Finalmente,
dopo centinaia di anni passati nel Limbo,
riesco a respirare dell’aria fresca. Ripensando ai miei
compagni del primo
Cerchio, mi sento un privilegiato per aver avuto l’onore di
compiere questo
viaggio che, per quanto faticoso, mi ha permesso di uscire dalla
voragine
infernale. Anche Dante sembra sollevato e, con lo sguardo rivolto al
cielo,
ammira la volta stellata sopra le nostre teste. Io, Virgilio,
l’ho condotto
attraverso gli orrori dell’Inferno, Cerchio dopo Cerchio,
Bolgia dopo Bolgia, fino
all’incontro con colui che governa quel regno di dolore,
Lucifero in persona.
Per lui dev’essere stato veramente difficile confrontarsi con
il Male in
maniera così cruda, ma era un passo necessario per
permettergli di proseguire
il suo viaggio verso la salvezza, verso la beatitudine e verso Dio. Ora
siamo
qui, su una spiaggia, e di fronte a noi si staglia la montagna del
Purgatorio
in tutta la sua imponenza. In questo luogo le anime vengono purificate
dai loro
peccati per poi poter essere degne di accedere al Paradiso.
Comincia
ad albeggiare e il cielo si tinge di un azzurro
simile al colore di uno zaffiro. È uno spettacolo
meraviglioso, ma non abbiamo
il tempo di godercelo quanto vorremmo, dobbiamo continuare il nostro
viaggio.
Sto per richiamare Dante, quando ci appare un vecchio dalla lunga barba
bianca
che, squadrandoci da capo a piedi con sguardo severo, ci domanda chi
siamo e come
abbiamo fatto ad arrivare lì. Probabilmente crede che siamo
dannati fuggiti
dall’Inferno e non posso dargli torto, visto come siamo
sporchi di fumo e di
terra. Istintivamente, faccio inginocchiare il mio protetto di fronte
al
vecchio in segno di umiltà e prendo la parola. Conosco
quest’uomo, è Catone l’Uticense,
colui che, pur di non cedere la propria libertà in favore
della dittatura di
Cesare, si era tolto la vita. Proprio per essere stato un simbolo di
libertà
non è stato condannato all’Inferno, ma posto a
guardia del Purgatorio. Gli
spiego che una donna del cielo, Beatrice, mi aveva pregato di fare da
guida a
Dante attraverso l’Inferno per ricondurlo alla salvezza.
Preferisco non
raccontare a Catone di tutto il nostro viaggio, ma lo prego di farci
proseguire
il cammino per quella libertà che era stata tanto preziosa
per lui. Concludo il
mio discorso ricordandogli di Marzia, sua amata, che ora si trova nel
Limbo,
dicendogli che, se ci lascerà passare, le parlerò
di lui una volta tornato
laggiù. Catone, pur affermando che oramai l’amore
per Marzia non ha alcuna
influenza su di lui, acconsente a lasciarci passare e mi invita a
lavare il
viso di Dante per ripulirlo dalla fuliggine. Detto questo, scompare.
Faccio
rialzare Dante e lo porto dove la spiaggia è più
bassa per raccogliere della rugiada con cui togliergli la sporcizia dal
volto.
Mentre mi dedico a questo rito, penso a Catone e a come il fatto di
essere
morto per la sua libertà l’abbia reso
così tanto degno di rispetto da essere
stato scelto come guardiano del monte Purgatorio. Mi chiedo se anche
tra
settecento anni ci saranno delle persone come lui, pronte a dare la
vita per i
propri ideali. Penso che l’unico vantaggio di essere
un’anima sia quello di
poter vedere ciò che accadrà in futuro, pur
riuscendo a distinguere chiaramente
solo gli eventi molto lontani nel tempo. Decido di fare affidamento su
quest’abilità per scoprire se Catone
avrà dei degni successori e, con mia
grande gioia, vedo che saranno in molti, donne e uomini, giovani e
vecchi,
famosi e anonimi che, pur non venendo citati nei libri di storia,
faranno la
loro parte nella difesa dei propri ideali e del bene comune. Proprio
per questa
determinazione e per il loro senso di giustizia, molti saranno
ostacolati o
persino uccisi dai loro oppositori, ma il loro ricordo sarà
di esempio alle
generazione successive. Tra tutti, mi colpiscono particolarmente le
figure di
due giudici italiani, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: entrambi
desiderosi
di liberare il loro Paese dalla corruzione e dalla malavita, si
dedicheranno ai
processi contro la criminalità organizzata, ma proprio per
questo saranno in
costante pericolo di vita, fino a quando non verranno uccisi in due
tragici
attentati che rimarranno nella memoria degli italiani per lungo tempo.
Dopo la
morte arriveranno anche loro su questa spiaggia, dove, simbolo della
lotta per
i propri ideali e per la libertà del proprio Paese,
resteranno al fianco di
Catone come custodi del Purgatorio. È un bene che due uomini
come loro ricevano
un incarico così importante come ricompensa per le loro
ammirevoli azioni.
Una
volta finito di lavare il viso a Dante, gli cingo la
vita con un giunco, pianta simbolo di umiltà, come mi aveva
ordinato Catone. La
pianta che avevo strappato subito ricresce identica a prima e il mio
protetto
si stupisce molto di ciò, ma non fa domande.
Ora
dovremmo rimetterci in cammino verso il monte, ma il
nostro sguardo viene attratto da una nave che si avvicina velocemente
alla riva
senza bisogno di vele o remi, poiché guidata dalla
volontà divina. Su questa
barca, un angelo nocchiero trasporta le anime destinate al Purgatorio.
Anche
stavolta esorto Dante ad inginocchiarsi davanti allo spirito celeste e
lui, non
riuscendo a sopportare la luce che l’angelo emana,
è costretto a distogliere
gli occhi. Una volta che la nave giunge a riva, lo spirito celeste ci
appare
ancora più bello e luminoso, mentre tutte le anime scendono
sulla spiaggia,
guardandosi intorno spaesate. Vedendoci, decidono di chiederci
informazioni su
come si sale al monte, ma sono costretto a rispondere che anche noi,
come loro,
non conosciamo questo luogo. Il Purgatorio è un contesto
nuovo persino per me,
dovrò imparare a muovermi in esso al più presto
possibile, dopotutto sarò io a
dover guidare Dante fino in cima. Improvvisamente le anime si accalcano
attorno
a noi, vedo la curiosità e la sorpresa nei loro occhi. Che
si siano rese conto
che Dante è ancora vivo? Una di loro si fa avanti e cerca di
abbracciare il mio
protetto, ma invano: per tre volte le mani di Dante tornano al suo
petto senza
riuscire a stringere lo spirito di fonte a sé.
L’anima si presenta come Casella
e, su richiesta di Dante stesso, intona una canzone che comincia con
“Amor che
ne la mente mi ragiona”. La sua voce è
così dolce che tutti gli spiriti che
erano con noi si fermano ad ascoltare e, lo ammetto, anche io mi devo
essere
lasciato distrarre dal suo canto, ma vengo riportato bruscamente alla
realtà da
Catone, che intima alle anime di smettere di oziare e di andare a
purificarsi
dai loro peccati. Tutti fuggono verso il monte, io e Dante compresi.
Non riesco
a descrivere la vergogna che ho provato nell’essere ripreso
da Catone. Come
guida designata dal Paradiso per accompagnare Dante nel suo viaggio non
potrei permettermi
nessun errore, ma questa volta è stato più forte
di me. In futuro dovrò stare
più attento, non posso permettere che distrazioni del genere
possano intaccare
l’immagine che il mio protetto ha di me.
Prima
di accedere al Purgatorio vero e proprio, dovremo
attraversare l’Antipurgatorio, dove le anime attendono prima
di poter salire il
monte. Incontriamo la schiera degli scomunicati, che devono stare
nell’Antipurgatorio per trenta volte la durata della loro
scomunica, a meno che
le preghiere dei loro cari ancora in vita non riescano ad accorciare
questa
permanenza. Tra loro c’è anche Manfredi di Svevia,
scomunicato ingiustamente
dalla Chiesa per ragioni politiche. Proseguendo, oltre ai pigri a
pentirsi,
troviamo i morti di morte violenta. Costoro, stupiti del fatto che
Dante sia
ancora vivo, decidono di seguirci lungo la salita. Tra tutte le anime
che si
accalcano attorno a noi chiedendo una preghiera, ce ne sono tre
particolarmente
degne di nota: per primo Iacopo del Cassero, che racconta come i sicari
mandati
dal marchese d’Este l’avessero ucciso nonostante
fosse fuggito in territorio
padovano. Ci appare poi Bonconte da Montefeltro, la cui anima era stata
contesa
tra un angelo e un diavolo. Ferito mortalmente in battaglia, aveva
esalato
l’ultimo respiro invocando il nome di Maria,
perciò il suo pentimento aveva
fatto sì che fosse condotto in Purgatorio, ma il diavolo si
era vendicato
mandando una tempesta che aveva fatto straripare i fiumi e la piena si
era portata
via il corpo di Bonconte in modo che non ricevesse sepoltura. Per
ultima, si fa
avanti l’anima di una donna che, quasi timidamente, chiede a
Dante di
ricordarsi di lei una volta tornato nel mondo dei vivi. Si chiama Pia
e, pur
non rivelando i dettagli della sua morte come avevano invece fatto
Iacopo e
Bonconte, lascia intendere che a ucciderla sia stato il marito, forse
perché
progettava di sposare un’altra. Il racconto di Pia mi
commuove molto e il fatto
che lei sia stata capace di perdonare l’uomo che
l’ha ingiustamente strappata
alla vita mi fa riflettere: so che tante donne come lei arriveranno in
questo
luogo, uccise dai propri mariti e compagni per gelosia, o per follia, e
forse
non tutte sapranno perdonare un atto così crudele. Sono
donne di tutte le età e
di tutti i Paesi, segno di come la violenza contro di loro non sia
destinata a
finire presto. Alcune delle loro storie diverranno celebri, ma molte
altre
rimarranno nell’ombra, sconosciute ai più, e
sarà forse per questo che il
problema verrà spesso sottovalutato o persino ignorato.
È veramente terribile vedere
come il genere umano, che tanto si vanta di essere superiore alle altre
creature, finirà sempre per essere preda della violenza.
Prima di separarci da
questa folla di anime, rivolgo un ultimo sguardo in direzione di Pia,
che
risponde con un cenno del capo. Sicuramente ha intuito quello a cui
stavo
pensando.
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