcosa sarebbe andato terribilmente storto. Avrebbe potuto improvvisare un malore, i suoi fratelli e gli altri attori si sarebbero arrabbiati, ma tanto, peggio di così … ma no, era troppo tardi per tirarsi indietro, e poi, lasciare uno spettacolo incompleto? Sarebbe stato brutto. E lei non creava niente di brutto, a meno che non fosse per renderlo splendido al contempo. Entrò in scena.

 Un servitore da parte di quella famiglia ricca che abitava nelle vicinanze, gli Ito, le aveva portato un farmaco, un antico rimedio tramandato nella loro famiglia, con l’augurio che la aiutasse a rimettersi in sesto dopo quel parto così difficile. Era stata così grata nel riceverlo, così attenta a ringraziare con il massimo rispetto quelle persone così generose, disposte ad aiutarla senza conoscerla neppure, e a meditare su come avrebbe potuto ricambiarli anche malgrado le sue condizioni economiche disastrate!

 Lo aveva assunto subito, speranzosa negli effetti miracolosi promessi. E in effetti sì, si era sentita meglio. Forse qualche curioso problema a mettere a fuoco le cose, ma fisicamente, si sentiva molto più rinvigorita. Forse avrebbe potuto uscire dalla stanza sua e del bambino quel giorno, occuparsi della casa, del giardino.

 Si era acconciata i capelli, per essere più presentabile agli occhi del resto della famiglia. Più pettinava, e più si sentiva la testa leggera; i capelli morti stavano venendo via in quantità notevoli. Forse avrebbe dovuto curarli meglio, ma in quei giorni non erano stati esattamente la sua priorità. Avesse avuto ancora lo specchio, venduto per far fronte alle spese, avrebbe urlato, ma allora come poteva sapere? Si sentiva così bene.

 Iemon era entrato in quel momento. Lei aveva sorriso, stava per dirgli qualcosa, comunicargli di come ora stesse bene e potesse aiutare in tutto quello di cui lei aveva bisogno – e si era fermata nel vedere lo sguardo di puro orrore e disgusto di lui, che aveva girato immediatamente sui tacchi e uscì in fretta e furia dalla stanza. Ma che gli era preso? Cos’aveva fatto lei di male?

 Si era alzata e l’aveva cercato fuori dalla stanza. Lui se ne era già andato, e lei non sapeva bene in quale altra parte della casa. Aveva provato a cercare ancora, chiamandolo. Invece, dopo qualche minuto era arrivato il servo, Takuetsu. Forse lui avrebbe saputo dirle dove si trovava il marito – e invece le metteva le mani addosso, le frugava nel vestito, una scarica di terrore l’aveva attraversata, e poi gli aveva dato un calcio, colpendogli una caviglia e facendolo barcollare. Non appena si era liberata dalla sua presa, era corsa ad afferrare una delle spade alla parete.

 Quel miserabile non si ricordava che era nella casa di un samurai? Lei era una donna, non aveva mai preso un’arma in mano, ma lui era un servo, e prima di esserlo era stato un proprietario di bordello, probabilmente ne sapeva anche meno di lei! Se voleva il suo onore, anche solo il tentativo gli sarebbe costato caro.

 Ma davanti alla spada quel prode pareva aver perso tutto il coraggio; piuttosto, la guardava con orrore e disgusto, come Iemon prima. Ma che stava succedendo?

 “E’ stato Iemon a ordinarmi di farlo” aveva mugugnato lui. “Vuole divorziare con base onorevole”

 Cosa? Iemon aveva ordinato che lei fosse stuprata? Per soddisfare un suo puntiglio senza perderci la faccia? Una cosa così orribile alla donna che l’aveva appoggiato, l’aveva aiutato in quanto aveva potuto, gli aveva dato un figlio, per così poco in cambio? Non poteva essere, non poteva crederci …

 “Perché, ecco … meglio se lo vedi tu …”

 Lei aveva ignorato anche il tono informale, perché Takuetsu le aveva messo davanti uno specchio. Uno specchio piccolo, opaco, da pochi soldi, ma sufficiente per vedere quello che lei era diventata.

 I suoi capelli erano caduti a chiazze; e la metà destra del suo viso era diventata scura, con qualcosa di grosso e bianco … no, era marcita, come decomposta, e quella cosa che pendeva era il suo occhio, scivolato lungo la guancia per mancanza di supporto.

 Che schifo, ma cosa, come era possibile … il tonico. Quel generoso, disinteressato regalo. Suo marito aveva avuto contatti con quella famiglia, avevano scambiato lettere. Gli Ito avevano una figlia giovane e bella, che avrebbe ereditato la loro ricchezza.

 Tutto fu chiaro, tutta la rovina della sua vita, di quella vita che le era sempre stato insegnato le avrebbe portato la felicità era davanti a lei. La maledizione della famiglia, quella che le avevano sempre detto essere un pettegolezzo … dopo la povera Akemi, si era abbattuta su di lei.

 Ma no. No, non avrebbe permesso che la passassero liscia! Maledizione o no, Iemon era colpevole. E avrebbe pagato per quello che le aveva fatto!

 Fece per correre fuori dalla stanza, ma Takuetsu, evidentemente intuendo le sue intenzioni, strillò e corse a trattenerla, cercando di fermarla. Lei cercò di allontanarlo, usando la spada per intimidirlo; ma lui doveva essersi ricordato che non sapeva usarla. Aveva cercato di afferrarle il braccio con l’arma, lei l’aveva istintivamente tratto indietro, lui le si era scagliato addosso, lei si era parata la spada davanti … e aveva sentito un dolore atroce alla gola.

 Erano bastati pochissimi istanti: uno per rendersi conto di cosa fosse successo, di come si fosse ammazzata da sola nella propria incapacità, e gli altri, gli ultimi, per odiare Iemon, odiarlo con tutta la sua anima, come non aveva mai provato prima di allora. E morire gorgogliando un’ultima maledizione.

 Calò il sipario.

 Atsuko ricordò che doveva rialzarsi. Non era davvero morta. Ma era appena morta, tradita dall’uomo che avrebbe dovuto onorarla e proteggerla, la sua vita era stata appena gettata via. Era giovane, aveva ancora così tanto tempo davanti a sé, tempo per cercare di guarire e prendersi cura di suo figlio e parlare con sua sorella e suonare lo shamisen e curare il giardino, cose piccole, cose grandi, e tutto era sparito in un vortice di orrore e disgusto, perché la sua esistenza era scomoda a una ragazzetta viziata e a un marito a cui aveva dato tutta sé stessa, per cui aveva dedicato ogni sforzo a che lui non avesse mai di cui lamentarsi.

 E adesso era Atsuko, un’attrice che recitava la parte di un attore tutti i giorni in un palcoscenico che sembrava così squallido e banale in confronto a quello che aveva appena provato. Si rialzò barcollando, cercando di restare abbastanza lucida da raggiungere il suo posto dietro le quinte e starci.

 “Splendido lavoro” bisbigliò Daisuke. “Le altre volte non sei stato così impressionante. Continua così, e le recensioni ci migliorano di sicuro!”

 Non si era accorto di niente. Gli altri attori non si erano accorti di niente, e di certo neanche il pubblico. Da una parte, meglio così. Ma dall’altra, si sentiva ancora più sola.

 Che le stava succedendo? Quei ricordi e quelle emozioni così precise, possibile che fossero solo una malattia mentale? E cos’era quella storia della ‘maledizione’? L’opera non diceva nulla del genere, e probabilmente neanche lei aveva dato voce a quei pensieri.

 Solo nella mia famiglia si sapeva della maledizione, rispose la voce di ‘Oiwa’ nella sua testa. E anche noi credevamo fosse una diceria. Una donna con cui nostro nonno aveva rotto il fidanzamento la gettò su nostra nonna: tutte le donne della sua discendenza sarebbero state sfigurate da ciò che amavano.

 ‘Ma che accidenti …’

 I nostri nonni non ebbero figlie femmine, ma i loro figli sì. La prima ad essere colpita dalla maledizione fu mia cugina Akemi: suo marito le tagliò il volto da un orecchio all’altro, e da allora non abbiamo più saputo niente di lei. Poi è stato il mio turno. E infine Osode, la mia sorellina, ammazzata a quel modo da suo marito perché un altro uomo era ossessionato da lei.

 ‘E la nostra famiglia sarebbe tua discendente …’

 O da qualcuno dei miei zii. Quel che importa, è che siate miei consanguinei. Tua sorella è in pericolo, e forse anche tu, se la maledizione non segue una base puramente fisica. Stringi un accordo con me, e potremo …

 ‘No, io non farò proprio niente di quello che un allucinazione mi dice di fare!’

 Lo sai anche tu che io sono reale.

 In effetti Atsuko stava iniziando a dubitare della sua idea iniziale. Certo, credere ai fantasmi le avrebbe fatto ridere in faccia da qualsiasi adulto razionale, ma … la leggenda della maledizione di Oiwa esisteva per un motivo. I continui incidenti, a cui i tecnici non trovavano spiegazione. E tutta quella strana storia della maledizione, che lei non avrebbe mai avuto la fantasia per inventarsi …

 “Shinobu, tra pochissimo tocca a te!” bisbigliò Hiroshi. Era il momento di tornare in scena.

 ‘Qualsiasi cosa sia, la mia risposta resta no. Non intendo rinunciare alla mia vita’

 

Atsuko neanche sentì la sveglia quella mattina. Si svegliò per fortuna a neanche mezz’ora dall’inizio del lavoro, e dovette correre come una pazza per non essere troppo in ritardo.

Ricevette occhiate di sufficienza e sdegno da fratelli e co-attori, ma sebbene si ricordasse che la cosa avrebbe dovuto importarle, emotivamente non la toccò neppure. C’era una onryo che la possedeva con sempre maggior frequenza, essere puntuale al lavoro era un problema che sbiadiva un poco in confronto a quello.

 Anzi, forse non si sarebbe neppure dovuta presentare. Era abbastanza chiaro che la sua situazione corrente fosse legata allo spettacolo che stava portando avanti e al ruolo che stava interpretando. Se avesse smesso? Se si fosse rifiutata di continuare? Certo, avrebbero avuto problemi enormi nel trovare un sostituto, ma onestamente, meglio cancellare lo spettacolo o continuarlo sotto la continua minaccia del soprannaturale?

 Ti sconsiglio caldamente di abbandonare il tuo ruolo, bisbigliò di nuovo quella maledetta voce.

Che sarebbe successo altrimenti? La maledizione sarebbe in realtà peggiorata? O forse non sarebbe successo niente. Forse i malfunzionamenti erano solo suggestione, e lei per coincidenza stava impazzendo per conto suo proprio in quel periodo. Non c’era nessuna prova concreta di una possessione da parte di Oiwa. Comunque fosse, avrebbe obbedito. Se non ci fosse stata di mezzo la maledizione, avrebbe continuato il suo lavoro come era giusto che fosse. Se invece quella nella sua testa fosse stata proprio la voce di Oiwa, allora la sua obbedienza avrebbe prevenuto ulteriori sventure sulla sua famiglia.

 Oh, giusto, trema alla terrificante idea di essere un disturbo per gli altri. Ti è servito a molto, finora, e non ti ha regalato null’altro che felicità.

 ‘Ma insomma, si può sapere cosa vuoi? Che ti obbedisca? Che mi ribelli?’

 E tu, cosa vuoi?

 ‘Io voglio solo tornare alla normalità’.

 La normalità, giusto. Vivere nel corpo sbagliato senza la possibilità di correggerlo, vivere nel terrore che la tua famiglia ti getti via come un oggetto rotto se non dovessi essere esattamente quello che loro vogliono che sia. Vivere di mezze allusioni e accenni di ambiguità che possano essere ritirati non appena è conveniente, un po’ come fa tuo fratello. È questa la vita a cui vuoi tornare?

 ‘E’ quello che la mia vita è sempre, solo che adesso ho un fantasma che cerca di possedermi. Farei volentieri a meno di quest’ultimo elemento, grazie’

 E perché credi sia una cosa così negativa?

 ‘Non è normale! Questo è il mio corpo, la mia vita, tu non dovresti esistere, io non dovrei essere in questa situazione!’

 Se il mondo seguisse una qualsiasi forma di giustizia, tu neppure saresti in questo corpo. Io posso darti quello che desideri.

 ‘Ti ho già detto che non ho intenzione di fare accordi con te!’

 Diventa il mio tramite con il mondo umano. Volevi portarmi su queste scene, dicevi che volevi rappresentarmi propriamente. Rappresentami nel mondo. Ho ancora molte faccende irrisolte da sbrigare.  In cambio, tu potrai essere completamente al di sopra di qualsiasi convenzione sociale. Avrai il corpo che desideri, che avresti dovuto avere alla nascita, potrai condurre la vita che desideri, e nessuno oserà giudicarti.

 ‘Ma che razza di offerta è? Perdere la mia vita, la mia identità!’

 Davvero credi di averne da perdere?

 ‘Sta’ zitta, lasciami in pace!’

 Oiwa, per qualche grazia miracolosa, obbedì. Atsuko continuò la giornata in quella che sarebbe stata una routine normale, se non avesse avuto il terrore assillante che lo spettro tornasse a farsi sentire. Nessuno nella sua famiglia le rivolse la parola: comprensibile, dopo il modo in cui si era comportata negli ultimi giorni. Tutto quello che poteva fare era tenere la testa alta e continuare a recitare.

 Anche solo fare le prove stava diventando doloroso. Non perdeva la cognizione di sé stessa, come Oiwa si divertiva a farle fare durante gli spettacoli veri e propri; ma i ricordi dello spettro, la consapevolezza di come si fossero svolti davvero quegli eventi e cosa avessero provato le persone che ne avevano preso parte, rendeva la sua arte quasi fisicamente dolorosa.

 Ma non per questo l’avrebbe smessa. C’era una sorta di piacere, un’eccitazione mischiata a quel dolore – sapeva come si fossero svolti veramente i fatti, che emozioni avesse davvero provato Oiwa, cosa stesse dietro alle sue azioni. E a lei spettava di trasporre tutto questo perché il mondo lo vedesse. Era la prova definitiva della sua arte: se fosse riuscita a prendere tutto quel dolore, tutta quella rabbia, e trasformarli in qualcosa di puramente estetico senza tradirne lo spirito … no, non sapeva bene cosa.

 Avrebbe toccato il punto più alto della sua carriera di attrice? La sua vita avrebbe assunto un significato? Sarebbe potuta morire felice? No, non sapeva se qualcuna di queste cose fosse corretta. Ma avrebbe creato della Bellezza, nella sua forma più pura. Non era questo un fine in sé stesso? Chi se ne importava di carriere e scopi esistenziali? C’era solo quello, ed era qualcosa che lei poteva ottenere.

 Neanche ai vecchi tempi aveva provato qualcosa di simile! Diventare la donna perfetta non era mai stata la sua vera passione, il suo vero ideale. Era stato qualcosa che i suoi genitori le avevano detto sarebbe stata la sua vita, e quando era stata grande abbastanza, aveva concordato con loro e preso a cuore le lezioni, gioendone più perché immaginava la felicità che avrebbero portato a persone che lei amava che per vera passione. Non era mai stata così genuinamente, interamente devota a qualcosa.

 No, lo era sempre stata, perché lei era Atsuko! Maledizione, non poteva perdersi a tal punto da dimenticarsi dove finisse lei e dove iniziasse Oiwa. Doveva solo concentrarsi sul suo lavoro. Finchè avesse avuto quello, sarebbe andato tutto bene.

 In effetti, a parte il suo stato emotivo, pareva stesse andando tutto bene. I problemi con i macchinari erano miracolosamente cessati. Le macchine del fumo operavano correttamente senza mettere in pericolo nessuno, i proiettori trasmettevano le creazioni di Chiyoko in tutto il loro splendore, il palco girevole e le botole operavano correttamente. Era come se qualcuno avesse dato un colpo di bacchetta magica al teatro, e avesse sistemato tutto quello che li aveva fatti impazzire nelle ultime settimane.

 Atsuko, che in tutto questo continuava a sentire Oiwa, era nervosa. Adesso lo spettro aveva interrotto la sue vendetta? Per cosa, concentrarsi su di lei? Oppure era proprio lei che stava impazzendo, e i tecnici erano finalmente riusciti ad avere successo e la continuazione delle voci nella sua testa non c’entrava niente con loro.

 Gli altri attori, invece, parevano incredibilmente sollevati e rasserenati. Era come se una cappa pesante si fosse sollevata da loro, lasciandoli tanto leggeri che avrebbero potuto volare. Erano più civili gli uni con gli altri di quanto non lo fossero da giorni, avevano persino ripreso a scherzare e a chiacchierare del più e del meno durante le pause.

 In tutto questo, dunque, il comportamento di Atsuko, nervoso e isolato e chiuso qualora non era sul palco, pareva unghie passate su una lavagna per quanto sgradevolmente strideva con tutto il resto. Dannazione, perché non riusciva a comportarsi normalmente? La sua vita stava andando a pezzi, certo, ma aveva ancora qualche speranza, e l’avrebbe persa se non fosse riuscita a dimostrarsi esattamente come tutti gli altri. Le occhiate strane che stava già ricevendo erano tutto dire.

 O magari era sempre stata così. Nervosismo, isolamento, poca comunicazione – erano state sue caratteristiche anche da prima, solo che questa situazione le aveva esasperate. Forse non era mai riuscita a rendere l’idea di una persona normale quanto avesse voluto.

 Continuò in questo stato per alcuni giorni. Sforzarsi di ignorare ricordi di una famiglia di origine perduta, un marito che l’aveva gettata via come una bambola rotta, brevi momenti di felicità e una vita normale che le era stata strappata via ingiustamente; sforzare al massimo le sue capacità di recitazione per trasformare tutto questo in bellezza; sforzarsi di apparire un membro funzionante della società agli occhi di fratelli e colleghi.

 E poi, il giovedì, i suoi fratelli la presero da parte.

 “E’ una faccenda piuttosto importante, quindi è meglio che te ne parliamo in privato” spiegò Hiroshi. Il nervosismo del fratello, e il fatto che dovessero comunicare a lei qualcosa in privato, fece suonare quasi tutti i campanelli di allarme nella testa di Atsuko; quando entrò nel camerino, e vide tutte le sedie dei suoi fratelli disposte davanti alla sua, i suoi timori furono confermati. Non sapeva bene cosa sarebbe successo, ma sarebbe stata una pessima esperienza.

 “Siediti pure” le sorrise Daisuke, quel sorriso conciliatorio e quasi paterno che aveva quando si sentiva sicuro della propria superiorità su qualcuno e dell’impossibilità di questi di ribattere a qualunque cosa lui avesse da dire. Chiyoko, seduta accanto a lui, non faceva mistero invece del suo pessimo umore, a giudicare dall’occhiata gelida che le stava rivolgendo. Hiroshi sembrava semplicemente imbarazzatissimo e desideroso di essere da qualunque parte non fosse lì.

 “Allora, Shinobu, gli ultimi giorni sono stati … stressanti per tutti” esordì Daisuke. “Abbiamo avuto un sacco di contrattempi, e non tutti siamo riusciti a mantenere la calma, è normale”

 Stava implicando che era Atsuko ad aver perso la calma? Erano stati Daisuke e Chiyoko ad urlarle contro per primi!

 “E magari, come dire, se c’erano problemi preesistenti … sono andati a peggiorare la cosa?”

 La guardò con aria di aspettativa. Cosa voleva dire? Quali problemi preesistenti? Non si stava riferendo a quello, vero? Non l’avevano scoperta, vero? Era sempre stata così attenta!

 “E’ successo che il tuo telefono ha avuto dei malfunzionamenti” spiegò Hiroshi. “Sai che anch’io ho accesso alla tua rete wifi per quando vengo a trovarti. E ieri ho scoperto che è andato storto … non so bene cosa, non sono un esperto … sono state visibili anche dal mio telefono alcune tue ricerche. Ecco. Alcuni siti e pagine Facebook che frequenti”

 Siti e pagine LGTB+, che lei frequentava e commentava sotto pseudonimo. Il genere di comunità online che l’avevano aiutata quando aveva preso coscienza di sé, quando aveva scoperto che i suoi problemi erano condivisi da decine e centinaia di altre persone, disposte a dare informazioni e a sostenersi a vicenda, a confrontarsi su cosa fosse giusto e sbagliato nei confronti della loro condizione. Il genere di comunità che le aveva dato qualche validità, qualche conforto, qualche sostegno occasionale nella vita.

 Erano sempre stati non-luoghi in cui lei poteva dichiararsi ed essere riconosciuta per quello che era, senza ripercussioni. Non erano al livello di poter davvero vivere come una donna, non erano neanche al livello di quel che la sua arte le permetteva di fare, ma erano sempre stati porti tranquilli.

 Fino a quel momento. Come era possibile che la sua rete le avesse giocato uno scherzo simile, senza che lei neppure se ne accorgesse?

“Senti” continuò Daisuke. “Tu sei un attore fenomenale, su questo non ci piove, credo che nessuno che non sia completamente stupido si azzarderebbe a dire il contrario. Ma adesso credo che la cosa possa aver avuto delle ripercussioni su di te. Magari doverti immedesimare tanto spesso in una donna può averti … confuso, diciamo?”

 Era quella la spiegazione che si erano trovati? La sua identità di genere era ben salda da quando aveva tre anni, la loro teoria non stava né in cielo né in terra per chiunque ne capisse un minimo, ma … non era davvero questo l’importante. Cosa volevano fare, impedirle di recitare ancora ruoli femminili?

 “Credo che la situazione necessiti di un intervento, o potrebbe andare davvero fuori mano. Sono sempre felice di avere un attore eccellente nella mia compagnia, ma non al prezzo di perdere mio fratello. Quello che voglio dire è … forse è meglio se ti prendi una pausa. Finirai questo incarico, non ti preoccupare, sarebbe difficile trovarti un sostituto a questo punto, ma dalla prossima settimana … forse è meglio se non partecipi ai prossimi spettacoli”

 “E’ un licenziamento questo?” no, no, no, non potevano impedirle di recitare, l’avessero anche sbattuta fuori dalla famiglia, non le avessero parlato mai più, ma quello no!

 “Non esattamente. Non ti stiamo buttando per strada, non ti preoccupare, sei nostro fratello! Ma credo sia meglio per tutti se ti prendi una pausa di riflessione e ti guardi un po’ attorno per altre opportunità di carriera, ecco. I ruoli femminili non sono gli unici in cui sei stato preparato!”

 Vero, ma erano gli unici in cui poteva esprimere veramente sé stessa!

 “E mentre sei via, forse è meglio se ti fai … seguire da qualcuno, ecco. Un professionista che possa aiutarti. Naturalmente, non lo diremo a nessuno, non vorremmo mai metterti così in imbarazzo …”

 Un professionista che si sarebbe accorto di sicuro di quello che era sempre stata e di quello che le stava succedendo ora. L’avrebbero fatta rinchiudere da qualche parte, o imbottita di medicinali. I suoi fratelli erano già imbarazzati per colpa sua, come poteva umiliarli ancora di più? E sarebbe stato inevitabile!

 “E non fare quella faccia” intervenne per la prima volta Chiyoko. “Sappi che ti stiamo trattando anche troppo bene. Ho avuto a che fare con gente come te, sai? Con degli schifosi maniaci che si vestono da donne per infilarsi nei bagni pubblici e negli spogliatoi e nei treni per donne. Se avessi una vaga idea di come sia essere molestata …”

 “Chiyo, calmati, non stiamo accusando di niente …”

 “Ma hai idea di quanto facciano schifo quelle persone? Noi donne abbiamo bisogno di spazi sicuri per non avere sempre le mani degli uomini addosso in questa merda di società, e questi bastardi invadono anche quelli! Hai idea di quanto faccia vomitare l’idea che uno di loro sia mio fratello?”

 Atsuko si alzò in piedi. “Vi ringrazio per la vostra comprensione. Avete ragione, uno stacco mi farà bene e mi eviterà di dare ulteriori problemi alla società. Finirò questo lavoro, e poi non dovrete più darvi pensiero di me. Adesso, se abbiamo finito, torno a provare”

 I suoi fratelli si limitarono a guardarla incerti. Lo prese come un congedo. Uscì nella stanza e andò al suo camerino, aveva bisogno di essere sola.

 Era finita. Tutto quello per cui aveva lavorato, tutto quello che era stata la sua vita, era andata in pezzi, e tutti avevano reagito esattamente come aveva temuto. Ma quelle accuse di Chiyoko … erano stati pochi istanti dell’emozione peggiore che avesse mai provato in vita sua, e poi il nulla. Basta. Niente vergogna, niente rabbia, niente dolore. Niente da perdere.

 ‘Oiwa’ chiamò all’interno della sua mente.

 Hai riconsiderato? Arrivò immediatamente la risposta.

 ‘Sei stata tu a causare quell’incidente con la rete wifi, giusto? Non mi ricordo di aver mai visto succedere qualcosa di simile prima d’ora’

 Avevi bisogno di capire pienamente come ti avrebbe trattata la tua famiglia se avessero scoperto la tua vera identità.

 ‘Quello lo sapevo già benissimo da prima. Tu avevi bisogno che io mi trovassi con le spalle al muro’

 Lo spettro non negò. Hai deciso di fare un accordo con me, dunque?

 ‘Non mi resta più nient’altro, ormai’

 Oiwa rimase zitta per qualche istante. No. Ti resta una scelta: rassegnazione, o vendetta?

  Rassegnazione … era vero. Avrebbe potuto abbassare il capo alla vita d’inferno che i suoi fratelli avevano preparato con lei, o anche concedere completamente il suo corpo a Oiwa e diventare una semplice spettatrice di quello che sarebbe successo da quel momento in avanti.

 E le si rivoltava lo stomaco al solo pensiero.

 La vendetta invece … l’immagine dei suoi fratelli terrorizzati e impotenti davanti al potere del sovrannaturale, così come lei lo era stata per tutta la vita davanti al loro concetto di normalità, le faceva letteralmente battere il cuore dall’emozione. Era qualcosa che voleva così tanto, che le avrebbe dato tanta soddisfazione e tanta pace …

 Ma erano pur sempre la sua famiglia … il pensiero suonò terribilmente banale ed estraneo. Che voleva dire? Voleva dire che potevano ferirla come nessun altro, e l’avevano fatto … adesso, al pensiero di essere la loro sorella, non provava più timore, o dolore, o qualunque altra cosa che non fosse completa indifferenza. Era come se il loro legame fosse stato completamente tagliato dalle ultime cose che si erano dette.

 Porteremo entrambe a termine la nostra vendetta su chi ci ha mancato di rispetto, mormorò Oiwa. Tu non dovrai fare niente in particolare: il tuo permesso e la tua benedizione sono stati sufficienti. Devi solo aspettare fino all’ultima rappresentazione.

 E così fece.

 Ultimo spettacolo di quella particolare idea di Yotsuya Kaidan. Atsuko si sistemò il costume di scena. Recitare, di per sé, fu un’esperienza unica: esprimere quei sentimenti di dolore, lutto, tradimento e disperazione, e al contempo mantenere un piccolo nucleo di calma, una tranquillità e una concentrazione interiore che non conosceva da tanto tempo ormai.

 Ultimo atto, ora. Iemon si era sposato con quella sudicia cagna di Oume Ito, quella ragazzetta affettata che aveva cercato di ucciderla solo perché voleva farsi suo marito. Ma non sarebbe durata a lungo … certo, conoscendo Iemon l’avrebbe ammazzata altrettanto in fretta non appena lei fosse invecchiata un po’ e fosse comparsa sulla scena un’altra, più giovane e carina e ricca … forse era addirittura compassione, quello che aveva fatto e stava per fare.

 Iemon soffriva di qualche difficoltà ad addormentarsi, ne soffriva spesso in realtà. Si rigirò nel letto, a guardare la nuova moglie. E lì trovò il suo volto, quello di Oiwa, che lo fissava.

 Iemon aveva urlato, preso una spada, e decapitato Oume, credendo di starsi accanendo sul fantasma della prima moglie. Daisuke era un attore, avrebbe soltanto dovuto annunciare quello che vedeva, e il pubblico avrebbe dovuto immaginarlo in base alla sua descrizione. E invece si trovò il volto fantasma di una donna orrendamente sfigurata a pochi centimetri dal viso.

 L’urlo che lanciò fu molto poco stilizzato, ma indubbiamente realistico; da vero professionista, però, si riprese subito, probabilmente pensando che fosse suggestione, e riprese a recitare al meglio delle sue capacità.

 Iemon era scappato via non appena si era reso conto di chi avesse ucciso davvero, e si era ritrovato davanti allo spettro del servo Kohei, l’unico che avesse provato a difendere l’onore di Oiwa. Daisuke aveva cancellato il personaggio dalla sua rappresentazione, ritenendolo poco importante, ma Oiwa lo ricordava bene; ed eccolo lì, a comparire davanti a un attore sempre più confuso e spaventato, ma che lo stesso si impegnava a mandare avanti lo spettacolo come meglio poteva, chiaramente convinto che fossero tutti trucchi della sua mente. Non una bella sensazione, vero, fratellone?

 Fine della scena; seguiva quella della morte di Osode – la sua sorellina, che non era riuscita a salvare ma avrebbe senz’altro vendicato – e poi di nuovo, riecco Iemon in scena. Ora arrivava la parte che tutto questo bel pubblico – persone che fuori da un teatro l’avrebbero disprezzata, le avrebbero mancato di rispetto, vedevano lei e la sua storia solo come una fonte di intrattenimento, che la vedevano come un abominio e una minaccia – erano lì per vedere. Ebbene, gliel’avrebbe data.

 Il palco girevole su cui stava si azionò, portandola davanti al pubblico. Tutte le luci del teatro si spensero, facendolo piombare nell’oscurità. Mormorii confusi e delusi dal pubblico, imprecazioni sottovoce degli aiuti di scena.

 Un sottile ticchettio si sparse per la stanza, sempre più forte, come se qualcosa si stesse muovendo in direzione del palco. Salirono, e Iemon urlò, come aveva urlato quella sera dal buco dove aveva trovato rifugio.

 Le luci si riaccesero, e il pubblico poté ammirare uno Iemon coperto di ratti, che si infilavano ovunque nel suo costume. Lui cercava di scacciarli agitandosi come un pazzo, ma erano semplicemente troppi, gli si infilavano ovunque, lo mordevano e graffiavano portandogli via pezzetti di pelle – e poi lo abbandonarono, disperdendosi dietro le quinte, a scatenare urla tra gli altri attori.

 Rumore, bisbigli, probabilmente gli spettatori erano convinti che facesse tutto parte dello spettacolo. Daisuke si girò a guardarla, confuso e terrorizzato e sanguinante – suo fratello, no, l’uomo che voleva distruggerle la vita e l’aveva gettata via come uno strumento rotto – e lei evocò la visione di uno tsuchigumo, un immenso ragno, che lasciò perdere Daisuke e marciò dritto con le sue otto zampe verso Chiyoko, da sempre aracnofobica.

 Lei non riusciva nemmeno a muoversi per il terrore, tutto il colore sparito dal volto, pareva sul punto di svenire. Hiroshi scattò fuori da dietro le quinte, un grosso paio di cesoie in mano, e iniziò a menar colpi verso la creatura. Credeva di poterla ammazzare così? Perfetto, come voleva lui.

 Un grosso squarcio si creò nel fianco del ragno, e da esso uscirono ragni più piccoli, innumerevoli, una marea sterminata, che si arrampicarono sul suo braccio e poi su tutto il suo corpo. Chiyoko svenne, e altri ragni accorsero a coprire anche lei. Adesso non era più tanto piacevole vedere i propri terrori diventare realtà, vero, sorellina?

 “Shinobu!” urlò Eiji “Che stai facendo lì impalato! Datti una mossa, aiutali …”

 Lei rivolse la sua piena attenzione su di lui. Un ometto insignificante, che non aveva mai saputo opporsi a una mancanza di rispetto verso gli altri. Avrebbe fatto bene a tacere sul ‘restare lì impalato’.

 Le corde che reggevano il sipario scattarono, attorcigliandosi attorno al suo collo, così come a quello di altri attori e aiuti di scena. E poi scattarono in alto, e si tesero, abbassando il sipario e celando alla vista degli spettatori quel che stava succedendo. Poterono solo udire la cacofonia di urla, che si trasformava in rantoli strozzati.

 Lei sentì una strana sensazione alla testa, come se stesse diventando un poco più pesante, e la parrucca le scivolò a terra, rivelando capelli eccezionalmente lunghi, ma solo a chiazze.

 Sentì una strana sensazione alla parte destra del viso, come se stesse cambiando consistenza, e la sua visione si alterò un poco. Che fortuna, che nel suo caso avere un occhio che sprofondava giù per la guancia non si fosse rivelato un handicap grave.

 Tra le urla di disperazione e terrore degli altri attori, gli appesi avevano finito di agitarsi; poteva alzare il sipario. Le urla si diffusero per tutto il pubblico, avevano finalmente capito che non era uno scherzo? Avevano finalmente capito che la situazione era terribilmente seria?

 Le luci principali si riaccesero, ognuna delle lampade tonde ora raffigurante il volto sfigurato di Oiwa. Gli impiccati si alzarono, la pelle cianotica, gli occhi vitrei, ormai spiriti itsuki. Avanzarono verso il pubblico e gli attori superstiti, si scatenò una fuga generale, inciampavano e si scontravano gli uni con gli altri, e alcuni non riuscirono ad allontanarsi abbastanza, gli itsuki li raggiunsero.

 Fermarono immediatamente la loro fuga, e si affrettarono verso le corde, avvolgendosele attorno al collo, e iniziando a tirare. Le urla aumentarono di volume.

 E improvvisamente non c’era più nulla.

 Niente ratti, niente ragni, quelli che fino a pochi istanti prima erano stati spettri erano ora persone tranquillamente sdraiate a terra, come addormentate. La gente si guardò attorno confusa, sperando contro ogni logica che quello che avevano appena visto fosse stato solo un trucco elaborato, una parte dello spettacolo a dir poco impressionante che aveva coinvolto anche loro. Daiki e Hiroshi raggiunsero i colleghi a terra, malgrado sembrassero sul punto di svenire anche loro, nel tentativo di capire le loro effettive condizioni.

 Lei rimase immobile, ed evocò l’ultima loro visione.

 Un branco di lupi uscì da dietro le quinte, il pelo ispido e ritto sulla schiena, le fauci schiumanti. E continuarono a uscire, e uscire, un numero sempre più grande, fino a che non ce ne fu uno per ciascuno dei presenti.

 “Lo spettacolo è finito” annunciò lei, e la voce riuscì in qualche modo a risuonare alta e forte al di sopra degli strilli. “Vi ringraziamo per aver assistito a questa nostra storia di vendetta. Tornate pure alle vostre case, e serbate il ricordo di questa serata”

 Okuri okami. Avrebbero seguito le loro vittime a passo regolare, senza mai avvicinarsi né allontanarsi, finché queste avessero continuato a procedere. Avevano anche la possibilità di arrivare a casa sani e salvi, a patto che camminassero speditamente e si ricordassero di ringraziare gli animali e lasciar loro un’offerta, per la loro protezione contro gli altri spiriti.

 Se avessero inciampato, però, le belve si sarebbero scagliate su di loro e li avrebbero divorati, senza possibilità di salvezza. E un gruppo di persone terrorizzate in un teatro avrebbe dovuto far attenzione a non inciampare?

 Rovinarono da tutte le parti, inciampando nelle sedie, nei loro piedi, andando a sbattere contro i muri, alcuni addirittura gettarono chi stava loro vicino per terra nel tentativo di liberarsi la strada e correre più in fretta. Sul palco, gli attori non fecero eccezioni, abbandonando gli svenuti e i collassati, accatastandosi alle uscite, lottando per essere i primi a scendere dal palco o infilarsi dietro le quinte.

 I lupi si avventarono in massa.

 In tutti questo, lei uscì con la massima calma. Poteva bastare.

 Chi le aveva mancato di rispetto era stato punito; e sarebbe passato molto tempo prima che qualcuno pensasse di poterlo fare di nuovo.

 

Con uno strato di bende a coprirle la parte decomposta del viso e i capelli acconciati a nascondere le zone calve, e gli abiti da donna a basso costo che si era procurata negli ultimi giorni che calzavano perfettamente sul suo corpo vivo e femminile, poteva quasi passare per una donna qualsiasi, sebbene un po’ eccentrica.

 Dalla piccola stanza di albergo in cui si era sistemata, seguiva con una certa tranquillità le indagini sulla ‘tragedia del Teatro Nazionale’, le improbabili ipotesi su fughe di gas e le ricerche dei dispersi, tra cui quello Shinobu Namikaze che sembrava svanito nello spazio pur quando tutti i membri della sua famiglia erano stati ritrovati, in un modo o nell’altro. Si sarebbero fatti diverse domande su di lei, certo, non aveva documenti o un’identità propria, ma lui non l’avrebbero davvero mai trovato.

 Piuttosto, si concentrava sulle sue indagini. Quest’epoca aveva letteralmente intere biblioteche nel palmo di una mano!

 Un vantaggio netto rispetto ai suoi tempi, bilanciato dal fatto che ormai la famiglia Yotsuya era ormai dispersa, il nucleo originale diviso in rami che forse si erano estinti da tempo e forse avevano cambiato cognome. Forse alcuni erano addirittura emigrati all’estero, con l’apertura al mondo esterno che il Paese sembrava aver adottato.

 Anche con quelle tecnologie straordinariamente utili e avanzate, impiegò diverse ore di ricerche incrociate tra il cognome ‘Yotsuya’ e diversi casi di cronaca che potessero rivelare un pattern prima di riuscire a individuare alcune candidate probabili. Donne e ragazze ancora in vita, che potevano essere aiutate e salvate. Con i suoi poteri, non sarebbe stato difficile convincerle che qualcosa di soprannaturale le stesse minacciando.

 Più difficile sarebbe stato risalire ai responsabili della maledizione. Il problema grosso era che neppure lei sapeva come si chiamasse quella dannata strega: la sua tutrice le aveva detto solo che era una donna con cui suo nonno era stato fidanzato, ma con cui aveva rotto l’accordo matrimoniale quando il di lei padre era stato rivelato come ladro e truffatore e la sua famiglia era stata disonorata. Non aveva ricevuto molti dettagli dell’evento, la donna si era concentrata sul tranquillizzarla dicendole che nessuno l’avrebbe sfigurata invece che sui pettegolezzi.

 Ma forse la strega era riuscita a sposarsi, o aveva avuto dei figli bastardi, e i suoi discendenti sarebbero stati ancora in giro. Avrebbe dovuto contattare qualcuno che conoscesse le antiche arti … quella sì che sarebbe stata un’impresa, i ‘maghi’ che trovava su internet le parevano per lo più ciarlatani … non solo per spezzare la maledizione, ma per trovarne i responsabili.

 Intanto, la cosa più importante era trovare le sue consanguinee, e avvisarle del pericolo in modo che sopravvivessero il più a lungo possibile. Ricontrollò il primo nome e indirizzo, quello più geograficamente vicino tra tutti, e si mise in cammino.

 Nella hall dell’albergo, la gente la guardava come se non fosse stata nulla di strano, una donna come tante, una donna. Alcuni uomini la guardavano con aria di apprezzamento, il suo sfregio accuratamente nascosto dai capelli e solo il corpo di una bella ragazza visibile.

 Una donna con il volto mezzo nascosto da una mascherina per il raffreddore si alzò dalla poltroncina del bar - dove era rimasta per diverso tempo, come in attesa - e avanzò verso di lei.

 

 

 

 

 

Ladies, Gentlemen, & Nonbinaries,

Io all’inizio di questa storia: ‘Almeno verrà più breve della precedente, le 23 pagine di Dynastes Megas in effetti erano un po’ tante, dubito che si arrivi ancora a quei livelli …’

27 pagine. Spero solo che EFP mi accetti il caricamento.

A parte questo: spero che la storia vi sia piaciuta. A scanso equivoci, Yotsuya Kaidan è un’opera kabuki realmente esistente e anzi piuttosto celebre, potete trovarne riassunti online; così come la leggenda della maledizione di Oiwa, che si abbatte su chiunque la racconti (da qui il mio rassicurante disclaimer nell’introduzione …). La maledizione della famiglia Yotsuya è invece completamente inventata da me; se tutto va bene, ovvero se riesco a pubblicare storie in tempi meno biblici, questa non sarà l’ultima in cui se ne parla.

Passando ad argomenti più seri: la Legge 111 è quella che attualmente regola il cambio di genere in Giappone, e per quel che ho trovato, funziona come è stata descritta nella storia. Così come è vero che vi sono fortissime divisioni di genere all’interno della società giapponese fin dalle scuole, e questo peggiora soltanto i problemi delle persone transgender. Dà più speranza il fatto che la maggior parte delle persone che sanno della 111 la considera obsoleta, e diversi gruppi stanno cercando di farla cambiare.

In ultimo, auguro la miglior fortuna possibile a tutti per la situazione attuale. Dire che andrà tutto bene mi sembra banale e in qualche caso ho paura non sarà appropriato; posso solo sperare che voi e le vostre famiglie stiate bene, e dire che mi dispiace davvero se così non fosse.

Grazie per aver letto questa storia, e a chi vorrà prendersi il tempo di commentare.





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