「 Broadway,
Boston, 27th January
h. 04:03 p.m. 」
Il suono dell’ultima campanella della giornata risuona ancora
nell’aria, mentre giovani studenti esausti si riversano nel
piazzale all’ingresso del rinomato istituto Cambridge Rindge
and Latine School.
Ragazzi che stringono tra le dita gli spallacci delle cartelle, mentre
un gruppo di loro compagne si allontana compatto, risa che vengono
portate via dal freddo pungente di gennaio.
Caleb picchietta la punta dell’indice sulla sigaretta, una
nuvoletta di fumo che si alza verso il cielo, mentre residui di cenere
svolazzano indisturbati in direzione del suolo, nel loro cadere
così simili a fiocchi di neve.
Tutto sommato, quella davanti ai loro occhi è una scena
pacifica, che a lungo hanno vissuto in prima persona, mentre adesso si
limitano ad essere spettatori di quel teatro.
Uno sbuffo spazientito si leva alle spalle del leader della banda.
«Dobbiamo aspettare ancora molto, Caleb?» cantilena
la voce impigrita di David.
Caleb Stonewall sogghigna malevolo. Detesta il modo in cui i suoi
sottoposti siano incapaci di seguire gli ordini, eppure, in
tutto
ciò, non riesce ad ignorare il divertimento nel rimetterli
in riga ogni volta.
«Cos’è, hai forse paura del giudizio dei
tuoi ex compagni di classe, David?» li ammonisce infatti,
poco dopo, ostentando una divertita crudeltà che non del
tutto gli appartiene. «Se ci tenevi così tanto,
potevi evitare di unirti a noi. Comunque manca poco, ormai.»
David fa roteare gli occhi, per poi sollevarsi il cappuccio della felpa
sulla testa. Joe gli lascia una pacca simpatetica sulla spalla, il che
spinge il turchino ad espirare lentamente e con
un’intensità appena maggiore che in precedenza,
sperando di non scatenare nuovamente le ire del capo della banda.
Ovviamente, però, quel mutamento nel respiro di David non
passa inosservato a Caleb.
«E, per la cronaca, mi pare che vi avessi chiesto di restare
in silenzio –
o
sbaglio?» domanda, a tal proposito,
di lì a breve.
«Non ho parlato!» si difende David, gli occhi color
ruggine che scintillano ricolmi di stizza.
«Ora no, ma poco fa sì, idiota» lo
rimbecca Caleb, senza perdere l’occasione. «Adesso
non è il momento di occuparci di questo, ne riparleremo una
volta alla tana.»
Il ragazzo si volta per un momento in direzione dell’ingresso
e, non appena i suoi occhi incontrano la figura che stava cercando, una
scintilla d’eccitazione gli attraversa lo sguardo.
Eccola lì, eterea la sua presenza, i capelli lilla che
ondeggiano lentamente a ritmo del vento, mentre il freddo le fa subito
arrossare le guance. Ha una sciarpa sottile avvolta attorno alla gola
candida, mentre la giacca di tweed fascia con eleganza le sue forme
piccole ma sode, senza soffocarle. Ha un sorriso luminoso che le
splende sul volto, mentre discorre allegramente con una sua compagna di
corso – probabilmente in merito a qualcosa che
dev’essere avvenuto durante quella mattinata di lezioni.
«È lei» annuncia Caleb, in tono conciso.
Avverte distrattamente i suoi compagni affilare lo sguardo e allungare
il collo in direzione dell’ingresso, ma non ci fa caso. Ormai
è perso nei suoi pensieri: si chiede come potrebbe essere se
adesso, al posto di quella ragazza, potesse esserci lui, ad ascoltare i
suoi racconti, a ridere con
lei.
Immagina il dorso della sua mano che,
con un gesto casuale, sfiora il tessuto candido del vestito che
indossa, sotto la giacca blu. Può quasi sentirne la
morbidezza tra le dita, e questo potrebbe bastare a farlo impazzire
completamente.
Perché sì, ormai Caleb è consapevole
di star perdendo del tutto il senno della ragione, eppure non
è convinto che la cosa gli importi. Quando ha deciso di
mettere su quel gruppo di giovani scapestrati si era imposto di
lasciare fuori i sentimenti, di non farsi coinvolgere
sentimentalmente da niente e da nessuno.
E poi aveva incontrato lei.
«Beh, cavolo, è carina, capo!» commenta
Joe, accompagnando la frase con un fischio di approvazione.
«Certo che è carina, dubitavate forse del mio
gusto in fatto di ragazze?» replica Caleb, con
un’espressione soddisfatta, mentre si rimette in piedi.
Nel frattempo, la ragazza dalla chioma violetta è sparita
tra la folla.
David si lascia sfuggire un nuovo sospiro annoiato, ancora seduto sui
gradini di pietra dell’ex biblioteca, situata proprio davanti
alla scuola che frequentava con assiduità, fino a pochi mesi
prima.
«Bene, l’hai vista, possiamo andare,
adesso?» domanda, di lì a breve. «Fa
freddo.»
«Però quando siamo con lo skate alla ferrovia
abbandonata non lo senti il freddo, eh?» lo provoca Caleb.
Tuttavia, per evitare la successiva replica lamentosa di David che
già immagina – qualcosa del tipo “Il
freddo non lo sento perché con lo skate faccio
movimento!” – si affretta a
concludere:«Ad ogni modo, l’avete vista. Ora
possiamo andare»
Sente distintamente David mormorare alle sue spalle “Era
ora!”, tuttavia Caleb decide di non prestarci troppa
attenzione, non subito perlomeno. Avrà modo di occuparsene,
una volta tornati alla tana, abbondando ancora una volta con
l’alcol sulle sue ferite.
Sorprendentemente, però, non è David la prima
persona ad alzarsi, subito dopo di lui.
«Io devo entrare a recuperare una cosa che ho lasciato nel
mio armadietto, l’ultima volta» annuncia una quarta
persona, il cappuccio scuro calato sul volto.
Caleb si volta nella sua direzione, un’espressione dubbiosa
stranamente dipinta in viso.
«Uhm?» domanda infatti, confuso. «Va
bene, basta che ti muovi.»
La figura col cappuccio annuisce, per poi scendere in fretta i gradini
e schizzare verso la scuola. Gli altri tre, invece, restano ad
attenderlo all’ingresso, piuttosto sicuri del fatto che il
loro compagno abbia appena rifilato loro una balla colossale.
Jude è consapevole del fatto che gli vengano lasciate tutte
quelle libertà solo perché è il vice
leader, ma in fin dei conti gliene importa relativamente poco.
Finché questo gli avesse permesso di ricevere i vantaggi di
cui aveva bisogno, non vedeva il motivo per cui avrebbe dovuto
preoccuparsi.
I suoi passi veloci riecheggiano nella tromba delle scale, mentre
percorre uno ad uno quei gradini che conosce così bene.
Arrivato al pianerottolo del primo piano gli sfugge un salto sul posto,
evidentemente per salire aveva preso uno sprint troppo veloce, dunque
si affretta a recuperare una certa compostezza, per poi avviarsi lungo
il corridoio centrale, con passo sempre svelto ma adesso decisamente
più adagio.
Mentre cammina, getta furtivamente uno sguardo a destra e a sinistra,
controllando che tutte le aule siano vuote. Rivedere quei banchi, che
fino a qualche giorno prima lui stesso occupava, è un vero
pugno allo stomaco, tuttavia il ragazzo cerca di concentrarsi su
qualcos’altro.
Sta giusto per raggiungere l’ultima aula del piano, ma di
colpo Jude è costretto a rallentare,
quando ha ormai superato la penultima classe già di qualche
passo. Torna indietro, non è sicuro di aver visto bene,
eppure ben presto i suoi dubbi trovano conferma.
Il professor Dark è lì, le maniche della sua
camicia bianca arrotolate fino ai gomiti, gli occhiali da riposo dalle
lenti tondeggianti, piccole, sottili e trasparenti poggiati sul naso.
È immerso nella lettura di un compito,
probabilmente
non si è neppure accorto del suono della campanella.
Jude entra con impeto nella stanza, facendo trasalire l’uomo.
«Jude…!»
«Dobbiamo parlare.»
「 Broadway,
Boston, 2nd October
h. 09:47 a.m. 」
«Ricordami perché lo sto facendo, ti
prego.»
Caleb si trascina dietro due secchi di vernice, con aria svogliata.
Davanti a sé, Jude procede spedito, stringendo tra le dita
il manico di un singolo recipiente, apparentemente senza alcun tipo di
sforzo. Il ragazzo si volta di scatto, con un ampio sorriso sul volto.
«Riqualificazione dell’edificio.» Jude
riattacca con la solita solfa, e probabilmente Caleb vorrebbe
ammazzarlo per questo. «L’amministrazione cittadina
ha messo a nostra disposizione dei nuovi edifici, che possiamo usare a
scopo didattico. La scuola ci permette di usufruirne, a patto che a
sistemarli siamo noi studenti.»
Caleb si arresta sul posto, poggiando i secchi a terra solo per potersi
schiaffeggiare la fronte con una mano.
«Dio, Jude, essere fidanzato con
quello ti ha fritto
definitivamente il cervello al punto che hai iniziato a parlare come
una circolare?» gli domanda poco dopo, con un sorrisetto
cinico.
Jude si limita a fulminarlo con lo sguardo, per poi voltare il capo in
direzione dell’ingresso dei locali. Ray li attende
lì davanti, in piedi sui gradini di pietra bianca, le
braccia conserte e un sorriso apprensivo dipinto sul volto. Questo
basta a tranquillizzare in un solo istante il ragazzo: ora che
finalmente il nuovo anno scolastico è iniziato, non ha
più niente da temere. È riuscito a far tornare
sulla retta via quegli idioti dei suoi compagni, per cui
l’unica cosa di cui debbano preoccuparsi adesso sono gli
esami di fine anno. Poi dopo, chissà, magari potrebbe
esserci perfino Harvard ad attenderlo.
Il pensiero fa allargare sorprendentemente il sorriso sul volto di
Jude. S’immagina assieme a Ray, in un appartamento
all’interno della città universitaria, alzarsi al
mattino e prendere un cappuccino da sorseggiare in bicchieri di cartone
lungo la via dell’ateneo, parlando nel mentre del
più e del meno. È ancora indeciso su quale
facoltà frequentare, e lui e Ray devono definire ancora
alcuni dettagli – ad esempio se l’insegnante si
presenterà all’università in veste di
docente o di ricercatore –, tuttavia Jude è certo
che insieme riusciranno a risolvere qualsiasi problema. Già
in passato sono stati in grado di superare un ostacolo non da poco come
quello della banda, per cui in confronto questo dovrebbe essere un
gioco da ragazzi.
Caleb riprende a camminare, così a Jude non resta altro da
fare che seguirlo; in realtà, poco dopo, entrambi sono
costretti a fermarsi nuovamente, poiché hanno ormai
raggiunto la loro meta. Insieme ad altri ragazzi, infatti, dovranno
occuparsi di ritinteggiare la facciata esterna del nuovo edificio.
Un’impalcatura in tubi d’acciaio è posta
alla loro destra, e su di essa è stata posata una tavola in
legno: serve principalmente come sostegno, infatti alcuni ragazzi ne
hanno approfittato per poggiarvi sopra alcuni pennelli già
pregni di pittura.
Caleb si inginocchia a terra, aprendo con un solo rapido gesto il
secchio di vernice; il ragazzo osserva il colore con
un’espressione leggermente contrariata in volto.
«Che schifo questo celeste, è troppo
chiaro» brontola, diffidente.
Jude, nel frattempo, recupera un pennello, facendolo muovere
nell’aria con una rotazione del polso. «Come se
l’avessi scelto io» ribatte, poco dopo, spostando
il peso del corpo da un piede all’altro, con fare
canzonatorio.
Caleb sbuffa, come se una mosca fastidiosa gli stesse ronzando attorno,
tuttavia decide di non dare soddisfazione a Jude, così si
limita a non raccogliere la sua provocazione e a immergere il proprio
pennello nella pittura.
Jude, d’altro canto, sorride soddisfatto: un tempo Caleb non
avrebbe perso tempo per raccogliere quella lieve punzecchiatura e
trasformarla in un valido motivo per attaccare briga; ora, invece,
sembra aver capito che non è più tempo per quei
giochi.
In effetti, in quell’ultimo periodo pareva che Caleb fosse
molto maturato, e di questo Jude non può che esserne lieto.
È piuttosto sicuro che quel cambio radicale di atteggiamento
sia dovuto all’influenza benevola che Camelia riesce ad avere
sul
proprio ragazzo, tuttavia Jude decide di non infierire oltre: in fondo,
quella momentanea calma non gli dispiace affatto.
Il ragazzo si affretta ad imitare l’amico, immergendo a sua
volta il pennello nella vernice e iniziando a passarlo sul vecchio muro
scrostato dell’edificio. Jude riflette in fretta che quella
è un’attività piuttosto rilassante:
stancante a lungo andare, certo, eppure mentre il pennello prosegue
lungo le sue traiettorie lui può dedicarsi nel frattempo a
ben altri pensieri. Finisce infatti per andare avanti a memoria, le sue
mani che si muovono in automatico, mentre volta la testa di lato e gli
occhi si puntano sulla figura di Ray. L’uomo, al momento,
è impegnato a supervisionare tutte le varie
attività in corso nel piazzale, tra le mani il progetto
delle lavorazioni. È, apparentemente, soprappensiero, gli
occhi persi in quelle carte. Jude si domanda quante altre volte
l’abbia visto così, assorto, perso nella lettura
di qualcosa, eppure si ritrova ad ammettere a sé stesso che,
con ogni probabilità, non si stancherebbe mai e poi mai di
osservare quella scena.
Un colpo alla testa arriva a destarlo dai suoi pensieri poco dopo.
Caleb lo osserva, un’espressione divertita dipinta in volto.
«Stavi per finire col pennello nella mia porzione di
muro» lo schernisce, talmente trova esilarante la situazione
in cui ora si trovano. «Che c’è, stavi
forse pensando a qualcos’altro?»
Le guance di Jude si colorano appena di rosso, tuttavia il ragazzo
tenta comunque di dissimulare il proprio imbarazzo.
«Ti sbagli» ribatte infatti, poco dopo.
«Mi sono solo distratto un po’, tutto
qui.»
Caleb si china in direzione di Jude, rendendo più basso il
suo tono provocatore, affinché la loro conversazione non sia
udita dagli altri ragazzi presenti.
«Te l’ho sempre detto che sei pessimo a raccontare
balle» lo ammonisce infatti, prontamente. «Che
dici, ce la fai a staccare gli occhi di dosso dal tuo prof
sì o no?»
Jude sgrana gli occhi, metà tra la sorpresa e
l’indignazione, salvo poi lasciar prevalere
quest’ultima: intinge rapidamente il pennello nella vernice,
per poi tracciare una linea cerulea lungo l’avambraccio di
Caleb.
Per un breve istante, la stessa espressione che poco prima si era
formata sul volto di Jude compare anche su quello di Caleb;
prevedibilmente, tuttavia, quest’ultimo finisce per ripetere
la stessa azione dell’amico, cancellando il sorriso fiero che
già si era impadronito delle labbra dell’altro.
Quella piccola scintilla, in maniera piuttosto ovvia, finisce per
scaturire una breve quanto intensa battaglia tra i due ragazzi, senza
vincitori né vinti e con l’unico risultato per
entrambi di un disastroso pasticcio di colori sulla loro pelle.
Perlomeno, nel mentre, sul volto di entrambi torna il sorriso, ecco
perché Ray non sembra affatto intenzionato a fermarli: dopo
tutto quello che avevano dovuto passare nei mesi precedenti,
è il minimo che possano finalmente divertirsi un
po’.
Per il resto, la mattinata prosegue in fretta e tranquillamente, senza
ulteriori colpi di testa di Jude e Caleb né di altri
ragazzi. Per l’ora di pranzo, ormai, almeno metà
della prima facciata è stata abbondantemente tinteggiata, e
sia i ragazzi che gli insegnanti che supervisionano
l’andamento delle attività sembrano piuttosto
soddisfatti del risultato.
A breve ci sarà la pausa pranzo, perciò gli
studenti, che iniziano ad avvertire la stanchezza dopo tutte quelle ore
di tinteggiatura, lasciano andare i loro pennelli sui muri con molta
meno lena che in precedenza.
Proprio in quel momento, tuttavia, la campanella che determina la fine
delle lezioni della mattina risuona nell’aria, facendo
sì che le teste di tutte le persone presenti nel piazzale si
voltino in direzione dell’ingresso. Le prime classi iniziano
ad uscire da lì a breve, giovani del primo anno che,
finalmente liberi dalle lunghe ore di lezioni, si lasciano sfuggire
sbadigli o profondi sospiri di sollievo.
Gli occhi di Caleb saettano tra la folla, vagando da una parte
all’altra alla massima velocità, senza mai
fermarsi. È evidente che stia cercando qualcuno, senza
però – almeno all’apparenza –
trovarlo.
Quando anche gli ultimi studenti sono scesi giù dai bianchi
scalini marmorei, lasciando l’ingresso vuoto – se
non per la bidella che si appresta a chiudere il portone –
Caleb abbassa lo sguardo, sconsolato.
«Sono giorni che Camelia non si presenta a scuola»
ammette, prima che Jude possa chiedergli qualsiasi cosa.
Il ragazzo si sente in effetti preso un po’ in contropiede;
l’assenza di Camelia è un fatto strano, di solito
la ragazza è così diligente che verrebbe a scuola
perfino con la febbre. Jude si rende conto che, tuttavia, probabilmente
deve essersi sentita poco bene, non riesce ad immaginare un altro
motivo per cui si sarebbe potuta assentare. Resta comunque una
circostanza alquanto bizzarra: se davvero non si fosse sentita bene
avrebbe avvisato Caleb, no?
Jude si sente però in dovere di rassicurare
l’amico; poggia perciò una mano sulla sua spalla,
rivolgendogli un sorriso incoraggiante.
«Vedrai che sarà tutto a posto» commenta
infatti. «Magari è solo un po’
raffreddata e ha preferito non venire a scuola per non contagiare i
suoi compagni. In ogni caso puoi sempre chiamarla per sentire come sta,
no?»
Caleb si limita a sorridere mestamente, annuendo appena, lo sguardo
ancora basso. Jude è il primo a non sentirsi convinto delle
proprie parole, si rende conto tuttavia che non è mai stato
bravo a risollevare il morale agli amici.
Lancia uno sguardo in direzione di Ray. Lui se la sarebbe cavata
sicuramente meglio, in una situazione del genere – Jude ha
ormai perso il conto delle volte in cui l’uomo gli ha
fatto tornare il sorriso. Eppure questa volta, quando i loro occhi si
incontrano, legge in quelli del professore solo una cieca
necessità di parlargli.
E, apparentemente, quelle che ha da dargli non sono buone notizie.
per poi inoltrarsi nelle tenebre insieme agli altri due.