Reiji inclinò la testa sul cuscino, cercando di individuare
una posizione più confortevole.
I ricordi della notte precedente gli arrivavano a flussi intermittenti,
tanto da fargli credere che fosse stato tutto un sogno. Akihabara, il
rituale, le anime…
Poi, d’improvviso, si rese conto che non era così.
Si tirò a sedere sul letto, in un sussulto.
Boccheggiò, alla disperata ricerca di aria.
Yuuto…
Ricordava di aver visto svenire il ragazzo tra le sue braccia, quando
tutto era finito. Poi, però, tutto era avvolto nelle tenebre.
Si voltò cautamente di lato. Yuuto era lì,
accanto a lui. Riposava pacatamente, il corpo prono e il viso affondato
nel cuscino.
Reiji cercò di ricordare. Probabilmente, dopo che il ragazzo
era svenuto, aveva fatto appello alle sue ultime forze così
da riportare entrambi a casa. Avevano generato fin troppo trambusto,
era solo una questione di secondi prima che qualcuno arrivasse a
chiedere spiegazioni. Prima di finire entrambi nei guai, Reiji
s’era affrettato a prendere in braccio Yuuto e ad
allontanarsi da lì quanto più furtivamente
possibile.
Oh. Ecco.
Dovevano averla scampata per un soffio. Kageyama si girò in
direzione del comodino, controllando l’orario sul display
della sveglia digitale.
Le tre del pomeriggio.
Aveva riposato così tanto…? Oh, quel rituale
doveva averlo stancato più del previsto.
Reiji si alzò piano, facendo attenzione a non svegliare
Yuuto. In quel momento, il riposo era fondamentale per lui, aveva
bisogno di recuperare le energie.
E poi, finché non si fosse svegliato, Reiji non sarebbe
stato costretto ad affrontare quell’argomento che tanto
temeva.
Kageyama si lasciò scivolare in direzione delle scale. Forse
c’era ancora qualcosa che poteva fare per Yuuto.
Tornare dopo settimane ad occuparsi di magia erboristica fu come
prendere una profonda boccata d’ossigeno. Reiji aveva
scoperto che la negromanzia gli riusciva naturale, come bere un
bicchier d’acqua, tuttavia si sentiva decisamente
più a suo agio quando si trattava di semi e radici dalle
proprietà magiche. Dubitava che avrebbe messo fine a
ciò che, negli ultimi anni, era ormai sempre più
diventata la sua professione.
Reiji aveva schiacciato alcune foglie di menta nel mortaio, unendole ad
estratto di radici di zenzero e semi di lino. Ne aveva ottenuto un
composto omogeneo, simile a un impacco di argilla. Ora,
però, mancava l’ingrediente più
importante: la magia. Reiji agitò le dita sopra al mortaio,
e fili candidi d’energia purissima corsero a mescersi assieme
agli altri ingredienti.
Il gioco era fatto. La stufa aveva continuato a scoppiettare fin da
quando l’aveva accesa, e ormai l’acqua che aveva
messo nel bollitore doveva essersi scaldata. Reiji versò il
composto in una tazza, dopodiché si affrettò a
recuperare il bollitore. Versò l’acqua, e subito
l’infuso cominciò come a prendere vita
all’interno della stoviglia.
Un profumo dolcissimo avvolse l’ambiente, ma Kageyama sapeva
che mancava ancora un ingrediente. Prese il vasetto di miele, che aveva
tenuto accanto a sé sul bancone fino a quel momento, e ne
lasciò cadere alcune gocce all’interno della tazza.
La pozione era pronta. Si era impegnato con tutto se stesso nel
prepararla, e adesso doveva solo aspettare per vedere se avrebbe avuto
effetto.
In cuor suo, tuttavia, era già certo che sarebbe stato
così.
Era pomeriggio inoltrato. Il sole stava ormai scomparendo dietro alle
sagome di grattacieli altissimi.
Reiji era rimasto inginocchiato sul letto per ore, mantenendo
l’infuso caldo con un incantesimo.
Yuuto non s’era ancora svegliato. Dalla posizione prona era
passato a quella supina, e adesso solo una guancia era carezzata
lievemente dalla federa del cuscino.
Reiji era spaventato. No, si disse: quel riposo era un toccasana per
lui, dopotutto la notte precedente aveva provato seriamente il corpo e
l’animo di quel ragazzo.
Doveva avere pazienza. Yuuto era forte, e Kageyama era certo che
sarebbe stato bene.
Quando aprì gli occhi, Yuuto lo fece lentamente, come se
s’aspettasse di essere ferito dalla luce del sole da un
momento all’altro. L’immenso potere che risiedeva
in lui poteva farlo dimenticare, tuttavia Yuuto era pur sempre un
ragazzo di vent’anni: giovane, e inaspettatamente fragile.
Sembrò che un pensiero improvviso lo avesse colto,
portandolo a sbarrare gli occhi.
«K-Kageyama…» ansimò,
respirando di colpo più in fretta.
Reiji parve comprendere al volo quali pensieri si fossero affollati
nella sua mente. Si chinò su di lui, lentamente,
carezzandogli la fronte.
«Va tutto bene» lo rassicurò.
«È tutto finito»
Yuuto non sembrò subito persuaso dalle sue parole. Si
guardava intorno con la stessa espressione di un animale braccato,
aspettandosi che, da un momento all’altro, le anime avrebbero
sferrato un ennesimo attacco.
Era strano però. Non erano più nel cimitero,
bensì erano ritornati a casa di Kageyama.
Tutto intorno a loro era fermo, e sembrava essere avvolto nella pace
più totale. Come… come ci erano arrivati
lì?
«Sono morto?» ipotizzò, trovandola come
la possibilità più credibile. «Sto
sognando?»
Reiji piegò appena la testa di lato. In quella confusione,
Yuuto sembrava più debole. Più… umano, sebbene quel
termine non si addicesse a nessuno dei due.
«Nessuna delle due» gli comunicò,
accarezzandogli la fronte. «Siamo tornati a casa. Siamo
salvi.»
«C-com’è possibile?» chiese,
aggrottando le sopracciglia per lo smarrimento. Le carezze di Reiji
erano così lusinghevoli, abbandonarsi ad esse era
terribilmente piacevole.
Però c’era qualcosa che continuava a non tornare,
nella mente di Yuuto. L’ultimo ricordo che aveva erano loro
due nel cimitero di Aoyama, le anime che aveva evocato che continuavano
a scagliarsi contro il suo scudo e Reiji che pronunciava un incantesimo
nel tentativo di fermarle.
Poi, più nulla.
Reiji sembrò intuire i suoi pensieri. «Siamo
riusciti a fermarle, Yuuto. Insieme.» Gli sorrise, con la
stessa condiscendenza che si offre a un bambino. «Ho portato
entrambi via da lì prima che qualcuno potesse porci delle
domande»
I pezzi cominciarono a ricomporsi nella mente di Yuuto. Il ragazzo fece
per rialzarsi, e Reiji lo aiutò a mettersi seduto.
«Aspetta» lo fermò Reiji.
«Prima bevi questo»
Reiji recuperò la tazza dal comodino, porgendogliela. Yuuto
la fissò con circospezione.
«Cos’è?» domandò,
voltandosi a fissare Kageyama.
«Una pozione curativa» spiegò subito
Reiji. «Ti aiuterà a riprendere le forze»
Gli occhi di Yuuto tornarono a posarsi sulla tazza. Era ancora
dubbioso, ma se la portò comunque alle labbra, prendendone
un sorso.
Era dolcissima. E buona.
Lo invogliava a volerne ancora.
«Grazie» mormorò a fior di labbra.
Reiji abbassò lo sguardo. Sentiva quelle parole premere
sulla sua lingua, spingendo pur di uscire. Forse avrebbe dovuto
aspettare, Yuuto doveva ancora rimettersi in sesto… eppure
non riusciva a chiedersi cosa ne sarebbe stato di loro, dopo quella
notte. Il rituale non era andato come speravano… e questo
cosa significava?
«Mi dispiace, Yuuto» gli disse ancora, proprio come
la notte precedente. Kageyama iniziava a sospettare di non avere parole
migliori da offrirgli. «Ero sicuro che ce l’avremmo
fatta, te lo giuro. Se solo avessi calcolato meglio ogni
possibilità…»
Una mano si posò sul suo braccio.
«Kageyama» lo richiamò il ragazzo.
«Va bene così. Davvero. Avrei dovuto pensarci
anche io, in fin dei conti. È già tanto che io
sia ancora qui, vivo, e se ciò è stato possibile
è solo per merito tuo»
Reiji aprì la bocca, per poi richiuderla un secondo dopo. Le
parole gli morirono in gola. “Sì,
ma…” avrebbe voluto cominciare. Solo che non aveva
altro da aggiungere dopo quel ma.
Non c’era più nessuno da salvare. Non avrebbe
avuto senso cercare altre formule, altri rituali. Erano vivi, e forse
si sarebbero dovuti accontentare di questo.
Da ciò, tuttavia, nascevano mille nuovi interrogativi. Se il
rituale era fallito, cosa sarebbe cambiato per loro? Come sarebbe
proceduta la loro vita, d’ora in avanti?
Reiji aveva paura. Temeva che il fallimento del rituale per cui Yuuto
s’era finalmente fermato, dopo anni di peregrinazioni, lo
avrebbe riportato a partire, alla volta di chissà dove. Solo
che Kageyama non aveva idea di come avrebbe fatto a vivere senza di
lui. Aveva passato così tanto tempo a fantasticare su un
loro possibile futuro assieme che, adesso, ogni scenario che non
comprendesse Yuuto gli sembrava orrendo e privo di ogni colore.
«E adesso?» domandò, prima ancora di
rendersene conto.
Yuuto si voltò a guardarlo, confuso. «In che
senso?» chiese a sua volta.
Reiji si strinse nelle spalle. Nei suoi occhi c’era un misto
di dolcezza e malinconia. «Cosa farai?» si
spiegò, tremando già al pensiero della risposta
che s’aspettava di ricevere.
Un sogghigno comparve sul volto di Yuuto. il ragazzo fece ruotare il
busto, così da ritrovarsi faccia a faccia con
l’altro mago, mentre gli avvolgeva le braccia attorno al
collo.
«Fammi capire» cominciò, gli occhi rossi
che sembravano voler divorare quelli neri. «Davvero pensi che
io abbia passato un mese della mia vita in questa bottega, tra libri
polverosi e famigli scorbutici, abbia donato per la prima volta
interamente il mio corpo e la mia anima a qualcun altro e sia
sopravvissuto alla mia piccola fine del mondo personale salvo poi andarmene come se
nulla fosse? Si può sapere per che razza di persona mi hai
preso, Kageyama Reiji?»
Le guance di Reiji s’imporporarono. Avvertire il corpo di
Yuuto così vicino al suo gli faceva perdere sempre qualche
battito. E poi dannazione, il proprio nome sembrava così
bello se pronunciato dalle labbra del ragazzo.
«In effetti quella dell’altra notte è
sembrata davvero una fine del mondo» aveva convenuto Reiji.
«E comunque il mio famiglio non è
scorbutico»
«Mai quanto il suo padrone» era stata la replica di
Yuuto.
Da qualche parte della bottega al piano inferiore, Lok aveva
gracchiato, come in approvazione.
Yuuto rise, e Kageyama prese il suo volto tra le mani, baciandolo
dolcemente.
«Resti?» gli aveva chiesto.
Yuuto l’aveva fissato, polvere di stelle negli occhi.
«Resto.»
Kageyama l’aveva baciato ancora, e di colpo il futuro che
aveva sognato gli era sembrato più vicino.
▬
note
Premere
la spunta che indica la conclusione di una long mi procura sempre una
certa dose di fiducia in me stessa, devo ammetterlo. Questa volta,
tuttavia, c'è anche un po' di malinconia.
Ebbene sì, siamo già giunti alla fine. La seconda
long conclusa sul mio profilo, e tra l'altro anche la più lunga
(sì, dopo quasi tre anni continuo ancora a credere che DN
abbia sette capitoli anziché sei. In origine effettivamente
dovevano essere sette, però non ci stavo con i paragrafi,
per cui mi era toccato fare un cambio in corsa). Sono soddisfazioni,
dai.
Allora, prima di tutto mi preme ringraziare Fanwriter.it per
aver indetto quest'iniziativa meravigliosa, che mi ha sicuramente
tenuta impegnata in questi giorni di quarantena allietandomi la
permanenza in casa. Mi era mancato partecipare ai vostri eventi, sul
serio ♡ a tal proposito, oggi la scelta era tra bacchetta e pozione. In
un mondo in cui, come ho spiegato in uno dei capitoli precedenti, la
magia si esprime attraverso il movimento delle mani o pronunciando un
incantesimo a voce (anche se i maghi più potenti riescono a
fare a meno della seconda opzione), la bacchetta non aveva molto senso.
La pozione, invece, sono riuscita a ricollegarla più
facilmente, anche pensando a quanto accaduto nello scorso capitolo.
Ad ogni modo, quest'ultimo capitolo è stato molto
tranquillo, soprattutto se confrontato con quello precedente. Un po' di
sana dolcezza non fa mai male, dai.
E così si conclude qui questa nostra avventura all'interno
di un mondo magico creato così, praticamente da zero, nel
giro di pochi giorni. Non escludo di tornare un giorno a pubblicare
qualche os ispirata a questa au, l'ho amata così tanto e non
sono decisamente pronta a lasciarla andare.
Grazie a chiunque abbia letto e seguito la storia, spero che vi sia
piaciuta ♡
Aria
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