Tra fumanti rovine e speranze distrutte

di SaraFantasy98
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Il fumo sale a grandi spire dalla città distrutta. Scuro. Soffocante. Così incredibilmente reale da stridere con la consapevolezza, ancora non ben radicata nella giovane superstite, che Troia semplicemente non esiste più.
Camminando per le strade, circondata dalle rovine annerite delle case, Anticlea piange: l’unico mondo che conosceva, la sua città, è andato perduto per sempre.
Lei è sola. Sua madre l’aveva fatta uscire di casa durante l’attacco, l’aveva fatta scappare. E per impedire che i greci la seguissero si era fatta ammazzare da un fendente di spada. Suo padre era corso fuori in armi non appena si era reso conto del pericolo che correva la sua patria. Non era più tornato. Perduto insieme agli altri, senza dubbio. Un corpo lacero e senza nome come quello dello stesso re Priamo: la sua nobiltà non lo aveva salvato dalla morte dei miseri, né dalla vendetta di Neottolemo.
Il cavallo, beffardo, si erge fumante anch’esso dalla rocca sacra, un ghigno maligno sul muso ligneo. “Come abbiamo fatto a non accorgercene prima?” pensa Anticlea scrutando quelle fattezze e il ventre squartato, la corda che penzola dal fianco aperto e quelle ruote sotto alle zampe che suo padre stesso aveva contribuito a posizionare mentre lei danzava felice assieme agli altri fanciulli sulla sabbia fuori dalle mura, sul lido finalmente sgombro dalle navi nemiche, toccando con le mani le corde di stoppa legate al collo della bestia per trascinarla oltre le porte.
Le parole del sacerdote riprendono a rimbombarle nella testa: “Non fidatevi di un cavallo, Troiani!” Ma loro l’avevano fatto, si erano fidati, e Laocoonte era morto. Stritolato assieme ai suoi figli. Gli dèi avevano già scelto le sorti di Ilio.
Anticlea vaga senza meta, ripercorre le vie che conosce così bene senza sapere che altro fare. Il cielo sopra la sua testa è di un azzurro folgorante, soffici nuvole bianche passano mosse dal vento riflettendosi nei suoi occhi piangenti. Bello come nelle giornate migliori della sua infanzia. “Forse Urano ancora non sa quello che è successo, altrimenti non si sarebbe vestito a festa.” Ma questo giorno è una festa, la festa dei greci vittoriosi che veleggiano verso le loro città e le loro mogli. Verso anni di pericoli per mare e verso tradimenti ed omicidi, in realtà, ma questo la fanciulla troiana non può saperlo.
I suoi piedi scalzi la portano verso la reggia di Priamo, un tempo così bella, ora sventrata e distrutta. Blocchi di marmo scolpiti a bassorilievo giacciono attorno a lei, che con i capelli sciolti e il viso sporco solleva lo sguardo verso quel palazzo ormai perduto. Pensando che un tempo in quella grande casa aveva sognato di viverci assieme ad uno dei figli del re.
Guidata da un qualche istinto Anticlea passa oltre le soglie semicrollate della reggia, percorre grandi sale e porticati schivando meglio che può i cadaveri sparsi ovunque e le pozze di sangue ormai secco.
Gira Anticlea, danza tra le colonne di pietra e tra i cocci dipinti, tra statue bianche e speranze in frantumi, immersa in un silenzio di tomba, mentre attorno a lei, nelle sue orecchie, gli spettri dei troiani insepolti cantano inni di solitudine e desolazione, odi a città potenti ora ridotte a polvere e ossa, a uomini grandi, immensi, morti per difendere ciò che avevano di più caro, invano. Anticlea non è mai stata così sola, Anticlea non sapeva cosa fosse il dolore prima di questo giorno.
E poi, come distese di fiori nati su terreni brulli e duri, così miriadi di ricordi riemergono dalla sua memoria, avvolgendola e saziandola di malinconia.
Senza smettere di correre, senza smettere di danzare, senza smettere di respirare, Anticlea ricorda. Piange.
Lei e sua madre sotto al grande cipresso fuori dalle mura, a parlare e a guardare l’orizzonte, le offerte al tempio di Demetra, le corse in riva al mare e i bagni nello Xanto, la processione per Apollo a cui aveva assistito dieci anni prima per mano a suo nonno, poco prima che arrivassero i greci, suo padre in armi pronto a combattere l’ennesima battaglia al fianco del grande principe Ettore.
Tutto sparito per sempre, assieme alla sua città e ai suoi dei, assieme ai suoi sogni e alla sua vita. Quella vita che prima le stava stretta e che ora vorrebbe riavere indietro mille volte ancora.
Una grande sala dalle pareti di marmo e una terrazza, cadaveri e sangue, silenzio. Le vele delle navi dei greci ancora visibili in lontananza sul mare.
Anticlea non pensa a cosa fare, non pensa a come sopravvivere ora che è sola, ora che è libera. Una libertà che non avrebbe mai voluto ottenere così. Non a questo prezzo.
Anticlea si siede per terra e ricorda, abbracciandosi le ginocchia, chinando il capo.
Un giorno qualcuno canterà la grandezza di Troia e la sua caduta, di questo è sicura. Ma a lei non sarebbe importato.
Una Ilio di voci e parole non sarebbe mai potuta bastare. Non a lei.




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