Affogando nel bianco.
L’orologio segna le tre, non so neanche di quale giorno.
- Ehi, amico, ci risiamo, hai visto? Te l’avevo detto che ci saremmo risentiti presto...
Sollevo lo sguardo verso lo specchio di fronte al letto: gli occhi raccontano le ripetute lotte col sonno. Resto solo qualche secondo a fissarmi senza motivo, poi vado in cucina; ho bisogno di acqua.
A passi lenti arrivo in cucina, il bicchiere l’ho riempito, posso tornare a letto.
Resto in piedi, sempre davanti allo specchio l’immagine di me, cerca di bere via almeno un po’ di turbolenza mentale.
La vista un po’ si annebbia e dalle mani, il bicchiere scivola...
- Vedi? Amico mio, non è cattiveria la mia... questo... questo distrugge ti riesce, il resto, no.
- E sai perché continuo a ripeterlo? Perché io sono te e tu sei me, ci conosciamo amico. Io lo conosco il buio che ti porti appresso... tu che sei nulla se non una voragine omicida di buone emozioni e abitudini.
Per favore, lasciami stare, sta’ zitto...
Sussurro stringendo i denti e massaggiando rabbiosamente le tempie appesantite.
- Stare zitto? Perché amico? Pensi che il mio silenzio possa renderti diverso, migliore, forse? Non ti illudere amico, la Natura umana, non si può cambiare e tu, hai il cuore sporco.
Tu non esisti, sei un prodotto della mia mente tu! Io ti distruggo quando voglio!
- Ah sì? Se non esistessi, se mentissi, come potrebbe condizionarti tanto quel che dico? Eh!? Avanti, dillo, chi c’è qui con te, adesso, oltre a me, il tuo delirio?
Il respiro comincia a correre, la fronte suda, ogni muscolo comincia a tremare.
La mia voce muore.
- Vuoi che io sparisca? Chiama aiuto. Dai, fammi vedere se hai il coraggio di non scegliere me, per una volta.
(...)
Silenzio.
Paura.
Stordimento.
I contorni della stanza sbiadiscono...
Affogo nel buio bianco del panico.
Risorgerà il mio cuore stavolta?
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