“Questa
storia partecipa alla Parole Intraducibili Challenge indetta sul gruppo
facebook Il Giardino di Efp”.
Prompt:
17. Cynefin. Dal gallese: luogo in cui ci si sente a casa.
Il
Taki shushi viene ricostruito
Il
vento faceva ondeggiare la tendina rossa appesa sopra la porta di legno
del Taki’s sushi, e sfiorava le alte bottiglie di
saké posate all’esterno su uno dei davanzali delle
finestre.
Appesa
a un’altra finestra c’era una bambolina della
pioggia, con legato un bigliettino colorato della buona sorte.
Il
simbolo del negozio era riportato sia su un’insegna di legno
che su delle lanterne di carta.
All’interno
del locale si sentivano urla ilari, scoppi di risa, applausi e gli
accordi di qualcuno che suonava la chitarra.
Tsuoyoshi guardava la porta con gli occhi liquidi, rigido. La porta
scorrevole si aprì e Takeshi si affacciò.
<
In gallese il luogo in cui ci si sente a casa si dice
‘cynefin’. Quando questa parola mi venne insegnata,
per me non aveva significato > pensò Tsuyoshi.
“Papà.
Non entri?” domandò Takeshi, guardando il padre
con aria interrogativa.
“Devo
dire che è sorprendente. Non sembra successo
niente” esalò Tsuyoshi.
“Eh
eh. Xanxus ha ricostruito tutto esattamente
com’era prima. Gli ho descritto tuttoooo minuziosamente”
spiegò il ragazzino. Un sorriso sul volto e gli occhi chiusi.
“Vengo
ora da Tokyo. Mi hanno detto…”. Iniziò
il padre.
“Mi
hanno preso al liceo e ho passato le selezioni al terzo posto.
Sì, lo so. Esistono internet e le email,
papà” disse Takeshi, afferrando il genitore per il
braccio. Lo trasse dentro e chiuse la porta alle spalle di entrambi.
L’interno
odorava di sushi e sakè.
“Ho
preparato del tofu, ma… Mi sa che ho sbagliato qualcosa con
il riso. Sapeva di cetrioli e…”. Iniziò
Taki.
Il
padre si rimboccò le maniche.
“Fai
cucinare me. Tu prendi le ordinazioni” ordinò,
facendosi largo tra i clienti.
<
Sì! Sono riuscito a giocare sulla forza
dell’abitudine.
O
avrebbe pensato inconsciamente che Manuel non avrebbe voluto vederlo in
cucina e non ce l’avrebbe mai fatta a tornare a cucinare.
Questo posto è la sua vita, non può perderlo.
Penso
morirebbe senza poter più fare il sushi >
pensò Takeshi. “Subito, papà”
trillò, correndo verso un taccuino e una penna. Aveva un
grembiule legato intorno alla vita e la mazza da baseball legata sulle
spalle accanto ad una spada.
“Kusakabe
mi ha telefonato e mi ha detto che volevi iscriverti al club di nuoto.
Quando ho pagato la prima retta della scuola, grazie ai soldi di
Xanxus, ho provveduto anche a quello” spiegò
Tsuyoshi, sistemandosi dietro il bancone di legno.
“Eeeeh? Nuoto?”
piagnucolò Takeshi.
“Non
volevi?” chiese Tsuyoshi, iniziando a pulire un salmone.
“N-no,
papà, va bene” mentì il ragazzino.
Padre e figlio alzavano la voce per sovrastare il rumore circostante.
In
alto, vicino al soffitto, volò un reggiseno, mentre si
udivano i versi di alcune scimmie che correvano sotto i tavoli.
<
Kusakabe me la paga. Mi ha fregato.
Anche
se… potrei usare la cosa a mio vantaggio. Potrei dire a
Sasagawa senpai che
non lascerò il nuoto solo se lui riprenderà a
fare kendo.
Tanto
non lo lascerei comunque, non farei una cosa simile a papà.
Ha pagato la rata, magari ci spera io lo faccia. Però questo senpai non
lo sa e fare kendo lo riavvicinerebbe a Kyòya e
gli farebbe anche bene > pensò Takeshi, annuendo tra
sé e sé.
Tsuyoshi
accarezzò il bancone, chiuse gli occhi ed inspirò.
<
Ora, invece, lo so. Questo posto è la mia casa e non vorrei
essere in nessun altro luogo al mondo > si disse.
|