Mycroft entrò nel Diogene club con passo deciso
accompagnandosi col fidato ombrello. Indossava un impeccabile abito blu con
cravatta a righe, bloccata da un elegante fermacravatta dorato. La catena
lucente dell’orologio dondolava a ogni passo, adornava il gilet abbottonato con
cura. Stringeva una ventiquattrore di pelle nera con le sue iniziali. Mycroft
non lasciava niente al caso. Amava i particolari, lo rassicuravano. Il
frequentare questo posto silenzioso lo appagava, lo fortificava. La solitudine
era una compagna costante e lui non la respingeva, la blandiva e a volte la
cercava fortemente. Raggiunse lo studio, vi entrò e richiuse la massiccia porta
di legno. Le vecchie poltrone di cuoio erano lucide per il troppo uso ma erano
un tutt’uno con l’enorme libreria che sembrava lì da secoli, perfettamente in
ordine. Mycroft non avrebbe mai potuto stare in una stanza asimmetrica ogni
cosa doveva avere un senso. Si verso del brandy e attese l’arrivo di Johnn.
Sherlock era ufficialmente morto da sei mesi. Ne era
convinto anche il buon dottor Watson. La farsa che avevano montato aveva
funzionato. Che cosa assurda! Come pensava che lui, Mycroft avrebbe potuto
sopravvivere al dolore della perdita del fratello. Avrebbe rivoltato tutta l’Inghilterra
per proteggerlo, usando tutto il suo potere. Mycroft aveva ideato con Sherlock
la sua prematura dipartita, contro un Moriarty accanito e spietato. Avevano
considerato altre soluzione, ma nessuna metteva al sicuro le persone a cui
Sherlock teneva, soprattutto John. La parte più dolorosa, per Sherlock, era
stata la decisione di tenerlo all’oscuro di tutto per non correre il rischio di
perderlo. Doveva essere una messinscena perfetta. Se John ci avesse creduto, la
morte di Sherlock sarebbe stata definitiva. Mycroft aveva fatto la sua parte
recitando la figura del fratello delatore. Moriarty alla fine era stato
beffato.
Gli era costato molto quello sì, l’allontanamento di
Sherlock per parecchio tempo per smantellare l’organizzazione di Moriarty, già
di per sé pericolosa. Ma Mycroft era sempre, maniacalmente, costantemente
informato dei movimenti di Sherlock.
Monitorava la vita dei genitori, che sapevano della finta
uscita di scena del figlio più giovane. Sherlock aveva insistito tanto. Pensava
fosse un dolore troppo grande per loro, così Mycroft aveva accettato.
Ma John no, lui aveva subito la perdita più grande. Il
distacco dal suo migliore, sociopatico amico. Mycroft aveva evitato a lungo di
incontrarlo, era incapace di mostrare un finto dolore che non provava, temeva
di insospettirlo.
Mycroft si sentì in colpa, si passò una mano nervosa sul
volto. Mentre con l’altra stringeva forte il bicchiere. Eppure sapeva che John
era stato in pericolo, tutto sommato era stata la scelta più razionale.
Non sapeva perché John volesse vederlo dopo tutti quei mesi.
L’aveva discretamente sorvegliato, come aveva promesso a Sherlock. Sapeva che
frequentava una persona. Una donna che faceva l’infermiera presso il suo studio
medico e la storia sembrava funzionare. Insomma mostrava di aver superato
almeno in parte la perdita di Sherlock.
I suoi pensieri furono interrotti dai passi che arrivavano
dal corridoio. Era John, bussò con la solita irruenza ed entrò. Non era
cambiato il buon dottore, ma si era fatto crescere i baffi. Non sarebbero
piaciuti a Sherlock, considerò divertito Mycroft che appoggiò il bicchiere sul
tavolino. John si sedette di fronte a lui nella lucida poltrona di pelle.
“Mycroft, quanto tempo, non ci siamo più visti dopo che
Sherlock, beh, insomma..” cominciò John.
“E ’Morto? Tutti muoiono John, bisogna accettare la
condizione umana.” Mycroft sollevò le sopracciglia cercando di dissimulare al
meglio.
“Detto da te Mycroft , che di umano hai poco..Era tuo
fratello dopotutto e mi sembra di non osservare un minimo di dispiacere, in
te.” John si avvicinò rabbioso a Mycroft . “Cosa ti prende, lo seguivi giorno e
notte, mi raccomandavi di sorvegliarlo e adesso ti trovo qui indifferente e
pure sereno. Non che mi aspettassi di trovarti disperato ma almeno un minimo di
dispiacere. Non è da te Mycroft, ce qualcosa che mi infastidisce.”
“Perché non dimostro il mio dolore in modo teatrale, non
vuol dire che non amassi mio fratello”
Mycroft era in difficoltà perché non gli riusciva di
mentire a John dimostrando un dolore che non aveva poiché Sherlock era vivo.
Così evitava di guardare John negli occhi temendo che leggesse il suo
imbarazzo. Decise di alzarsi e cambiare visuale. Ma John aveva notato che
Mycroft sembrava a disagio e lo seguì, piazzandosi davanti a lui.
“Tu mio caro Mycroft Holmes, stai giocando con John Watson,
che ti conosce da un po'. Tu mi stai mentendo, tu nascondi qualcosa che non
riesci a mascherare. E’ da tanto che ci penso. Non eri al funerale, né al
cimitero, né mai sei venuto a Baker Street. Non hai cercato conforto con le
persone che erano care a tuo fratello.” John era furente, stava perdendo la
pazienza.
Mycroft si allontanò indietreggiando, prendendo tempo e
finalmente lo fissò negli occhi. Era sconfortato di non essere riuscito a
convincere John della fine prematura di Sherlock e decise che forse la
sincerità se la meritava, quell’uomo così determinato che nemmeno davanti al
corpo steso sul marciapiede insanguinato, sembra più credere.
“Vuoi colpirmi John? potrei anche lasciartelo fare, visto
quello che ti abbiamo combinato”. Mycroft stavolta aveva deciso di dirgli la
verità sapendo di subirne le conseguenze. E si preparò.
“E’ vivo” disse alla fine. “Sherlock è vivo. Hai ragione
John sono un pessimo attore, per quello ho cercato di non incontrarti mai.” A
quelle parole John reagì con rabbia.
Mycroft fu colpito da un pugno diretto al volto che lo fece
barcollare fino alla libreria. Gli sanguinava il labbro, ma non accennò a
nessuna reazione, aveva lasciato perfino il suo amato ombrello da difesa
appoggiato alla poltrona. Se lo aspettava e John aveva ragione. Ora si sarebbe
calmato e avrebbe potuto spiegargli tutto.
John si pentì immediatamente della sua impulsività, vedeva
Mycroft subire la sua violenza rassegnato, e sembrava capire il suo stato d’animo.
Ma John non si scusò. Lo incalzò subito
“Perché mi avete mentito, hai idea di quello che ho passato
in questi mesi. Perché non dirmelo. Alla fine non riesco a togliermi dalla
testa che l’artefice sai stato tu, conoscendoti.” John era pericolosamente
vicino a Mycroft che non indietreggiò. Resse lo sguardo e cominciò a parlare
con calma.
“Sai che Moriarty voleva bruciare la vita di Sherlock. Cosi
gli proposi un’uscita di scena che avrebbe messo tutto a posto. La sua morte.
Sherlock sapeva che non aveva alternative così inscenammo tutta una serie di
fatti che avrebbero portato alla conclusione che hai visto. Moriarty minacciava
la tua vita, aveva piazzato tiratori sul palazzo. Se Sherlock non si fosse
buttato tu saresti morto, tutti quelli che gli erano cari sarebbero stati
colpiti. Inscenammo così quello che hai visto Sherlock doveva morire per salvare
voi. E la condanna fu il silenzio. Una colossale bugia. Spero che potrai capire
che lo ha fatto per proteggerti. Poi è partito sotto copertura per l’Europa a
smantellare l’organizzazione di Moriarty ed è lì che si trova”. Mycroft chinò
il capo silenzioso, mentre una piccola goccia di sangue gli macchiò la camicia
bianca.
John si sentiva vinto, messo all’angolo. Si fermò esitante
per pochi attimi. Poi prese il fazzoletto e lo porse a Mycroft che si tamponò
il labbro ferito. Si girò andò al tavolo, versò del brandy per tutti due e
glielo portò.
“Mi dispiace di averti colpito,
però te lo meritavi. Sai essere esasperante te lo garantisco. Bevi adagio la
ferita brucerà. E comunque avrei colpito anche Sherlock, molto di più.” John
sembrava aver ripreso il controllo.
Mycroft si sentì leggero benché gli
dolesse il labbro, pensò che ne era valsa la pena. Avrebbe avvertito Sherlock,
che John sapeva la verità. Era sicuro che sarebbe stato contento. Mycroft si
ricompose senza fretta, cercò di nascondere la macchia di sangue sotto la
cravatta. Smisero di affrontarsi e uscirono insieme dallo studio in silenzio,
camminando vicini. Mentre una nuova consapevolezza avvolgeva John. Avrebbe
rivisto Sherlock quando sarebbe tornato. Probabilmente avrebbe preso a pugni anche
lui. Ma era molto meglio che pensarlo morto.