L'idiota

di Picci_picci
(/viewuser.php?uid=885693)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lo stava guardando con un odio tale da spaccargli la testa. Come si poteva essere così irrazionali? Sarebbe morto, lui, l'Idiota. Annabeth ne era certa. E mentre erano lì, nascosti in un vulcano, Annabeth stava pensando di mollargli un pugno in faccia per farlo rinsavire. Poi le vennero a mente le parole della profezia, l'ultimo verso che aveva nascosto tanto gelosamente e paurosamente.

E perderai un amore per un destino peggiore della morte.

Il suo Testa D'Alghe. Aveva quell'aria convinta e sicura, ma sapeva meglio di lui che non aveva un piano. Alla fine, lei era il cervello e lui il braccio. Erano un duo che funzionava a meraviglia. Nonostante i primi problemi, si erano sempre protetti, si erano sempre guardati le spalle a vicenda, si erano sempre fidati. Quella era la parola chiave. Molto probabilmente lo avrebbe perso, come diceva la profezia. Avrebbe perso il suo amore. Nonostante la testa le stesse dicendo no, non lui, non l'Idiota. Non era razionale. Ma cosa c'era di razionale in Percy? Per una volta zittì la testa e ascoltò il cuore -e fidatevi, non è una cosa facile per una figlia di Atena-. 
Quella poteva essere l'ultima volta che lo avrebbe visto, anche se sperava di no. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Niente di speciale, diciamolo. Ma solo il fatto che fosse lui, Percy, l'Idiota, le faceva battere il cuore come se fosse sull'orlo del precipizio. Aveva l'odore di fuliggine e il sapore della salsedine. Era proprio il suo Testa D'Alghe. Veloce come lo aveva baciato, veloce se ne andò. Corse verso l'uscita, invisibile, con lo sguardo rivolto indietro verso Percy. Lui aveva lo sguardo fisso e gli occhi sgranati, immobile come una statua. Immobile come un idiota.
Sorrise e si sbrigò ad inseguire il ragnetto malefico. Corse come una matta tra i cunicoli del Labirinto, ma poi il terreno iniziò a tremare e un'onda d'urto la spedì a terra. Proveniva da dove era scappata. Una lacrima solcò la sua guancia. Fiducia. Doveva avere fiducia in lui. Perché loro due si era sempre protetti, ma soprattutto si erano sempre salvati. E Annabeth Chase si rifiutava di perdere. Lei era una figlia di Atena e vinceva, vinceva sempre. Si alzò e si asciugò velocemente la guancia. Adesso doveva trovare Efesto e ciò, voleva dire, continuare ad inseguire quel maledetto ragno.

***

Annabeth non ricordava molto bene come era tornata al campo. Ricordava vagamente di essere arrivata alla fucina di Efesto e di avergli raccontato cosa era successo. Poi aveva visto delle fiamme, un fuoco, e si ricordò del Monte Sant'Elena. Del suo bacio con l'idiota. Beh, in questo caso era stata lei l'idiota -ma nemmeno sotto tortura lo avrebbe sussurrato, figurarsi dirlo-. Poi la mente di Annabeth funzionò troppo veloce, perché sapeva, percepiva, che Percy non era lì con lei. E questo le fece aprire gli occhi.
Era nella Casa Grade, sdraiata sul divano, Chirone al suo fianco sulla sedia a rotelle. 

"Dobbiamo andarlo a cercare."
Non disse il soggetto, convinta che Chirone avesse già compreso. Ma lui, il suo maestro, le consigliò di riposarsi. Riposarsi?! Pensava che non avrebbe mai dato a Chirone dell'idiota, ma a quanto pare si era sbagliata -e lei non si sbaglia mai-. Forse la vicinanza a Percy dava come effetto collaterale diventare degli idioti.
"Io non mi riposo, Chirone. Non finché lui è là fuori in pericolo."
"Volevo dirtelo fra un po', bambina", e sospirò, "vieni".
Annabeth adorava quando Chirone la chiamava bambina; sottolineava quanto si conoscessero e quanto si volessero bene. Ma, di solito, usava quel nome solo quando era preoccupato per lei, e questo pensiero le fece salire un brivido sulla schiena. 

Vide il telegiornale. Il Monte Sant'Elena era esploso, letteralmente. E l'unica cosa a cui Annabeth poteva pensare era: IDIOTA. Percy Jackson era il più grande idiota che avesse mai conosciuto. La seconda cosa che pensò era che la profezia si era avverata. Una parte di lei sperava che fosse salvo. Era uno dei mezzosangue più potenti che conosceva (se non il più potente) e lei ne aveva conosciuti di mezzosangue. Ma era anche una figlia di Atena e, come tale, guardava ogni cosa con razionalità. Le probabilità che qualcuno fosse sopravvissuto ad una eruzione del genere erano lo 0%. Fece l'unica cosa che era in grado di fare: corse fuori dalla Casa Grande con gli occhi che le luccicavano e un grido trattenuto.

***

Erano passati tre giorni. E Annabeth era un portento: partecipava a tutte le lezioni di tiro con l’arco ed a tutti gli addestramenti, aveva finito dei progetti di architettura che aveva sempre rimandato, ma che finalmente aveva avuto l’occasione di concludere -aveva scoperto che la notte era un perfetto momento per lavorare- ed infine stava dando una mano a Chirone con tutti i rapporti da scartabellare. Dormiva? Assolutamente no. Evitava con tutta se stessa di chiudere gli occhi o di fermarsi anche solo un secondo a pensare. I campeggiatori avevano visto Annabeth in quei tre giorni girare per il Campo Mezzosangue come una trottola, una trottola impazzita.
“Solo io sto iniziando a preoccuparmi?”, si rivolse Silena ai capigruppo delle cabine. All'appello mancava solo il rappresentante della cabina di Poseidone, mentre per la cabina di Atena era stato chiamato Malcolm. Perché non era presente Annabeth? Perchè proprio lei era l’oggetto di quella riunione improvvisata. Chirone era a capotavola, nella sua forma equina, e abbassò la testa sconsolato.
“Non solo tu, Silena.”
“Non sappiamo più come comportarci, Chirone. Non sappiamo più nemmeno come scherzare con lei!”, esclamò Connor.
“È vero”, disse Beckendofor in tono grave, “non è più la stessa da quando..” lasciò la frase in sospeso, ma gli altri capirono.
“Da quando Percy è morto” concluse, Clarisse, quello che nessuno voleva dire a voce alta.
“Scomparso, signorina La Rue.”
“Chirone, come può qualcuno sopravvivere a quella esplosione? Rimandare l’elaborazione del lutto farà solo del male ad Annabeth.”
“Capisco ciò che vuoi dire Clarisse, ma Percy ci ha sempre riservato delle sorprese. Può darsi che, anche questa volta, abbia avuto degli assi nella manica da giocare.”
Rimase un silenzio pesante che aleggiava nell’aria. Sapevano che tra poco avrebbero dovuto sciogliere quel consiglio perché Annabeth avrebbe finito il suo addestramento, e il primo luogo in cui si sarebbe recata sarebbe stato proprio quello, nel disperato tentativo di convincere Chirone di darle altre commissioni da fare.
“La notte, nelle poche ore in cui dorme, si sveglia continuamente in preda agli incubi. Fa silenzio, non grida, non piange...rimane immobile. Pensa che nessuno se ne accorga, ma sono suo fratello. Insomma, mi accorgo di certe cose."
"Si vede. Ha delle occhiaie così profonde che nemmeno il correttore riuscirebbe a coprire" dichiarò ferma Silena.
“Quindi? Cosa facciamo?” domandò la figlia di Demetra.
“Aspettiamo”, dichiarò Chirone, “lasciamola stare. E speriamo che Percy torni qua.”
I capigruppo annuirono e presto lasciarono il tavolo da ping pong.
“Malcolm, per favore, controlla Annabeth.”
“Certo, Chirone.”
Il centauro scosse la coda innervosito. Quella storia non gli piaceva per nulla. Il suo miglior allievo era scomparso e la sua bambina non si rendeva conto che stava soffrendo per amore.
“Chirone?”
“Sì, Silena?”
“Se non dovesse migliorare? Se Percy non tornasse?”
“Decideremo cosa fare al momento opportuno.”
La figlia di Afrodite annuì come se il dolore di Annabeth lo stesse provando lei.
“Ho provato a parlarle. Ma come si tocca l’argomento Percy, scappa. Non si rende conto dell’amore che prova per lui. Le starò accanto, Chirone. L’amore può essere distruttivo, ma è la miglior cosa che abbiamo dalla vita.”
“Sei un brava figlia di Afrodite, Silena.”
La ragazza si girò verso il centauro e sorrise. Sarebbe diventata la sua missione personale quella di far stare meglio Annabeth e, soprattutto, di farle capire cos’era l’amore.
“Ehi, Silena. Cosa ci fai qui?” Sulla soglia della porta, si trovava Annabeth. Era spettinata, stanca, con la maglietta mezza bruciacchiata e gli occhi grigi spenti. Nessun sorriso. Chirone dovette dare, mentalmente, ragione a Silena: le occhiaie di Annabeth non l’avrebbero coperte nemmeno il miglior correttore in circolazione.
“Bambina, potrei chiedere la stessa cosa a te.”
“Per caso, hai un nuovo compito da assegnarmi?”
Chirone sospirò. L’amore era veramente distruttivo.

***

Era passata una settimana e non era cambiato niente. Nessuna traccia di Percy. E nessuna traccia della solita Annabeth. Il campo sembrava surreale. Era piena estate, ma nessuno sorrideva, nessuno giocava. Persino i fratelli Stoll avevano smesso di fare scherzi. E se questo non era preoccupante…
Le cose cambiarono martedì. Nove giorni, dodici ore e qualche minuto dopo che Percy era scomparso -non che Annabeth ne stesse tenendo il conto- . Era intorno al falò con Silena accanto che le accarezzava i capelli -era stranamente rilassante- e cantavano uno dei soliti canti del campo. O meglio gli altri cantavano. Lei no. Rimaneva immobile, a fissare le fiamme che tanto le ricordavano le fucine di Efesto e il Monte Sant’Elena -che le ricordavano il suo bacio con l’idiota-.
“Bene ragazzi, tutti a dormire. Il coprifuoco è tra dieci minuti.”
Lentamente tutti si alzarono e si diressero verso le proprie cabine.
“Annabeth!” Chirone galoppò verso di lei. “Bambina, stanotte dovresti dormire.”
Si irrigidì automaticamente. Sapeva che anche gli altri avevano notato che non stava dormendo bene -in realtà, che non dormiva proprio-, ma che proprio Chirone glielo dicesse?
“Dormo quanto mi basta, grazie”, replicò gelida.
“Tesoro” disse Silena, che non si era staccata dal suo fianco “dovresti riposare un po’. Solo oggi ti sei scolata cinque caffè. E a te non piace nemmeno il caffè!” continuò non appena aveva visto Annabeth aprire la bocca per replicare.
“Almeno provaci, Annabeth. Provaci per me.” 
Come poteva dire di no, quando Chirone la guardava così?
“Va bene”, disse spingendo fuori dalla bocca quelle parole, “ci proverò.”
Silena la salutò con un abbraccio, mentre Chirone la seguiva con lo sguardo fino a quando entrò nella cabina di Atena. Fece un cenno di saluto con il capo verso gli altri suoi fratelli e sorelle.
“Ti ho preso una tazza di caffè, se ne hai bisogno per stasera.” 
Si girò verso Malcolm. Aveva notato che tutti la stavano guardando con curiosità e timore, come se fosse una bomba sul punto di esplodere. Ma Malcolm era decisamente il più preoccupato. Sorrise, “penso che non mi servirà.”
“E adesso cosa ti sei inventata? Prima hai riordinato tutti in nostri libri in ordine alfabetico e per colore, poi hai costruito dei modelli di edifici con gli stuzzichini” disse enfatizzando l’ultima parola come se fosse un'assurdità -e sì, anche lei sapeva che lo era-.
"Cosa vuoi fare adesso?"
"Che ne dici di dormire?"
"Annabeth, sei diventata matta? Cosa ti passa… Aspetta. Hai detto dormire?"
Annabeth annuì mordendosi il labbro.
"Oh sì. Voglio dire, perfetto. Ragazzi avete sentito la capogruppo? Tutti a dormire!" esclamò Malcolm. 
Tutti i ragazzi della cabina annuirono e si affrettarono ad entrare nei propri letti.
Annabeth alzò le lenzuola del letto e si sedette, ma prima di sdraiarsi fu interrotta da Malcolm.
"Annabeth."
"Sbaglio o oggi sei più ficcanaso del solito?"
"Ti voglio bene, sorella" esclamò lui. Si abbassò alla sua altezza e le lasciò un bacio tra i capelli, "non te lo scordare."
Per la prima volta dopo giorni, tutte le luci della cabina di Atena erano spente e tutti i suoi occupanti stavano dormendo.

La pace non poteva durare per molto. Annabeth si era già svegliata due volte ed erano appena passate l'una di notte. Alla terza volta, Malcolm scese dal suo letto, entrò in quello di Annabeth e dormirono insieme, abbracciati. 

***

Un forte rumore svegliò il campo. La prima cosa che i campeggiatori notarono fu il buio. Fuori si vedeva ancora il cielo stellato e qualche timido raggio di sole che spuntava all’orizzonte. Era decisamente troppo presto. La seconda cosa che notarono era il rumore che gli aveva svegliati: non somigliava affatto alla conchiglia del campo. Ma cosa poteva essere? Fu quando lo risentirono che capirono; e il primo stranamente fu Travis. Era un grido. E proveniva dalla cabina numero sei.
“Deve essere Annabeth” commentò Travis. Lanciò uno sguardo al fratello. Non ebbero bisogno di parlare per capirsi. Corsero tutti e due verso la cabina di Atena.

“Annabeth, ti prego. Calmati.”, ma nemmeno le dolci parole di suo fratello la fecero calmare. Aveva gli occhi chiusi, la fronte corrugata e imperlata di sudore. Stringeva le lenzuola così tanto che la nocche le erano diventate bianche e sussurrava il nome di Percy come un mantra.
“Sofia, presto, vai a prendere un bicchiere d’acqua.”, e la ragazzina che era da poco stata riconosciuta come figlia di Atena, scappò fuori dalla cabina, per fare ciò che Malcolm le aveva detto.
Ben presto la cabina fu piena di gente: Argo, che rimaneva sulla soglia a controllare la situazione, gli Stoll, che stavano cercando di rendersi utili, per quanto potessero, e due figlie di Demetra che cercavano di realizzare una pozione con una pianta calmante. C'era Clarisse in pigiama da notte e la sua lancia in mano, pronta ad allontanare ogni mostro da Annabeth, anche se il mostro era dentro la testa della bionda, e Beckendorf con un altro ragazzo della casa di Efesto che stavano aprendo tutte le finestre e spostando i letti per poter far aria ad Annabeth. Infine c’era Silena, seduta al fianco di Annabeth, sul lato opposto rispetto a dove si trovava Malcolm, e stava accarezzando i capelli biondi della figlia di Atena, sussurrandole parole dolci.
Sembrava stessero facendo effetto. Ma poi Annabeth urlò di nuovo.

“Annabeth!” Chirone, nella sua forma equina, veniva al galoppo verso la cabina di Atena. Impossibilitato ad entrare a causa delle sue dimensioni, fece avvicinare il letto della ragazza alla finestra. Si chinò e allungando un braccio accarezzò la guancia di Annabeth.
“Bambina. Bambina, mia. Svegliati”, ma Annabeth continuava ad agitarsi. Solo quando Chirone posò la mano sulla fronte della ragazza e recitò qualche parola in greco, si calmò.
“Bambina, svegliati. È solo un incubo.”
Annabeth aprì gli occhi scatto.
“Tesoro, finalmente” dichiarò Silena abbracciandola. La figlia di Afrodite aveva le lacrime agli occhi. Vedere l’immagine della grande e potente Annabeth Chase, la ragazza più forte e cazzuta che avesse mai conosciuto, ridotta in quello stato… Aveva fatto star male anche lei. Sua madre aveva una strano senso di divertimento. 
“Mi dispiace, non volevo svegliare tutti voi.”
“Non ti preoccupare, Chase” disse, stranamente, Clarisse, con voce dolce.
“Bambina.” Annabeth voltò lo sguardo verso Chirone. 
Ah, la sua dolce bambina. Perché doveva soffrire così tanto? Perché un destino così crudele proprio a lei? Si fece coraggio e le sorrise, “che ne dici di dormire in una delle camere degli ospiti della Casa Grande?”
Annabeth guardò le persone intorno a lei, poi posò lo sguardo sulle sue mani posate in grembo. Alzò lo sguardo verso suo fratello. Le sorrise incoraggiante, nonostante la notte insonne e le occhiaie che iniziavano a farsi vedere. Non poteva far soffrire i suoi più cari amici, la sua famiglia, per il suo dolore. La perdita di Percy aveva colpito tutti loro, lei non aveva il diritto di aprire ancora di più il dolore del lutto per la perdita del loro capo.
“Certo” si schiarì la voce, perché suonava troppo debole, “va bene.”
Malcolm l’aiutò ad alzarsi e la accompagnò fino alla porta. Fuori trovò Chirone che la prese e se la mise in groppa, poi partì al galoppo verso la Casa Grande.

Quando scese, la prima cosa che fece Annabeth fu abbracciare Chirone.
“Mi dispiace”, disse trattenendo a stento le lacrime, “non volevo svegliare tutto il campo.”
“Lo so, bambina” rispose lo stringendola a sé.
“Io non volevo.”
Scoppiò a piangere, crollò davanti al suo tutore
-perché, forse, andava bene così-. Perché con quel ‘Io non volevo’, Annabeth si riferiva a ben altro. Perché non voleva, non doveva, lasciarlo da solo in quel vulcano. Perché si erano sempre salvati, ma stavolta lei non ce l’aveva fatta. Chirone, in risposta, la strinse ancora più forte.

Annabeth andò in uno dei bagni della Casa Grande per sciacquarsi il viso. Ciò che vide allo specchio la fece sbiancare.
Era leggermente più magra, i capelli erano spettinati e assomigliavano al nido di un mostro. Le occhiaie era profonde, troppo, e gli occhi grigi risaltavano sul rosso causato dal pianto. Bellezza distrutta. Mai in quel momento, tali parole, le erano sembrate azzeccate. Annabeth Chase era crollata. Annabeth Chase si era spezzata. Ma da domani le cose sarebbero cambiate. 

Nel frattempo, fuori, sul portico delle Casa Grande, Chirone, Malcolm e Silena, stava parlando tra di loro.
“Pensa  che sia saggio?” domandò il figlio di Atena.
“Penso che le farà bene”, rispose Chirone, “domani lo dichiareremo morto”, continuò.
Il vento soffiò più forte e il cielo si fece più scuro.
“La signorina La Rue aveva ragione: prima affronta il lutto, meglio sarà.”
I due ragazzi annuirono, uno con le lacrime agli occhi per il dolore della sorella, l’altra piangendo per il suo amico perduto, per quella storia d’amore, che non era ancora sbocciata, ma che si prevedeva sarebbe stata una della più belle e divertenti che Afrodite avesse mai creato.

E così passarono le poche ore che rimanevano prima della sveglia: un letto vuoto nella cabina numero sei, un sonno agitato in una delle stanze della Casa Grande e un uomo in sedia a rotelle che stringeva la mano di una ragazza bionda e le sussurrava ‘bambina mia’.

Angolo autrice
Premetto che questa doveva essere una one-shot, ma mentre scrivevo mi sono resa conto che stava diventando veramente lunga. Quindi per evitare di postare tredici pagine tutte insieme, ho deciso di spezzare in due la storia. Questa prima parte è la più triste e possiamo notare quanto il campo si striga attorno ad Annabeth per farle forza (persino Clarisse). Ho voluto mettere in luce il rapporto che lega Chirone ed Annabeth, perché sono profondamente convinta che il loro rapporto padre-figlia sia molto profondo, ed infine dare più spazio a Malcolm, sono pur sempre fratello e sorella e penso che facciano molto affidamento l'uno sull'altro.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3900251