Valya

di heliodor
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Mappa
VALYA
 

 
"La forza non è nella spada, ma nella mano che la regge"
- Margry Mallor
 
 
"Non esistono spade magiche"
- Talita, Decana dell’accademia di Berger
 
 
"Spezza l'incantesimo, trafiggi il cuore del mago" disse Agron il Saggio prima di spirare tra le braccia di Blerian, il Cavaliere Valoroso
- Adenora Stennig, 'La Duchessa Misteriosa'
 
 
"Metterò fine a questa guerra"
- Bellir, prima di sfidare e sconfiggere l'Arcistregone Malag
 

 
C’è stata un’era, dopo la caduta dei Maghi Supremi e prima dell’ascesa di Harak il Re Stregone, in cui il Continente Maggiore era dominato dal sangue e dall’acciaio.
Gli uomini combattevano e morivano nelle loro armature, per la gloria effimera o l’avidità, non faceva molta differenza.
Finché un giorno non apparvero le dodici Lame Supreme.
Dodici fratelli che avevano giurato solennemente di mettere fine allo spargimento di sangue e riportare la pace sul continente.
Armati di altrettante spade magiche, sfidarono e sconfissero i signori della guerra, mettendo fine alle numerose guerre tra i regni.
Ma un tredicesimo fratello, rimasto senza la propria spada e invidioso degli altri, venne corrotto dal risentimento e dall’invidia.
Insinuando il dubbio e la sfiducia tra i suoi fratelli, li spinse ad affrontarsi tra di loro. Ogni volta che uno di essi cadeva, ne raccoglieva la spada magica e la teneva con sé. Quando le avrebbe possedute tutte, sarebbe diventato invincibile.
Nell’ora più buia che il Continente Maggiore avesse mai vissuto, un nobile cavaliere apparve all’improvviso e sfidò il tredicesimo fratello, uccidendolo e mettendo fine al suo dominio. Raccolte le spade, le portò in un luogo sicuro e le distrusse affinché nessuno potesse mai più usarle.
Ma è scritto che un giorno, al termine dell’era della stregoneria, le dodici Lame Supreme torneranno a insanguinare il Continente Maggiore e una nuova guerra si scatenerà per il loro possesso.
 
La figlia del fabbro

C’era un muretto che delimitava i campi, giù a Cambolt, vicino al confine con Lormist, dove un fiume che non aveva nome ma che tutti chiamavano il “Serpente Pigro” per la calma delle sue acque e la dolcezza delle sue anse, piegava deciso verso settentrione dopo aver girato attorno a una collina.
E da questa collina si potevano dominare i campi bene ordinati, divisi da stradine di terra battuta che si incrociavano formando una fitta ragnatela. Su, in cima, un pennacchio di fumo grigio saliva verso il cielo di un azzurro limpido.
Una casa di pietre grigie impastate con malta bianca occupava la cima della collina. Il tetto spiovente di legno era coperto di paglia. Appoggiata al fianco della casupola vi era la forgia, una tettoia sostenuta da tronchi sotto la quale vi era un forno dove ardeva il fuoco e bancali ingombri di pinze e martelli.
“È una magnifica giornata” stava dicendo Valya a suo padre. Lei era una ragazzina minuta, di sedici anni appena compiuti, con lunghi capelli neri e mossi arrangiati in una coda che le scendeva in mezzo alla schiena dritta. Indossava una tunica grigia e pantaloni scuri su stivali marroni dalla punta consumata che lei lucidava ogni giorno prima di metterseli. Seduta al tavolo della cucina, guardava fuori dalla finestra da cui si intravedeva uno scorcio della collina, dei filari di alberi e della valle sottostante, dove la foschia mattutina nascondeva le piccole case di Cambolt.
Suo padre si lasciò sfuggire un brontolio sommesso, lo sguardo fisso sul focolare spento e l’espressione corrucciata.
Simm Keltel era un uomo imponente, dalla folta zazzera marrone e la barba rossiccia che gli copriva la punta del mento.
Valya lo fissò con fare ansioso, mentre con le dita tormentava la pagnotta di pane ignorando il pezzo di formaggio nella ciotola.
“Finisci di mangiare” disse Simm con voce roca.
Valya sbuffò. “Dico solo che è una giornata troppo bella per passarla in casa.”
“Non puoi stare tutto il tempo in giro” disse Simm con tono duro. “Non sta bene. Che cosa farai, poi” fece una pausa. “Vorrei proprio saperlo.”
“Vado in giro” disse Valya. “Mi alleno. A volte tiro con la spada.”
Suo padre le rivolse un’occhiata di sbieco.
“Hagar ne ha fatta una col manico di una scopa” disse Valya.
“Hagar? Quell’idiota? Non dirmi che lo frequenti.”
“Hagar è un bravo ragazzo” protestò.
In verità lo considerava un idiota anche lei, ma non voleva darla vinta a suo padre. Non quella volta.
“Faresti meglio a restare a casa.”
“Ma sono giorni che…”
“Sei stata al villaggio l’altro ieri. E prima ancora hai girovagato per il bosco tutto il giorno. Senza contare che sei andata due volte al lago senza avvertirmi.”
“Ci sono andata con Breye ed Enye” disse subito Valya. “Non ero da sola.”
“Non è questo il punto, Val” disse suo padre. “Non pago le lezioni di cucito della signora Roxley perché tu te ne vada in giro.”
“Cucito” disse Valya alzando gli occhi. “Come se servisse a qualcosa.”
“Quello di sarta è un lavoro onesto” disse Simm guardando altrove. “È una vera fortuna che la signora Roxley ti dia delle lezioni. È la migliore sarta di Cambolt. Con i suoi consigli diventerai abile e richiesta.”
“La signora Roxley non si lava” disse Valya dando un morso deciso al pezzo di formaggio. “E ha un odore sgradevole.”
“E tu tappati il naso quando vai da lei. Quelle lezioni ti serviranno, un giorno.”
“Per cosa?”
“Per trovare un buon marito, sposarti e farmi giocare con qualche nipotino.”
Valya si coprì il viso con le mani. “Smettila di dire queste cose. Mi metti in imbarazzo.”
“Qui ci siamo solo tu e io.”
Valya scosse la testa e si alzò. “Io vado.”
“Dove vai? Oggi non c’è lezione.”
Pensò a una scusa qualsiasi. “È finito il pane. Vado a comprarlo giù al villaggio.”
“Finisci di mangiare.”
Prese il pane rimasto e lo infilò in tasca. Fece per uscire.
“Vai dal fornaio e torna subito a casa” disse suo padre. “Non fermarti per strada e non parlare con nessuno.”
“Come vuoi” rispose con tono annoiato.
 
L’unico fornaio di Cambolt si chiamava Joni ed era un uomo dalla pancia rotonda, l’espressione sorridente e mani e viso sempre sporche di farina.
Almeno era così che Valya lo vedeva più spesso. Non aveva idea di che aspetto avesse Joni quando chiudeva il forno e tornava a casa, posto che uscisse mai dal suo negozio.
In ogni caso non aveva importanza, perché non era Joni a parlare con i clienti, ma la figlia maggiore Talina. A differenza del padre, lei era alta e magra come uno stelo d’erba e aveva l’espressione sempre atteggiata in una smorfia di disgusto.
Ogni volta che la vedeva, Valya aveva l’impressione che la sua smorfia diventasse ancora più intensa, se possibile. Per questo mentre si avvicinava al forno raddrizzava la schiena e assumeva una posa marziale, come se stesse marciando impettita.
Le forme di pane appena sfornato venivano messe in cesti coperti da un panno ed esposti su di un bancone fuori dal forno. Talina sembrava intenta a sorvegliarlo mentre guardava a destra e sinistra, come a voler intercettare un possibile cliente.
“Salve signor Benvir” stava dicendo la donna. “Abbiamo pagnotte appena sfornate. Vuole assaggiarne una?” E ancora. “Buongiorno signora Ravelyn, suo marito si è ripreso dalla caduta da cavallo? Gli faccia dono del buon pane fresco, male non può fargli.”
Quando vide Valya avvicinarsi la sua espressione mutò di colpo. “Di nuovo tu.”
Valya si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. “Di nuovo io” disse con tono sfrontato.
“Che vuoi?”
“Due forme di pane. Grazie.”
“E magari anche un bel pezzo di formaggio profumato e del grasso spalmato sopra? Che ne diresti?”
“Non sarebbe una cattiva idea.”
Talina arricciò le labbra. “Che sfrontata. Tu e tuo padre mi dovete ancora pagare dodici forme di pane.”
“Mettete anche queste sul conto.”
“Neanche per idea. Voglio le monete che mi dovete.”
Valya fece per risponderle piccata, quando dall’interno del negozio giunse una voce.
“Talina. Che succede? Stai di nuovo litigando con un cliente?”
 
Talina sbuffò. “No, padre.  Solo un medicante. Lo stavo mandando via.”
“Un mendicante?”
“Signor Joni” disse Valya. “Sono io, Valya. La figlia di Simm Keltel.”
Talina cercò di coprirle la bocca ma lei la evitò scartando di lato e afferrandole il polso. Le bastò tirare un po’ e assecondare il movimento per sbilanciare la donna che quasi scavalcò il bancone finendo a terra.
“Stupida” gridò la donna. “Lasciami subito.”
Valya scattò di lato e nascose le mani dietro la schiena.
In quel momento Joni apparve sulla soglia del negozio, la tunica marrone sporca di farina tesa sul ventre a forma di botte.
“Che stai combinando?” chiese alla figlia.
Talina, ancora piegata sul tavolo, le forme di pane sparpagliate in giro, si raddrizzò con uno scatto. “È stata quella lì” disse indicando Valya. “Mi ha afferrato il braccio e l’ha quasi spezzato” piagnucolò.
Joni si accigliò. “È stata Valya? La nostra Valya? Non dire sciocchezze, Tal. Non lo vedi che è la metà di te?”
“Ma” fece per dire la figlia.
Joni si rivolse a Valya. “Che ti serve, figliola?”
“Mio padre vorrebbe due forme di pane, signor Joni” disse col tono più innocente che poteva. “E mi ha mandata a prenderle.”
“Ma la senti?” fece Talina con tono indispettito. “L’ha mandata a prenderle, non a pagarle.”
Joni fece una smorfia con le labbra. “Prenderle, comprarle, è lo stesso. La figlia di Simm Keltel viene al mio forno per prendere del pane e chi sono io per negarglielo? Incartale subito e mettici pure un paio di quei panini alle noci che ho appena sfornato.”
Valya odiava le noci ma a suo padre piacevano. “E avrebbe anche qualche panino al latte?”
Joni annuì deciso. “Mettici anche due panini al latte” disse alla figlia.
Talina incrociò le braccia sul petto. “Io non incarto proprio niente per quella lì se non mi paga.”
Joni le scoccò un’occhiata severa. “Ti ho dato un ordine, ragazza, o vuoi che te le dia come facevo quando eri più giovane?”
Talina sbuffò. “Ma ci devono almeno cinquanta monete” si lamentò.
“E allora? Simm Keltel è un eroe di guerra” disse Joni. “Gli affari non gli vanno troppo bene, ma si rialzerà. Prepara quel pane, adesso.” Si rivolse a Valya. “La prossima volta vieni direttamente da me. Talina non è brava a trattare con le persone come lo è con gli incassi e le uscite.”
“Mi spiace di non poterla pagare” disse Valya. “Non appena avremo i soldi glieli porterò, lo prometto.”
Joni scosse la testa. “Non dartene pena, Val. c’è sempre tempo per pagare i debiti. Ora prendi quel pane e porta i miei saluti a tuo padre.”
 
La strada che andava da Cambolt alla forgia di Simm Keltel era simile a un serpente attorcigliato attorno a una bassa collina.
Valya passò sotto i filari di alberi, la sacca piena di pane ancora caldo e lo sguardo perso nel vuoto. I suoi occhi non vedevano la strada, la mente che correva al ricordo di come aveva sbilanciato Talina.
Quella mossa gliela aveva insegnata suo padre.
“Ti aiuterà a difenderti” le aveva detto serio.
“Mi difenderei meglio con una spada” aveva risposto lei con tono sfrontato.
“Con una spada rischieresti solo di farti uccidere.”
Valya aveva indicato la rastrelliera piena di lame di acciaio brunito e dall’elsa lavorata. “Con una di quelle saranno i miei nemici a rischiare di essere uccisi.”
“Tu quelle lì non le devi nemmeno guardare” si era affrettato a dire Simm coprendo la rastrelliera con un panno.
Valya però le aveva guardate più di una volta e quasi altrettante, di nascosto dal padre, ne aveva provata qualcuna. Fino a quel momento non ne aveva trovata una che si adattasse alla sua mano da ragazza. Aveva provato a rinforzare i muscoli sollevando pietre e persino a farsi venire i calli per migliorare la presa, ma tutto ciò che aveva ottenuto erano dolori alle braccia e vesciche sui palmi.
Era sicura che se lo avesse voluto, Simm Keltel avrebbe potuto forgiare una spada adatta alla sua mano, perfetta e bilanciata come solo lui sapeva fabbricarle.
Sospirò a quel pensiero e accelerò il passo. Giunta alla sommità della collina, notò i due cavali legati alla staccionata poco fuori dalla forgia.
Ebbe un tuffo al cuore pensando che fossero clienti. Erano i primi da almeno quattro lune, se si escludevano i pochi abitanti di Cambolt che avevano portato padelle e tegami da far riparare.
Quando notò il marchio con la stella a quattro punte sulla sella, il suo umore cambiò di colpo.
“Chernin” sibilò, lo sguardo accigliato.
Marciò decisa verso la forgia, dove un uomo alto e calvo e un altro dal fisico imponente quasi come quello di suo padre sostavano fuori dall’ingresso.
“È una buona offerta” stava dicendo il tizio calvo.
Valya lo conosceva bene. Lo aveva visto più volte al villaggio, mentre si aggirava tronfio per strada quasi aspettandosi la riverenza degli altri abitanti.
La voce di Myron Chernin era bassa e roca, ma poteva udirla senza difficoltà. “Dovresti prenderla in considerazione, Simm.”
“Ti ho già detto che” iniziò a dire suo padre. Gli occhi di lui corsero a Valya. “Per gli inferi, che cosa ci fai lì?”
Valya sobbalzò e quasi fece cadere la sacca piena di pane. “Ero appena tornata.”
Chernin e l’altro le gettarono una rapida occhiata.
“Entra subito in casa” disse Simm.
“Ma io” fece per protestare.
“Vai” disse suo padre alzando la voce.
Valya sbuffò e andò via trascinando i piedi fino a riempire di terriccio gli stivali di cuoi marroni. Appena fu lontana una ventina di passi dalla forgia corse verso casa e spalancò la porta. Gettò la sacca col pane su di una sedia e si arrampicò sulla scala di legno che portava alla soffitta. Da qui spalancò la finestrella che dava sul cortile e con un balzo fu sul tetto di legno coperto di paglia. Muovendosi in bilico sul cornicione balzò verso il muretto della forgia e si arrampicò sulle assi di legno che sporgevano, entrando nel sottotetto attraverso un’apertura dalla quale passava di poco.
Eppure, fino all’anno scorso ci entravo senza problemi, pensò.
Anche la tunica e la gonna leggera che aveva indossato due inverni prima non le andava più e la signora Roxley le aveva insegnato come sfruttare il tessuto in eccesso per allargare quei vestiti e farli durare un altro anno.
“Stai crescendo” le aveva detto durante una delle lezioni di cucito. “Quanti anni hai detto di avere?”
“Quindici” aveva risposto. “Ma fra due lune ne avrò sedici.”
Da quel giorno erano passate cinque Lune e lei aveva compiuto gli anni poco prima della fine dell’inverno, quando le giornate avevano iniziato ad allungarsi.
La voce di Myron Chernin la riportò al presente. “Ti conviene accettare, Simm. Sei pieno di debiti e se non paghi un giorno o l’altro manderanno le guardie da Faerdahm per farti arrestare e tua figlia finirà a fare la serva.”

Note
Ed eccoci qui per una nuova avventura.
Stavolta non vi anticipo niente sulla trama, a parte il fatto che si tratta di una storia ambientata nello stesso universo di Joyce e che si svolge contemporaneamente. Potete leggere Valya senza mai aver letto Joyce e viceversa, ma io vi consiglio ovviamente di leggere prima Joyce perché questa avventura spoilera la prima parte e il finale, ma la scelta spetta a voi.
Buona lettura!

Prossimo Capitolo Giovedì 4 Giugno




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