Buonasera
a tutti!
Come
scritto
nell'introduzione, questa fanfiction è scritta per il
contest Favole
di Oggi indetto da Fiore di Cenere sul forum. Anzitutto mi
sento
di ringraziarla per il semplice fatto di avermi spinta a rileggere
questi meravigliosi libri della mia adolescenza, che non ho mai
dimenticato, ma che fa sempre piacere rinfrescare un po'.
Il
pacchetto che ho
scelto per la partecipazione era questo:
La
principessa e il ranocchio:
Prompt:
cimitero
Obbligo:
il protagonista dovrà cedere a uno o più
vizi/peccati per un po' di
tempo prima di riuscire a uscirne
Citazione:
"l'unico modo per resistere alle tentazioni è quello di
cedervi."
Faccio
prima di tutto
un po' di precisazioni: ho amato profondamente i primi quattro libri
della saga, fino a L'inganno di Opal, e lo spinoff La
cassaforte segreta, ma i libri successivi non mi sono
piaciuti
affatto. Perciò la mia fanfiction si svolge circa sette anni
dopo il
quarto libro, ignorando gli eventi seguenti. Ho cercato inoltre di
mantenere i personaggi il più IC possibile, sempre tenendo
conto del
fatto che sono passati alcuni anni dai libri, ma fatemi pure notare
se non li trovaste tali.
Detto
questo, posso
solo augurarvi una buona lettura!
Afaneia
Notturno per povere anime
Ella
credeva all'immortalità; ed è a me che sarebbe
utile il credervi,
essendo stata lei a lasciarmi...
André
Gide, Et nunc manet in te.
Ha
lo stesso aspetto pallido e insalubre di quando era un ragazzino, e
come allora veste ancora completi scuri su misura. Ma s'è
fatto più
alto e più bello, i suoi occhi sono più cupi e
distanti di quanto
ella ricordi d'averli mai visti e, soprattutto, è solo.
È
seduto a un tavolo con un bicchiere di torbato irlandese tra le dita,
ma non lo sta bevendo. Sta pensando, Spinella lo vede dalla dolorosa
contrazione della fronte che gli disegna una ruga profonda alla
radice del naso, e la superficie del whisky ondeggia pigramente,
disegnando archi contro il bicchiere come le vetrate di una chiesa.
L'odore dell'alcol le fa storcere il naso quando si avvicina.
È
il solo cliente in tutto il bar dell'hotel, e tutto attorno a loro
è
silenzio; ma Spinella, che è schermata, si avvicina troppo
piano
perché persino lui possa sentirla, e accostandosi alle sue
spalle
mormora contro la sua nuca: «Buonasera, Fangosetto.»
Artemis
Fowl sobbalza appena, il suo collo s'irrigidisce, una piccola onda
più alta delle precedenti agita la superficie del whisky; ma
questo
è quanto, ed egli recupera la calma e volge lentamente gli
occhi su
di lei. Solo a questo punto si ricorda che non può vederla,
ma
Artemis Fowl non si fa cogliere impreparato per due volte nella
stessa serata: infila lentamente una mano nella tasca della giacca ed
estrae un paio di occhiali scuri modificati.
«Capitano
Tappo» mormora sussiegosamente, ma i suoi occhi
già perlustrano la
sala alle sue spalle e le vetrate che si affacciano su Firenze.
«Sono
per caso in arresto?»
Il
suo cuore ha uno spasmo doloroso a quelle parole. È come
tornare ai
vecchi tempi, quando giocava a guardie e ladri con un ragazzino
testardo e malizioso e dannatamente intelligente – ma davanti
a sé
ha un uomo, ora. Quel tempo è finito.
«Lo
sai perché sono qui.»
L'espressione
di Artemis ha un mutamento quasi impercettibile. Sta ancora facendo
l'arrogante, ma le concede l'onore di risponderle la verità:
«Sì...
lo so.»
È
a questo punto che Spinella Tappo compie il suo errore. Non
è bene
andare subito al sodo, con Artemis Fowl. «Tuo padre
è preoccupato,
Artemis. Anche Leale. Dovresti...»
«Io
sto bene, Spinella» la interrompe bruscamente Artemis
distogliendo
lo sguardo. «Puoi riferire questo a Leale, se vuoi. Che mi
hai visto
e che sto bene.»
«E
che non tornerai.»
«E
che non tornerò.»
Così
com'è ora, in piedi, schermata, di fronte alla sedia sulla
quale lui
è seduto, Spinella è quasi alla sua altezza; ma
gli occhi di
Artemis evitano i suoi. È tornato a guardare verso il
tavolo, al di
sopra del quale sta facendo ondeggiare un po' troppo rapidamente il
bicchiere.
«Pensi d'esser
stato il solo a
soffrire per...»
Ma
gli occhi di Artemis si volgono d'un tratto su di lei più
furenti e
infiammati che mai, e Spinella ha la piena certezza d'essersi spinta
troppo in là.
«Nessuno
ha sofferto come me.» Artemis scandisce le parole con
dolorosa,
struggente chiarezza. «Io non so come abbiano sofferto gli
altri, ma
so come ho sofferto io, e il mio dolore mi è sufficiente.
Sono stato
chiaro?»
Il
problema, tra di loro, è sempre stato questo: che nessuno
dei due è
mai disposto a fare un passo indietro di fronte alla rabbia
dell'altro. Spinella solleva il mento con aria di sfida e ribatte
lentamente, guardandolo negli occhi: «E pensi che scappare ti
farà
soffrire un po' meno?»
Artemis
si morde le labbra come un lupo che debba trattenersi a viva forza
dall'attaccare di nuovo. Inspira profondamente. «Non sto
scappando.»
«E
allora che ci fai qui? Perché questa stanza non è
prenotata a tuo
nome?»
«Perché
sto lavorando.»
«Lavori
per altri, ora?» insiste Spinella a voce un po' troppo alta,
tanto
che Artemis si guarda istintivamente intorno. «Il grande
Artemis
Fowl s'è stufato di essere un genio criminale per suo conto
e si fa
pagare per qualche lavoretto?»
«Ne
parli come se fosse un'onta sulla mia carriera» risponde
Artemis a
bassa voce. Pare essersi calmato, ora, forse perché
s'è reso conto
che il bar di un hotel alle tre del mattino, per quanto deserto, non
è proprio il luogo più adatto per parlarne. Si
alza in piedi
nervosamente, sistemando in modo quasi macchinale le inesistenti
pieghe del suo completo Armani, e lascia una ventina di euro come
mancia sul tavolino. Beh, questo almeno è tipico di Artemis
Fowl.
«Può darsi che tu abbia ragione. Comunque,
usciamo, ti prego.
Vorrei fare quattro passi.»
«Che
cosa fai ora?» domanda Spinella per infrangere il silenzio
che è
calato tra di loro, mentre camminano per la città deserta,
immota.
Sono molto lontani dall'Irlanda, ma questa città non le
dispiace. Di
notte, quando per le strade non si riversano i Fangosi, persino
questo mondo è stranamente bello.
«Hackero
sistemi di sicurezza a pagamento» risponde laconicamente
Artemis
senza guardarla. Informazione che Spinella, naturalmente, conosceva
già: ma è evidente che non ha voglia di
parlargliene; eppure
avrebbe giurato che il giovane Fowl sarebbe stato un po' più
orgoglioso del suo proprio successo.
«E
ne sei felice?»
«Che
domanda sciocca» risponde Artemis scrollando le spalle.
«Certo che
no. Ma da qualche parte dovevo pur cominciare; e questo per me
è un
lavoro come un altro.»
«Credevo
che ti saresti dato alla scienza» obietta Spinella; ma
Artemis
scrolla il capo appena, abbassa lo sguardo e risponde, dopo un
pochino: «La scienza è priva di emozioni. Non
riserva più per me
alcuna attrattiva.»
Firenze
continua a scorrere attorno a loro imperscrutabile e silenziosa.
«Come
mi hai trovato?» domanda Artemis dopo un po', ma la sua voce
continua a suonare piatta e priva di calore – non come quando
fingeva d'essere un asettico e irreale cattivo dei videogiochi, ma in
un modo diverso, come se non gliene importasse.
«Non uso più
il mio nome da... da un po', ormai.»
Fino
a una settimana fa, quando Polledro si è messo in contatto
con lei
per riferirle una richiesta alquanto inusuale proveniente da Leale in
persona, Spinella non avrebbe creduto mai sul serio che Artemis Fowl
avrebbe rinunciato al nome e al patrimonio della sua famiglia,
avrebbe abbandonato l'Irlanda e si sarebbe messo a lavorare per conto
suo, servendosi solo della sua abilità e non più
del suo nome, al
soldo di qualsiasi banda criminale gli offrisse un incarico. Per
questo Polledro ci ha messo tanto a trovarlo –
perché a quanto
pare Artemis non lavora mai due volte nella stessa città; ma
è
anche stata proprio questa la traccia che ha seguito: l'hacker non
è
un mestiere per il quale sia necessario recarsi sul posto... a meno
che non si stia sfuggendo da qualcosa.
Polledro
ha seguito una serie di indizi informatici che mai nessun Fangoso,
con le attuali tecnologie umane, sarebbe stato in grado di
ripercorrere, risalendo a una figura che si spostava continuamente, e
ha notato qualcosa di insolito. Non le ha detto cosa – o
meglio, ha
provato a spiegarglielo e a pavoneggiarsi per il suo successo, ma ha
lasciato perdere dopo aver intuito che delle sue spiegazioni Spinella
non avrebbe capito un granché – ma dalle sue
parole è stato
chiaro qualcosa: che il lavoro di Artemis sembrava disseminato di
errori. Errori impercettibili all'occhio umano, ma sempre di errori
si trattava; e se c'era qualcosa che Spinella ha imparato di Artemis
Fowl, è che assai raramente commette errori.
Hanno
seguito la strada tracciata dalle sue imprecisioni come una pista
d'impronte sulla neve, da Gerusalemme a Bombai a Hong-Kong a Ushuaia
a Johannesburg, e questa mattina Polledro l'ha contattata mentre
ancora dormiva e le ha detto: «L'ho rintracciato a Firenze.
Ha
prenotato un volo per Dubai per domattina, perciò hai
solamente
stanotte per trovarlo.»
Solamente
stanotte. Spinella se ne ricorda all'improvviso, sono quasi le
quattro del mattino: non c'è tempo per danzarsi attorno in
punta di
piedi e studiarsi l'uno con l'altro senza osare di fare la prima
mossa. Tra poche ore sarà mattina, lei dovrà
tornarsene sotto la
superficie, e tutto rimarrà immobile e immutato proprio come
se non
fosse successo niente. Spinella si ferma d'improvviso sul ponte
deserto, proprio in mezzo alle botteghe orafe serrate, vuote, sorde,
al di sopra dell'acqua nera e pesante che si rifrange fragorosa sui
piloni, e risponde: «Lo sai, Artemis. Ti ho trovato
perché volevi
essere trovato.»
Artemis
si ferma a sua volta di fronte a lei. Si volta nella sua direzione,
un po' pigramente, con le mani nelle tasche della giacca su misura, e
la osserva dall'altro attraverso gli occhiali speciali che nascondono
i suoi occhi, sorridendo appena.
«Teoria
interessante.»
«I
geni non commettono errori, Artemis. Non tu. Quantomeno non
così
tanti da farti trovare, non tu, perciò, se Polledro
è riuscito a
rintracciarti, è perché una parte di te voleva
essere
trovata...»
«Sono
sorpreso, Spinella.» La voce di Artemis vibra di un sarcasmo
troppo
violento e accentuato, sferzante, perché lei non possa
percepirne
tutto il dolore che ne filtra attraverso. «Non avrei mai
pensato che
proprio tu, tra tutti, avresti dato credito a queste spicciole
analisi psicologiche di basso livello...»
«Artemis»
lo interrompe Spinella in un moto di disperazione. «Mi
dispiace di
non aver potuto salvare tua madre. Ma continuare a scappare non la
farà tornare.»
Quel
giorno di sette mesi fa, quando la signora Fowl è stata
stroncata da
un infarto per via di una rara malattia genetica che nessun medico
umano aveva avuto modo di diagnosticare, Artemis s'era messo in
contatto con lei, l'aveva pregata, supplicata – ma di fronte
alla
morte repentina, irreparabile, nessuna magia del sottosuolo avrebbe
potuto fare la differenza. Tantomeno la sua.
Artemis
solleva la manica della giacca, osserva ostentatamente il suo Reverso
in oro bianco, si schiarisce la voce e dice: «Molto bene. Ora
possiamo fare finta che io abbia apprezzato di cuore le tue
condoglianze espresse in modo informale e dare un taglio a questa
conversazione prima che diventi troppo pietosa per entrambi?»
Ma
la sua voce è troppo fredda e aggressiva per credergli, e
Spinella
risponde: «Certo che possiamo, Artemis. È un vero
peccato che non
lo faremo.»
«Dunque
sei proprio venuta per questo» ribatte Artemis seccamente,
tornando
di nuovo ad abbassare la manica sul polso in uno scatto di
nervosismo. «Per rifilarmi i soliti noiosi discorsi
sull'accettazione del lutto e sul superamento del trauma? Sul fatto
che tutti abbiamo perduto qualcuno e che dopo un po'
le cose
vanno meglio, che farà sempre male, ma sempre un po' meno
male ogni
giorno fino a quando non diventerà una cosa piccola e dura
da
portare sempre in tasca e da tenere nel palmo della mano per
guardarla, come un sasso, solo quando avrò bisogno
d'immergermi nel
mio dolore, e da ignorare il resto del tempo?»
«Non
sono venuta a dirti niente del genere» protesta Spinella
debolmente;
ma Artemis non la sente oppure non l'ascolta.
«Avete
tutti da dire le stesse cose. Tutti la stessa saggezza spicciola
perché credete di saperne più di me, mentre
invece nessuno ha mai
saputo qualcosa che io non sapessi già, e quello che io non
so
ancora nessuno lo saprà mai; e dunque nessuno
potrà mai darmi le
risposte che cerco. Perciò se sei venuta qui a cercare di
consolarmi
o di dirmi qualcuna di queste cose che so già, mi spiace
tanto che
tu abbia fatto tutta la strada fin qui da Cantuccio per
niente.»
Spinella
vede in lui la rabbia che ha provato lei quando Tubero è
morto
davanti ai suoi occhi, la sua confusione, il suo dolore. Non
può
fare niente per aiutarlo perché nessuna parola al mondo
può
alleviare la sua sofferenza, eppure ugualmente, senza distogliere gli
occhi da lui, ma senza neppure saper bene che dire, insiste:
«Artemis, anche tuo padre ha perduto tua madre. Vuole solo
sapere se
stai bene.»
«Oh,
giusto.» Artemis sorride del suo sorriso da vampiro.
«I sensi di
colpa. L'asso nella manica che non avevi ancora estratto,
giusto?»
È
a questo punto che la sua scarsa dose di pazienza, già agli
sgoccioli, si esaurisce. Spinella attiva le Colibrì, si
solleva
verso di lui, si libra all'altezza del suo volto e lo schiaffeggia in
pieno viso, e di fronte alla sua espressione attonita e sdegnata
gliene allunga anche un secondo.
Artemis
resta senza parole per la prima volta dall'inizio della serata. Non
ha la minima reazione. Semplicemente solleva la mano, si tocca la
guancia e rimane in silenzio.
«Hai
finito?» chiede Spinella, che è più che
ben disposta a
servirgliene ancora, all'occorrenza. Artemis fa cenno di no con la
testa, poi lentamente la sua mente rielabora la domanda ed egli lo
trasforma in un sì.
Bene.
A quanto pare ha finito.
Quando
il taxi accosta al marciapiede per farli salire, Artemis spalanca la
portiera e chiede un po' troppo lentamente, quasi ostentatamente, ma
in impeccabile italiano: «Può portarci a Piazzale
Michelangelo, per
cortesia?» A quest'ora di notte, il tassista è
troppo annoiato e
stanco per badare al fatto che Artemis abbia parlato al plurale
sebbene non sembri esservi nessuno con lui. Acconsente senza neppure
guardarlo, allora Spinella s'insinua schermata sotto il braccio teso
di Artemis per salire. Solo a questo punto Artemis si accomoda al suo
fianco sul sedile, e il taxi si allontana dal marciapiede e s'immerge
nelle strade scure.
Firenze
scorre attorno a loro deserta e silenziosa, immota come una
città di
morti. È come se fossero gli unici esseri viventi rimasti al
mondo,
ad attraversare un paese abbandonato che ormai appartiene solo a
loro.
Artemis
pare intuire il suo pensiero al solo guardarla. Sorride appena, poi,
sfilandosi gli occhiali scuri per fingere di pulirli, dice a voce
alta nel suo fluente italiano, come se parlasse per il tassista:
«È
come scender da soli all'inferno, non è vero?»
«Eh,
a quest'ora» ribatte il tassista che non ha voglia di far
conversazione, e Artemis sorride come tra sé e strizza
l'occhio
unicamente per lei.
Si
lasciano il fiume a sinistra, inerpicandosi come un insetto lungo la
strada alberata che si arrotola sulla collina. Quando arrivano in
cima, il Piazzale è deserto come il resto della
città, ma si
affaccia sulla città rigurgitante di luce.
«Vuole
che l'aspetti?» domanda il tassista senza troppe cerimonie,
ma
Artemis scuote il capo, paga e gli lascia una mancia spropositata,
contando lentamente le banconote sulla punta delle dita per dare a
lei il tempo di scendere dalla macchina. Ma quando il taxi si
allontana e torna a immergersi nel buio, pronto a sprofondare di
nuovo nell'al di là della città morta, Spinella
si muove d'istinto
verso la balaustra che affaccia sulle luci che lampeggiano come
bagliori in mezzo alla nebbia, prima d'accorgersi che Artemis non ha
alcuna intenzione di fermarsi lì. Rimane perplessa: Artemis
si muove
verso la chiesa che si eleva ancora più in alto di loro, e
Spinella
non ha alternativa che attivare le Colibrì e seguirlo.
Le
è chiaro solo quando sono ormai lì. È
un cimitero monumentale:
Artemis l'ha portata in un labirinto di tombe e di statue immerso nel
buio e affacciato sulla Firenze addormentata. Sono completamente
soli, ora, circondati dai morti dappertutto all'esterno così
come lo
sono all'interno.
Artemis
sta cercando una statua in particolare, Spinella lo intuisce da come
si guarda attorno percorrendo il cimitero.
«Sei
già stato qui?»
«Solo
una volta» risponde Artemis a bassa voce, guardandosi
attorno.
«Tanto tempo fa.»
Quando
si ferma di colpo, Spinella capisce cosa stava cercando. È
la statua
di una donna che piange, è bella di una bellezza struggente,
avvolta
in fitti panneggi rigonfi che le circondano il corpo e il viso, e
Artemis si sofferma davanti a lei con espressione di profonda
commozione. Rimane in piedi di fronte a lei, in silenzio, con le mani
nelle tasche della giacca e gli occhi chini sulla figura della donna
che è piegata in lacrime sui gradini, e Spinella non sa come
reagire
– perché non sa che cosa egli veda nella figura di
questa donna in
lacrime, se l'umana sofferenza di sua madre che moriva o il suo
proprio dolore, inumano e intollerabile, di essere umano che si
confronta da pari a pari con la morte e se ne scopre sconfitto. Gli
dà le spalle per non essere costretta ad assistere al suo
dolore, e
si volta verso le luci che scintillano in fondo alla vallata come
lampi tra la nebbia.
«Perché
hai abbandonato il tuo nome?»
«Perché
non volevo che mio padre mi trovasse. O Leale. O Polledro, per la
verità, ma vedo che non è servito.»
Spinella
ha una mezza risata gutturale, amara. «La verità,
Fangosetto, se
non vuoi un altro ceffone.»
Artemis
rimane in silenzio per un solo momento, e a Spinella piace pensare
che lo schiaffo che gli ha tirato gli bruci ancora in viso come
mezz'ora fa. «Volevo cavarmela da solo per un po', Spinella.
Avevo
bisogno di star solo, e dunque dovevo cavarmela per conto mio per un
po'.»
«Intendi
dire che dopo aver ingannato l'intera LEP e sconfitto Opal Koboi, il
grande Artemis Fowl ha bisogno d'imparare a cavarsela da solo, alla
veneranda età di ventun anni?»
«Il
grande Artemis Fowl si chiama comunque Fowl» risponde
amaramente
Artemis, voltandosi finalmente verso di lei. Anche lui ora guarda
l'orizzonte, la grande valle oscura che ribolle di luci, ma anche per
la valle, come per la statua in lacrime, Spinella sa o forse sente
che non vi vede quello che vede lei. Firenze è per lui
com'è stata
Ushuaia, come Mogadiscio, come domani sarà Dubai:
città come passi
compiuti per strappare se stesso alla propria mente e al proprio
dolore, ma in un circolo vizioso dal quale non c'è modo di
uscire.
Firenze è soltanto un altro passo a vuoto. «E il
nome Fowl apre
strade e crea scorciatoie che non volevo trovarmi già
aperte. Per
una volta, una sola volta in vita mia, volevo percorrerle da solo,
faticosamente, come tutti.»
«Per
dimostrare che cosa?» chiede Spinella dolcemente. Sa che
questa
domanda è fondamentale, che da essa dipende tutto quanto; ma
Artemis
non risponde. Al contrario, si volta verso di lei e si sfila gli
occhiali da sole. Spinella quasi non ricordava lo splendore azzurro
dei suoi occhi.
«Abbasseresti
lo schermo, per favore?»
«Per
finire su qualche blog italiano di avvistamenti paranormali?»
Artemis
non ride della sua battuta. «Non c'è nessuno in
giro. Vorrei
guardarti di nuovo negli occhi, Spinella. Ti prego.»
Ci
sarebbero diversi buoni motivi per rifiutare: l'ultima cosa di cui
abbia voglia è proprio di ritrovarsi su Internet o su
qualche foto
scattata da satellite o da un drone. Tuttavia Spinella sospira e
abbassa lo schermo, e Artemis la guarda negli occhi senza ostacoli.
«Non
so rispondere alla tua domanda, Spinella, perché se lo
sapessi
allora sarei pronto per tornare a casa.»
Di
fronte al sorriso triste sulle sue labbra Spinella sta quasi per
cedere; vorrebbe abbandonare la partita; la disperazione che i suoi
occhi a malapena celano è tale da spaccarle il cuore; ma
Spinella
trova in sé un ultimo barbaglio di forza, e insiste:
«Tu stai
girando tutto il mondo perché stai cercando un luogo dove
non
sentire il dolore, e questo l'ho capito... ma non sono venuta qui per
insegnarti che il tuo dolore ti inseguirà ovunque. Lo sai
anche tu
che c'è dell'altro. Artemis, il tuo nome è la
cosa che ami di più
al mondo, che ami più dell'oro. È il nome di un
cacciatore, allora
perché lo hai abbandonato?»
C'è
un tremore sulle labbra di Artemis che Spinella non conosce, una luce
che vacilla in fondo ai suoi occhi che non aveva mai visto.
È come
scrutare in un abisso, e leggervi sul fondo un segreto che nessuno
avrebbe dovuto vedere. Artemis apre la bocca, la richiude, esita,
infine trova le parole.
«Non
lo so, Spinella. Davvero. Forse perché se non fossi stato un
Fowl
probabilmente non sarei stato un criminale; e se non fossi stato un
criminale non avrei vissuto distante da mia madre come se fossi un
estraneo per lei...»
Non
c'è più bisogno d'indagare ancora. Il tremore
nella voce di Artemis
le dice già tutto quello che le serve sapere: Spinella ha
scavato e
ha raschiato il fondo, e ora quello che ha trovato è la
verità. C'è
voluto un po', ma Artemis ha smesso di mentire, alla fine.
«Ma
se tu non fossi stato il grande Artemis Fowl, non avresti mai salvato
tua madre dalla depressione, né tuo padre dalla mafia
russa»
obietta Spinella ragionevolmente; ma Artemis scrolla le spalle.
«Lo
sai anche tu che non è così semplice. Spinella,
mia madre ha sempre
sofferto prima per ciò che faceva mio padre e poi per
ciò che
facevo io. Non sono mai stato come lei avrebbe voluto per me in tutta
la vita, e mia mamma è morta senza sapere se mai
avrò modo di
diventarlo. Naturalmente questo non ha poi una grande importanza per
lei, dato che non avrà mai modo di scoprirlo...»
«Artemis,
tua madre ti amava!» protesta Spinella con voce troppo alta e
troppo
acuta; ma Artemis ride di una risata cupa e risponde:«Beh,
ormai è
un po' tardi per sentirlo dalle sue labbra, non ti pare?»
Spinella
non dice più niente per un po'. Non è arresa,
è più una ritirata
per ripensare una strategia: perché non sa più
che dire. Vorrebbe
penetrare nel suo dolore, cercare una cura per la ferita che sanguina
sempre e non si rimarginerà mai; ma la sua disperazione non
le
appartiene, è inaccessibile più di un mistero.
«Non
è con me che sei arrabbiato per non aver salvato tua
madre»
realizza d'improvviso, indagando, ma a fatica, nell'oscura pozza di
tenebra indistinta che è il volto di Artemis, nel quale solo
i suoi
occhi emergono dal buio. «Non è vero?»
«Sei
molto acuta, Spinella. Come sempre.»
«Artemis...»
«Sono
un genio, Spinella» la interrompe Artemis, col tono di voler
chiudere lì la questione.«Se ci fosse stato
qualcuno in questo
mondo in grado di salvare mia madre, quello sarei stato io. Ma ho
sprecato la mia bravura e il mio genio a cercare di arricchirmi, e
quando finalmente ho capito per che cos'era che il mio genio mi era
stato donato, era troppo tardi.»
«Lo
sai anche tu che le cose non stanno così» mormora
Spinella.
Stringendosi nelle spalle, Artemis si siede sui gradini dietro di
lui, di fronte alla dama velata che disperatamente piange, e sfiora
con la mano le sue mani di marmo. La scruta tutto assorto in questo
gesto, come se potesse guardarla negli occhi e leggervi un segreto, e
a sua volta lei potesse rispondere al suo sguardo.
«Tu
pari sapere molto bene com'è che non stanno le cose,
Spinella»
risponde a bassa voce, dopo un po'. «Ma ti prego, Spinella,
ti
prego, se sai com'è che stanno le cose,
com'è che funziona,
cos'è che io non ho capito... ti prego, spiegalo anche a me,
perché
io non riesco a capire. Io so solamente che mia madre è
stata
infelice per colpa mia; che se non fossi stato quello che sono, forse
non lo sarebbe stata; e che se è vero che non ho nessuna
colpa nella
sua morte, allo stesso modo non sono neppure riuscito a
salvarla...»
Spinella
non le conosce queste risposte che pure disperatamente vorrebbe
dargli. China il capo per non dover sostenere la sua vista.
«Ma
se era la tua attività criminale ad allontanarti da lei, se
è per
questo che ti tormenti tanto, allora perché la stai
proseguendo?»
La
mano di Artemis si ferma bruscamente sulla pelle di marmo, il suo
respiro gli si blocca d'improvviso in petto.
«È
questo il problema, Spinella... che ci ho provato. Ho cambiato
identità, ho abbandonato la mia famiglia, il mio nome, come
dici
tu... ma quando mi sono ritrovato lontano da tutto e dalla mia casa,
lontano da tutto il resto della mia vita, ho sentito di nuovo il
richiamo dell'oro e del crimine come se non fosse mai cambiato
niente. Era tutto inutile, e l'unico modo per resistere alle
tentazioni era quello di cedervi; per un momento ho pensato che se
avessi provato di nuovo, se avessi ceduto almeno una volta al
richiamo dell'oro, almeno non avrei sentito il suo richiamo ovunque
andassi; ma era proprio questo il problema, che ho ceduto una volta e
poi ho continuato, e alla fine mi sono reso conto che non avevo
nessuna voglia di smettere perché – tu mi conosci,
Spinella... -
perché quello che stavo facendo era esattamente quello che
volevo
fare. Che non sarei mai stato in grado di essere l'uomo che mia madre
avrebbe voluto che fossi, e che questa era unicamente colpa
mia...»
Vorrebbe
dirgli tante cose, Spinella. Vorrebbe dirgli che nessun figlio ha
doveri nei confronti dei genitori, che non deve corrispondere alle
aspettative di nessuno; che è certa che sua madre lo avrebbe
amato
lo stesso, e con la stessa forza, malgrado tutte le sue debolezze e
le sue tentazioni, e che lo avrebbe perdonato sempre; ma quando
Artemis leva gli occhi su di lei, attendendo dalle sue labbra una
risposta che nessuno dei due conosce, si rende conto che non
può
mentirgli. Che sua madre è morta, è scomparsa per
sempre, che il
suo amore per suo figlio non esiste più in alcun luogo
dell'universo; che lei, Spinella, non può parlare per quella
donna
che non esiste più e che neppure conosceva,
perché sarebbe come
mentire – e che il dolore di Artemis merita la
verità. Che i
cimiteri nei loro cuori sono troppo vasti e colmi di rimpianti
perché
possano permettersi di mentirsi a vicenda.
Spinella
posa una mano in mezzo ai suoi capelli neri, sul suo capo chino, e
rimane in silenzio per un tempo indefinitamente lungo. A un tratto le
spalle di Artemis si scuotono di un singhiozzo.
«Ci
ho sperato per un momento, sai?»
«In
che cosa?» mormora Spinella.
«Che
tu conoscessi la soluzione, come quando ero piccolo. Conoscevi sempre
la soluzione ogni volta che ero diviso in due. Era un pensiero
stupido, vero?»
«Stavolta
non esiste una soluzione, Artemis» ribatte Spinella piano.
Non vuole
che le s'incrini la voce. «Perché non è
un problema. È una
tragedia.»
Non
rimane nient'altro da dire. Artemis posa la fronte contro il suo
petto, Spinella gli accarezza i capelli, ed entrambi rimangono in
silenzio circondati dal loro dolore e dai cimiteri dei loro morti.
Le
prime gocce d'alba iniziano a scintillare all'orizzonte. La notte
è
finita.
Artemis
ha chiamato un taxi per farsi riportare in albergo. Da lì
preleverà
i suoi pochi bagagli e poi prenderà un altro taxi per
l'aeroporto,
decollerà per Dubai, e s'immergerà di nuovo
nell'anonimato della
sua fuga centrifuga per il mondo. Di certo non si rivedranno per un
po', ma Spinella non è più preoccupata come
quando lo ha incontrato
poche ore fa. Prima o poi, quando avrà trovato un po' di
pace e avrà
capito chi è e chi vuole essere, Artemis Fowl
riprenderà il suo
nome e tornerà più grande di prima. Nel
frattempo, lei può
aspettare.
Non
sanno neppure come salutarsi. Spinella è di nuovo schermata
e
Artemis indossa i suoi occhiali scuri: si vedono, ma di fronte al
tassista non possono salutarsi. Quando il taxi si ferma di fronte a
lui, Artemis può solo voltarsi e sorriderle appena, e
Spinella
ricambia quel sorriso. Quello che dovevano dirsi se lo sono
già
detti.
Ma
quando Artemis apre la portiera e fa per salire a bordo, d'improvviso
Spinella si ricorda qual era forse la cosa forse più
importante che
avrebbe dovuto dirgli quella notte e che per poco si era dimenticata.
Si dà della sciocca da sola.
«Artemis
Fowl!»
Artemis
si blocca con la schiena già incurvata per salire.
«Mi scusi, mi
sta arrivando una chiamata» dice rivolto al tassista per
mascherare
la sua esitazione. «Può aspettare? Ci
vorrà solo un minuto.»
Raddrizzando la schiena, Artemis infila l'auricolare per dar forza
alla sua bugia e si volta verso di lei.
«Ti
manco già?» domanda ironicamente.
«Mi
hai mentito» ribatte Spinella incrociando le braccia in
petto.
Artemis
aggrotta la fronte. «Spinella... credo di poter giurare sul
mio
onore di non esser mai stato più sincero di stanotte con te
in tutta
la mia vita. Di che cosa stai parlando?»
«Invece
sì. Stanotte hai detto di non aver disseminato il tuo lavoro
di
errori perché qualcuno ti trovasse, invece lo hai fatto e mi
hai
mentito. Ne ho le prove.»
«Interessante.»
Artemis caccia sogghignando le mani nelle tasche della giacca.
«Si
possono vedere queste prove?»
«La
prova è che mi stavi aspettando, Artemis.» Il
sorriso di Spinella
si fa più largo via via che parla. «Avevi gli
occhiali ricavati
dagli elmetti della LEP in tasca. Tu ti aspettavi di vedermi, prima o
poi.»
«Beh,
Spinella...» dice pazientemente Artemis «Non per
mettere in dubbio
il tuo fascino, ma credo tu sappia che mi capita spesso di avere la
LEP alle calcagna. Non scambiare un semplice atto di prudenza
per...»
«Inoltre,
io sono entrata nell'hotel.»
Artemis
s'interrompe bruscamente. «Cosa?»
«Il
Libro, Artemis. Se sono riuscita a entrare nell'hotel senza perdere
la mia magia, significa che qualcuno mi stava aspettando. Forse non
esplicitamente, ma dentro di te tu speravi che io venissi. Tu hai
commesso quegli errori volontariamente perché volevi
che Polledro ti trovasse e volevi
essere trovato da me. O sbaglio?»
Per
la prima volta da stanotte, e forse da molto tempo, la risata di
Artemis si allarga nella luce vivida dell'alba. «Touché,
Spinella. Ma ti sconsiglio di raccontarlo in giro... non credo che
reggerebbe in tribunale.»
«Non
preoccuparti, Fangosetto.»
Spinella gli strizza l'occhio. «Resterà un segreto
tra noi due.
Intesi?»
«Intesi»
risponde Artemis
semplicemente, e dopo un istante si sfila gli occhiali e si accomoda
sul taxi. Non si volta più nella sua direzione, e Spinella
rimane a
guardare il taxi che si allontana fino a che l'alba lontana non le
abbaglia gli occhi.
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