「 Somerville,
Boston, 2nd October
h.
08:04 p.m. 」
C’è silenzio all’interno della sala da
pranzo, rotto
unicamente dal monotono tintinnio delle posate contro la superficie
ceramica dei piatti.
Di tanto in tanto, Caleb lancia qualche sguardo di sottecchi a Camelia:
gli sembra piuttosto agitata, ed è abbastanza certo di
averla
vista muovere nervosamente le gambe nel suo vestito candido un paio di
volte, sotto il tavolo, durante la cena.
Non riesce a biasimarla, in fin dei conti. Percival Travis è
un
uomo che emana tutto, fuorché serenità.
L’espressione austera incute timore reverenziale, e Caleb si
chiede come abbia fatto Camelia, in tutti quegli anni, a crescere
accanto ad un uomo tanto severo.
In effetti, forse crescere non è il termine più
adatto:
Percival è uno degli avvocati più influenti di
Boston, ed
era sempre stato piuttosto assente nella vita della figlia.
Gliel’aveva raccontato Camelia, ma nella sua voce non
c’era
rancore: amava suo padre, e non le era dispiaciuto crescere da sola.
S’era fatta forte, e poi sapeva che suo padre non avrebbe mai
potuto privarsi del suo lavoro per starle accanto. Che fosse giusto o
meno non spettava a lei dirlo: era grazie al lavoro di suo padre,
infatti, se si potevano permettere di mangiare, di abitare in
quell’appartamento o se lei aveva la possibilità
di
frequentare la sua scuola.
Quanto a sua madre, Camelia non aveva mai avuto la
possibilità
di conoscerla veramente. Era morta quando lei era ancora molto piccola,
e Camelia non aveva alcun ricordo di lei. Caleb, da quel punto di
vista, poteva capirla: anche lui aveva perso entrambi i suoi genitori
mentre era ancora un bambino, ma non amava parlare di quella storia. In
parte, il suo destino era stato simile a quello di Jude, anche lui
rimasto orfano sia di madre che di padre, tuttavia, a differenza sua,
alla fine il suo migliore amico aveva trovato una famiglia adottiva.
Caleb, invece, era sempre stato l’incubo degli assistenti
sociali: un bambino piuttosto ribelle, di cui nessuno s’era
voluto prendere cura. Alla fine, compiuta un’età
che la
legge aveva definito giusta, era finito a vivere da solo, e forse da
lì in poi la vita di Caleb era migliorata: non gli
dispiaceva la
solitudine, anzi, forse la preferiva perfino ad alcune famiglie in cui,
per brevissimo tempo, gli era capitato di stare: quel caos non faceva
per lui; si trovava decisamente meglio nel suo silenzio.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma forse, se si trovava
così
bene con Jude, era anche per via del loro passato così
simile.
Caleb osserva il suo piatto, non senza una certa diffidenza: gli sembra
di avere lo stomaco chiuso, quella sera – e dire che,
generalmente, era un tipo a cui l’appetito non mancava mai
–, infatti non ha ancora praticamente per nulla intaccato i
ravioli che Percival ha preparato per loro.
Quando il padre di Camelia è arrivato a casa, qualche ora
prima,
i ragazzi lo hanno raggiunto in salotto per salutarlo. Hanno scambiato
a malapena qualche parola, dopodiché Percival
s’era chiuso
nel suo studio a leggere un libro. Caleb e Camelia, invece, erano
tornati in camera della ragazza.
«Credo che abbia avuto una giornata particolarmente
difficile» aveva commentato Camelia, poggiando il suo libro
di
matematica sulle coperte del proprio letto.
«Mh.» Caleb, disposto perpendicolarmente rispetto
al
materasso, la testa che pendeva di lato, in direzione del pavimento,
aveva roteato gli occhi. «Oppure, più
semplicemente, mi
odia.»
«No che non ti odia» si era affrettata a negare
Camelia.
«Oh, sì, invece» aveva insistito lui.
«E non
mi ha mai potuto sopportare, per l’esattezza. In fondo non lo
biasimo: d’altronde anch’io probabilmente, se fossi
padre,
non sarei poi così entusiasta se mia figlia fosse fidanzata
con
un ex teppista.»
Camelia, per zittirlo, gli aveva posato un bacio leggero sulle labbra.
«Peccato che a me non importi nulla del suo parere»
era
stato il suo commento, mentre rifletteva la sua espressione sardonica a
pochi centimetri di distanza dal volto del ragazzo.
«Dovrebbe, invece» era stato il commento di Caleb.
Camelia aveva sospirato profondamente, mentre si lasciava cadere
distesa piano sul letto alle sue spalle. «Non
fraintendermi» s’era affrettata a chiarire, poco
dopo,
«è chiaro che per me la sua opinione sia
importante:
è mio padre, dopotutto. Tuttavia, non voglio che sia lui a
decidere chi devo amare o meno: i miei sentimenti sono qualcosa di cui
posso occuparmi solo io, credo.»
Il resto del pomeriggio lo avevano passato a studiare – o
meglio,
Camelia aveva studiato; di tanto in tanto, Caleb cercava di distrarla
per infastidirla, ma la ragazza era stata intransigente. Caleb, dal
canto suo, non aveva fatto un bel niente, ma il pensiero di separarsi
dalla sua amata era insostenibile, così alla fine era
rimasto
lì, ad osservare la sua affascinante chioma di capelli lilla
ondeggiare soavemente mentre scriveva il risultato di una nuova
equazione, sorridendo ogni volta che la ragazza sollevava lo sguardo
per chiedergli cosa stesse facendo, e quando lei si rendeva di nuovo
conto che se ne stava con le mani in mano i suoi occhi turchesi
venivano attraversati da una buffa scintilla di rabbia, che faceva
scoppiare a ridere Caleb.
Dio, ma quant’era bella quando si arrabbiava?
Verso sera Percival era riemerso dal suo studio, diretto verso la
cucina. In pochi minuti aveva fatto saltare i ravioli nella padella,
salvo poi chiamare i due ragazzi per la cena, chiedendo anche a Caleb
di restare.
Il ragazzo aveva accettato, ma non senza qualche indugio: lui e il
padre di Camelia non si erano mai particolarmente sopportati, dunque il
pensiero di cenarci insieme non rientrava nella sua lista dei desideri.
Camelia, tuttavia, aveva insistito, e alla fine non aveva potuto far
altro che accettare – in fin dei conti, neanche lui era
ancora
pronto per lasciare quella casa, e soprattutto la sua ragazza.
Così s’era ritrovato in quella situazione
paradossale,
seduto ad una tavola di persone che non interagivano tra loro, tutti e
tre evidentemente in imbarazzo.
Camelia sospira pesantemente; non riesce a sopportare quel silenzio
così opprimente, ed è del tutto intenzionata a
romperlo.
«P-possiamo provare a vedere se in frigo
c’è del dessert…» propone,
titubante.
«No» replica Percival, lapidario, alzandosi dalla
tavola.
«Non ho più fame. Torno nel mio studio.»
Così dicendo, l’uomo si alza, sparendo in
pochi istanti dalla sala da pranzo.
Caleb e Camelia restano a guardarsi, in un silenzio imbarazzato.
Camelia si morde il labbro inferiore, mentre alcune lacrime fanno
capolino dai suoi occhi, minacciando di cadere e rigarle le guance
innocenti da un momento all’altro.
«Mi dispiace…» mormora, sinceramente
mortificata.
«Dovevo aspettarmi che sarebbe andata a finire
così…»
«Non è colpa tua» Caleb sospira
pesantemente, ma riesce lo stesso a rivolgere un live sorriso alla
ragazza.
Lo pensava sul serio. In realtà avrebbe dovuto aspettarsi
che
sarebbe andata a finire in quel modo – entrambi lo
sospettavano,
fin dall’inizio, ma forse s’erano illusi che
potesse andare
diversamente. Che sciocchi che erano stati. La verità era
che
Percival detestava Caleb – e, di conseguenza, nemmeno il
ragazzo
aveva un’alta considerazione di lui – e non aveva
apparentemente alcuna intenzione di cambiare opinione su di lui. Caleb
sapeva che Camelia aveva cercato in ogni modo di convincerlo che fosse
cambiato, e che ormai non avesse più nulla a che fare con la
banda, i crimini e quant’altro, ma sembrava quasi che
Percival
non l’avesse ascoltata affatto. Per lui, ciò di
cui Caleb
si era macchiato in passato era troppo grave, e il pensiero che
restando vicino a sua figlia potesse ferirla –
volontariamente o
meno – era insopportabile.
«Mi accompagni alla porta?» domanda il ragazzo, gli
occhi fissi in quelli della fidanzata.
Camelia annuisce e fa per alzarsi, ma quelle lacrime non vogliono
saperne di allontanarsi dai suoi occhi. Ed è quella la cosa
che
più detesta Caleb: non è giusto che ci vada in
mezzo lei,
che in tutta la vicenda non c’entrava niente. Poteva capire
che
suo padre potesse avere una cattiva idea di lui, e in un certo senso
Caleb lo rispettava perfino per questo – teneva troppo a
Camelia
per non volerne il suo bene, e sapere di non essere l’unico a
pensarla in quel modo era quasi rassicurante, per lui –,
tuttavia
non sopportava di vederla piangere, né di sapere che per
quell’astio che intercorreva tra lui e Percival la persona a
soffrirne maggiormente fosse proprio Camelia. La loro era una questione
privata, ed era giusto che rimanesse tale. Non aveva senso mettere in
mezzo Camelia, e forse questo Caleb e Percival lo sapevano
già,
nonostante ciò tuttavia ora la persona che per entrambi era
la
più importante della loro vita ne stava rimanendo
ingiustamente
vittima – e per cosa, poi? Perché si stavano
comportando
come dei ragazzini per quell’odio reciproco?
All’ingresso, Caleb s’infila la giacca, e Camelia
continua ad osservarlo con gli occhi lucidi.
«Ci sarai domani a scuola?» le domanda il ragazzo,
cercando di sottrarla dai suoi pensieri.
«Credo di sì» gli conferma lei, la voce
ancora un
po’ incerta. «Caleb, mi dispiace davvero per
stasera…»
«Non pensarci» il ragazzo le posa un bacio
premuroso sulla
fronte. «Nulla che non potessimo prevedere,
d’altronde… ma non importa, ci abbiamo
provato.»
A quelle parole, Camelia gli rivolge un debole sorriso. Ecco, era
questo il Caleb che le era mancato, l’anno precedente, quando
con
la storia della banda si era allontanato così drasticamente
da
lei, il ragazzo che cercava di trovare il lato positivo in ogni
situazione – sebbene non senza un pizzico di sarcasmo
–, il
ragazzo di cui, in fin dei conti, era innamorata.
Camelia apre la porta, e sente già un pezzo di sé
allontanarsi da quella casa.
«Buonanotte» la ragazza saluta il fidanzato,
lasciando
ondeggiare la chioma violetta nell’aria fredda del
pianerottolo.
«Buonanotte» Caleb si volta, e inizia ad
incamminarsi verso le scale.
Camelia resta ad osservarlo, e aspetta paziente fino a che la figura
del ragazzo è ormai diventata invisibile ai suoi occhi. Solo
allora chiude il portone, con un lieve clangore, mentre si lascia
sfuggire un sospiro affranto e la sua figura scivola lentamente verso
il basso, rannicchiandosi a terra, le ginocchia strette al petto.
Sa di non essere del tutto sincera con Caleb, di recente, ma ha paura
che – se solo lo fosse – finirebbe per perderlo per
sempre.
E Camelia non può permetterselo.
「 Broadway,
Boston, 14th October
h.
04:10 p.m. 」
Jude sorride, passandosi pigramente una mano tra i capelli. Le lezioni
sono appena finite, e lui è già uscito dalla
scuola.
È seduto di lato, sulle grandi gradinate della scuola, e sta
aspettando che Caleb, Joe e David lo raggiungano.
Spera solo che facciano presto: ultimamente ha avuto un sacco di
grattacapi di cui occuparsi, e per un pomeriggio vorrebbe solo poter
svuotare la mente da qualsiasi pensiero assieme ai suoi amici,
proprio come un tempo.
Continua a pensare a ciò che Ray gli ha detto, meno di due
settimane prima: davvero rischia di dover sacrificare la relazione con
la persona che ama a causa di un demone prepotente?
Il ragazzo lascia vagare gli occhi sulla folla di studenti che si
è dispersa attorno all’uscita
dell’edificio
scolastico: alcuni sono già fuggiti via – come
biasimarli,
d’altronde –, altri invece sono ancora fermi nei
paraggi,
raccolti in piccoli gruppi, intenti a domandarsi come sia andata la
verifica che avevano in programma per quel giorno o ad organizzarsi per
uscire insieme quel pomeriggio.
D’un tratto, a Jude sembra di incrociare,
all’interno della
folla, un paio di occhi grigi intenti ad osservarlo. Sul volto del
ragazzo compare un’espressione confusa, non riesce a
riconoscere
a chi appartengano…
Una mano si posa sulla spalla di Jude, facendolo sussultare.
«Oh! S-scusami, Jude, non mi ero accorto che fossi
soprappensiero…» si affretta a giustificarsi
David, un
lieve rossore che compare sulle sue guance.
Jude rivolge un lieve sorriso all’amico, con
l’intento di
rassicurarlo. Poco dopo, tuttavia, il suo sguardo torna a saettare in
direzione della folla, nel punto in cui, poco prima, aveva visto quegli
occhi grigi osservarlo…
Impossibile. Sembravano
essere spariti in un battito di ciglia.
Eppure non se li era sognati…
o forse sì?
Jude si porta una mano alla tempia, massaggiandosela brevemente. Gli
sembra di star impazzendo, di recente. Di sicuro, tutto lo stress che
sta accumulando non gli sta facendo bene.
Forse ha davvero bisogno di staccare la spina assieme ai ragazzi, per
quel pomeriggio, decreta infine. Jude si volta nuovamente verso David,
con un sospiro sconsolato.
«No… ti chiedo scusa io, piuttosto» si
affretta a
rassicurarlo. «Non era niente di importante,
tranquillo.»
«Sicuro?» fa per domandargli l’amico.
Prima che il ragazzo possa rispondergli, tuttavia, i due amici vengono
interrotti di colpo.
«Ehi, di che state parlando?» Caleb sbuca da dietro
David,
circondando le spalle dell’amico con un braccio.
«Non
starete mica confabulando senza di noi, mh?»
«Magari confabulano
contro
di noi» puntualizza Joe, con tono fortemente sarcastico, la
schiena poggiata allo stipite del portone d’ingresso della
scuola
– deve essere arrivato insieme a Caleb, realizza in fretta
Jude.
«Oh, andiamo, lo sapete che non lo faremmo
mai…» si affretta ad assicurare loro David.
Jude, dal canto suo, rotea gli occhi: gli è chiaro che Joe e
Caleb stessero scherzando – come sempre,
d’altronde. A
volte si chiede come faccia David a non averlo ancora capito, e a
cadere ancora nelle trappole di Caleb, dopo tutto quel tempo…
Diversamente dal solito, tuttavia, Caleb non coglie la palla al balzo
per prendersi gioco di David. Sembra stranamente concentrato in
pensieri seri, e Jude è piuttosto curioso di sapere quali
siano
– ma sa perfettamente che quello non è
né il luogo
né il momento adatto per domandargli di che cosa si tratti.
L’ex capo della banda, nel frattempo, riacquista il solito
sorriso spavaldo.
«Ehi, branco d’idioti, parlando di roba importante,
che ne
dite di fare un salto alla cara, vecchia tana, oggi?» propone
infatti, sogghignando entusiasta.
«B-branco d’idioti
a chi?»
fa per obiettare David.
«Caleb, ma non avevamo chiuso con quella vita?» gli
fa notare Joe, con un cipiglio alterato.
«Non ho mica detto “andiamo in giro a devastare
cose e a
rubare roba”, ragazzi» precisa Caleb, il sogghigno
sul suo
volto che sembra allargarsi sempre di più.
«Pensavo
piuttosto a qualcosa della serie “ci beviamo qualcosa e ce ne
stiamo sul nostro divano sfondato”. Allora, chi è
con
me?»
Sorprendentemente, Jude è il primo ad alzare la mano. David
e
Joe lo osservano confusi, ma alla fine si limitano ad imitarlo.
Caleb annuisce, soddisfatto. «Bene, per la gioia di David
ritiro
il “branco d’idioti”. Alla fine non siete
poi
così stupidi, a quanto pare» commenta, infatti.
«Direi che possiamo andare. Prima, però, volevo
avvisare
Camelia…»
«È inutile che la cerchi, Caleb» lo
informa David,
risoluto. «Oggi aveva laboratorio di scultura con me, e non
si
è presentata. Ho chiesto ad una sua amica, una certa Nelly,
e mi
ha detto che oggi non c’era neanche a inglese, né
ad
algebra. Temo che sia assente…»
Per un momento, il ragazzo sembra accigliarsi. È strano: di
recente Camelia è spesso assente da scuola, e quando
c’è sembra impegnarsi in tutti i modi ad evitarlo.
Caleb
è confuso, non ha idea di cosa le stia succedendo:
è per
quello che era successo l’ultima volta che si erano visti, a
cena
a casa di lei? No, impossibile: avevano risolto, in fin dei conti.
Dev’esserci qualcosa di più grosso sotto, Caleb ne
è certo, d’altronde ormai conosce fin troppo bene
Camelia
e sa che non si comporterebbe mai in un modo del genere senza un motivo
importante. E allora che sta succedendo…? Vorrebbe poterlo
sapere già in quel momento, tuttavia ora si è
impegnato a
stare con la banda, e non li può abbandonare senza dire loro
nulla.
«Va bene, andiamo» afferma allora. Fa per
incamminarsi
giù dalle gradinate, ma si ferma un momento prima di
scendere
dal primo scalino. «Tu non devi salutare nessuno,
Jude?»
«No…» il ragazzo scuote leggermente il
capo, per poi
lanciare uno sguardo malinconico verso l’interno della scuola.
Caleb inarca le sopracciglia. “Non di
nuovo…”
borbotta tra sé, angustiato. Non avrà di nuovo
litigato
con Ray, vero? Forse è solo troppo preoccupato dal pensiero
che
il suo migliore amico possa di nuovo soffrire come l’anno
precedente, ma se davvero dovesse essere così…
Caleb si ammonisce mentalmente, richiamando al pensiero le parole di
Camelia. “Perdere una persona fa male, ma stare a crogiolarsi
quando non è ancora successo niente è
perfettamente
inutile”… aveva detto così, no?
«Ottimo» conclude infine, sbuffando rumorosamente,
mentre
inizia finalmente a scendere giù per le scale.
«Allora
cosa aspettiamo, gente? Forza, andiamo: ci attende un pomeriggio
elettrizzante.»