Guardatevi
dall’alto delle stelle
Mi
è addosso di nuovo
lo sforzo feroce di predire il vero, a raffiche, scosse.
Ecco le note di inizio, assurde note.
Eschilo, Agamennone
Le stelle.
Ho sempre pensato che
fosse la mia natura inseguirle per catturarne il potere e
carpire i loro segreti. Anche ora, guardando l’universo che
si estende intorno
alla mia nave, non riesco a fare a meno di catalogare quello che vedo,
classificando ogni punto luminoso per potenza, intensità e
per la quantità di
energia con la quale potrei alimentare la mia magia.
Il sibilare delle
porte scorrevoli mi avvisa che non sono più solo nella sala
comandi.
“Hai deciso
la rotta?” Mi chiede Athena. Il suo tono è
irritato: è impaziente
di partire.
“Non
ancora.”
“Perché?”
Si affianca a me. “Stai solo ritardando la partenza della
flotta.
Zeus non approverà.”
“Lascia che
aspetti; il risultato della guerra non cambierà per
così poco.”
I primi coloni umani,
ingannati dal nostro aspetto, ci credevano immuni da ogni
sentimento: si sono ricreduti in fretta.
Athena emette un suono
rabbioso: so che non è d’accordo, per lei la
strategia è
una scienza che si basa su calcoli precisi. Vorrebbe partire subito e
raggiungere il fronte per frenare l’avanzata della
ribellione, per schiacciare
Elena e Paride e le loro truppe.
Io però
voglio continuare a guardare le stelle ancora per un poco.
“Credi di
risolvere qualcosa restando indietro?” Ora Athena mi sta
scrutando
con quel suo sguardo terso per il quale è famosa tra umani e
non umani. “Sai
che non avresti potuto fare nulla.”
Sono parole rischiose
da pronunciare e da ascoltare.
“La Prova ha
regole ben precise. Non ho mai avuto intenzione di
intervenire.”
Ci misuriamo in
silenzio, io e Athena: è una battaglia che nessuno di noi
vuole
combattere, non adesso.
“Potrai
avere ingannato Zeus e gli altri,” replica lei alla fine,
“ma non puoi
ingannare me.”
“Non credo
tu possa capire.”
“Al
contrario, Apollo,” mi risponde, uscendo,
“è proprio perché capisco che non
ho fatto nulla. Finora.”
Torno a guardare fuori
dalla nave.
Osservare le stelle
è come tornare indietro nel tempo: alcune sono
così
distanti che la loro luce impiega anni ad arrivare fino a me.
Vorrei poter
riavvolgere il tempo percorrendo il cammino di quella luce.
Chiudo gli occhi.
Stavano attraversando
una tempesta magnetica e tutto quello a cui riusciva a
pensare era che il suo raggio schermante era rimasto in un armadio
all’Accademia, assieme all’uniforme, quindi se la
navetta si fosse schiantata
da qualche parte nel deserto di lei sarebbero rimaste solo le ossa,
sbiancate
dalle radiazioni del sole.
Se Eleno ed Ettore lo
avessero scoperto l’avrebbero spedita a calci dal
Capitano più vicino: dimenticare il proprio raggio
schermante lì, su Lykaios,
significava mettere in pericolo non solo se stessi ma anche tutta la
propria
squadra.
Era stata la prima
lezione che avevano avuto, subito prima di atterrare sul
pianeta: un Capitano aveva spiegato a tutti loro che sebbene il sole di
Lykaios
sembrasse meno luminoso di quello della maggior parte dei sistemi
colonizzati,
emetteva delle radiazioni così potenti da permettere a una
sola forma di vita
di sopravvivere.
Una specie che aveva
il potere di trasformare in vita quei raggi mortali.
Per chiarire il
concetto aveva abbassato le calotte esterne della sala comandi:
Lykaios era davanti a loro, enorme e dorato, in orbita attorno a una
stella di
dimensioni modeste. Alcune reclute si erano subito avvicinate ai
pannelli di
visione, come bambini in visita a un acquario; il Capitano aveva
premuto un
pulsante, riducendo di pochissimo l’intensità
dello scudo schermante: subito le
reclute erano saltate indietro, alcuni con le mani coperte di vesciche
bluastre.
“Le
radiazioni sono il vero pericolo. Non la luce, non le tempeste
magnetiche:
il campo radioattivo rende Lykaios inabitabile per chiunque. Tranne che
per chi
ci è nato.”
Non aveva avuto
bisogno di dare ulteriori spiegazioni.
Eppure, anni dopo,
eccola lì, senza raggio e senza tuta, nel mezzo della
tempesta magnetica peggiore che si fosse vista da parecchio tempo.
“Hai paura
di quello che potrebbe succedere?” La voce proveniva allo
stesso
tempo da un punto alle sue spalle e da dentro la sua mente.
Scosse la testa.
“No.”
Era la
verità, in fin dei conti: non aveva paura della tempesta, o
della Prova
che la stava aspettando proprio al suo centro.
Accanto a lei ora
c’era un uomo – almeno, quello era
l’aspetto che aveva deciso
di assumere – che fissava le spirali di sabbia e luce che si
intrecciavano nel
cielo attorno alla navetta.
“Quando
sarà tutto finito potremo andarcene da questo
pianeta.” La sua voce era
melodiosa ma fredda, distaccata. “Andremo a Espero.
Lì avranno bisogno del
potere che stai per ottenere.”
“Lo dici
come se fossi sicuro che passerò la Prova.”
“Lo dico
perché lo so.” Apollo si girò a
guardarla. “Ti ho vista di fronte
all’Assemblea, forte e con il mondo ai tuoi piedi, allungare
le mani per
reclamare il dono che hai guadagnato.” Le posò le
mani sulle spalle,
sorridendo. “Tu sei una mia creatura: non aver paura di
quello che potresti
diventare.”
Era esattamente quello
di cui aveva paura, pensò Cassandra, senza riuscire a
staccare gli occhi dai suoi.
Di quello e di Apollo
stesso, ma lui non lo sapeva ancora.
Un’ironia
crudele, se si considerava che tutto quello che aveva desiderato un
tempo era affrontare la Prova con lui accanto.
“Cassandra!”
Eleno le batté una mano sulla spalla. “Tocca a
te.”
La ragazza si riscosse
e abbassò gli occhi: il sole di Lykaios era interessante
da osservare attraverso i filtri schermanti, ma mai quanto
l’esame che stava
per affrontare.
L’arena era
stata costruita all’aperto, per permettere a Reclute e
Allievi di
sperimentare sulla propria uniforme il clima del pianeta. Gli scudi
solari
erano alzati tutt’intorno, ma Cassandra era certa che se
anche uno solo avesse
perso intensità, tutti loro si sarebbero trovati nei guai
nonostante il tessuto
schermante delle loro divise.
Avanzò
tranquilla, il casco ben abbassato sulla sua testa. Aveva
già scelto la
sua arma: un arpione dal manico abbastanza lungo da permetterle di
tenere
l’avversario a distanza ma non così tanto da
ostacolare i suoi movimenti.
Achille era
già lì, ai margini dell’arena; stava
soppesando due teaser sonici
con aria pensosa ma si interruppe per lanciarle un ghigno cameratesco.
“Pronta
a perdere?”
“Pronta a
vincere, volevi dire?”
“Ti
piacerebbe.” Il ragazzo scosse la testa e si decise per il
più pesante dei
due teaser. “Quando mai sei riuscita a battermi?”
“Beh, la
scorsa volta, se tu non avessi…”
“Allievi: in
posizione.” Il Capitano controllò il timer
inserito nel suo
braccio bionico. “Trenta secondi.”
Entrambi si portarono
al centro dell’arena.
Cassandra
espirò lentamente attraverso il casco: era vero, non era mai
riuscita
a battere Achille in un esame. Era in buona compagnia: pochi erano in
grado di affrontare
l’allievo modello dell’Accademia.
Ma forse questa volta
sarebbe stato diverso.
Al suono del timer
saltò in alto, schivando il colpo del teaser di Achille, e
usando l’arpione si portò sopra una delle rocce
dalla superficie irregolare che
costellavano l’arena. Da lì tentò un
colpo di lama sonica contro Achille, ma
l’altro era già sparito.
I punti vincenti di
Achille, oltre alla forza fisica, erano la strategia e la
costanza: quando decideva di vincere si impegnava fino a che non
riusciva a
portare a casa la vittoria. Imitava le mosse degli avversari,
spiazzandoli e
oltrepassando le loro difese, per poi impegnarli in un corpo a corpo
dove lui
aveva la meglio.
Cassandra
scivolò tra le rocce: di solito evitava di cercare uno
scontro
diretto, ma aveva bisogno di trovarsi davanti a Achille per quello che
voleva
fare.
Fece appena in tempo a
rotolare a terra: il raggio del teaser passò sopra di
lei mentre Achille, senza perdere nemmeno un istante, la raggiungeva
evitando i
colpi del suo arpione e puntava di nuovo l’arma verso la sua
testa.
Perfetto.
L’arpione si
conficcò nella terra nera e arida, il manico rivolto verso
il sole
allo zenit. La mano sinistra di Cassandra rimase sull’arma
mentre posava la
destra sul suolo a palmo in su.
Sentì
l’arpione arroventarsi velocemente e il calore trasmettersi
alla mano e
al resto del corpo, fino a fluire nella destra e scaricare il grosso
dell’energia a terra, il tutto in pochi istanti.
La ragazza
alzò la destra davanti a sé, afferrando il piede
di Achille e
spingendo quel che rimaneva dell’energia che era fluita in
lei.
Achille, che aveva
già alzato di nuovo il teaser, si bloccò,
irrigidendo tutto
il corpo. Cassandra ne approfittò per estrarre
l’arpione, usarlo per far cadere
l’avversario e puntare la lama sonica alla sua gola. Avrebbe
volentieri
aggiunto un colpo o due, ma non voleva esagerare davanti ai Capitani
Istruttori.
“Fine
dell’incontro.” Il Capitano alzò il
braccio per assegnare la vittoria a
Cassandra.
Con ogni
probabilità quello significava aver passato
l’esame con il massimo dei
voti: la ragazza si concesse un sogghigno all’interno del
casco. Accanto a lei
Achille si stava rialzando, incespicando sulla gamba. “Che
cosa… Che cosa mi
hai fatto?” Chiese in tono d’accusa.
Lei si strinse nelle
spalle. “Sono stata più veloce, ecco che cosa ho
fatto.”
Achille
però non accennava a muoversi. “La mia gamba:
è stata come una scossa
elettrica. Come hai fatto?”
“Sicuro non
fosse un crampo?”
“Allievi,
spostatevi dal campo.” Il Capitano indicò loro
l’esterno dell’arena.
Cassandra
voltò le spalle ad Achille e se ne andò senza
più badare alle sue
domande.
Del resto, nemmeno lei
sapeva come o cosa avesse fatto. Sapeva solo che durante
un allenamento con Ettore ed Eleno si era accorta che le proprie armi
sembravano raccogliere il calore del sole più velocemente
del normale, e che il
suo corpo sembrava reagire diventando un cavo elettrico e scaricando
l’energia
sulle rocce che toccava.
Impossibile ma utile,
come aveva dimostrato lo scontro: non si era fidata a testare
il fenomeno su quei due, ma Achille… Beh, poteva permettersi
di perdere
Achille, se la scarica fosse stata troppo forte.
Quando
rientrò tra i ranghi del gruppo di Allievi fu accolta da una
pacca sulla
spalla – Ettore – e da un’espressione
incredula – Eleno.
“Come hai
fatto?” Il ragazzo scosse la testa.
“Assurdo.”
“Avevi
scommesso qualcosa?” Sogghignò Cassandra.
“Spero su di me.”
“No, ma se
l’avessi saputo mi sarei giocato anche quello che non
ho.”
Ridendo, Cassandra
alzò la testa: si accorse allora di un’ombra
luminosa che si
stagliava contro il sole, lì sulle colline spezzate sotto le
quali era stata
scavata l’Accademia.
“Oggi
abbiamo visite importanti,” commentò Ettore,
seguendo il suo sguardo.
“Gli dèi sono scesi tra noi.”
Cassandra non rispose,
continuando a fissare la sagoma fino a che gli occhi
iniziarono a bruciarle nonostante i filtri schermanti.
Quando li
riaprì non c’era più nessuno sulle
colline; ma lampi di luce simili a
serpenti dorati continuarono a danzarle nelle palpebre anche dopo che
furono di
nuovo al sicuro dentro l’Accademia.
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