「 Beacon
Hill, Boston, 2nd October
h.
05:59 p.m. 」
Per poco Jude non finisce per strozzarsi con il cappuccino che sta
sorseggiando.
La clientela di Starbucks fissa leggermente infastidita il loro tavolo:
mentre il ragazzo cerca di riprendersi dalla notizia che ha appena
ricevuto con profondi colpi di tosse, la cannuccia verde che danza
nella grossa tazza che tiene in mano, dalla parte opposta Ray lo
osserva con un’espressione serissima in volto. Detesta avere
tutti quegli sguardi addosso, se potesse uscirebbe da quel locale
seduta stante, anche se non può non comprendere le ragioni
del
suo ragazzo.
Jude posa la tazza di cappuccino alla vaniglia sul tavolino, prendendo
dei profondi respiri e pregando dentro di sé che tutti gli
occhi
che sente ora puntati sulla sua schiena possano finalmente lasciarlo in
pace, tornando ad osservare ciò che era il centro delle loro
attenzioni fino a poco prima – un buon libro, lo smartphone o
più semplicemente la propria bevanda.
Il ragazzo sente le guance in fiamme ed è una sensazione che
detesta, soprattutto perché è piuttosto certo che
non si
siano arrossate per lo sforzo dei colpi di tosse di poco prima e
né, tantomeno, per l’imbarazzo di aver richiamato
su di
sé lo sguardo dell’intero locale.
No, c’è dell’altro –
rabbia,
con ogni probabilità – che non lo lascia in pace,
e Jude
sa bene che l’unico modo in suo possesso per liberarsene
è
affrontarla.
«Dimmi che ho capito male» Jude prega, quasi
implora Ray,
sperando effettivamente di aver captato delle parole distorte, sopra il
suono del risucchio del cappuccino attraverso la cannuccia.
Eppure, a giudicare dall’espressione mesta
dell’uomo, la situazione lascia ben poco spazio ai dubbi.
«Vorrei poterlo fare» ammette Ray, con un sospiro
affranto,
«eppure, se lo facessi, ti mentirei, e credimi se ti dico che
è l’ultima cosa che desidero.»
A quelle parole, la desolazione più pura riempie gli occhi
del
ragazzo, che si limita a prendersi la testa fra le mani, disarmato.
«No, no, no…» mormora, incredulo. Tira
un sospiro profondo, cercando di rimettere a posto le idee.
«Non ce l’ho con te» esordisce infatti,
di lì
a poco, sperando che i suoi pensieri abbiano un minimo senso logico.
Generalmente Ray è l’unica persona in grado di
mettere in
ordine il caos che c’è nella sua testa, invece
questa
volta si trova in forte difficoltà. «Non
è una cosa
di cui io ti possa biasimare, dopotutto… nessuno avrebbe
immaginato che sarebbe potuto succedere nulla del genere.
Tu…
quando l’hai saputo?»
«Poche ore fa, ahimé» ammette
l’uomo,
intrecciando le mani sopra al tavolino. «Avrei voluto
potertelo
dire prima, ma eri così preso dai lavori assieme agli altri
ragazzi, e poi sembrava che ti stessi divertendo così tanto
e
io… non volevo guastare quel clima di festa, ecco.»
Jude tiene tra due dita la cannuccia, facendola roteare lungo la
circonferenza della sua tazza di cappuccino. Il caffè nero e
amaro di Ray, invece, è rimasto ormai abbandonato
dall’altro lato del tavolino e, apparentemente, il professore
non
sembra intenzionato a mettervi mano a breve.
Perlomeno, le persone intorno a loro sono tornate ad occuparsi delle
loro precedenti attività e non badano più a
ciò
che si stanno dicendo. Meglio così, valuta Jude: sa
già
che quello che sta per chiedere metterà Ray in forte
imbarazzo,
se avessero addosso pure l’attenzione di tutte le persone
presenti nella sala laterale del locale sarebbe davvero la fine.
«Quindi…» Jude scandisce ogni singola
parola con
voce lenta e bassa, sforzandosi affinché l’unico
in grado
di sentirlo sia Ray. «Il Cambridge Rindge and Latine School
ha un
nuovo preside. Che tu conosci. E lui conosce te,
perché…
avete avuto una relazione al tempo del college.»
Le guance di Ray s’imporporano, e Jude può giurare
di
poter contare sulla punta delle dita le volte in cui ha visto succedere
una cosa del genere. Potrebbe perfino sorridere, se solo non si
trovassero in quella situazione così assurda.
«S-sì» Ray fissa le proprie dita
intrecciate, con
aria grave. «Cioè… non era propriamente
una
relazione
sana,
però diciamo che tra noi è successo qualcosa,
quello sì, senza ombra di dubbio.»
Jude si lascia sfuggire un sospiro pesante. Se dovesse definire tutta
quella circostanza con una sola parola, non avrebbe esitazioni
nell’utilizzo del termine ‘paradossale’.
Il ragazzo
si porta una mano alla fronte, massaggiandosi le tempie con forza.
Sostenere quella conversazione è piuttosto complesso, si
rende
conto tuttavia che è una cosa che deve fare.
«E… perché me lo stai dicendo
adesso?»
domanda, sempre più perplesso in merito alla piega che quel
discorso sta prendendo.
Stavolta a sospirare è Ray; in effetti quella discussione
è faticosa da portare avanti per entrambi, tuttavia sa che
ad
affrontare certi nodi sul proprio passato deve essere lui in prima
persona.
«Perché era giusto che lo sapessi»
ammette infatti.
Allunga una mano sopra il tavolo, lasciando scivolare le dita di Jude
tra le sue. All’inizio il ragazzo si mostra piuttosto
diffidente
a quel contatto – e Ray non può non capirlo,
soprattutto
dopo quello che gli ha appena detto –, tuttavia ben presto si
lascia andare a quel tocco carezzevole, concedendo all’uomo
di
sfiorare il suo palmo. «Avrei detestato l’idea che
tu
potessi venirlo a sapere da qualcun altro. Voglio essere sincero con te
al cento per cento, lo sai. E poi… non sopporterei la
possibilità che tu possa di nuovo smettere di rivolgermi la
parola perché ho omesso di parlarti di un capitolo della mia
vita che considero ormai concluso da molto tempo.» Ray
sospira a
fondo, permettendosi solo in quel momento di sollevare lo sguardo e di
incontrare quello del suo ragazzo. Temeva di leggervi dentro tanta
rabbia, invece vi trova solo un mare di confusione, che Ray non vede
l’ora di dissipare. «Infine, e questo è
il motivo
principale per cui ti ho chiesto di parlarne, ho paura che possa
scoprire della nostra relazione e usarla contro di noi.»
Se possibile, Jude sembra adesso ancor più confuso di prima.
«Che intendi?» domanda infatti poco dopo al suo
amato.
Ray sorride debolmente – e Jude riconosce che quello
è un sorriso
triste
–, continuando ad accarezzare le dita del ragazzo.
«Vedi… ci troviamo davanti ad una persona molto
subdola,
Jude. Negli anni che ho trascorso al college non ha mai perso occasione
per sottolineare quanto io fossi inferiore a lui, umiliandomi in ogni
modo possibile. Credo che tragga piacere nell’infliggere
dolore
agli altri e, in particolar modo, a me. Non lo dico come una forma di
vittimismo, mi baso piuttosto su quanto ho potuto vedere nel corso
degli anni. Per questo, penso di poter affermare piuttosto con certezza
che, qualora si ritrovasse tra le mani un modo per distruggermi, non
esiterebbe nemmeno per un secondo prima di metterlo in atto. Ed
è qui che entri in scena tu.»
Finalmente i tasselli iniziano a mettersi in ordine nella mente di Jude
e, per quanto fino a un momento prima desiderasse così
disperatamente capire quale disegno stesse tracciando Ray davanti ai
suoi occhi, ora che finalmente comprende il senso di quel
discorso
vorrebbe poterlo cancellare via con una gomma.
Dubita tuttavia che questo possa essere possibile.
«Se venisse a conoscenza della nostra relazione, non
perderebbe
tempo per minacciarti o rovinarti per sempre la carriera»
conclude il ragazzo, desolato.
«Già» conviene Ray, continuando a
sorridere tristemente.
Jude sospira pesantemente, ritraendo la propria mano dalla stretta di
quella di Ray. Si porta entrambi i palmi al volto, affondandocelo
dentro. Cercare di dare un senso razionale a tutta quella discussione
sembra ormai una possibilità estremamente remota.
«La cosa che più mi preoccupa, sinceramente, al di
là del mio lavoro come insegnante e tutto il resto,
è
ciò che questa storia potrebbe significare per te»
ammette
Ray, rammaricato. «Non voglio che si vengano a creare di
nuovo
dei problemi con la tua famiglia, Jude. L’anno scorso hai
avuto
continue discussioni con tuo padre per via della banda, ti eri perfino
allontanato dalla scuola… non deve ricominciare tutto
daccapo.»
«E allora questo che significa?» la voce di Jude
trema,
sembra essere sul punto di spezzarsi. «Che non possiamo
più frequentarci, che dobbiamo restare
lontani…?»
«Beh… no. Non necessariamente, almeno»
Ray sorride
debolmente, cercando di recuperare un contatto con le dita del ragazzo.
«Significa solo che dobbiamo stare un po’
più
attenti. Il che vuol dire che a scuola dovremo mantenere un
atteggiamento estremamente formale, ancor più di quanto
già facciamo, comportandoci per quelli che siamo,
ossia un
insegnante e un allievo. Ci limiteremo a parlare solo lo stretto
necessario, durante le lezioni, come abbiamo fatto quasi sempre. Quando
saremo da soli, invece, potremo continuare a baciarci e
quant’altro tranquillamente, facendo però
attenzione che
nessuno legato alla scuola ci veda. Lo so, è tutto
così
assurdo, ma non sono riuscito a trovare una soluzione migliore di
questa…»
La voce di Ray si affievolisce lentamente, mentre
l’insegnante si
rende conto che Jude lo sta seguendo solo in parte. Il ragazzo, seduto
davanti a lui, trema debolmente, mentre le mani gli coprono ancora il
viso.
«Jude…?» Ray lo richiama, la voce bassa
e appena
udibile, mentre avvicina una mano alla spalla del ragazzo, con
l’intenzione di riscuoterlo dolcemente.
Prima che possa sfiorarlo, tuttavia, Jude scatta improvvisamente,
alzandosi in piedi.
«Ho bisogno di una boccata d’aria»
afferma in fretta,
per poi voltarsi su se stesso e muovere delle ampie falcate in
direzione dell’uscita del locale.
Ray resta seduto ancora per un momento, mentre contempla ciò
che
lo circonda: sembra non ritrovarsi più in quel luogo, la
tazza
di cappuccino di Jude che è rimasta colma per
metà. il
trillo della campanella posta sopra la porta d’ingresso del
locale lo ridesta, segno inequivocabile che qualcuno l’ha
aperta,
per poi uscire. Per questo Ray afferra in fretta la propria giacca,
paga distrattamente il conto mentre si sbriga a raggiungere la porta e,
una volta lì, non esita un momento oltre prima di lanciarsi
verso l’esterno.
Fortunatamente, il ragazzo è in quel luogo, non ha mosso un
passo in più per allontanarsi dalla caffetteria. Forse, in
fin
dei conti, non ha idea di dove andare.
Qualcosa di sottile scende dal cielo: istintivamente Ray pensa alla
pioggia, eppure quelle gocce sembrano avere una consistenza
più
solida, quasi come se tendessero ad essere dei fiocchi di neve. Strano,
pensa distrattamente: non sono affatto in periodo di neve, sebbene di
recente il tempo si sia fatto molto più rigido.
L’azzurro
grigiastro del cielo, inoltre, ha già iniziato a scurirsi
verso
i toni blu della notte: pensava che avrebbero avuto a disposizione
più ore di luce, evidentemente tuttavia si sbagliava. Tra
poco
dovrà riaccompagnare Jude a casa – con
l’accortezza
di doversi fermare diversi metri prima del cancello
d’ingresso
alla villa del ragazzo, ahimé –, non gli resta
molto tempo.
I lampioni iniziano ad accendersi e, insieme alle insegne e alle luci
interne dei locali che arrivano dalle vetrine, donano
un’atmosfera calda alla strada.
«Jude» Ray si stringe nella sua giacca di tweed,
preoccupato. Da quando ha raggiunto il ragazzo in strada, accompagnato
da un nuovo trillo della porta, Jude non si è ancora voltato
nella sua direzione, continuando a rivolgergli le spalle. Probabilmente
è arrabbiato con lui – Ray non lo biasima per
questo
–, forse sta addirittura piangendo. Ne ha la conferma quando,
poco dopo, lo sente tirare su col naso: proprio in
quell’istante
una raffica di vento gelato sferza l’aria, e Ray non ha dubbi
sul
fatto che Jude abbia pensato di approfittare della situazione per
inghiottire un singhiozzo, nella speranza che gli agenti atmosferici
coprissero il rumore della saliva che scivola giù lungo la
gola.
Sfortunatamente per lui, tuttavia, Ray se ne è accorto fin
troppo bene.
«È tutto a posto» mente il ragazzo, la
voce flebile
non nasconde alcune lacrime, rimaste ancora impigliate nei suoi occhi.
«Ho solo bisogno di un po’ di tempo per abituarmi
alla
cosa, credo.»
Finalmente Jude si volta, e Ray può vedere chiaramente i
segni
del pianto che hanno già rigato le guance del ragazzo.
«Oh, Jude» Ray si morde un labbro, e
l’istante
successivo ha già coperto la distanza che lo separa dal
ragazzo,
stringendolo in un abbraccio estremamente rassicurante. Si sente
così in colpa: avrebbe dovuto affrontare la questione con
molto
più tatto, e soprattutto non lì, in mezzo a tutte
quelle
persone. Jude affonda il viso contro il petto dell’uomo, il
collo
ben coperto dalla sciarpa di lana.
«Questo non cambierà le cose tra di noi»
mormora
Ray, arruffando affettuosamente i capelli del ragazzo.
«Dobbiamo
solo stare un po’ più attenti del solito,
mh?»
Jude annuisce debolmente, lasciandosi sfuggire un nuovo singhiozzo
mentre stringe con dita tremanti la stoffa della giacca di Ray.
«Ti voglio bene, Ray…» mormora, desolato.
«Te ne voglio anch’io, ragazzo» ammette
il
professore, di rimando. «E non ho alcuna intenzione di
perderti
di nuovo.»
「 Somerville,
Boston, 2nd October
h.
04:21 p.m. 」
Caleb resta immobile davanti alla grigia porta d’ingresso, il
numero in ottone dell’interno 24 che scintilla su di essa.
È al terzo piano di un elegante palazzo, che
dall’esterno
appare come nient’altro che un alto cumulo di cemento armato
ricoperto di vernice bianca, nel quartiere residenziale di Somerville,
non troppo distante da Cambridge, quello in cui si trova il liceo che
frequenta. Probabilmente è uno di quei palazzi davanti a cui
passerai un miliardo di volte, in vita tua, senza mai farci troppo
caso. Eppure, per Caleb, quel palazzo aveva acquistato sempre
più importanza, in quell’ultimo anno della sua
vita.
La luce biancastra di fine pomeriggio irrompe nell’abitato
attraverso delle ampie vetrate. Ha suonato il campanello da diversi
minuti, e quando, dall’interno dell’appartamento,
una voce
delicata ha chiesto chi fosse, ha risposto con un eloquente
“sono
io”. Da quel momento, nessun’altra parola si
è
levata, dalla parte opposta della porta, tuttavia Caleb ha avvertito
nitidamente diversi altri rumori, tra cui l’aprirsi e il
richiudersi di cassetti e dei passi affrettati che si susseguivano uno
dietro l’altro sul parquet. Ormai conosce così
bene quel
posto da avere in mente in maniera abbastanza chiara il tragitto che
viene percorso nonostante si trovi ancora all’esterno; non
che
sia una casa poi così grande, certo, tuttavia
sarà sempre
più spaziosa di qualsiasi abitazione potrà mai
definire
“casa sua” – sebbene, a quel punto, anche
questa lo
sia diventata un po’.
Immagina gambe snelle e pallide muoversi in fretta dalla camera da
letto al bagno, mentre ora il silenzio regna sovrano, sia
all’interno della casa che sul pianerottolo. Nella mente di
Caleb
si dipinge l’immagine di una ragazza, bella come una venere,
intenta ad osservare la propria immagine riflessa nello specchio con
aria piuttosto critica, mentre si passa una mano tra gli spettinati
capelli lilla.
Il ragazzo ne approfitta per recuperare, dalla tasca dei propri
pantaloni, il telefono. Lo sblocca con un gesto automatico, mentre un
suono simile ad un sasso che affonda in uno stagno precede
l’apertura della schermata iniziale. Ha chiamato la ragazza
una
decina di volte, senza mai ricevere risposta. Per questo aveva deciso
di recarsi a casa sua.
In quel momento il rumore dello scatto del chiavistello riempie
l’aria, mentre la porta si dischiude appena davanti a lui. In
un
minuscolo spiraglio, tra la porta e la soglia d’ingresso,
compare
la chioma violetta di Camelia, mentre la ragazza si lascia sfuggire un
lieve sorriso.
«Ciao, Caleb» lo saluta, agitando debolmente una
mano davanti a sé.
«Ti ho chiamato una dozzina di volte» borbotta lui,
con un
grugnito. «Perché non hai risposto? Ero
preoccupato.»
«Ti chiedo scusa, non ho sentito il telefono»
ammette
tristemente la ragazza, mentre stringe forte tra le dita la porta.
«Stamattina non mi sono sentita molto
bene…»
«C-come non ti sei sentita bene? Che hai avuto?»
domanda subito Caleb, di nuovo preoccupato.
«Nulla di grave, tranquillo» si affretta a
rassicurarlo
lei. «Solo un po’ di mal di testa, tutto qui. Solo
che ho
preferito restare a casa.»
La ragazza si decide ad aprire completamente la porta, lasciando spazio
al fidanzato. Caleb entra in fretta, camminando così
rapidamente
che il vestito bianco trapunto di piccoli fiori violacei di Camelia
ondeggia al suo passaggio.
«Avresti comunque dovuto avvertirmi» insiste lui,
ancora teso, in allarme.
«Lo so, mi dispiace…» continua lei,
mentre si
affretta a chiudere la porta e a seguire il ragazzo.
«Purtroppo
stamattina mi sono riaddormentata in fretta e non ho fatto in tempo a
mandarti un messaggio. Scusami…»
Caleb si ferma sul posto, voltandosi in direzione della sua ragazza.
Camelia ha in volto un’espressione così
affranta…
«Ma no, non hai nulla di cui scusarti» si affretta
a
rassicurarla, sentendosi già in colpa per averla fatta
sentire
così in difetto nei suoi confronti. «Scusami tu,
piuttosto, sono stato troppo duro con te…
l’importante
è che ora ti senti meglio.»
«Sì, certo» gli assicura lei,
raggiungendolo e stringendogli la mano.
Caleb affoga il proprio sguardo in quello di Camelia, il verde petrolio
di lui che si mischia all’azzurro di lei, simile alle
tonalità più profonde dell’oceano
– insieme
creano una contaminazione perfetta. La ragazza gli sorride
calorosamente, e Caleb sente tutte le preoccupazioni che gli hanno
attanagliato il petto per tutto il giorno sciogliersi in un secondo.
Avvicina una mano al volto della ragazza, carezzandole una guancia con
dolcezza, per poi spostarsi più in avanti, tra i suoi
capelli
lilla. Camelia muove degli altri passi verso di lui, e Caleb stringe
istintivamente la sua chioma, per poterla sentire ancor più
vicina a sé.
La ragazza poggia le proprie labbra sulle sue. Per un momento la testa
di Caleb vortica pericolosamente, ben presto tuttavia si decide a
ricambiare quel bacio – in un primo momento con dolcezza,
tuttavia, dopo pochi istanti, il desiderio prende il sopravvento,
inducendolo a lasciar scivolare la lingua nella bocca di Camelia e a
chiedere di più da quel contatto. Spinge la ragazza con le
spalle al muro, mentre ormai entrambe le sue mani si sono infilate tra
quei capelli violetti e morbidi; Camelia, d’altro canto,
avvolge
le proprie braccia attorno al collo del ragazzo, mentre si fa forza con
queste e solleva le gambe, che corrono a stringere i fianchi del suo
fidanzato. Caleb strofina il bacino contro quello di Camelia, una, due,
tre volte, e sentendo la ragazza gemere sulle sue labbra sorride
soddisfatto. Fa strusciare la schiena della giovane ancora un
po’
contro la parete, per poi decidersi a distaccarsi finalmente da
quest’ultima, le gambe della ragazza che si sistemano al
meglio
attorno ai suoi fianchi e i piedi nudi che gli sfiorano il sedere.
Caleb procede a passo sicuro lungo il corridoio: ormai conosce a
memoria la strada, tant’è che può
permettersi il
lusso di non guardare dove va, concentrandosi unicamente sul baciare
Camelia.
La camera della ragazza è l’ultima alla fine del
corridoio, sulla sinistra: Caleb vi entra senza esitazioni, dirigendosi
in fretta verso il letto. Ha avuto paura, temeva che qualcuno dal suo
passato fosse venuto a cercarlo e avesse deciso di fare del male a
Camelia… se ci ripensa, si sente uno stupido: non che il
rischio
non ci fosse, eppure, la consapevolezza che tutto sia andato per il
meglio gli riempie il cuore di gioia, al punto che Caleb non si
meraviglierebbe nel sentirlo scoppiare da un momento
all’altro.
La stanza è inondata dallo stesso candido lucore del
pianerottolo. Caleb adagia lentamente la schiena di Camelia sul
materasso, mentre preme le ginocchia ai lati del corpo della ragazza.
Si china su di lei pochi istanti dopo; sente la gola andargli in
fiamme, mentre scende a lasciare baci umidi sul collo della ragazza e
nuovi gemiti caldi gli giungono alle orecchie. Quando l’ha
distesa sul letto, il vestito candido di Camelia si è alzato
leggermente, così Caleb ne approfitta, infilando una mano
sotto
di esso, andando ad accarezzare la coscia e parte della natica della
ragazza, incurante del tessuto bordeaux della mutandina bordata di
pizzo.
«Caleb, a-aspetta…» mormora la ragazza,
le guance arrossate per l’imbarazzo.
«Perché? Lo vogliamo
entrambi…» replica lui, confuso.
«Lo so… solo che… forse non
è ancora
arrivato il momento giusto» ammette Camelia, affranta.
«Mio
padre potrebbe arrivare da un momento all’altro. E poi non mi
sento ancora del tutto bene. Non lo so, non me la
sento…»
Caleb sospira lentamente. Lo sa, fermarsi è la cosa giusta
da
fare; la verità è che non ha mai aspettato
così
tanto prima di farlo per la prima volta. Nella sua vita sono entrate ed
uscite alla velocità della luce una decina di ragazze,
almeno
finché non ha iniziato quella relazione stabile con Camelia.
Con
molte di loro non c’è neppure stata una vera e
propria
storia, bensì si sono limitate ad essere il divertimento di
un
sabato sera in discoteca, tra un sorso di vodka e un po’
d’eroina.
Quello era sesso. Con Camelia, invece, voleva fare l’
amore. E forse, in
fondo, nessuno dei due era ancora pronto per questo.
Con le sue esperienze passate non c’era trasporto,
coinvolgimento
emotivo, desiderio, bensì la semplice voglia di sfogare un
istinto naturale. Ora che era fidanzato, invece, voleva lasciarsi
trascinare da tutte quelle emozioni di cui parlavano nei film romantici
che detestava.
Caleb sospira, accarezzando la fronte accaldata della fidanzata.
«Okay» concede infine, con un lieve sorriso.
«Ho corso troppo, scusami…»
«Ma no» la ragazza solleva la schiena dal
materasso,
posando un bacio sulle labbra del fidanzato. «Va tutto bene,
tranquillo.»
Caleb annuisce, un’espressione seria in volto. Scivola
lentamente
via dal corpo della ragazza, sedendosi al suo fianco. Camelia si tira
su a sedere a sua volta, per poi accomodarsi sulle gambe di Caleb. Gli
prende la testa tra le mani, e stavolta è lei ad affondare
le
dita tra i capelli castani di lui, mentre le loro labbra tornano ad
incontrarsi. Il ragazzo poggia le mani sui seni morbidi della giovane,
iniziando a palpeggiarli piano, per poi acquisire maggior confidenza
man mano che i minuti passano. Porta di nuovo le labbra sul collo
candido della ragazza, attento a non lasciare segni rossastri o
violacei che il padre potrebbe notare facilmente, ma mettendoci
comunque un certo impegno, almeno quello necessario per farla tornare a
gemere, le dita che le sfilano delicatamente la spallina del vestito.
«Perché… non mi racconti…
cosa avete fatto
oggi a scuola?» prova a distrarlo lei, mentre sente
chiaramente
le mani di lui accarezzarle languidamente la schiena sopra la stoffa
del vestito.
«Uhm…» Caleb arresta il movimento delle
labbra, e
Camelia ne approfitta per poggiare la testa sulla sua. «Le
solite
cose noiose, a dir la verità. Ci hanno portato a tinteggiare
il
nuovo edificio, Jude ha flirtato spudoratamente con Dark… e
dopo
la fine delle lezioni se ne sono andati via insieme, onestamente non
voglio nemmeno sapere dove – anche se più o meno
me lo
immagino. In realtà credo che sia successo qualcosa di
strano,
perché Dark sembrava piuttosto agitato…
chissà,
magari un suo amante segreto è tornato dall’ombra
e adesso
minaccia di distruggere la sua relazione con Jude…»
Per tutta risposta, Camelia gli rifila una spinta leggera contro la
spalla. «Intendevo cosa avete fatto oggi a lezione»
puntualizza lei. «Dovresti smetterla di impicciarti nella
vita di
Jude. Sa quello che fa, inoltre lui e Ray stanno così bene
insieme…»
«Perché, secondo te sono stato attento oppure ho
capito
qualcosa di quello che hanno spiegato oggi? Ti sto offrendo qualcosa di
molto più redditizio, ossia del buon, sano
gossip!»
Camelia sospira profondamente, Caleb tuttavia non riesce a togliersi
quel sorrisetto soddisfatto che gli è spuntato sul volto.
«E comunque è un mio amico, è chiaro
che mi
preoccupo.»
«Caleb, invece faresti meglio a stare attento durante le
spiegazioni. Siamo all’ultimo anno, tra pochi mesi ci
diplomeremo, senza contare che dobbiamo ancora inviare le domande
d’ammissione al college… e lo sai che, se i nostri
voti
non sono sufficientemente alti, non avremo mai la
possibilità di
entrare. E non posso sempre salvarti io, per quanto riguarda lo
studio.» Camelia si china appena verso il basso,
così da
poter incontrare gli occhi di Caleb. «Devo invece iniziare a
pensare che sei geloso del tuo migliore amico? Perché
altrimenti
riuscirei davvero difficilmente a spiegarmi questa diffidenza che nutri
nei confronti della relazione tra Jude e Ray…»
«Allora, intanto è Dark, signor Dark o, al
massimo,
professor Dark. Questa cosa che adesso lo chiamate tutti per nome
sinceramente mi fa venire la nausea» replica Caleb, il volto
che
si contrae in un’espressione disgustata. «E non
sono
geloso. Spero solo che questa relazione non lo faccia soffrire. Jude
è stato già sufficientemente male,
quest’anno, e
ammetto che buona parte della colpa è mia, per cui
non
vorrei che succedesse di nuovo, soprattutto perché non se lo
merita…»
«Lo chiamiamo così perché ormai ci
abbiamo
trascorso del tempo al di fuori della scuola e non lo consideriamo
più un perfetto sconosciuto o solamente il nostro insegnante
di
letteratura inglese. E poi è una brava persona…
vedrai
che con lui Jude è al sicuro» insiste Camelia,
intrecciando le dita nella chioma brunastra del suo fidanzato.
È
felice di essere finalmente riuscita a distrarre Caleb da
quell’improvviso desiderio, eppure non riesce a capire
perché s’incaponisca tanto su un discorso del
genere.
«D’accordo, questa storia però continua
a sembrarmi
così strana…» Caleb sospira, rilassato
dal tocco
della ragazza. «Uno studente e il suo
insegnante…»
«È il più classico dei
cliché»
«Ma hanno quarant’anni di
differenza…!» Caleb
scuote la testa, desolato. Ha alzato troppo la voce, lo sa. Questa
storia non dovrebbe turbarlo così tanto: in fondo ha ragione
Camelia, non sarebbero nemmeno affari suoi, inoltre la relazione tra
Ra‒
il professor Dark
e Jude
sembra andare a gonfie vele. Eppure è come se qualcosa
continuasse a non tornargli, lo stesso qualcosa che ha letto
nell’espressione corrucciata che ha visto comparire oggi sul
volto di Dark. Non vorrebbe sbagliarsi, tuttavia uno strano sospetto
continua a martellargli la testa…
Ricorda ancora troppo bene l’aria devastata che aveva assunto
Jude negli ultimi mesi, prima del suo arresto: solo in seguito era
venuto a conoscenza della relazione tra lui e il loro insegnante, e
dell’allontanamento che avevano subìto in quei
mesi. Se
solo pensa che uno dei suoi più cari amici possa soffrire
nuovamente così tanto sente la rabbia montargli al cervello.
«Scusami, ho alzato troppo la voce» Caleb sospira
pesantemente, scuotendo la testa, affranto.
Camelia, per tutta risposta, gli circonda le spalle con le braccia,
stringendolo delicatamente a sé.
«Smettila di scusarti per ogni cosa, Caleb. Va tutto
bene»
la ragazza si china fino ad infilare il capo nell’incavo tra
il
collo e la spalla destra del giovane. «Lo so che ci tieni a
Jude,
che è un tuo amico e che non vuoi vederlo soffrire.
È
normale, anche io la penso come te, e non ho dubbi che anche Joe e
David siano del nostro stesso avviso. Per ora, però, sta
andando
tutto per il verso giusto, e intrometterci sarebbe una nostra mancanza
di rispetto nei loro confronti. Lasciamo che tutto vada come vuole il
destino e, se mai le cose dovessero andare per il verso sbagliato,
allora saremo pronti ad accorrere in soccorso di Jude e a consolarlo,
ma non prima, perché questa è la cosa giusta da
fare.
Perdere una persona fa male, ma stare a crogiolarsi quando non
è
ancora successo niente è perfettamente inutile.»
Caleb si lascia sfuggire un nuovo sospiro. Camelia ha perfettamente
ragione, eppure ormai inizia a credere di aver perso la
capacità
di sapersi raccontare la verità.
«E va bene, hai vinto» le concede infine, poggiando
ancora una volta il capo al suo.
«Oh, andiamo, non ti ho fatto tutto questo discorso
perché volevo vincere» ribatte lei, impettita.
«Ah, no?» commenta lui, con tono ironico.
«No!» insiste Camelia, esasperata.
Caleb sorride, divertito. Afferra morbidamente i fianchi minuti della
sua ragazza e, ruotando appena su se stesso, la porta a trovarsi
nuovamente distesa, con la schiena premuta contro il materasso. Da
quella posizione, in cui può facilmente dominare sul suo
corpo,
Caleb si china rapidamente su di lei, iniziando a solleticarle il
collo, le spalle, i fianchi. Camelia ride divertita, scalciando appena
sotto di lui, fortunatamente però i suoi piedi non
colpiscono
mai Caleb.
In quel momento, una chiave gira all’interno della toppa
d’ingresso, richiamando l’attenzione di entrambi.
«Dev’essere arrivato mio padre» deduce in
fretta la ragazza.
Caleb espira lentamente, sa tuttavia di non avere altre alternative.
«Che dici, andiamo a salutarlo?»