Mani e Mente (S.)

di mystery_koopa
(/viewuser.php?uid=1031588)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.



Mani e Mente
(S.)
 

La tua mano era un fiore che sbocciava mentre gli accordi di quella chitarra che sfioravi dolcemente risuonavano nell’aria ricordandomi... nient’altro che non fossi tu. Le mie invece erano gelide, di vetro, anche quando immaginavo di stringere le tue.
(Proprio io, che non ho mai avuto freddo nemmeno con dieci gradi sotto zero, lo stavo sentendo dentro, davvero).
La pioggia scendeva leggera e io tremavo, era autunno, forse inverno, non ricordo. All’interno si stava bene, nonostante gli spifferi provenienti dalle finestre e il riscaldamento malfunzionante, ed era così strano il modo in cui tu eri con me, anche se solo in un mondo in cui io non esistevo.
(Qui esisto, incapace di essere me stesso anche nella solitudine).
Eppure sentivo ancora di amarti, un calore vago che si sprigionava in me. Un tuo bacio sul collo era tutto, io riaprii gli occhi stringendo ancora la tua mano, poi la sentii scomparire. Fu il suono della campanella a farmi vedere la realtà in cui ti stavi allontanando a passo veloce; io avevo finito il pranzo senza accorgermene.

 
*
 
Scendevo le scale, il legno consumato dei gradini produceva uno scricchiolio ad ogni passo, l’odore del caffè era sempre più forte. Arrivato in cucina osservai dalla finestra: eri sul terrazzo, perso nella contemplazione della montagna d’estate. Suonavi lentamente, pizzicando leggermente le corde mentre la tua voce perfetta riempiva l’aria. Non avrei potuto essere più felice, pensai: poi ricordai che non mi amavi, che le tue parole erano dolci, malinconiche, ma non rivolte a me.
(Le stavo sentendo davvero, o erano solo nella mia testa, mentre il suono reale restava intrappolato all’esterno dai vetri serrati?)
Mi asciugai le lacrime mentre ti sfioravo la spalla per invitarti a tornare dentro per la colazione. Un brivido mi attraversò il braccio, poi proseguì lungo la schiena. Ti amavo, di nuovo. Erano passati mesi e ci ero ritornato senza mai andarmene davvero, ogni volta che sorridevi stavo meglio e peggio al tempo stesso.
(Sono sempre stato troppo razionale, quel tipo di razionalità che t’inganna, che ti convince di sapere tutto e che alla fine…)

Il profumo dell’erba tagliata mi riempì i polmoni mentre ti lasciavo indietro e mi incamminavo per il sentiero lungo il fiume. Ho sempre amato il vento freddo, anche tu. Quando tutti erano avvolti in pesanti piumoni io stavo con la felpa, tu a maniche corte. Ma non eri mai freddo. Io invece sì, dentro.
(Mi ricordai di quella mattina d’autunno, o forse d’inverno: quella mattina insignificante, come me, del resto. Mi sono sempre chiesto a chi potesse importare qualcosa di me, in fondo, ma sono sempre stato cieco di fronte a ogni possibile risposta… Non a te, che mi hai sempre scritto perché ti facevo pena, ma solo quando ti faceva comodo; che hai sempre provato a illudermi ma mi hai solo fatto cadere più in basso).

Non è contraddittorio desiderare di essere indimenticabile e al tempo stesso di essere dimenticato da chiunque, per chi vive nel mezzo. Solo ora capisco quanto freddo hai sentito.
 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3907213