Mattino

di Napee
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Mattino




Se la notte e le tenebre avessero portato via con sé quel brandello di tempo che caratterizzava la sua esistenza, allora Sesshoumaru avrebbe trovato un modo per evitare al sole di tramontare.
Distesa al suo fianco, girata di spalle, la donna che aveva da sempre amato giaceva ancora incosciente, avvolta dal dolce oblio del sonno, mentre il cielo iniziava a rischiararsi e il sole sorgeva illuminando ogni anfratto della stanza.
Il grande demone osservava l’astro innalzarsi imponente su quel nuovo giorno, mentre la natura intorno iniziava a risvegliarsi con qualche tiepido e placido rumore in lontananza.
Poi un vagito, un lamento. Sesshoumaru si alzò e si avvicinò alla culla in legno finemente lavorata che svettava dalla parte opposta della camera, dove ancora il buio persisteva.
Si avvicinò ad essa con passo lento ma deciso. Vi sbirciò all’interno e incontrò gli occhi vispi e svegli di una delle sue eredi.
Allungò la mano artigliata verso il suo visino paffuto da infante e ne carezzò la guancia tiepida e rosea, così diversa dalla pelle demoniaca sempre gelida e nivea.
La piccola si accoccolò contro al palmo della sua mano, come se avesse riconosciuto un segno d’affetto da parte di quelle armi che avevano da sempre disseminato morte.
Poi chiuse gli occhi di nuovo, voltandosi verso la gemella e stringendo in un pugno l’indice del padre.
Sesshoumaru attese qualche secondo immobile che la piccola si addormentasse di nuovo e poi sfilò via il dito dalla sua debole presa.
Rivolse uno sguardo pregno d’affetto a quelle due piccole frutto dell’amore che provava per la Rin. Un amore profondo e duraturo, più forte persino dei pregiudizi e del disprezzo che aveva sempre provato contro gli umani e i mezzidemoni.
Tornò a venerare con lo sguardo la sua amata consorte, trovandola vispa e sveglia mentre gli sorrideva innamorata.
“Sei un bravo padre.” Gli augurò il buongiorno con quella frase. Un complimento che Sesshoumaru non avrebbe mai pensato di desiderar udire prima di quel momento.




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