˗ˏˋ 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭'𝘪𝘥𝘪𝘰𝘵𝘢 𝘴𝘱𝘢𝘨𝘯𝘰𝘭𝘰 ˎ

di MooseLostHisShoe
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Buio e silenzio.
Non riusciva a sentire e vedere niente, ma provava ugualmente a guardarsi intorno e a tendere le orecchie.
Lovino si agitò e non poco; non sopportava il buio.
Passò qualche secondo, minuto o forse persino qualche ora, il ragazzo non riuscì a capirlo, quando finalmente udì un suono.
Iniziò a correre nella sua direzione.
Era un suono molto ovattato, ma riusciva chiaramente a distinguere una voce, però non riconoscendola.
Corse e corse a vuoto, finché una frase non gli rimbombò nelle orecchie, come se qualcuno l'avesse registrata e avesse messo appositamente due casse accanto a lui, una per orecchio:
«Stammi lontano, frocio!» 
Lovino sbarrò gli occhi e sul suo viso si dipinse un'espressione a dir poco terrorizzata, mentre una lacrima solitaria scendeva velocemente dalla sua guancia.
«Io non...» mormorò, senza rendersi conto che non c'era nessuno che avrebbe potuto ascoltarlo.
Poi, attorno a lui, sembrarono apparire altre voci, stavolta forti e chiare.
«Vargas? La ragazza carina o quello ricchione?»
«Ho sentito che è stato sia con donne che con uomini...» 
«Dici che è contagioso? Una volta ci ho parlato» 
Lovino si tappò le orecchie con entrambe le mani e si lasciò cadere sul pavimento, in ginocchio, singhiozzando.
«Basta-» strinse i denti «Lasciatemi in pace, cazzo!» 
Strinse anche gli occhi, volendo evitare a tutti i costi le immagini che si stavano presentando davanti ai suoi occhi come una pellicola, contro la sua volontà: un ragazzo dai capelli rossi, più alto di lui, lo spintonava via, urlandogli gli insulti peggiori, come se fosse il peggior essere umano esistente sulla faccia della terra; Lovino che, inevitabilmente, piangeva.
E cominciava ad urlare.
Ma ad un certo punto sentì una scossa improvvisa, come un forte terremoto. 
Tremò così tanto da ritrovarsi con gli occhi spalancati e la testa alzata, ma aveva colpito qualcosa con essa.
Subito dopo, un'imprecazione, forte e chiara.
«Porca di quella puttana, Lovino! Che cazzo! Cosa ti ho fatto di male per essere preso a testate?!» esclamò un ragazzo albino e dal forte accento tedesco, mentre teneva la testa inclinata all'indietro, con una mano premuta sul naso sanguinante.
L'italiano so guardò intorno spaesato per qualche secondo: oh, giusto. Era un sogno, allora; o, per meglio dire, un incubo sul suo passato un po' turbolento.
«Ugh-» sospirò Lovino, andandosi a stropicciare gli occhi cervoni, sentendoli un po' umidi.
Ma guarda, ho persino pianto.
Schioccò la lingua contro il palato, portando successivamente la sua attenzione su Gilbert, il ragazzo che aveva appena preso involontariamente a testate -non che se ne fosse pentito, a volte se le meritava-.
«Per quanto ho dormito?» chiese dopo, alzandosi dal divanetto del bar, anche se ormai era chiuso da un pezzo: era diventata una sua abitudine rimanere lì dopo la chiusura, di solito per usufruire del Wi-Fi del locale, con il permesso del suo datore di lavoro, ovviamente. 
Lovino era uno studente universitario, per cui aveva bisogno di studiare e, per questo, utilizzava la rete del bar.
«Non saprei, una mezz'oretta...?» rispose l'albino, premendosi il fazzoletto sul naso, diventato ormai rosso come un pomodoro maturo. 
«Pulisciti, sembra che tu abbia affondato la faccia nel ketchup» disse Lovino, schifato. Subito dopo, senza perdere ulteriore tempo, chiuse il libro che stava cercando di studiare, ma senza molti risultati.
A scuola non era mai stato una cima, non sapeva nemmeno perché avesse deciso di fare l'università. 
Abitava in America da ormai un paio d'anni. Si era trasferito nella caotica New York a ventitré anni, spinto da suo nonno Romolo e sua sorella Felicia, che avevano insistito tanto per mandarlo lì, anche se lui avrebbe voluto trasferirsi in una grande città italiana, tipo Roma o Firenze.
Ma non si lamentava, anche se non era un grande fan dell'America in generale.
Infatti, appena arrivato negli Stati Uniti, aveva iniziato a cercare un ristorante italiano vicino il suo appartamento, scoprendo tristemente che non ve n'erano nei dintorni. Così, aveva deciso di accontentarsi di un bar. 
«Sì, sì, adesso vado. Finisco io qui, tu sparisci» ridacchiò infine il tedesco, dando un'amichevole pacca sulla spalla dell'italiano. 
Gilbert era tedesco e abitava in America da più di dieci anni. L'aveva conosciuto sul posto di lavoro e poi aveva scoperto di essere suo vicino di casa. 
All'inizio era fastidioso e invadente come pochi, trattava Lovino come se lo conoscesse da tutta la vita; questa cosa all'italiano non dava del tutto fastidio, ma aveva imparato a farci l'abitudine col tempo, più che altro perché avrebbe dovuto ritrovarselo sia al lavoro, sia accanto casa sua, quindi tanto valeva farselo amico.
Con una mano afferrò la borsa marrone abbandonata sul tavolo di legno e ci infilò il libro, ancora mezzo addormentato. Poi, guardò l'orologio: le ventidue e trenta.
Sì, loro chiudevano presto, perché in quella zona, dopo una certa ora, evaporava ogni forma di vita.
«'notte» mormorò l'italiano.
«Buonanotte, Lovi!» rispose il tedesco.

~ ~ ~

Dopo aver passato una notte più o meno insonne, poiché continuava a svegliarsi ogni tre quarti d'ora, si presentò al lavoro il mattino dopo con due evidenti occhiaie sotto gli occhi. 
Notò la serranda alzata, per cui qualcuno aveva aperto prima di lui: Emma.
La ragazza in questione, che non appena lo vide, gli riservò un sorriso a trentadue denti che si spense quando posò lo sguardo sulle occhiaie dell'italiano, si avvicinò a Lovino facendo ondeggiare i capelli biondi.
Lovino si sentiva già meglio solo guardandola.
«Lovi! Sembri uno zombie, non hai dormito?» chiese appunto la bionda, lanciandogli un'occhiata di rimprovero.
«No no, tranquilla, sto benissimo! Ho solo studiato» rispose prontamente l'italiano, poiché stava davvero bene, anche se in minima parte.
Quindi era una mezza bugia, poteva permetterselo ogni tanto, no?
«Come no, siediti, forza» sollevò un sopracciglio con scetticismo la ragazza, prendendo Lovino per mano e trascinandolo al bancone già pulito e pronto per essere usato una volta arrivati i clienti.
Piazzò il ragazzo su uno degli sgabelli di legno e con l'imbottitura rossa, scompigliandogli i capelli castani subito dopo.
«Ci ho messo un quarto d'ora per aggiustarli, Emma» sospirò l'italiano, cercando di rimetterli a posto, con un po' di difficoltà, soprattutto per quel fastidioso ciuffo in alto a destra che se ne andava per i fatti suoi.
La ragazza ridacchiò e basta, non rispondendogli. Dopo pochi minuti, Lovino di ritrovò sotto il naso un caffè e un cornetto al cioccolato dall'odore invitante.
Questa era una cosa che succedeva piuttosto spesso, ora che l'italiano ci faceva caso. Emma era sempre stata così, da quando l'aveva incontrata per la prima volta: dolce, gentile, dallo spiccato senso dell'umorismo e sempre pronta ad aiutare il prossimo, che si trattasse di un suo amico o un perfetto sconosciuto non aveva importanza.
Queste caratteristiche avevano colpito Lovino come uno schiaffo in pieno volto: per non girarci attorno, si era preso una gigantesca, colossale cotta per la ragazza belga. I due avevano iniziato ad uscire insieme da un anno a questa parte; Lovino aveva conosciuto il fratello maggiore della bionda, Tim: biondo e dagli occhi verdi e affilati, che lo avevano letteralmente trafitto da parte a parte nel momento in cui aveva detto di uscire con sua sorella, lo superava di una decina di centimetri in altezza e, come se non bastasse, sembrava piuttosto ben piazzato in fatto di muscoli.
Quello sguardo era un chiarissimo avvertimento: ferisci mia sorella, ed io ti spezzo.
Lovino l'aveva visto una volta sola e gli era bastata, insomma, nonostante Emma avesse detto più volte che suo fratello non gli avrebbe torto un capello.
Emma, invece, aveva conosciuto Felicia e Romolo, parenti di Lovino. I due abitavano in Italia, a Napoli per essere precisi, e ogni tanto andavano a trovare il ragazzo a New York, facendogli compagnia durante le feste e aggiornandolo sulle ultime novità. 
Emma era stata accolta immediatamente dai due, che l'avevano presa subito in simpatia: insomma, alla fine, a chi è che non piaceva Emma? Quella ragazza conquistava il cuore di ogni persona che incontrava con un solo e semplice sguardo.
Lovino, perso nei suoi pensieri, fissava la tazza ormai vuota davanti a sé. 
«Lovi!» lo richiamò la biondina a cui pensava insistentemente tutto il giorno, attirando la sua attenzione. Lovino alzò subito il capo, biascicando un «Eh? Cosa?»
«Ti eri messo a fissare il vuoto!» ridacchiò Emma «Vai a cambiarti, stanno già arrivando dei clienti»
E detto questo, il castano non perse tempo. Le sorrise e, non appena si fu cambiato, tornò dietro il bancone, stampando un dolce bacio del buongiorno sulle labbra rosee della belga.

 





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