Il veleno del serpente

di Circe
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Lord Voldemort : “La custode dell’anima”


Il tempo passava lento quella notte, nel silenzio della stanza ero fermo a pensare, tenevo gli occhi aperti e il mio sguardo fissava il buio attorno.
Sentivo, quasi inconsapevolmente, che la mia mente stava lavorando a qualcosa, le lasciavo il tempo di elaborarla.
Improvvisamente ebbi un’idea, fu un lampo, come un’ispirazione. Lo sapevo che sarebbe arrivata, lo sentivo.
Senza muovermi, senza pensare ulteriormente, sorrisi nell’oscurità.
All’improvviso, il progetto era definito, tutti i particolari e tutti i significati erano splendidamente legati, era così che la mia mente lavorava. Lentamente, senza accorgermene il cervello analizzava, ragionava e infine il tutto si figurava dentro di me già completo, senza sforzo, senza fretta, ma perfetto.
Non dovevo attendere altro, era già tutto definito nei miei pensieri.
Mi alzai dal letto, con calma, mettendomi una veste addosso, senza cura, mi serviva che semplicemente mi coprisse; poi con un cenno della bacchetta ravviai il fuoco nel camino, accesi le candele sul tavolo della grande stanza attigua.
Dovevo lavorare.
Facendo attenzione a non fare rumore, andai alla libreria e presi il quaderno con gli Horcrux, la matita, il temperino e appoggiai tutto sul tavolo, accanto alle candele.
Prima di sedermi mi avvicinai alle finestre: il buio fuori era quasi totale, il silenzio rotto solamente da gufi e civette che emettevano i loro richiami. La luna era alta in cielo, dunque era ancora notte fonda. 
Aprii leggermente le finestre per assaporare il profumo della notte, poi mi misi al tavolo e studiai di nuovo il quaderno degli Horcrux, dopo tanto tempo.
Tutto ormai era compiuto, sfogliai le pagine e riguardai ogni oggetto e ogni appunto su di essi, andai avanti fissandoli uno dopo l’altro, tutti quelli già creati, fino all’ultima pagina, dove trovai quello ancora mancante.
La coppa.
Lei era l’unica non ancora terminata, ma finalmente si era palesato nella mia mente il momento, il luogo, il simbolo, l’incanto e il susseguirsi delle magie, il custode.
Finalmente avevo il quadro completo, l’ispirazione.
Scrissi tutto di getto, senza fermarmi un attimo, se avevo bisogno di riflettere e creare la visione nella mia testa, allora variavo leggermente l’impugnatura della matita e mi dedicavo alla decorazione del disegno, aggiungevo ombreggiature e arricchivo di particolari alcune parti, poi, appena ero pronto, riprendevo a scrivere veloce.
Non staccai praticamente mai la matita della foglio dunque, nemmeno quando pensavo e riflettevo.
Conoscevo perfettamente il mio modo di creare incantesimi e piani d’azione, era sempre lo stesso da quando ero bambino, dovevo solo assecondare la visione che nasceva nel mio cervello, lasciarla uscire.
Sempre da bambino, collezionavo anche disegni, immagini e oggetti. Ho sempre avuto una memoria visiva molto spiccata, spirito di osservazione e grande manualità nel disegnare tutto ciò che mi interessava.
Non avevo perso quell’abitudine.
Quando fu tutto scritto e l’immagine terminata, aggiunsi un piccolo vezzo, quasi un rebus collegato al custode dell’Horcrux. Disegnai la figura stilizzata dell’uomo, esattamente come viene rappresentata sui libri di astronomia: il braccio, l’arco tirato, poi ad ogni vertice disegnai le stelle.
Mi stupivo di quanta cura e precisione mettessi in quello sciocco modo di indicare il custode del mio frammento di anima, avrei dovuto essere più sbrigativo. 
Molto più sbrigativo.
Quindi, come per negare la mia propensione a pensare e soffermarmi su di lei, il mio desiderio di mettere cura nell’indicare lei, scrissi velocemente il nome della costellazione appena creata: Orione.
Mi staccai dal foglio per la prima volta e osservai.
Ero soddisfatto, però non potei fare a meno di aggiungere un particolare ancora, dedicare al nome di quella stella, al suo nome, una cura meticolosa, quasi dovessi creare una miniatura.
Quando ebbi finito guardai ancora il foglio, compiaciuto della brillantezza che sembrava emanare il disegno con a fianco il nome di Bellatrix.
Pensai che le sarebbe sicuramente piaciuto, ma ovviamente non lo vedrà mai. 
Guardai ancora fuori verso la luce della luna.
Era la prima volta che decidevo di lasciare il mio Horcrux in custodia a qualcuno e pensai che sarebbe stata anche l’unica e la sola volta che lo facevo.
Mi scostai i capelli dal viso, drizzandomi sulla sedia e stirandomi per rilassarmi. 
Guardai ancora una volta l’opera in tutta la sua interezza, la analizzai con pazienza, facendomi scivolare più volte la matita tra le dita, passandola su e giù: anche questo un gioco che facevo fin da bambino. 
Usavo sempre la matita, mai la piuma, mi infastidiva molto, ma il mio meglio lo davo con quell’attrezzo babbano che impugnavo da sempre, lo avevo accettato già molto tempo prima.
Mi sentii soddisfatto dell’opera: nessun ritocco, nessun ripensamento, nessuna aggiustatura, era perfetto così.
Chiusi il quaderno, feci l’incantesimo per nascondere gli scritti, lo riposi al suo posto nella libreria.
Dopo aver sfiorato la copertina con le dita, mi allontanai silenziosamente e tornai accanto al letto.
Mi fermai a guardarla piegando la testa di lato, come per avere un’altra prospettiva di osservazione.
Eccola lì lei, pronta per me.
Sfrontatamente addormentata nel mio letto, avvolta da lenzuola nere come la notte.
I capelli scuri si perdevano e confondevano sul cuscino, mentre la pelle chiara faceva un bel contrasto.
La osservai a lungo: era bella, aveva il fascino della forza e della passione, ero fortunato che fosse proprio lei a servirmi così tanto e così bene. 
Anche a letto.
Allungai il braccio dall’alto per sfiorarle il viso con la punta delle dita, con le unghie, ma non si svegliò.
O finse di non svegliarsi.
Aveva avuto molto tempo per studiare ed allenarsi col mio elemento, ormai speravo fosse possibile iniziare con l’ultimo dei quattro: la terra, l’elemento madre, da cui tutto nasce e rinasce.
La coppa.
Mi concentrai per richiamare il vento dalla finestra aperta, una brezza e poi più forte, leggero e poi più intenso, allora la vidi aprire gli occhi in un istante.
Lo sapevo che fingeva di dormire.
Alzò lentamente lo sguardo verso di me, attenta, vigile.
“Mi avete chiamata, mio maestro? Il vento mi ha chiamata?”
Sorrisi nell’oscurità: aveva davvero fatto grandi progressi.
“Devi farmi vedere cosa hai imparato del vento, voglio insegnarti altro, è tempo di passare avanti.”
Mi guardò fissamente, quindi si alzò lentamente a sedere sul letto, io restavo in piedi accanto a lei.
“Proprio ora, mio Signore?”
Era ancora nuda come l’avevo lasciata poco prima, dopo averla posseduta incessantemente. Le labbra e il viso erano un pochino arrossati dalla foga appena passata e la rendevano più sensuale e attraente.
“Proprio ora, mia Bella.”
Vidi che anche lei mi osservava, mi guardava negli occhi silenziosamente.
“Voi, dormite nei momenti più strani e mai la notte.”
Non le risposi, attesi che si alzasse.
Invece prese lentamente la mia mano fra le sue, non capivo cosa volesse fare, la stavo per allontanare quando vidi che si accostò a me e le sue labbra si posarono lentamente sul mio avambraccio.
“Va bene, come volete, mio Signore, sono pronta per voi.”
Fra una parola e l’altra mi accarezzò e baciò il livido sull’avambraccio, le punture, sembrava volesse curarmi le ferite. 
La guardai a lungo senza reagire, questo gesto mi fece scaturire una grossa fitta allo stomaco e alla testa, quasi come se mi stessi strappando l’anima per creare un Horcrux.
Sapevo bene che Bella voleva solo farmi piacere, ma non si doveva permettere di prendersi cura delle mie debolezze. 
L’avevo messa io a conoscenza di certi miei segreti, ma non doveva approfittarne.
Mi ero ripromesso di interrompere di prendere il laudano e la morfina già dopo la trasformazione del medaglione, invece non lo avevo fatto.
Che lei se ne fosse accorta lo sapevo già da tempo, mi stava accanto e mi era di grande utilità, ma che ora mi baciasse le punture, quello non era minimamente ammissibile, lo odiai.
Scansai malamente il braccio e la esortai a darsi una mossa, il sentimento di astio mi cresceva dentro e tutta quella rabbia l’avrei usata poi, per metterla alla prova con la magia.
Ci cambiammo in fretta, nel silenzio e nel buio, solo la luce del camino illuminava pacatamente la stanza, ogni volta che mi vedeva arrabbiato non si agitava più, mi lasciava stare e attendeva che mi passasse.
Intanto si prendeva i suoi spazi, si avvicinava.  
Si avvicinava tanto che, senza quasi rendermene conto, era diventata davvero preziosa, era sempre accanto a me.
Cercai di non pensarci, non avevo tempo né voglia di pensare a queste cose. Bella aveva il grande difetto di suscitarmi pensieri e riflessioni scomode, cose che non volevo né pensare né provare.
Molto velocemente fummo pronti anche per la materializzazione, vidi però che non era certa di avvicinarsi a me, sempre per via della mia seccatura e del mio fastidio di poco prima. 
La afferrai per un braccio io stavolta, la tirai stretta a me, stringendo forte i capelli scuri, fino a farle male.
“Cosa succede? Hai paura adesso?”
Rimase per un attimo in silenzio poi scosse la testa lentamente, titubante disse di no.
Era fatta così Bella, prima scatenava la mia rabbia, poi le venivano le remore e tentennava. La strinsi violentemente e ci materializzammo sulla solita scogliera accanto al mare.
“Dovresti aver capito ormai come il mio umore muta col vento, mentre il veleno è invece perenne dentro di me.”
Rimase ferma stretta tra le mie braccia, sembrava non volersi staccare.
Poi si allontanò di un passo e afferrò la sua bacchetta.
“Sì, mio Signore, l’ho capito, ho capito come siete fatto voi e soprattutto ho capito come è fatto il vento. Adesso ve lo dimostro.”
Pensai che era tanto brava con la magia quanto incauta coi sentimenti, avventata e appassionata come il fuoco. Estrassi anche io la bacchetta e iniziammo un combattimento feroce e serrato, non le risparmiai nulla, le scagliai addosso qualsiasi incantesimo conoscessi che fosse legato al mio elemento, con una violenza che fu quasi al limite delle mie energie.
Quasi al limite, non la volevo rovinare.
La vidi molte volte in difficoltà, confusa, raggirata e spaventata, ma non si arrese mai, continuò a parare colpo su colpo, aveva imparato anche ad usare lei stessa il vento per frenare e attutire i miei attacchi.
La vidi cadere, ferirsi, le vidi le lacrime agli occhi che si asciugava col dorso delle mani sporche, rovinandosi tutto il viso, mi faceva ridere e insistei senza alcuna pietà.
Negli allenamenti passati, le davo sempre qualche suggerimento, o aiuto, questa volta non dissi mai nulla, fui freddo e spietato.
Ero arrabbiato con lei e sfogavo la mia violenza così, ma non era solo questo.
Probabilmente la stavo mettendo alla prova non soltanto per l’elemento, ma anche per qualcosa di ancora più importante: la coppa. 
Doveva mostrarsi all’altezza di essere una vera e capace custode.
Dopotutto avevo intenzione di affidarle un frammento della mia anima, di farle custodire la mia occasione di rinascere, non era certamente cosa da poco. Per quanto mi fidassi di lei, non era mai abbastanza ciò che mi doveva dimostrare per meritarsi questo.
Dal canto suo, Bella non cedette mai una volta, ma non mi bastò e andai avanti a lungo.
Conosceva tutto, capiva le raffiche, ne intuiva l’arrivo e la direzione, sapeva vedere gli spostamenti del vento, i bruschi cambi repentini, ne riconosceva l’intensità, quando affrontarlo e quando cercare di schermarlo. Resisteva persino al disagio del vento gelato, o al contrario troppo caldo. 
Sapeva che il vento non lo poteva fermare in nessun modo, con nessun incantesimo. Quindi fece una mossa che non mi aspettavo.
Quando, dopo ore di lotta e battaglia, la vidi concentrarsi per raccogliere tutte le sue energie, le lasciai qualche istante di respiro, volli darle il tempo di preparare quello che avrebbe fatto di lì a pochi attimi.
Poco dopo mossi una massa d’aria nella sua direzione, la vidi attendere di esserne completamente investita, osservai quel suo modo così perfetto di creare il fuoco attorno, di sfruttare il vento per crearlo forte e distruttivo, di dominarlo in ogni suo aspetto. 
La vidi prendere qualche attimo, fece sì che il vento alimentasse quel fuoco sempre di più, non potendo sconfiggerlo se lo fece alleato per la sua magia e me lo rimandò indietro con un incantesimo intensissimo, che sommava la forza dei due elementi.
Notevole.
Dovetti impegnarmi a schermarlo e a disperderlo.
Mi fermai, lei ansimava e mi guardava, pronta per un nuovo attacco da parte mia, invece io mi sentii finalmente soddisfatto.
Tutto ebbe termine in un istante, scese un silenzio e una pace profonda tutto attorno a noi, solamente il mare rumoreggiava in basso, contro la scogliera. 
Bella crollò sulle ginocchia esausta, ma teneva ancora ben salda la bacchetta nella mano, pensai che fosse pronta a ricominciare, se solo io avessi voluto.
Invece mi avvicinai e mi accostai a lei lentamente. La guardai dall’alto, mentre era a terra esausta, ma contenta.
“Sei stata brava, hai davvero capito anche questo elemento, ora lo puoi dominare come più desideri.”
Si rimise in piedi senza rispondere, era piena di graffi, spettinata e sporca, ma aveva quello sguardo fiero e indomito che la rende ossessivamente affascinante ai miei occhi.
Annuì.
“Come più desidero per servire voi, mio maestro.”
Mi voltai a guardarla.
Le sfiorai il mento con le dita, alzandolo verso il mio sguardo.
“Esattamente.”
Le baciai il collo con passione, afferrandole forte quei capelli tutti spettinati e selvaggi.
La sentii gemere con languore profondo. 
Mi fermai un attimo. Mi fermai prima di desiderarla troppo per poterle parlare.
“Ora manca l’ultimo elemento, la terra. Devi prestare attenzione, è molto profondo e complicato, difficile da comprendere. Quando sarai pronta, ti assegnerò un compito molto importante, che solo tu puoi portare a termine.”
Sorrise guardandomi negli occhi. Eravamo così vicini che potevo sentire il suo calore. Odiavo la vicinanza con le persone, ma lei aveva un calore magnetico, un fuoco che voleva essere alimentato continuamente. Avrei voluto sottometterla lì in quell’istante, violarla, sbranarla, farla bruciare dalla passione.
“Tutto quello che volete, mio maestro.”
Quando sentii quelle parole la guardai negli occhi sorpreso: per la prima volta non mi era chiaro se avesse risposto semplicemente alle mie parole di prima, oppure se mi avesse letto nella mente tutto il sesso violento e perverso che mi stava ispirando in quel momento.
 
 




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